venerdì 7 febbraio 2020

In ricchezza e in povertà

L’esistenza della povertà ha sempre accompagnato tutte le società umane, almeno sin da quando le civiltà hanno incominciato a lasciare traccia della propria storia.
Un fatto certo non casuale, che dovrebbe essere sufficiente da solo (anche senza scomodare gli studi antropologici e demografici) per concludere che la povertà è ineliminabile. Persino Gesù, in un ben noto (e giustamente controverso) passo del Vangelo si lascia scappare la famosa affermazione: “ i poveri infatti li avete sempre con voi” (Matteo - 14,7).
Eppure pochi argomenti sono stati dibattuti e sviscerati, nel corso dei secoli, come questo. Quelli che seguono sono due contributi sull’argomento, molto diversi tra loro, sia come prospettiva che come impostazione di fondo, ma entrambi molto interessanti, scritti rispettivamente da Gianni Pardo (per il suo Blog) e da Sergio Belardinelli (per Il Foglio).
LUMEN


CRISTIANESIMO E SOCIALISMO

<< Intorno alla metà del XX Secolo, gli italiani sono arrivati alla democrazia moderna con un doppio bagaglio culturale: il Cristianesimo e il Socialismo. Due ideologie sostanzialmente gemelle. Il Socialismo (poi divenuto anche comunismo) è stato la faccia laica del Cristianesimo e politicamente ne ha sposato la maggior parte delle idee.

Per esempio, come la Chiesa, si è dichiarato paladino degli umili e degli ultimi, a prescindere dal fatto che essi avessero ragione o torto. Il Cristianesimo comanda di dare ai poveri in base all’amore fraterno, il Socialismo dichiara che i poveri hanno diritto ad essere aiutati dallo Stato, cioè dai contribuenti, senza fornire per questo giustificazioni migliori dell’amore fraterno. Il meccanismo è diverso, ma molla e risultati sono gli stessi.

Altro elemento in comune, l’assenza della meritocrazia nel panorama mentale. Per la Chiesa il povero non va aiutato perché “lo merita”, ma “perché soffre”. Il Socialismo, facendo finta di essere scientifico, per la miseria del povero inventa alla Rousseau una colpa della società e trasforma la carità che intende dargli in risarcimento. Non gli chiede che cosa ha fatto per guadagnare di più, gli chiede soltanto se è povero. E in questo raggiunge il Cristianesimo. E fa tutto ciò senza chiedersi se lo Stato se lo possa permettere economicamente. È così che si sono moltiplicate le spese morali e caritatevoli. (…)

In linea col Vangelo, reputa che i ricchi siano tali perché hanno rubato qualcosa ai poveri. Inoltre il popolo – sempre in linea col Vangelo – disprezza l’economia. Non soltanto è notevolmente ignorante, in materia, ma ne contesta i risultati. Lo Stato deve finanziare i disoccupati, quale che sia il loro numero. Deve indennizzare i terremotati, e magari ricostruirgli la casa, come se il terremoto fosse colpa sua. Deve “Mettere in sicurezza il territorio”, come se fosse in grado di spianare le montagne. E ovviamente deve tenere in vita tutte le grandi imprese decotte (…) che divorano miliardi e miliardi senza mai riuscire a guarire. >>

GIANNI PARDO


DISEGUAGLIANZA ED INIQUITA’

<< L’ultimo rapporto della Banca Mondiale ci dice che “in generale la povertà può essere ridotta grazie a una maggiore crescita media, grazie a una diminuzione delle disuguaglianze oppure a una combinazione di entrambe. Raggiungere la stessa riduzione di povertà in tempi di crisi economica richiede quindi una maggiore equità nella distribuzione dei redditi”. Senza entrare nel merito di questa proposta, anzi, prendendola per buona, non sono tuttavia sicuro (…) che, da un punto di vista morale, la semplice disuguaglianza economica sia di per sé l’aspetto più rilevante.

A tal proposito, il 7 aprile 2017 la celebre rivista “Nature Human Behaviour” ha pubblicato un articolo molto interessante, dove si cerca di mostrare come “nonostante le apparenze contrarie, non ci sia nessuna evidenza che dica che le persone sono disturbate dalla disuguaglianza economica. Piuttosto esse sono disturbate da qualcosa che viene spesso confuso con la disuguaglianza, e cioè dall’iniquità economica”.

Basandosi su una mole incredibile di ricerche condotte su persone di ogni fascia di età, a cominciare da bambini di tre anni, gli autori concludono che gli uomini sono per una “distribuzione equa”, non per una “distribuzione uguale”; inoltre, quando equità e uguaglianza confliggono, essi preferiscono una “disuguaglianza equa” a una “uguaglianza iniqua” (…).

Il fatto che le ricerche empiriche ci dicano che la gente non ha un’avversione per la disuguaglianza in sé, bensì per l’iniquità, è un motivo incoraggiante, affinché, anche sul piano della riflessione morale, se ne tenga conto. Pur con tutto il disgusto che può essere provocato da certi consumi da parte dei ricchi, il problema morale dei poveri non è dato dal fatto che essi non hanno gli stessi gioielli o le stese automobili dei partecipanti alle feste del Grande Gatsby; questo semmai dovrebbe essere un problema morale per i ricchi stessi.

Il principale dovere morale che una comunità politica ha nei confronti dei poveri è quello di garantire a tutti le stesse opportunità di sviluppare alcune “capacità” che riteniamo indispensabili per una vita decente e senza le quali diventerebbero una parvenza gli stessi diritti politici e l’uguaglianza politica. Questa è l’uguaglianza di cui dovrebbe preoccuparsi la comunità, non l’uguaglianza economica. I poveri non hanno diritto agli stessi gioielli dei ricchi, ma hanno diritto di imparare a leggere e a scrivere, di avere una casa, di poter mandare i figli a scuola e via dicendo secondo i parametri di Eurostat.

La storia di questi ultimi due secoli ci insegna che il modo migliore di garantire questi sacrosanti diritti è quello di aumentare la ricchezza, l’ampiezza della torta, investendo risorse sull’innovazione e, soprattutto, sul “capitale umano”, la ricchezza più grande di tutte le nazioni, unitamente alle istituzioni dello stato di diritto liberale e democratico. Questo ovviamente non vuol dire che nel contrasto alla povertà ci si debba affidare esclusivamente alla logica del mercato. Tale contrasto rimane principalmente un dovere politico. Ma non credo che per assolvere tale dovere, la politica debba diventare un protagonista del mercato o sbaraccarlo, sostituendolo con un’economia pianificata.

La politica deve garantire le condizioni istituzionali per lo sviluppo della libera imprenditoria, a cominciare dalla tutela della proprietà privata; deve porre dei limiti a ciò che può essere fatto oggetto di libero scambio; deve, ecco il punto, destinare risorse al fine di garantire a tutti i cittadini le stesse opportunità di sviluppo delle proprie “capacità”.Spetta alla politica garantire la libera concorrenza; (...) spetta alla politica soddisfare quel bisogno di giustizia, da non confondere con l’uguaglianza economica, che pare essere molto diffusa tra i cittadini. >>

SERGIO BELARDINELLI

19 commenti:

  1. Mi dispiace, ma non ho appreso niente di nuovo o interessante di cui valga la pena discutere: tutte cose note e stranote.
    I fanatici dell'uguaglianza, tipo Flores d'Arcais, invocano il comunismo. Un secolo di comunismo e socialismo ci hanno fatto capire che il comunismo non funziona. D'altra parte siamo ormai quasi otto miliardi di consumatori frenetici che vogliono tutto, tutto è considerato un diritto, ogni desiderio è un diritto umano. Può lo Stato soddisfare tutte le richieste degli otto miliardi di voraci consumatori?
    Tutto sarebbe più facile se fossimo otto miliardi di cloni umani con le stesse esigenze. Tutti uguali, maledettamente uguali. Basterebbe un nuovo coranavirus per eliminare tutti.
    Come si definisce la povertà? In Svizzera, uno dei paesi più ricchi del mondo, ci sono circa 600'000 poveri (su una popolazione di 8,5 mln). Ma questi poveri rispetto a miliardi di esseri umani sono dei paperoni, hanno tutto assicurato, non pagano nemmeno le tasse, ma certo non possono permettersi tante cose.
    Si può eliminare la povertà? Forse la miseria nera, ma ci saranno sempre persone che hanno meno di altre, che si accontentano di quello che hanno, non hanno ambizioni, sono anche scansafatiche magari.
    Tra i diritti c'è anche quello di poter godere del frutto del proprio lavoro e non vederselo sottratto dal fisco e dalla collettività. Pago le tasse per le strette necessità della comunità, ma ho anche diritto a tenermi e godere buona parte di ciò che ho onestamente guadagnato. Ovviamente si può discutere su quell' «onestamente».

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  2. << Si può eliminare la povertà? Forse la miseria nera, ma ci saranno sempre persone che hanno meno di altre, che si accontentano di quello che hanno, non hanno ambizioni, sono anche scansafatiche magari. >>

    Caro Sergio, ritengo che la povertà non sia eliminabile, sostanzialmente per le ragioni che hai indicato tu nel commento.
    Ad una esistenza dignitosa ci devi pensare da te, non deve pensarci lo Stato.
    E quindi: NO assoluto al reddito di cittadinanza o elargizioni simili.
    Al massimo, lo Stato potrà predisporre mense e dormitori pubblici per chi proprio non ce la fa; ma nient'altro.
    E poi c'è la carità privata, soprattutto quella religiosa, che può sopperire.
    Ma deve essere una cosa in più, da considerarsi su base volontaria.

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  3. Caro Lumen,

    sono un po' sorpreso del tuo "brutale" commento. Certo la vita dignitosa devi o dovresti fartela da solo. Ma che lo Stato deva disporre mense e dormitori pubblici per chi non ce la fa - e basta, penso che oggi non possa più bastare. E di riffa o di raffa bisognerà arrivare a un reddito di cittadinanza o per lo meno ad assicurare a tutti alcuni servizi o beni fondamentali, insomma a un certo assistezialismo statale. Siamo quasi otto miliardi, otto miliardi di bombe atomiche da disinnescare. Questi vogliono "tutto": assistenza sanitaria di prim'ordine per tutti (niente medicina "a due velocità", una per i ricchi e una per gli altri),
    istruzione di qualità (laurea per tutti, chi non ce la fa in un quadriennio sarà assistito da pedagogi e psichiatri), casa (diritto primario, ci mancherebbe), lavoro non massacrante, reddito "dignitoso" (la dignità è un concetto molto aleatorio o ambiguo), promozione integrale della personalità ecc. ecc. Insomma, tutti vogliono sicurezza e benessere à gogo. Proprio tutto non sarà possibile, ma lo Stato non potrà limitarsi ad allestire mense e dormitori. Pane e giochi non bastano più, ci vorrà almeno qualcosa in più per tenere buoni i miliardi di desideranti.
    Ma forse siamo ormai troppi per sperare nella pace sociale o addirittura universale.
    Eppure basterebbe poco (crisi energetica) per fare abbassare le pretese. Nel 1973 non ci furono manifestazioni e rivoluzioni per le domeniche senza auto. I gaglioffi arabi avevano quadruplicato il prezzo del petrolio e ci fu - se non ricordo male - anche un embargo. Niente o meno petrolio, c'era poco da manifestare, la gente incassò il colpo senza accusare il governo ladro.

    "I poveri li avrete sempre con voi", disse Gesù. Queste parole potrebbero essere davvero autentiche (ipsissma verba) e ci rivelebbero un Gesù attento osservatore della realtà. I poveri - assoluti o relativi - ci sarebbero sempre. La nuova Chiesa cattolica invece - che ha ormai rinnegato Gesù - pensa invece che sia possibile una rivoluzione, l'avvento del comunismo (ma non ateo).

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    1. Caro Sergio, sì, ammetto di essere stato un po' brutale su questo punto, ma io sono per lo Stato minimo e questa sarebbe una buona appicazione del principio.

      Però in democrazia anche i poveri votano, per cui una certa quota di welfare è indispensabile.
      Qualcuno potrebbe dire che è un ottimo sistema anche per le elites, che in questo modo possono tenere buona la popolazione più turbolenta, utilizzando i soldi dello Stato (che ovviamente NON sono i loro).

      Mi piacerebbe però, vista la tua cultura in materia, approfondire un po' meglio la famosa citazione evangelica sui poveri.
      Mi pare infatti che quella che tu citi sia solo una delle possibili interpretazioni delle parole di Gesù, e che ce ne siano altre più "buoniste".
      Tu ne conosci qualcuna ?

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    2. No, infatti volevo proprio chiederti a quale altra interpretazione alludevi. A me sembra in realtà che ci sia poco da interpretare, le parole di Gesù sono semplici e chiare: i poveri ci saranno sempre, è un fatto (assoluti o relativi: anche un povero miliardario si rode il fegato vedendo che altri hanno più miliardi di lui).
      Penso che bisognerebbe distinguire tra miseria, povertà e vita semplice. Giorgio Bocca vent'anni fa disse un'eresia: ci salverà l'agricoltura, il ritorno alla terra. Che una volta era però vita di stenti e fatica, mentre oggi non ci si dovrebbe più spaccare la schiena (e meglio una vita nei campi che in ufficio).
      Ogni tanto faccio il test dell'impronta ecologica. Non prendo l'aereo, mangio poca carne, compro solo biologico, non vado mai in vacanza ma se tutti vivessero come me ci vorrebbero 2,6 Terre, accidenti. Sono molto penalizzato dal fatto che ho un'auto, faccio 6-7000 km l'anno, riscaldo a gasolio e a 22 gradi, occupo una superficie abitativa eccessiva per me solo (85 m2), consumo pesce e commetto qualche altro peccatuccio. E io che mi credevo modesto, al limite della pura sussistenza. Che fare?

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    3. Mah, se un passo dei Vangeli appare imbarazzante, la dottrina cattolica è piena di interpretazioni alternative, anche solo per salvare la forma.
      Sulla citazione dei poveri, per esempio, su un sito cattolico, ho trovato questa riflessione:

      << Cosa voleva dire Gesù con questo testo? Voleva dire che è necessario che ci siano persone povere nel mondo per svolgere i servizi e le mansioni più umili? Forse le persone non hanno la capacità di arricchirsi o forse la povertà è un male senza medicina? Che i poveri ci saranno sempre e non si può fare niente!
      Questo testo, in un’interpretazione errata, fu usato per giustificare l’idea che non serve annunciare la possibilità di una società fondata sull’uguaglianza, giacché Gesù ha detto che “I poveri infatti li avete sempre con voi”.
      Onestamente non si può estrapolare questa frase dal resto del messaggio cristiano che costantemente insiste sull’uguaglianza degli esseri umani. Se Gesù predica l’uguaglianza tra gli esseri umani, come si può fare tale affermazione?
      Precisamente, quello che vuole dire questa frase è che solamente nei poveri si incontra Gesù, che il dinamismo della vita cristiana è, giustamente, l’azione a favore dei poveri. >>

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  4. Una breve ricerca su Wikipedia non mi rivela interpretazioni nuove delle parole di Gesù. Trovo per es. questo passaggio:
    “Non sempre avete me!” È vero, ma Gesù ci dichiara solennemente che i poveri, nei quali si compiace di immedesimarsi, “li avete sempre con voi”. Quindi Giuda non si rammarichi di aver perso l’occasione per destinare ai poveri quei trecento denari. Le occasioni continueranno, oltre ogni immaginazione, fino alla fine del mondo: “i poveri li avete sempre con voi” e i trecento denari non basteranno mai! Lui non lo vedremo più, ma nei suoi poveri continuerà con noi per sempre!"

    Insomma, i poveri ci saranno sempre. Invece io penso che la miseria nera possa davvero essere eradicata, ma non la disuguaglianza e le differenze di ceto e di reddito. L'ex cattolico Eugen Drewermann pensava anche lui a un superamento della povertà materiale grazie al progresso, ma immaginava che la Chiesa potesse avere ancora una funzione per contrastare la povertà spirituale. Ma che cosa sarebbe questa povertà spirituale? L'eterna insoddisfazione dell'uomo, il tedium vitae che prima o poi quasi tutti provano? E quali consolazioni potrebbe offrire la Chiesa?

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  5. Caro Lumen,

    ci sono detti e fatti di Gesù che fanno propendere per la sua storicità, quasi universalmente riconosciuta. Per esempio proprio quel "i poveri li avrete sempre con voi". Oppure la sua domanda: "Chi dicono che io sia?"
    Un Gesù che s'interroga sulla sua identità, che cerca conferme (molto umano). Del resto proprio tutto inventato non può essere e la crocifissione "ci sta": la sua scenata al tempio (con cui voleva mettersi in mostra) e certe sue affermazioni sacrileghe per i sacerdoti ebrei erano sovversive. Aveva sicuramente doti di guaritore, ma di guaritori ce n'erano e ce ne sono anche oggi a bizzeffe. Insomma, sì, è esistito davvero e la sua fama si è diffusa nel mondo intero, ma adesso sta tramontando definitivamente anche grazie a Bergoglio (il Dio trino sta finendo in soffitta, anche per non fare incazzare islamici ed ebrei che adorano anche loro l'unico vero Dio). Ultima da Medjugorie (ieri): la Gospa (la Madonna) ha detto a Vicka che tutte le religioni adorano lo stesso Dio. Evvai!

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  6. << Del resto proprio tutto inventato non può essere e la crocifissione "ci sta" >>

    Certo che ci sta, dal punto d vista storico.
    Ma la crocefissione era la pena che i romani irrogavano ai sobillatori politici, ai ribelli vuolenti, ai nemici politici dell'impero, non certo ai profeti ascetici che si limitavano a predicare.
    E' questo che mi quadra poco.

    Forse hanno ragione coloro che affermano che Gesù fosse un leader politico-militare, e che i cristiani abbiano successivamente modificato la sua immagine in senso ascetico-buonista per rendero più accettabile alla società romana.

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  7. Mah, Gesù è stato condannato da Pilato (ma perché si lavò le mani?) appunto come sovversivo, ribelle ecc. Non erano certo gli ebrei che crocifiggevano i delinquenti.
    Questo orribile supplizio i Romani lo ripresero dai Cartaginesi, non era una loro invenzione. Ma poi lo applicarono con frequenza e immagino piacere. Ho letto che Tito, "delizia del genere umano", fece crocifiggere mille ebrei in un solo giorno quando governava da quelle parti. I Romani non scherzavano, non erano gente rammollita come i moderni Italiani tutti sentimento e ammmore.
    Pensa che i Romani andavano in guerra ogni anno, solo un anno della loro lunga storia rinunciarono a menare le mani (nel 236 o 230 a. C.). E perché andavano in guerra? Per esportare democrazia e civiltà? No, per fare bottino e imporre gabelle e assicurarsi rifornimenti (per es. di grano dall'Egitto). Lasciarono comunque ovunque tracce ammirevoli della loro civiltà (acquedotti, ponti, anfiteatri, templi, strade).

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    1. Caro Sergio, i Romani avevano creato un impero, e tutti gli imperi del passato, finchè erano efficienti, si sono sempre comportati in questo modo.
      Il termine pax romana ha un significato molto più ambiguo di quello che ci sembra ora, a distanza di secoli.
      E poi abbiamo il coraggio di lamentarci del moderno Impero Americano...

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  8. Intanto oggi nella Penisola è di nuovo lutto nazionale per gli ultimi dati demografici ISTAT: nihil novi sub Sole, ma poi NON ci si lagni x l'incremento della povertà, della disoccupazione, del disagio giovanile, ecc. Tutto ciò mentre la demografia di Nord Africa e Medio Oriente sta letteralmente "esplodendo", con i conseguenti disastri ambientali e sociali... Quando si comprenderà che temi/problemi come quello demografico NON possono essere seriamente affrontati unicamente attraverso la miope ottica nazionale/nazionalista, ma occorre tenere presenti anche la dimensione inter-trans-nazionale e quella locale-regionale? Saluti

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    1. "... la miope ottica nazionale/nazionalista, ma occorre tenere presenti anche la dimensione inter-trans-nazionale e quella locale-regionale?"

      Prova a tradurre questo filosofese in italiano - cioè: cosa dobbiamo fare concretamente? Appellarci al papa e all'ONU perché pongano finalmente la questione? Sia il papa che l'ONU consigliano anzi esigono che si aprano le porte o i porti.
      E basta con questa lagna del nazionalismo e sovranismo. Per i comunisti, la sinistra, i radicali, i cattolici la parola o il concetto di patria è reazionario. Ma non mi sembri appartenere alle categorie citate. Io sono stato di sinistra radicale e poi vicino ai radicali, ma li ho mollati proprio perché hanno sempre ignorato o snobbato la questione demografica (al motto: ce n'è per tutti). Pannella e i radicali a dir la verità erano per il "rientro dolce", ma Pannela era fuori di testa e alla fine insopportabile (al punto che stravedeva per papa Francesco, cordialmente ricambiato da costui - tra atei ci si intende). Che significa transnazionalismo - concretamente?

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    2. @ Claude

      Non so dirti quale sia la dimensione ottimale per affrontare positivamente il problema demografico.
      Però quella mondiale mi pare più utopistica di quella locale/nazionale.
      Ho comunque la sensazione è che nessuno farà niente di serio ancora per un bel po'.

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  10. A proposito del famigerato (e fantomatico) inverno demografico, fonte presunta di tutte i nostri problemi, segnalo l'ultimo post di Gaia Baracetti, sempre molto combattiva sull'argomento.
    https://gaiabaracetti.wordpress.com/2020/02/13/linverno-demografico-e-una-primavera/

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    1. Sono andato a leggermi il post di Gaia (grazie della segnalazione) e ho detto anche la mia. Quello di Gaia è semplice buon senso, lapalissiano, niente di sovversivo o rivoluzionario. Ma arrestare l'andazzo è impossibile. Vedi le reazioni scandalizzate per il proclama di Verona (fate meno figli) da parte di tutti i partiti (la Chiesa però è stata zitta, si vede che non riteneva necessario intervenire tanto il proclama era demenziale, contro natura).

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    2. Caro Sergio, purtroppo siamo in 'argomento tabù', e questo rovescia tutte le prospettive.
      Come dici tu, quello di Gaia è semplice buon senso, quasi lapalissiano, eppure sembra un ragionamento sovversivo o rivoluzionario.

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  11. "Che significa transnazionalismo, concretamente?"

    Ad es. tornare a convocare le Conferenze ONU su Popolazione e Sviluppo, tenutesi dal 1974 al '94 e poi "insabbiate" a causa (pare) delle pressioni congiunte delle gerarchie cattoliche ed islamiche, ma anche ostacolate dalle destre nazionaliste, snobbate dalle sinistre terzomondialiste e malviste da femministe e turbocapitalisti.
    Quanto ai Radicali, nella diaspora post-pannelliana il "cespuglio" rientrodolcino è ancora esistente, sebbene in condizioni (purtroppo) non particolarmente floride...

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