venerdì 21 febbraio 2020

Controllare la popolazione

Ho parlato spesso, in questo blog, di argomenti demografici, ma il tema della riduzione della popolazione mondiale ha caratteristiche che rasentano il paradosso.
Infatti, da un lato rappresenterebbe il sistema più sicuro e meno costoso per risolvere il problema, ormai drammatico, del degrado ambientale; dall’altro si tratta di un obbiettivo praticamente impossibile da raggiungere, per i ben noti condizionamenti genetici e culturali.
Quindi per il momento, in attesa che accada un miracolo, possiamo solo discuterci sopra e quelle che seguono sono proprio le riflessioni sul tema del sempre ottimo Marco Pierfranceschi (tratte dal suo blog “Mammifero Bipede”).
LUMEN


<< Gli esempi di popolazioni umane che abbiano praticato un controllo demografico non mancano, in particolare tra le popolazioni adattate a vivere in piccole isole con risorse limitate. I metodi adottati per tale gestione, tuttavia, rientrano nel novero di quelli che la nostra cultura etichetterebbe come disumani e lesivi delle libertà individuali.

Generalizzando si può affermare che l’unica forzante in grado di condurre a politiche di contenimento e stabilizzazione delle popolazioni sia la limitatezza delle risorse disponibili. Limitatezza che funziona anche in assenza di tali politiche, provvedendo da sé a ridurre la percentuale di popolazione in eccesso attraverso la morte per fame. Le popolazioni delle aree isolate vissute nei secoli scorsi conoscevano bene questo tipo di problema.

Quello che sta accadendo adesso, tuttavia, è qualcosa di mai visto prima nella storia dell’umanità, quantomeno su scala così vasta. La movimentazione globale di merci e derrate alimentari ha raggiunto volumi tali da slegare completamente le popolazioni residenti sui territori dalla necessità di una produzione alimentare di prossimità. Non c’è più correlazione, su scala globale, tra i luoghi dove il cibo viene prodotto e quelli dove viene consumato.

Ciò ha condotto da un lato alla crescita esponenziale delle megalopoli ed all’inurbazione di gran parte della popolazione mondiale, dall’altro all’aggressione sconsiderata agli habitat naturali fin qui preservati. Quest’ultima, aiutata dalla distanza, fisica ed emotiva, tra esecutori (i grandi latifondisti agricoli) e mandanti (i consumatori). (…)

Nella preistoria, esseri umani ed animali d’allevamento occupavano una dimensione molto piccola nel complesso delle forme viventi. Nel 1900 eravamo già i quattro quinti del totale, a spese dell’80% della fauna selvatica annientata nel frattempo. (…) Nel 2015, [la situazione] è impressionante, perché il totale della biomassa, costante nei millenni precedenti, appare moltiplicato per sei volte. Come può essere successo?

Semplicemente l’effetto dell’impennata esponenziale generata dalla disponibilità e messa a regime di energia fossile derivante dal petrolio. Fino al 1900 (circa) l’umanità aveva avuto a disposizione la sola energia radiante proveniente dal sole, ed aveva dovuto fare i conti con quel limite. Con lo sfruttamento delle risorse petrolifere quel limite è saltato, e si è potuto produrre quantità via via crescenti di cibo per alimentare una popolazione anch’essa in crescita.

Tuttavia sappiamo bene che le risorse di petrolio non sono inesauribili (e nonostante ciò continuiamo a sprecarle per attività sostanzialmente inutili, come lo spostare tonnellate di ferro e gomma, le automobili, solo per muoverci individualmente da un posto all’altro). Cosa accadrà quando questa risorsa comincerà a declinare? (…) È altamente improbabile che un’economia basata unicamente su fonti rinnovabili possa continuare a garantire l’attuale livello di tecnologia e complessità.

Pertanto, (…) è verosimile che il meccanismo che ha prodotto l’inurbazione di milioni (se non miliardi) di individui finisca con l’incepparsi, ed il processo cominci ad invertirsi. Possiamo facilmente immaginare un flusso massiccio di abitanti, che abbandoneranno città divenute invivibili perché inadeguate a funzionare senza una massiccia dissipazione energetica, riversarsi nelle campagne alla ricerca di cibo, o per provare a produrselo da sé. Possiamo anche immaginare l’escalation di conflitti che questo comporterà, nel momento in cui tutti comprenderanno che cibo per tutti non ce n’è.

Un’altra possibilità, già oggetto di studio, in grado di produrre un contenimento e finanche una riduzione della popolazione, è offerta dal calo diffuso della fertilità registrato nei paesi tecnologicamente avanzati. Esso appare determinato in parte dagli stili di vita (l’età a cui si decide di avere un figlio si sposta sempre più avanti), in parte dal vivere in ambienti insalubri ed inquinati, in parte all’assunzione massiccia di cibi chimicamente alterati da aromi artificiali, coloranti e conservanti, sui cui effetti di accumulo nei tessuti organici non esistono studi su larga scala.

Questo calo della fertilità, almeno nell’immediato, non sta interessando i paesi del ‘sud del mondo’, che stanno anzi andando incontro ad un boom demografico senza precedenti, soprattutto nell’Africa sub-sahariana. Il risultato sono flussi migratori incessanti che, a partire dai paesi poveri, vanno a colmare i ‘vuoti’ prodotti dalla denatalità nelle nazioni più ricche.

Un recente esperimento di controllo demografico su larga scala è rappresentato dalla ‘politica del figlio unico’, in vigore nella Repubblica Popolare Cinese dalla fine degli anni ‘70 ai primi anni 2000, ed attualmente sostituita dalla possibilità di averne due per far fronte all’esponenziale crescita economica del paese.

Se da un lato un simile notevole risultato si è dimostrato possibile, dall’altro non possiamo non rilevare che solo un governo autoritario è stato in grado di imporre un provvedimento tanto impopolare ad una popolazione numerosissima e riluttante. È molto dubbio, tuttavia, che un intervento di tale portata possa essere condotto con successo all’interno di un regime democratico, come quello vigente nel nostro paese (ed in molti altri).

La pressione antropica causata sugli ecosistemi globali dalla sovrappopolazione è un problema ancora più drammatico del surriscaldamento globale, eppure, probabilmente per un tabù culturale, nessuno ne vuole parlare. Nella prospettiva più ottimistica, finiremo col cancellare dal pianeta la maggior parte delle specie viventi, dando luogo alla famosa sesta estinzione di massa. (…)

Nella prospettiva più pessimista, ci renderemo conto troppo tardi di aver generato un tale squilibrio nella catena alimentare globale da diventare del tutto incapaci di produrre ulteriore cibo (p.e. avendo causato inavvertitamente l’estinzione di massa di specie di insetti, o lombrichi, fondamentali per la sopravvivenza delle piante di cui ci nutriamo), e finiremo con l’estinguerci lasciando il pianeta in eredità a qualche forma di invertebrati, come i ragni, o a microrganismi ancora più piccoli. >>

MARCO PIERFRANCESCHI

6 commenti:

  1. "Se da un lato un simile notevole risultato [stabilizzazione o lenta crescita demografica grazie alla politica dle figlio unico] si è dimostrato possibile, dall’altro non possiamo non rilevare che solo un governo autoritario è stato in grado di imporre un provvedimento tanto impopolare ad una popolazione numerosissima e riluttante. È molto dubbio, tuttavia, che un intervento di tale portata possa essere condotto con successo all’interno di un regime democratico, come quello vigente nel nostro paese (ed in molti altri)."

    Ma il paradosso è che in occidente, e specie in Italia, fanalino di coda mondiale quanto a tasso di natalità, la politica cinese del figlio unico (anzi di zero figli) è applicata da decenni senza alcuna coercizione! Benessere, pillola, emancipazione femminile e difficoltà economiche hanno castrato l'occidente (ma più il benessere, la pillola e il femminismo che le difficoltà economiche - queste ultime infatti non hanno in passato mai inciso pesantemente sulla natalità, sempre alta, e proprie nelle classi meno abbienti).
    Quanto alla Cina sembra che tanti Cinesi non abbiano molta o persino nessuna voglia di far risalire il tasso di natalità - perché i figli costano e anche i Cinesi hanno scoperto i vantaggi e i piaceri del benessere, a scapito della natalità.
    Prima o poi il tasso di natalità calerà anche in Asia e in Africa e in America latina, ma forse troppo tardi. Prevedibili alcuni sconquassi, come la pressione demografica africana sull'Europa (secondo Cacciari ciò che viviamo adesso con sbarchi continui sulle nostre coste è niente rispetto a ciò che ci riserverà l'avvenire quando arriveranno a milioni).

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  2. Gli Italiani e gli occidentali in genere hanno pochi figli, anzi non pochi non ne hanno proprio, ciò che creerà non pochi problemi alle nostre società che rischiano di collassare o di snaturarsi (l'Europa sta africanizzandosi e islamizzandosi come era nelle intenzioni del conte Kalergi - che è davvero esistito e ha pubblicato un'opera pazzesca, Praktischer Idealismus, uscito nello stesso anno del Mein Kampf, nel 1925).
    E tuttavia gli Italiani s'inalberano e gridano allo scandalo se qualcuno dice che bisogna fare meno figli per salvare il clima e il pianeta. Preferiscono forse l'appello fascista alla prolificità? Non si direbbe, visto che continuano a praticare lo sciopero della natalità. Ma su certi argomenti non si scherza. Forse è un rigurgito del gene egoista? Dicono che lo Stato non deve mettere il naso sotto le lenzuola, decide il singolo autonomamente quanti figli avere e quando (applausi dell'ONU che ha persino legiferato in questo senso). Noi siamo liberi - di scopare e avere quanti figli vogliamo, lo dice persino l'ONU. Tutta questa libertà io non la vedo: tutti devono andare in ufficio o in fabbrica ogni santo giorno per almeno otto ore, devono pagare le tasse, fare esami e anche il servizio militare (in Italia non più). Le libertà sono poche e minime rispetto agli obblighi. Rinunciare al quarto o quinto figlio non dovrebbe essere risentito come una sopraffazione o un'intrusione nell'intimità.
    Fra parentesi: chi vuole cinque o dieci figli se li mantenga e non venga a piangere miseria e chiedere sovvenzioni.

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  3. Caro Sergio, il gene egoista spinge sempre per la massima procreazione (è il suo 'mestiere'), però le circostanze esterne influiscono ed anche parecchio.
    In genere quando le risorse diventano scarse, e non vi è la valvola di sicurezza dell'emigrazione, si assiste ad una tendenza naturale al calo della procreazione.
    Questo, oggi in occidente, può sembrare un paradosso, visto che il calo avviene in una situazione oggettiva di ricchezza, ma in realtà quello che conta per il gene egoista non è tanto l'effettiva povertà, ma la percezione di una riduzione delle risorse.
    E noi oggi in occidente stiamo vivendo proprio questa fase.

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  4. A proposito di riduzione spontanea della popolazione, Ugo Bardi (ne suo post di oggi) cita l'esempio attuale dell'Ucraina, che personalmente non conoscevo:

    << In Ucraina, (...) la popolazione ha iniziato a diminuire all'inizio degli anni '90 e continua a diminuire dopo la perdita di circa il 20% del totale.
    Non ci sono state epidemie né carestie in Ucraina: gli ucraini morivano - e stanno tuttora morendo - a causa di una combinazione di cibo di scarsa qualità, mancanza di strutture sanitarie, governo pessimo, depressione, droghe pesanti, alcol e altro. >>

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  5. Il controllo delle nascite più efficace è quello VOLONTARIO, effettuato da una popolazione adeguatamente informata/educata ad es. rig.do alle moderne tecniche anticoncezionali; nel frattempo, leggi come quella cinese sul figlio unico (peraltro ormai abbandonata) possono aiutare a limitare i danni ambientali e sociali... In gen.le l'obiettivo è evidentemente titanico, tuttavia più tardi si inizia e più gravi sono/saranno i danni ambientali e sociali... Saluti

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    1. Certamente l'aspetto volontaristico è fondamentale e decisivo.
      Però lo Stato può fare molto di suo, e non mi riferisco solo agli interventi coercitivi, come nel ben noto caso cinese.
      Lo Stato può intervenire, in modo indiretto ma ugualmente efficace, con la leva fiscale o anche solo con un diverso modo di indirizzare i propri interventi di welfare.
      Ma occorre sempre una decisione socio-culturale a monte, che risponda alla domanda fondamentale: in che tipo di società vogliamo vivere.

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