E
opinione abbastanza diffusa che, per avere successo nella vita ed
arrivare ai vertici del potere, sia molto utile avere un carattere
non solo deciso ed ambizioso, ma anche privo di debolezze o di
particolare empatia per gli altri.
Alcuni
studiosi, però, sostengono che può valere anche il discorso
inverso, e cioè che coloro i quali, per una serie di motivi (magari
anche casuali), arrivano ai vertici del potere, finiscono per
“peggiorare” il proprio carattere, modificando addirittura la
propria personalità.
Ce
ne parla Annamaria Testa in questo interessante pezzo tratto dal sito
“Internazionale”.
LUMEN
<<
Che cosa frulla nella mente delle persone di potere? Ce lo domandiamo
– e capita non di rado – quando i loro comportamenti ci appaiono
contraddittori, o poco comprensibili, o così arroganti da essere
difficili da sopportare. Un recentissimo articolo uscito
sull’Atlantic ci invita a porci la domanda in termini più
radicali: che cosa succede al cervello delle persone di potere?
L’Atlantic
cita un paio di pareri autorevoli. Secondo Dacher Keltner, docente di
psicologia all’università di Berkeley, due decenni di ricerca e di
esperimenti sul campo convergono su un’evidenza: i soggetti in
posizione di potere agiscono come se avessero subìto un trauma
cerebrale. Diventano più impulsivi, meno consapevoli dei rischi e,
soprattutto, meno capaci di considerare i fatti assumendo il punto di
vista delle altre persone.
Sukhvinder
Obhi è un neuro-scienziato dell’università dell’Ontario. Non
studia i comportamenti, ma il cervello. Quando mette alcuni studenti
in una condizione di potere, scopre che questa influisce su uno
specifico processo neurale: il rispecchiamento, una delle componenti
fondamentali della capacità di provare empatia.
Ed
eccoci alla possibile causa di quello che Keltner definisce paradosso
del potere. Quando le persone acquisiscono potere, perdono (o meglio:
il loro cervello perde) alcune capacità fondamentali. Diventano meno
empatiche, cioè meno percettive. Meno pronte a capire gli altri. E,
probabilmente, meno interessate o disposte a riuscirci.
Inoltre.
Spesso le persone di potere sono circondate da una corte di
subordinati che tendono a rispecchiare il loro capo per
ingraziarselo, cosa che non aiuta certo a mantenere un sano rapporto
con la realtà. E ancora: è il ruolo stesso a chiedere che le
persone di potere siano veloci a decidere (anche se non hanno
elementi sufficienti per farlo, né tempo per pensarci), assertive
(anche quando non sanno bene che cosa asserire. O quando sarebbe
meglio prestare attenzione alle sfumature) e sicure di sé al limite
dell’insolenza.
I
top manager delle multinazionali girano freneticamente per il mondo
come polli decapitati: decidono guidati dall’ansia, senza pensare,
senza capire, senza vedere e senza confrontarsi. L’ho sentito dire
nel corso di una riunione riservata ai partner di un’assai nota
società internazionale di consulenza, dal relatore più anziano e
autorevole. Mi sarei aspettata qualche brusio di sconcerto tra gli
astanti, e invece: ampi segni di assenso.
Ho
il sospetto che la sindrome del pollo possa appartenere non solo a
chi guida le imprese, ma anche a chi governa le istituzioni e le
nazioni. Il fatto è che le persone di potere “devono” andare
dritte per la loro strada, infischiandosene di tutto quanto sta
attorno. Questo può aiutarle a raggiungere i loro obiettivi (il che
è molto vantaggioso a breve termine), ma ne danneggia le capacità
di decisione, di interazione e di comunicazione, che nel lungo
termine sono strategiche.
Il
potere logora chi non ce l’ha, diceva Andreotti, che di potere
sapeva abbastanza, citando Maurice de Talleyrand. Ma la citazione
medesima contiene una dose consistente di protervia.
C’è
una parola molto antica che descrive bene tutto ciò: hỳbris.
Indica la tracotanza presuntuosa di chi ha raggiunto una posizione
eminente e si sopravvaluta. È notevole il fatto che nel termine
greco sia implicita anche la fatalità di una successiva punizione,
divina o terrena: il fallimento, la caduta.
Si
stima che il 47 per cento dei manager falliscano, scrive Adrian
Furnham, docente di psicologia all’University College di Londra. È
una percentuale molto alta. Uno dei principali motivi di fallimento è
il narcisismo: un cocktail deteriore di arroganza, freddezza
emozionale e ipocrisia.
C’è
un paradosso: è facile ammirare e rispettare le persone carismatiche
e fiduciose in se stesse. Ma non è così semplice distinguere il
carisma dal narcisismo, che per molti versi ne è il lato oscuro.
Sappiamo davvero individuare il confine che c’è tra assertività e
prepotenza? Tra sicurezza e ostinazione? Tra fascino e manipolazione?
Tra pragmatismo e cinismo?
C’è
un ulteriore paradosso: prepotenza, ostinazione, manipolazione e
cinismo possono perfino rivelarsi utili nelle battaglie per la
conquista del potere, che sono spesso logoranti, sleali e feroci. Ma,
una volta ottenuto il potere, per mantenerlo servirebbe proprio
quella visione più aperta ed equilibrata che – l’abbiamo visto
prima – il ruolo stesso sembra rendere difficilissima da procurarsi
e mantenere. Il potere è l’afrodisiaco supremo, diceva Henry
Kissinger.
Ma
“difficilissimo” non vuol dire “impossibile”. D’altra
parte, almeno nelle democrazie occidentali e nelle imprese moderne,
il potere si conserva nel lungo termine solo attraverso il consenso.
E la capacità di mantenere il consenso è direttamente proporzionale
alla capacità di comunicare, di ascoltare e di interagire mettendosi
a confronto.
Ehi,
si può fare! Persone di potere dotate di un carisma privo di
narcisismo esistono. In oltre quarant’anni, mi è perfino capitato
di incontrarne alcune, tra politica e impresa, ma posso contarle
sulle dita di una mano. Ce ne vorrebbero molte di più. >>
ANNAMARIA
TESTA
<< nelle aziende il "consenso" è proprio quello che le ammazza. >>
RispondiEliminaMah, non ne sono tanto convinto.
O meglio, questo è vero nei carozzoni di tipo para-pubblico, dove l'equilibrio economico è un optional.
Nelle aziende veramente private, che devono fare utili per sopravvivere, quello che fa la differenza è la dimensione, ed in particolare il rapporto con il numero di Dunbar.
Al di sotto di quella soglia, infatti, l'azienda può lavorare in un certo modo, mentre al di sopra è costretta a lavorare in un altro.
E cambiando i rapporti interpersonali, cambiano per conseguenza anche le caratteristiche della leadership, come da articolo di cui sopra.
Beh, quando le cose vanno bene anche le aziende producono utili.
RispondiEliminaAltrimenti come potrebbero applicare la famosa regola che prevede: privatizzazione degli utili e pubblicizzazione delle perdite ?
Una breve "nota a margine":
RispondiEliminacontrariamente a quanto contenuto nella/sostenuto dalla garrula mitologia (neo)femminista e "progressista" delle Quote-rosa, quanto affermato nel Post può/deve essere riferito anche alle Donne di potere, molte delle quali mostrano "de facto" un attaccamento al Potere medesimo (politico, economico, ecc.) DEL TUTTO ANALOGO a quello di certi uomini: ne abbiamo evidenti esempi in Italia, in Europa e anche altrove... Saluti
Non ho mai approfondito questo aspetto, ma ho l'impressione che l'esercizio del potere, per come è strutturato oggi, costringa chiunque, e quindi anche le donne, a comportarsi in un certo modo.
EliminaCon il che verrebbe vanificata 'in fieri' qualsiasi eventuale utilità delle c.d. quote rosa.
Ma posso sbagliare.
Non bisogna confondere le grandi spa, che sono strumenti più finanziari che economici, con le piccole e medie imprese, che invece costituiscono l'economia vera, quella che può creare ricchezza per tutti (dai soci, alla comunità, ai dipendenti stessi).
RispondiEliminaIl fatto che oggi nell'economia globalista trionfino le mega-spa multinazionali non significa che esistano solo loro.
Sul primo punto hai ragione tu, sul secondo non saprei, ma il pezzo mi sembra centrato anche per il mondo di oggi.
RispondiEliminaE andiamo! Anche i polli decapitati possono accedere a un prestito se necessario. Sull'arroganza del potere, non ho le competenze necessarie per capire cosa accade nel cervello di chi governa. Vista la situazione attuale, si direbbe che li stato neurologico sia grave. E non mi riferisco solo a chi la guerra la fa, ma anche a chi vuole alimentarla inviando soldati e armamenti (siamo tra questi ultimi eh!).
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