sabato 24 novembre 2018

L'enigma della Croce

L’immagine della crocefissione di Gesù, è senza dubbio il simbolo fondamentale della religione cristiana, anche più della resurrezione (curioso, no ?). Ma, come spesso succede nelle faccende di religione, si tratta di una mera ricostruzione (ex post) elaborata dalla Chiesa, che non regge assolutamente ad una verifica storica approfondita. Ce ne parla Luigi Cascioli in questo brano, molto interessante e documentato, tratto dal suo libro “La favola di Cristo”. 
LUMEN


<< La croce che la Chiesa ci mostra come apparato sul quale morì Gesù non ha nulla a che vedere con lo strumento di morte usato dai romani per i condannati alla crocifissione.

La croce dei romani era un’impalcatura di legno costituita da una trave trasversale, chiamata patibolum, che appoggiava le sue estremità su due pali, stipes, fissati in terra che terminavano ognuno a forcina, crux. La crocifissione consisteva nel legare le braccia del condannato alla traversa. Questo tipo di intelaiatura, usata per crocifiggere – cruci figere, «fissare alla croce» –, era in tutto uguale a quello che veniva usato per le impiccagioni, eccetto che nella lunghezza delle forcine che, se nel primo caso doveva permettere al condannato di appoggiare i piedi per terra, nel secondo doveva tenerlo sollevato in modo da farlo restare appeso.

La morte, che nell’impiccagione era pressoché immediata, nella crocifissione era preceduta da un supplizio che durava dai tre ai quattro giorni. Il condannato entrava in agonia quando, sfinito, piegava le gambe, abbandonandosi al proprio peso. La morte avveniva normalmente per il soffoca-mento causato dalla testa, che, pendendo in avanti, provocava l’occlusione della trachea. In Grecia questo tipo di esecuzione fu usato soltanto in casi di eccezionale gravità, finché, ritenendola troppo atroce, fu definitivamente soppressa. Cicerone, parlando di essa, la definì un supplizio così crudele da non esistere nessun crimine che potesse giustificarne l’applicazione.

La prassi di dare la morte tramite crocifissione, originaria dell’Oriente semitico e diffusasi poi in tutto il mondo arabo, i romani l’appresero dai cartaginesi durante le guerre puniche. I primi scrittori romani che la menzionarono furono Maccio Plauto (255/251-184 av. n. e.) e Quinto Ennio (239-169 av. n. e.) i quali, tra le altre cose, ci riferiscono che, considerando l’atrocità delle sofferenze, erano ritenuti atti di clemenza spezzare gli stinchi al condannato, per abbreviargli la durata del supplizio, e permettere ai familiari di bagnare le labbra al moribondo durante l’agonia con una spugna imbevuta di un liquido amaro estratto da radici e erbe aromatiche. Per evitare che il condannato fosse sottratto, veniva piantonato da due legionari, fino a quando sopraggiungeva la morte. Per essere certi che il decesso fosse avvenuto, era consuetudine trafiggere il cuore del crocefisso con una lancia, prima di dare l’autorizzazione a staccare il corpo dalla croce.

La struttura originaria della croce, formata da due forche e da una trave trasversale, subì una forte semplificazione in seguito alla rivolta di Spartacus nella quale furono crocefissi 7.000 schiavi ribelli (71 av. n. e.), semplificazione che ridusse il tutto a una sola forca, sulla quale il condannato veniva legato per le braccia alle due estremità divergenti.

La crocifissione, riservata all’inizio soltanto agli schiavi, fu in seguito estesa anche ai disertori e ai sovversivi che causavano disordini tendenti a destabilizzare le istituzioni dello Stato. Come conseguenza, la provincia romana dove maggiormente venne applicata la crocifissione fu la Palestina, a causa delle continue rivolte promosse dal partito nazionalista giudaico. Stando a quanto risulta da documenti riguardanti l’era messianica, anche se non è affermato in maniera chiara ed esplicita, la crocifissione fu ulteriormente semplificata, riducendo la forca a un semplice palo, per eliminare la difficoltà che comportava la ricerca di un ramo forcuto quando le crocifissioni erano numerose, co-me avvenne nella rivolta contro Erode, che comportò 2.000 esecuzioni, e nella guerra giudaica, in cui le crocifissioni, arrivando a una media di 500 al giorno, dovettero a un certo punto essere sospese, secondo quanto dice Giuseppe Flavio, per mancanza di legno.

Come sia stato crocefisso Cristo (Giovanni) poco ci interessa, anche se negli Atti degli apostoli, stando a quanto viene fatto asserire allo stesso Paolo di Tarso, venne legato a un palo (stauros). Una cosa comunque è certa: non fu fissato a una croce come quella che ci mostra la Chiesa, e tantomeno furono usati dei chiodi, dal momento che questi sono escludersi nella maniera più assoluta, sia perché mai nominati nella storia delle crocifissioni, sia perché il loro uso non avrebbe avuto nessuna giustificazione, essendo le braccia legate con una corda e i piedi appoggiati al suolo. Soltanto il cinismo dei preti – quel cinismo che hanno dimostrato nelle torture operate nelle inquisizioni – poteva aggiungere a un supplizio già tanto atroce un’ulteriore sofferenza!

La croce latina, che la Chiesa sostiene essere stata utilizzata per la crocifissione di Gesù era del tutto ignorata dai romani, esistendo in quell’epoca soltanto due tipi di croce: la croce fatta a X e la croce, detta greca, fatta a forma di + , ossia costituita da quattro vettori di uguale lunghezza.
La prima apparizione di quella che fu poi chiamata la croce latina – cioè la croce avente il vettore inferiore più lungo degli altri – la troviamo nella liturgia cristiana soltanto alla fine del IV sec. n. e., e senza il Cristo crocefisso sopra.

Quando negli anni intorno al 160 n. e. uscirono i primi Vangeli canonici, i loro redattori, lontani ancora dal concepire la croce latina, trattarono la crocifissione di Cristo nel sottinteso che essa fosse stata eseguita secondo il sistema da tutti conosciuto, che era quello basato su un patibolum appoggiato su due stipes terminanti a forcina. Le prime croci con il Cristo crocefisso sopra, apparse sol-tanto alla fine del V sec. n. e., oltre ad avere una struttura a forma di T , presentavano un Gesú non inchiodato, ma legato, e con il volto rivolto al cielo in un’espressione gioiosa.

Questa espressione esultante, che esprimeva ancora quel concetto esseno, che voleva che si affrontasse la morte sorri-dendo davanti ai carnefici, fu trasformata in un atteggiamento di dolore allorché i teologi cristiani decisero di mettere in risalto le sofferenze patite da Gesú, quelle sofferenze che, se precedentemente non erano state prese in considerazione, era dipeso dal fatto che fino allora la Chiesa aveva ancora seguito il concetto dei culti dei misteri, che facevano dipendere la salvezza degli uomini non dal sacrificio e dalle sofferenze patite dal sotèr prima di essere ucciso, ma esclusivamente dalla sua resurrezione. Fu in seguito a questa decisione, presa certamente per conquistare le masse attraverso l’emotività che poteva produrre il dolore, che i costruttori di questa nuova religione decisero di tra-passare le mani e i piedi del loro salvatore, e gli fecero reclinare la testa in un’espressione di estrema sofferenza, come risulta dalle pitture della prima metà del VI sec. n. e.

Come conseguenza, per dare risalto a questo nuovo aspetto della «passione», aggiunsero nei Vangeli tutte quelle frasi che misero in bocca a Gesú stesso prima di affrontare la morte, quali: «la mia anima è triste fino alla morte [...]»; «Padre mio, se è possibile passi da me questo calice», etc. Per dimostrare ancora quanto i Vangeli non siano altro che il risultato di sovrapposizioni e correzioni, dirò che la frase riportata sul Vangelo di Luca (22, 44), in cui si dice che Gesú era tanto in preda all’angoscia che il suo sudore divenne come gocce di sangue, fu aggiunta nel VII sec. n. e. in sostituzione di una prima versione, nella quale si affermava che, oltre alle gocce di sudore, di vero sangue erano anche le lacrime che aveva Gesù versato nel pianto che aveva fatto nell’Orto degli ulivi, pianto che poi fu tolto perché considerato indegno per un dio.

Il primo approccio che i cristiani ebbero con il simbolo della croce – croce che non aveva nulla a che vedere con quella usata come strumento di morte –, avvenne quando fecero propria la croce gallica, dopo che Costantino l’adottò, in seguito alla vittoria riportata sui galli, come emblema dell’impero, facendola raffigurare con la sua forma a X sugli scudi dei soldati, sui vessilli e sulle monete. Per via di quel sodalizio politico-religioso che si era instaurato tra l’impero e la nascente Chiesa in seguito al concilio di Nicea (325), i cristiani assunsero anche loro la croce gallica come loro emblema, per simboleggiare la vittoria che avevano riportato sul “paganesimo”.

Siccome la croce gallica aveva la stessa forma della X che i cristiani avevano già incorporato nel loro simbolo – simbolo che avevano ricavato dalle prime due lettere della parola greca Χριστος (Christos) –, perché potessero aggiungerla nel disegno, in maniera che questa non sparisse nella sovrapposizione, la trasformarono in una croce greca, tracciando una linea orizzontale sul piede della X , così da formare nel complesso del disegno quel monogramma che risulta dai graffiti del IV sec. n. e. (…)

Con questo graffito così astruso e complesso andarono avanti per circa mezzo secolo, cioè fino a quando, negli anni 380-390 n. e., tolta la X a scopo semplificativo, lasciarono soltanto la croce greca a + , assumendo come definitivo il simbolo che tuttora appare nella liturgia ecclesiastica. Trasformata così in croce greca quella che rappresentava per loro la vittoria sul “paganesimo”, l’esposero al pubblico, mettendola sugli altari, dove rimase in forma fissa fino a quando, in seguito a un’autorizzazione di papa Innocenzo I (401-417 n. e.), che permetteva di portarla in processione, le allungarono il vettore inferiore perché fosse innalzata sopra le teste dei fedeli.

Siamo agli inizi del V sec. n. e., la croce latina era stata realizzata, ma, per quanto possa apparire incredibile, i cristiani non avevano ancora pensato di associarla alla crocifissione, che ancora sostenevano secondo il sistema romano che voleva il condannato legato al patibolo – come risulta dalle tante raffigurazioni dell’epoca. Che la croce latina avesse conservato per tutto il V secolo soltanto un valore simbolico, che nulla aveva a che vedere con la crocifissione, viene dimostrato, oltre che dal fatto che Gesú veniva legato al supplizio secondo il sistema romano, anche dal significato che davano a essa, che era esclusivamente quello politico attribuito da Costantino, tanto che colui che la portava in processione, pur appartenendo al clero, veniva chiamato con il termine militare di dragonianus.

Se, in seguito, l’impalcatura della crocifissione fu trasformata in un attrezzo a forma di T , ciò dipese dalla decisione che presero i teologi cristiani di presentare il Cristo con le braccia aperte, in una posizione che esprimesse, attraverso un simbolico abbraccio rivolto a tutta l’umanità, un concetto di redenzione universale. Dovette passare un secolo prima che la crocifissione fosse associata alla croce latina, la cui intromissione non eliminò comunque nel mondo cristiano la croce a T , che continuò a essere riprodotta in molti quadri fino al 1500.

Le prime immagini riproducenti Gesù fissato alla croce latina risalgono al VI sec. n. e., ma, in esse, come appare dalle pitture dell’epoca, Gesù risultava ancora con le braccia legate al patibolo con le corde e i piedi appoggiati al suolo, secondo il sistema usato nella crocifissione romana. Come sia avvenuto il passaggio dalla croce a forma di T a quella latina si disconosce, anche se qualcuno sostiene che potrebbe essere stato determinato dal primo pittore che ebbe l’idea di disegnare una prolunga sopra la croce per avere un supporto su cui istallare quella scritta JNRI, che infatti non appare in nessuna delle crocifissioni precedentemente eseguite, sia secondo il sistema classico romano che con la croce a T . I chiodi, fino allora ignorati, apparirono, insieme al capo di Gesù reclinato in un’espressione di dolore, soltanto nel VI sec. n. e.

Raggiunto cosí l’“insetto perfetto” dopo questa lunga metamorfosi, tutti i crocifissi furono riprodotti con le mani e i piedi trafitti dai chiodi per esaltare quel dolore della «passione» di cui ho parlato, dolore che fu ancora suffragato da alcune espressioni che aggiunsero ai Vangeli, quale quella «Padre mio, allontana da me questo calice», che misero in bocca a Gesù nell’Orto degli ulivi, e quell’altra, «Padre mio, perché mi hai abbandonato», che gli fecero pronunciare prima di morire – la quale, però, esprimendo uno stato di disperazione che non si addiceva a un salvatore che era morto per dare speranza agli uomini, fu in seguito cambiata (sembra nel IX sec.), nel Vangelo di Luca con «padre mio, nelle tue mani raccomando il mio spirito», e in quello di Giovanni con «tutto è compiuto».

Altre modifiche furono poi apportate alla crocifissione quando si operarono le prime sculture, come quella dell’applicazione di un sostegno per appoggiarvi i piedi, che si dimostrò indispensabile, dal momento che, avendo eliminato l’appoggio del terreno, risultò evidente che un corpo non poteva restare attaccato alla croce soltanto per i chiodi.

La croce, adottata inizialmente come simbolo della vittoria riportata sui “pagani” ed elevata in seguito come immagine delle sofferenze sopportate da Gesú nella «passione», ebbe un rapido successo presso i seguaci come simbolo cardine nel loro culto. Per divulgarne la venerazione a essa furono dedicate chiese e solenni cerimonie. Nel giro di pochi anni dall’astrattismo di simbolo si passò a una realtà di fatto così concreta da permettere ai falsari di sostenere che durante gli scavi eseguiti sul Calvario fosse stata ritrovata la croce a forma latina sulla quale era stato crocifisso Gesù. (…) [E] per rendere universale il culto della croce, vennero diffusi ovunque pezzi del suo legno che, provenienti da Gerusalemme, furono venerati come reliquie.

Tramite un recente sondaggio è stato dimostrato che, se si riunissero tutte le schegge di legno attribuite alla croce di Cristo che tuttora si trovano sparse per il mondo cristiano, si otterrebbero circa tre metri cubi di legno, tre metri che risulterebbero formati, per giunta, dai legni piú disparati, quali quelli della quercia, del cedro, del ciliegio, e perfino del fico. (…) Sono i miracoli della fede ! >>

LUIGI CASCIOLI

5 commenti:

  1. << ad esaminare tutte le religioni dal neolitico ai giorni nostri, sarebbero quasi tutte più ridicole del Cristianesimo. >>

    Non sono d'accordo.
    L'islamismo, a livello teologico, è molto più semplice e coerente del Cristianesimo.
    Il quale (a tacer del resto) si schianta irrimediabilmente sull'impossibile coesistenza di almeno 2 degli attributi di Dio: l'onnipotenza e la bontà (la famosa teodicea).
    Cosa che, peraltro, non gli ha impedito di dominare il mondo per secoli.

    Diciamo che per un appassionato di antropologia le religioni sono misteri affascinanti, e siccome il cristianesimo, per ovvii motivi, è quello che conosco meglio, mi trovo a parlarne più spesso.

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  2. Mah, che dire? Non ho trovato particolarmente interessante la storia della croce, come si sia arrivati a rappresentarla nel modo che conosciamo. Trovo più interessante il fatto che la croce, la morte in croce, il crocifisso siano diventati il vero simbolo del cristianesimo - e non invece la resurrezione che è invece l'evento più grandioso della storia di Cristo. Certo la resurrezione è difficile da rappresentare (ma di dipinti della resurrezione ce ne sono a bizzeffe). Senza la resurrezione, dice Paolo stesso, niente avrebbe senso. Ricordiamo che la Pasqua è in effetti la festa più importante dei cristiani, la festa del trionfo. Per i protestanti invece l'evento più importante da commemorare è la morte in croce, tanto è vero che il venerdì santo è festa (giornata non lavorativa). Probabilmente a croce, l'orribile morte in croce, fa più impressione e deve suscitare e ravvivare costantemente il senso di colpa nei fedeli. Gesù, il figlio di Dio, Dio lui stesso ha affrontato quell'orribile supplizio per riscattarci, redimerci. Una grande pagliacciata a dire il vero, visto che un paio di giorni dopo è risorto trionfante - e senza resurrezione non avremmo avuto quell'inverosimile e in parte anche grandioso fenomeno che è stato il cristianesimo per quasi due millenni. Più che il Cristo trionfante è il Cristo crocifisso che ha fatto ardere Santa Caterina, S. Francesco, Jacopone, Teresa d'Avila ecc. ecc. Un Dio che soffre e muore per noi peccatori, per colpa nostra. Se invece della croce avessimo avuto come simbolo un sole radioso (non difficile da rappresentare) quasi sicuramente il cristianesimo sarebbe stato una religione diversa, meno colpevolizzante, magari anche gioiosa. Una cristiana moderna nel suo blog si rammarica che i vertici del cristianesimo nella loro più recente riunione alcune settimane fa non abbiano minimamente accennato al peccato originale - che è pure centrale in tutta la costruzione del cristianesimo. Senza quel peccato non ci sarebbe stato bisogno di un piano di salvezza del Padreterno. In effetti Bergoglio sta liquidando la teologia, rivoluzionando la Chiesa (ha persino affermato che l'inferno non esiste, le anime dei dannati si volatilizzano, scompaiono - mentre le anime salve passeranno l'eternità godendosi la visione di Dio).
    Ma per tornare alla croce: mi sembra che nelle catacombe non sia rappresentata (dunque persino secoli dopo gli avvenimenti narrati nei vangeli). La prima rappresentazione della croce in assoluto sembra essere quella della porta lignea di Santa Sabina a Roma, databile al quinto secolo e che vedevo ogni volta che andavo a Santa Sabina, per me una delle più belle chiese di Roma. La troverete facilmente con Google (battere Santa Sabina).

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    1. Caro Sergio, in effetti, non credo che la resurrezione sia più difficile da rappresentare della crocefissione.
      Credo invece che ci sia stata la scelta, più o meno ragionata, di propagandare una religione di sofferenza anzichè una di gioia, una religione per gente sconfitta e non per gente vittoriosa.
      Chissà, forse il successo storico del cristianesimo (vista la durezza di quei tempi) si può spiegare anche così.

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  3. Lorenzo, per quel poco che ne so, nessuna altra religione ha il problema della teodicea.
    L'acuta sottigliezza dei teologi - anche ammirevole per certi versi - è dovuta proprio a questo: al tentativo di contemperare le troppe contraddizioni di questa religione.
    Erano gli ingegni migliori di cui disponeva l'occidente, ma hanno fallito tutti ugualmente.

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  4. << NONOSTANTE la Chiesa Cattolica, quindi universale, nonostante un Dio trino, più un panteon politeista dentro una religione formalmente monoteista, nonostante le cento ragioni per cui "credo quia absurdum", alla fine il cosiddetto "occidente" è emerso dal Medioevo costruendo una egemonia che permane a tutt'oggi. >>

    Tutto giusto.
    Ma non ti pare un po' strano quel 'nonostante' che hai messo all'inizio, addirittura in maiuscolo ?

    Forse si potrebbe dire che una religione contraddittoria costringe le menti migliori della società a superarsi e progredire, mentre una religione coerente, apparendo adeguata, porta all'inerzia.
    Se questo è vero, viva il cristianesimo.
    Ma siamo proprio sicuri che il merito sia della religione in sè ?

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