sabato 10 novembre 2018

Pubblicità boomerang

Si dice che il giro d’affari della pubblicità, oggi nel mondo, ammonti ad una cifra spropositata, seconda solo a quella dell’industria degli armamenti.
Ma è tutto oro quel che riluce ? E’ davvero sempre positivo il ritorno dei soldi investiti in pubblicità ? In genere la risposta è sì, ma ci sono anche le eccezioni del cosiddetto ‘effetto boomerang’.
Ce ne parla un esperto di marketing (Leonardo Marabini) in questo articolo tratto dal sito ‘Business & Gentlemen’. 
LUMEN


<< Better”, dall’inglese “To bet” (scommettere) ma anche “better” inteso come “meglio”: nome perfetto per un’agenzia di scommesse. Se poi si tratta di farlo conoscere al grande pubblico, di fare un po’ di branding per un marchio ancora poco noto, non c’è niente come far comparire il logo in TV in sovraimpressione mentre va in onda uno degli eventi col più alto indice d’ascolti in Italia, cioè un gran premio motociclistico.

Il (nefasto) caso vuole, però, che poco tempo fa sia successo esattamente questo: preceduto da un sonoro “bing!” per destare l’attenzione dello spettatore, il logo di “Better” è effettivamente comparso in TV, ma il tutto soli 3 secondi dopo che il telecronista Guido Meda aveva invitato il pubblico a casa ad osservare un minuto di silenzio per la notizia, appena giunta in diretta, della morte in pista di Shoya Tomizawa, sfortunato motociclista giapponese. Immaginatevi la scena: silenzio di tomba (purtroppo, è il caso di dirlo), sangue ghiacciato, qualcuno che mentalmente recita una preghiera, le immagini di moto che scorrono davanti ad un pubblico atterrito e… (bing!) “BETTER” compare sui nostri schermi. Fossi il direttore marketing di quell’azienda, citerei il regista per danni e chiederei il rimborso all’emittente televisiva.

Di cosa stiamo parlando? Di pubblicità controproducente.

Ci sono casi anche più famosi: in una recente partita dell’Italia di calcio [l’articolo è del 2011 - NdL], il nostro Cassano ha segnato un gol. Peccato che in diretta tv non l’abbia visto nessuno dei milioni di telespettatori, perché pochi istanti prima la regia aveva pensato bene di mandare in onda il fatidico “spot di 5 secondi, e poi torniamo!”. (…) Secondo voi l’azienda che ha pagato quello spot pubblicitario, ne avrà guadagnato in termini d’immagine o no? Quanti insulti dei tifosi saranno virtualmente arrivati all’indirizzo dell’azienda che con la sua pubblicità ha incolpevolmente oscurato la diretta di un gol della Nazionale?

Nel rendere potenzialmente controproducente un messaggio, la tempistica fa la sua parte non solo in termini di opportunità (quando mandare in onda il messaggio) ma di ripetitività. (…) [Come diceva] un internauta romano, esasperato dalla ripetitività di un messaggio radiofonico, evidentemente martellante fino alla nausea: “Gli stessi che pubblicizzano non si rendono conto che troppa pubblicità è come nessuna pubblicità, e che pubblicità fastidiosa è pubblicità controproducente”. In effetti, c’è gente che per ripicca verso lo spot ossessionante finisce per comprare il prodotto della concorrenza. (…)

Esempi di pubblicità “boomerang” sono in realtà sotto gli occhi di tutti anche nel nostro vivere quotidiano. Recentemente a Milano sentivo per strada un paio di milanesi (…) che maledicevano un pannello pubblicitario colpevole di coprire per intero un edificio storico (…). La testata “The Art Newspaper” ha persino scritto al Ministero dei Beni Culturali italiani per protestare vibratamente contro una “Venezia deturpata in maniera grottesca” dai pannelli pubblicitari che, a dire delle autorità locali, aiuterebbero in realtà a finanziare il restauro degli edifici interamente coperti dagli stessi pannelli (…).

Sin qui si è parlato di comunicazione infelice per l’inopportunità della tempistica o della location. Altre volte, invece, la pubblicità può essere una zappa sui piedi a causa di altri fattori: la scelta del testimonial sbagliato, per esempio. Dopo che il golfista Tiger Woods si è reso protagonista di avventure extraconiugali riprese dai media di tutto il mondo, esperti di comunicazione hanno stimato in diverse decine di milioni di dollari il danno procurato ai suoi sponsor (Nike, Gillette, ed altri ancora). Che non a caso hanno in gran parte annullato il contratto poco dopo. Storie analoghe per il cestista Kobe Bryant (stella di basket dei Los Angeles Lakers, fedifrago, scaricato dagli sponsor), per la modella Kate Moss (cocainomane, che ha avuto il benservito da H&M e Chanel), ed altri ancora. (…)

Casi opposti, stesso risultato: il testimonial nuoce al prodotto perché è (o diviene) più celebre del prodotto stesso. Il consumatore si ricorda della star del cinema, del celebrato sportivo, ma non di cosa fosse testimonial. (…) I testimonial, inoltre, possono nuocere al prodotto anche a causa della sovraesposizione mediatica, per cui un testimonial diventa letteralmente insopportabile, non per sue specifiche colpe, ma a causa di quella che gli inglesi chiamano “over-familiarity”. (…).

In certi casi, infine, l’inefficacia del messaggio che si tramuta in danno per l’advertiser è generata non dalle persone, non dai luoghi, non dalla tempistica, ma… dalle regole ! Il caso più classico è quello delle pubblicità dei farmaci, che per legge devono sempre avere richiami al “leggere attentamente le avvertenze”, al “tenere fuori dalla portata dei bambini”, e ad altre indicazioni sulla data di scadenza del prodotto, sul parere del medico, etc…. Il problema è che questi “richiami” sono talmente tanti che l’inserzionista paga per 30 secondi di spot, un terzo dei quali si perde in questo bla bla.

Così per anni s’è consumata l’abitudine di raddoppiare artificialmente la velocità dello speaker, al punto di rendere impossibile capire cosa stesse dicendo: controproducente per chi paga, ma anche per il consumatore, ovvero il malato, che nel dubbio di non aver ben compreso le avvertenze, ignora lo spot tv/radio e si affida al consiglio del farmacista. Tutto risolto (o quasi) nel Luglio 2007, quando per decreto del Ministero della Salute è stata sancita l’obbligatorietà di pronunciare le avvertenze alla stessa velocità del resto del messaggio.

Merita invece una parentesi un caso che è ormai oggetto di studio sui banchi delle scuole di comunicazione, ovvero la collaborazione tra il gruppo Benetton ed il fotografo Oliviero Toscani. Le foto di un prete e una suora che si baciano, del malato terminale di AIDS o della fotomodella anoressica, immagini volutamente choccanti hanno fatto il giro del mondo, associate al marchio Benetton. Per molti, un danno d’immagine. Secondo me, un falso caso di pubblicità controproducente ed anzi la semplice messa in pratica (ancorché opinabile nelle modalità) della celebre frase di Oscar Wilde che suona più o meno così: “Bene o male, l’importante è che se ne parli”.

Quali sono i rimedi per una pubblicità che diventa più un danno che un beneficio? Nei casi dei testimonial, gli avvocati sono ormai usi ad inserire le “bad boy clauses”, cioè clausole specifiche che tutelano l’azienda in caso di cattivo comportamento, ma in realtà sono solo dei deterrenti: difficile infatti rimediare ad un danno d’immagine una volta che s’è verificato.

Oppure se si vuole evitare rischi legati all’integrità dell’immagine del testimonial, ci sono imprenditori che agiscono all’insegna del vecchio adagio “se vuoi una cosa fatta bene, falla tu”, ed eccoli pronti a mettere la propria faccia, da Ennio Doris (Banca Mediolanum) a Giovanni Rana (tortellini), da Francesco Amadori (polli) ad altri ancora, tutti testimonial di sé stessi.

In tutti gli altri casi, una soluzione standard efficace non esiste: in pochi campi come in quello della comunicazione è fondamentale saper pianificare con cura ed attenzione ogni dettaglio, ma una volta che è partita la giostra, non la si può più fermare. >>

LEONARDO MARABINI

8 commenti:

  1. Senza la pubblicità il mondo del consumo, necessario o voluttuario, si fermerebbe e sarebbe il disastro (dicono). Non basta produrre qualcosa di utile (o inutile) bisogna anche venderlo, a questo serve la pubblicità. E per vendere, per la pubblicità si spendono somme favolose (chiedere a Berlusconi), cifre astronomiche. A me la pubblicità ha comunque sempre dato fastidio. I prodotti che vedo pubblicizzati in tv o sulla stampa o al cinema non m'interessano, è veramente raro che la pubblicità attiri la mia attenzione e mi noti un prodotto. Comunque non demonizzo la pubblicità che è anche informazione. A volte è pure ben fatta e divertente (ma non compro lo stesso).
    Negli ultimi tempi per vedere un video in rete devo sempre aspettare che termini il messaggio pubblicitario ("salta l'annuncio fra dieci secondi"). Io salto sempre e non so mai per cosa hanno fatto pubblicità, non m'interessa. Forse non sono normale.

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    1. Caro Sergio, mi comporto anche io come te e penso che siano in molti a (cercare di) ignorare la pubblicità ormai onnipresente.
      Io non me ne lamento più di tanto, perchè so che solo grazie ad essa posso accedere gratuitamente a tantissimi contenuti che altrimenti dovrei pagare.
      Quindi la prendo, come si dice, "con filosofia".

      Quello però che mi sorprende, ma veramente, è che i pubblicitari continuano imperterriti su questa strada e non sembrano intenzionati a cambiare approccio.
      Vuol dire che comunque, sulla maggioranza dei consumatori, questi sistemi funzionano lo stesso ?
      Siamo creduloni sino a questo punto ?
      (ed infatti: vedi post di ottobre).

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    2. In realtà i pubblicitari sanno benissimo - non possono non sapere - che la pubblicità è una gran rottura di palle per tanta gente, forse per la maggior parte. Ma come, stai guardando un film delizioso o un avvenimento agonistico e questi sul più bello ti propongono un solvente per il cesso?! Non per niente adesso - bontà loro - ti concedono di saltare la pubblicità (in rete), non prima però di averne guardata una parte che se è fatta bene t'induce magari a non saltarla.
      Ma la pubblicità è l'anima del commercio, senza pubblicità sarebbe crisi mondiale. Mi sembra di aver letto che a Burma, dove misurano non il PIL ma l'IFI (indice di felicità interna) la pubblicità sia proibita. Se si producono solo cose veramente utili e belle la pubblicità non serve. Ma Burma è un piccolo paese dove questi esperimenti sono forse possibili, ma su scala mondiale non funziona (come la democrazia diretta, possibile in un piccolo paese come la Svizzera, ma non in Italia).
      Insomma, volenti o nolenti dobbiamo convivere con la pubblicità che fino a un certo punto possiamo evitare (già staccare l'audio aiuta).

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    3. Eppure non dovrebbe essere poi così difficile creare della pubblicità che non solo non disturba, ma anzi attira l'attenzione in modo piacevole.

      Te lo ricordi il vecchio "Carosello"v ?
      Oppure le rubriche offerte da uno sponsor, che riusciva ad abbinare la visibilità con l'intrattenimento ?
      Ecco, qualcosa di simile.

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    4. Sì, Carosello era divertente: un blocchetto di pubblicità non molto sofisticata o pretenziosa (probabilmente anche poco costosa) e piazzata dopo il telegiornale. Credo che non ne mancassi uno di Caroselli, come probabilmente tantissimi altri Italiani. Mi è rimasta la pubblicità per la brillantina Linetti (fatta da un personaggio calvo!). Ah, era l'Italia di Alberto Sordi che rideva per niente, era di bocca buona. Insomma, preistoria.
      Oggi è tutto un Carosello dalla mattina alla sera, veramente troppo. Ed effettivamente molta pubblicità è controproducente perché disturba (U. Eco si notava gli scocciatori proprio per boicottarli). Questa nostra vita è ormai tutta un vendere e comprare. Sarà pur sempre stato così (anche l'insegnante e il prete si vendevano, come le prostitute), ma oggi la misura è colma. Comunque ripeto, la pubblicità è anche (non so se in minima o massima parte) informazione (sui nuovi prodotti, sulle loro qualità). Possiamo subirla o cambiare canale (ma anche lì imperversa la pubblicità). Io però riesco a eluderla abbastanza bene.

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    5. Beh, anche io me la cavo piuttosto bene con l'elusione; non è poi così impossibile.
      Ho il sospetto che coloro che NON la evitano è perchè, in fondo in fondo, la gradiscono.

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  2. In fondo la pubblicità è una forma di manipolazione della mente altrui. Diciamo che ci vuole del talento, ma anche un bel po' di cinismo.

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  3. Beh, insomma...
    Certo però che siamo proprio al confine con la circonvenzione di incapace e l'abuso della credulità popolare (entrambi previsti dal codice penale).

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