sabato 3 novembre 2018

Il genio di Darwin – 10

(Dal libro “Perché non possiamo non dirci darwinisti” di Edoardo Boncinelli” – Decima parte. Lumen)


<< Il fatto che l'espressione «evoluzione culturale» contenga il termine evoluzione non deve trarre in inganno. È evidente che questo processo non ha molto di biologico, anche se non può prescindere da un tale supporto. Non si appoggia infatti né sulla trasmissione ereditaria di caratteri vecchi o nuovi né sulla selezione di certi individui piuttosto che di altri.

L'aggettivo «culturale» annulla completamente la portata del sostantivo: l'evoluzione culturale non è assolutamente una forma di «evoluzione» biologica. È un'invenzione della nostra specie che non può essere paragonata a nient'altro che a se stessa. La suggestione che emana dal termine «evoluzione» getta però indirettamente una luce particolare sulla concezione che i più hanno dell'evoluzione biologica e anche dell'evoluzione culturale stessa.

Poiché l'evoluzione culturale è effettivamente un fenomeno cumulativo e progressivo che ha portato gli uomini dalle caverne ai grattacieli, si è indotti a pensare che anche l'altra evoluzione, quella biologica, sia intrinsecamente un fenomeno cumulativo e progressivo. Abbiamo visto che ciò non è vero, se non in alcuni aspetti molto marginali. Eppure molte persone anche colte tendono a concepire l'evoluzione biologica come una lenta e naturale ascesa degli organismi viventi dalla semplicità dell'ameba alle sofisticate costruzioni materiali, mentali e sociali dell'uomo.

Sempre sulla base della suggestione che promana dalla parola «evoluzione», molti si chiedono se si tratta di evoluzione darwiniana o lamarckiana. Forse è necessario ribadire che il fenomeno non ha niente in comune con l'evoluzione biologica, in merito alla quale può avere un senso chiedersi se segua principi darwiniani o lamarckiani.

Purtroppo molta gente fatica ad accettarlo, un po' perché ama parlare comunque di evoluzione culturale ritenendo di conoscerla bene, un po' perché è comodo poter seguire una falsariga già determinata e stabilita come quella rappresentata dall'evoluzione biologica. Ma è comunque un'operazione sconsigliabile, perché piena di trabocchetti che sanno scansare solo le persone molto esperte.

Come si possono applicare all'evoluzione culturale i criteri messi a punto per quella biologica, anche solo su un piano analogico? Chi sono in questo caso gli individui? Quali sono i genomi? Che cos'è la mutazione? Che cos'è la selezione naturale? E la prolificità differenziale? Insomma, è un'impresa sostanzialmente sterile, che confonde più che chiarire. Dei quattro processi evolutivi concepibili — quello degli astri, quello chimico o prebiotico, quello biologico e quello culturale — solo a quello biologico si applicano i principi che siamo andati illustrando. Sarebbe meglio non dimenticarlo.

Quanto è potente l'azione dell'apprendimento culturale sull'individuo singolo? E soprattutto che tipo di realtà instaura? Volendo affrontare questo interrogativo in maniera seria ci si trova a navigare per così dire fra Scilla e Cariddi. Da una parte sta l'inconfutabile conclusione che biologicamente l'uomo non è niente di più del prodotto del suo patrimonio genetico.

Dall'altra, l'altrettanto inconfutabile osservazione che ogni uomo vive fin dai primissimi anni in un universo culturale, in primo luogo linguistico, che ne fa quasi subito un essere molto diverso da qualsiasi altro animale conosciuto. Procedere senza contraddire nessuna di queste due affermazioni – e anzi possibilmente mettendole d'accordo senza inventarsi soluzioni ad hoc –, è al momento fuori della nostra portata, ma rappresenta una sfida della più grande importanza.

La trasformazione dell'animale uomo in un essere fondamentalmente culturale non è un prodotto diretto dei suoi geni, anche se questi permettono e per così dire favoriscono questa trasformazione, ma accade, inevitabilmente, per ogni essere umano dalla notte dei tempi. È un evento necessario ma non geneticamente codificato e con uno sbocco un po' diverso da epoca a epoca, da luogo a luogo, da individuo a individuo.

Ha tutta l'aria di un corto circuito che s'attiva ogni volta partendo da zero e non lasciando traccia. E questo avviene solo se a livello collettivo si sono realizzate specifiche condizioni che fungono da «innesco» per gli individui di una certa comunità culturale. Un fenomeno nuovo, non facile da inquadrare, ma non inconcepibile. >>

EDOARDO BONCINELLI

(continua)

7 commenti:

  1. Questo è il penultimo post di questa serie; l'ultimo verrà pubblicato nel prossimo mese di dicembre.
    Consiglio a tutti la lettura dell'intero libro, in quanto molto ben scritto e veramente interessante.

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    1. Per quel che può valere l'opinione del sottoscritto, avendo letto il libro di B. alcuni anni fa CONFERMO il consiglio dato da L.
      B. è un ottimo scrittore di cose scientifiche, l'unico problema è la straordinaria produttività di questo Autore, il che rende obiettivamente molto difficile "tenere il passo" delle uscite...

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    2. In effetti Boncinelli è uno scrittore piuttosto prolifico, ma è un divulgatore scientifico così bravo che lo si perdona facilmente.
      Pnesate che, pur essendo sostanzialmente un biologo, ha scritto addirittura un libro sulle leggi della fisica, che, nonostante la materia, risulta scorrevole e piacevole come gli altri (l'unica pecca è nel titolo, ma non l'ha scelto lui...).

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    3. Per amore di completezza, aggiungo che B. (in fin dei conti) è un fisico di formazione, anche se poi è appunto nella biologia (nella genetica) che ha trovato modo di esprimere tutte le proprie grandi capacità scientifiche.
      Mi risulta invece che abbia pubblicato un libro anche sui Poeti lirici greci (!), ma cmq. sono pienamente d'accordo sul fatto che lo si possa facilmente "perdonare"... Saluti

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    4. Ah, che B. avesse una formazione da fisico, proprio non lo sapevo.
      Ecco perchè il suo libro era così scorrevole. Grazie per la dritta.

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  2. Condivido in linea di massima le tue considerazioni.

    E’ un fatto che ci stiamo divaricando dalla strada maestra dell’evoluzione biologia, sia per i tempi, ormai rapidissimi, che per gli strumenti.
    Si tratta di una strada indubbiamente affascinante, ma che, secondo me, contiene dei punti oscuri e non mi riferisco tanto ai progressi in sé della scienza e della tecnologia, quanto alle sue conseguenze indirette, cioè all’aumento spaventoso della popolazione che la scienza e la tecnologia ci consentono.

    Perché l’evoluzione darwiniana aveva i suoi sistemi (crudeli fin che si vuole) di riequilibrio periodico delle popolazioni, ed interveniva sempre a tempo debito, mentre noi oggi – a mio avviso - questi limiti li abbiamo ampiamente superati, e prima o poi l’elastico si spezzerà.
    Peccato, perché una adeguata combinazione di ‘alta tecnologia’ e ‘bassa popolazione’ sarebbe una sorta di paradiso in terra (o comunque il massimo che si può permettere una specie darwiniana).

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  3. << I "progressi" tecnologici (...) producono come effetto secondario il decremento demografico. >>

    Esattamente, ma è proprio questo che mi fa andare in bestia.
    L'occidente, di per sè, sarebbe sulla strada buona nell'obbiettivo di una riduzione demografica, ma ha deciso di suicidarsi importando dal terzo mondo quello che gli manca in casa.
    Un vero peccato !

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