(Dal
libro “Perché non possiamo non dirci darwinisti” di Edoardo
Boncinelli” – Decima parte. Lumen)
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Il fatto che l'espressione «evoluzione culturale» contenga il
termine evoluzione non deve trarre in inganno. È evidente che questo
processo non ha molto di biologico, anche se non può prescindere da
un tale supporto. Non si appoggia infatti né sulla trasmissione
ereditaria di caratteri vecchi o nuovi né sulla selezione di certi
individui piuttosto che di altri.
L'aggettivo
«culturale» annulla completamente la portata del sostantivo:
l'evoluzione culturale non è assolutamente una forma di «evoluzione»
biologica. È un'invenzione della nostra specie che non può essere
paragonata a nient'altro che a se stessa. La suggestione che emana
dal termine «evoluzione» getta però indirettamente una luce
particolare sulla concezione che i più hanno dell'evoluzione
biologica e anche dell'evoluzione culturale stessa.
Poiché
l'evoluzione culturale è effettivamente un fenomeno cumulativo e
progressivo che ha portato gli uomini dalle caverne ai grattacieli,
si è indotti a pensare che anche l'altra evoluzione, quella
biologica, sia intrinsecamente un fenomeno cumulativo e progressivo.
Abbiamo visto che ciò non è vero, se non in alcuni aspetti molto
marginali. Eppure molte persone anche colte tendono a concepire
l'evoluzione biologica come una lenta e naturale ascesa degli
organismi viventi dalla semplicità dell'ameba alle sofisticate
costruzioni materiali, mentali e sociali dell'uomo.
Sempre
sulla base della suggestione che promana dalla parola «evoluzione»,
molti si chiedono se si tratta di evoluzione darwiniana o
lamarckiana. Forse è necessario ribadire che il fenomeno non ha
niente in comune con l'evoluzione biologica, in merito alla quale può
avere un senso chiedersi se segua principi darwiniani o lamarckiani.
Purtroppo
molta gente fatica ad accettarlo, un po' perché ama parlare comunque
di evoluzione culturale ritenendo di conoscerla bene, un po' perché
è comodo poter seguire una falsariga già determinata e stabilita
come quella rappresentata dall'evoluzione biologica. Ma è comunque
un'operazione sconsigliabile, perché piena di trabocchetti che sanno
scansare solo le persone molto esperte.
Come
si possono applicare all'evoluzione culturale i criteri messi a punto
per quella biologica, anche solo su un piano analogico? Chi sono in
questo caso gli individui? Quali sono i genomi? Che cos'è la
mutazione? Che cos'è la selezione naturale? E la prolificità
differenziale? Insomma, è un'impresa sostanzialmente sterile, che
confonde più che chiarire. Dei quattro processi evolutivi
concepibili — quello degli astri, quello chimico o prebiotico,
quello biologico e quello culturale — solo a quello biologico si
applicano i principi che siamo andati illustrando. Sarebbe meglio non
dimenticarlo.
Quanto
è potente l'azione dell'apprendimento culturale sull'individuo
singolo? E soprattutto che tipo di realtà instaura? Volendo
affrontare questo interrogativo in maniera seria ci si trova a
navigare per così dire fra Scilla e Cariddi. Da una parte sta
l'inconfutabile conclusione che biologicamente l'uomo non è niente
di più del prodotto del suo patrimonio genetico.
Dall'altra,
l'altrettanto inconfutabile osservazione che ogni uomo vive fin dai
primissimi anni in un universo culturale, in primo luogo linguistico,
che ne fa quasi subito un essere molto diverso da qualsiasi altro
animale conosciuto. Procedere senza contraddire nessuna di queste due
affermazioni – e anzi possibilmente mettendole d'accordo senza
inventarsi soluzioni ad hoc –, è al momento fuori della nostra
portata, ma rappresenta una sfida della più grande importanza.
La
trasformazione dell'animale uomo in un essere fondamentalmente
culturale non è un prodotto diretto dei suoi geni, anche se questi
permettono e per così dire favoriscono questa trasformazione, ma
accade, inevitabilmente, per ogni essere umano dalla notte dei tempi.
È un evento necessario ma non geneticamente codificato e con uno
sbocco un po' diverso da epoca a epoca, da luogo a luogo, da
individuo a individuo.
Ha
tutta l'aria di un corto circuito che s'attiva ogni volta partendo
da zero e non lasciando traccia. E questo avviene solo se a livello
collettivo si sono realizzate specifiche condizioni che fungono da
«innesco» per gli individui di una certa comunità culturale. Un
fenomeno nuovo, non facile da inquadrare, ma non inconcepibile. >>
EDOARDO
BONCINELLI
(continua)
Questo è il penultimo post di questa serie; l'ultimo verrà pubblicato nel prossimo mese di dicembre.
RispondiEliminaConsiglio a tutti la lettura dell'intero libro, in quanto molto ben scritto e veramente interessante.
Per quel che può valere l'opinione del sottoscritto, avendo letto il libro di B. alcuni anni fa CONFERMO il consiglio dato da L.
EliminaB. è un ottimo scrittore di cose scientifiche, l'unico problema è la straordinaria produttività di questo Autore, il che rende obiettivamente molto difficile "tenere il passo" delle uscite...
In effetti Boncinelli è uno scrittore piuttosto prolifico, ma è un divulgatore scientifico così bravo che lo si perdona facilmente.
EliminaPnesate che, pur essendo sostanzialmente un biologo, ha scritto addirittura un libro sulle leggi della fisica, che, nonostante la materia, risulta scorrevole e piacevole come gli altri (l'unica pecca è nel titolo, ma non l'ha scelto lui...).
Per amore di completezza, aggiungo che B. (in fin dei conti) è un fisico di formazione, anche se poi è appunto nella biologia (nella genetica) che ha trovato modo di esprimere tutte le proprie grandi capacità scientifiche.
EliminaMi risulta invece che abbia pubblicato un libro anche sui Poeti lirici greci (!), ma cmq. sono pienamente d'accordo sul fatto che lo si possa facilmente "perdonare"... Saluti
Ah, che B. avesse una formazione da fisico, proprio non lo sapevo.
EliminaEcco perchè il suo libro era così scorrevole. Grazie per la dritta.
Condivido in linea di massima le tue considerazioni.
RispondiEliminaE’ un fatto che ci stiamo divaricando dalla strada maestra dell’evoluzione biologia, sia per i tempi, ormai rapidissimi, che per gli strumenti.
Si tratta di una strada indubbiamente affascinante, ma che, secondo me, contiene dei punti oscuri e non mi riferisco tanto ai progressi in sé della scienza e della tecnologia, quanto alle sue conseguenze indirette, cioè all’aumento spaventoso della popolazione che la scienza e la tecnologia ci consentono.
Perché l’evoluzione darwiniana aveva i suoi sistemi (crudeli fin che si vuole) di riequilibrio periodico delle popolazioni, ed interveniva sempre a tempo debito, mentre noi oggi – a mio avviso - questi limiti li abbiamo ampiamente superati, e prima o poi l’elastico si spezzerà.
Peccato, perché una adeguata combinazione di ‘alta tecnologia’ e ‘bassa popolazione’ sarebbe una sorta di paradiso in terra (o comunque il massimo che si può permettere una specie darwiniana).
<< I "progressi" tecnologici (...) producono come effetto secondario il decremento demografico. >>
RispondiEliminaEsattamente, ma è proprio questo che mi fa andare in bestia.
L'occidente, di per sè, sarebbe sulla strada buona nell'obbiettivo di una riduzione demografica, ma ha deciso di suicidarsi importando dal terzo mondo quello che gli manca in casa.
Un vero peccato !