mercoledì 21 marzo 2018

Le trappole della mente economica

L’intervista virtuale di oggi ha come vittima lo psicologo cognitivista Paolo Legrenzi, con cui parleremo dei meccanismi che governano la gestione dei nostri soldi.
Scopriremo così che le emozioni diventano paralizzanti quando ci sono di mezzo i nostri sudati risparmi e che evitare le perdite può portare a scelte più paradossali che puntare al guadagno. 
Il testo di riferimento è tratto dal sito di Repubblica. LUMEN
 

LUMEN – Buongiorno professore. Uno dei vostri saggi più noti si intitola, provocatoriamente, “Perché gestiamo male i nostri risparmi”. Come mai questo vi siete dedicato a argomento ?
LEGRENZI - Ho scritto questo libro perché oggi investire bene i propri risparmi è molto più decisivo che in passato. Quando i redditi crescevano ogni anno, sbagliare un investimento era tutto sommato poco importante. Ora che andiamo verso un periodo di redditi sempre più bassi, aumenta la quota di ricchezza dovuta ai risparmi, che vanno gestiti con grande saggezza. Ma farlo, per come è fatta la nostra testa, è molto difficile.
 
LUMEN – Perché ? 
LIGRENZI – Perché i meccanismi del cervello umano non sono adatti alla gestione previdente dei risparmi. Sentimenti ed emozioni (come la paura o il dolore), utilissimi in altri campi d'azione (e che hanno portato a potenti vantaggi evolutivi per la nostra specie), quando ci sono i soldi in ballo diventano paralizzanti.
 
LUMEN – E dunque ? 
LIGRENZI – Occorre procurarsi una buona "educazione finanziaria", che non consiste tanto nell'apprendere una serie di cognizioni tecniche, ma piuttosto nel capire come lavora la nostra mente, quali "distorsioni cognitive" produce, e come è possibile correggerle.

LUMEN – Ma perché accade questo ?
LIGRENZI - Da quando l'uomo esiste ha sempre cercato di ridurre il ruolo che nella vita giocano fattori come il caso o l'incertezza. Nelle società antiche, questa funzione spettava a sciamani, indovini, oracoli, aruspici.
 
LUMEN – Buoni quelli ! 
LIGRENZI – Ovviamente, da allora abbiamo fatto parecchi progressi, per esempio con le assicurazioni, che sono uno strumento studiato per ridurre l'impatto di eventi naturali disastrosi; inoltre abbiamo imparato a misurare l'incertezza, trasformandola in rischio calcolato. Però l'uomo, che in tanti frangenti tende a sottostimare l'incerto, in campo finanziario vorrebbe eliminarlo del tutto.
 
LUMEN – Purtroppo caso e incertezza non si possono abolire. 
LEGRENZI - Ovviamente no. Ma, soprattutto, abbiamo introdotto forme di incertezza nuove e artificiali. Una di queste sono proprio i mercati finanziari, di cui è impossibile prevedere gli andamenti futuri. Ecco un bel paradosso: il risparmiatore è uno che tenta di sfuggire all'incertezza del futuro, e per farlo si affida a qualcosa di incerto.
 
LUMEN – Non male. Quindi, secondo voi, quando dobbiamo decidere dei nostri soldi agiamo in preda all'emotività invece che secondo razionalità ? 
LEGRENZI – Esatto. Un passo avanti decisivo ce lo ha fatto fare Daniel Kanehman, quando ha dimostrato l'asimmetria tra perdite e guadagni. Le prime provocano un dolore che è molto superiore alla gioia che viene dai secondi. Per questa scoperta ha vinto il Nobel per l'Economia nel 2002. E oggi in molte università si insegna l'Economia comportamentale, che tiene conto delle scelte derivate da queste emozioni, e si basa molto meno sulla teoria dell'individuo razionale che decide unicamente in base al calcolo di convenienza.
 
LUMEN - Quali sono le conseguenze pratiche delle scoperte di Kanehman? 
LEGRENZI - Abbiamo finalmente capito che quando ci occupiamo di risparmi, il primo obiettivo è cercare di evitare le perdite, più che guadagnare. Ma anche qui abbiamo conseguenze paradossali: molte persone investono in titoli di stato "sicuri", americani o tedeschi, che hanno redimenti reali (al netto dell'inflazione) negativi. Cioè, per evitare il rischio di perdite maggiori, si accetta una perdita sicura.
 
LUMEN – Ma, oltre al "dolore per la perdita", un ruolo molto importante è giocato anche dalla paura. 
LEGRENZI – Certamente. Si tratta di un'emozione importantissima nella nostra storia evolutiva. Ci ha aiutato e ci aiuta a stare lontano dai pericoli, ci mette in guardia da errori che potrebbero essersi fatali. Ma nel campo che stiamo trattando, invece, è proprio la paura che ci fa sbagliare.
 
LUMEN – Per esempio ? 
LEGRENZI - Per esempio tiene i risparmiatori lontano dai mercati azionari quando le quotazioni scendono, invece quello è un momento pieno di buone occasioni, e sarebbe opportuno comprare. Dovremmo invece avere paura quando le azioni salgono, ed è il momento di vendere. Proprio allora, al contrario, tutti corrono a comprare. E, si badi bene, solo nel campo della finanza facciamo così. Negli altri casi, se i prezzi dei vestiti o dei telefonini scendono, acquistiamo più volentieri.
 
LUMEN – E’ curioso, in effetti. Ma c'è un modo per difenderci dai nostri errori cognitivi ? LEGRENZI - Dovremmo accettare l'idea di affidare i nostri soldi ai gestori professionisti. Tra l'altro, noi italiani, in questo, siamo molto più diffidenti degli altri popoli. Abbiamo un patrimonio di novemila miliardi. Ben due terzi sono immobili, case. Dei tremila miliardi rimanenti solo 1.200 sono gestiti, tutto il resto è fai da te.
 
LUMEN – Secondo voi, professore, perché siamo così riluttanti di fronte ai consigli degli esperti ? 
LEGRENZI - La questione fondamentale è che la diversificazione dell'investimento, cioè quello che sarebbe giusto fare, è una nozione contro-intuitiva. Va cioè contro il nostro istinto e la nostra esperienza in tutti gli altri campi. Esempio: se mi chiedete un consiglio su un ristorante a Venezia, io vi indico un locale dove sono andato più volte e mi sono sempre trovato bene. Mi prendereste per pazzo se vi dicessi: provateli un po' tutti e alla fine vedrete che sono più quelli buoni che quelli cattivi. Eppure è proprio così che agisce un buon consulente finanziario. Ripartisce il rischio e investe i fondi che gestisce in tanti settori economici e luoghi diversi. Questi però sono perfettamente sconosciuti al risparmiatore, che ne diffida, perché vorrebbe ricorrere solo a strumenti "noti" e vicini", magari titoli di stato italiani. Concentrando tutta la scommessa su un unico tavolo, però, si rischia molto di più.
 
LUMEN – Quindi, il gestore professionista agisce meglio perché i soldi non sono suoi ed è meno coinvolto emotivamente ? 
LEGRENZI – Direi di sì. L'atteggiamento giusto nei confronti dei miei risparmi investiti, dovrebbe essere proprio questo: dimenticarmene, lasciarli dove sono incurante degli alti e bassi dei mercati, e fidarmi di chi me li amministra. Ma avere tanto distacco verso i propri soldi va contro la nostra natura. La comprensione di questi meccanismi sarà fondamentale nei prossimi decenni.
 
LUMEN – Lo immagino. 
LEGRENZI - Se ne parla molto, ma è ancora drammaticamente sottostimato quanto saranno più poveri i nostri figli rispetto a noi. Per questo è decisivo che imparino ad amministrare bene quella parte di ricchezza che viene dal risparmio. 

LUMEN – Grazie professore, per l’interessante chiacchierata. 

LEGRENZI – Grazie e voi.

15 commenti:

  1. E poi diamo la colpa al neoliberismo, della finanziarizzazione dell'economia... e questi consigli invece dove portano?

    "Negli altri casi, se i prezzi dei vestiti o dei telefonini scendono, acquistiamo più volentieri"

    Non e' del tutto vero: anche nel campo dei beni di consumo immediati ci si comporta allo stesso modo che nelle bolle finanziarie, perche': 1- si tende a mettere in atto comportamenti imitativi, cioe' a fare quello che fanno tutti gli altri, "se tutti fano cosi' vuol dire che e' giusto" (e in ogni caso mette al riparo dalle temutissime esclusioni sociali); 2- il prezzo e il valore di una cosa vengono confusi, se una cosa costa di piu' allora vale di piu' e allora "la voglio" - oggi il denaro e' la misura di tutte le cose.

    Conoscevo Legrenzi solo un po' di fama, ma se queste sono le sue geniali e originali pensate meglio stare alla larga. Del resto se non ricordo male ho gia' espresso piu' volte disgusto verso la psicologia comportamentista in genere, e in specie se applicata all'economia: l'economia, e i ministeri dell'economia, e' ormai da decenni che implementano politiche economiche adatte ad animali inferiori e consistenti in apparati di stimolo/risposta, incentivo/disincentivo, pavloviani. Si puo' dire che il fondatore della moderna economia politica e' Pavlov (quello delle gabbie elettrificate per indurre comportamenti automatici).

    Contenti voi... secondo me una buona parte del rigetto di moltissima gente verso le sue condizioni di vita attuali sotto sotto e' rigetto verso queste politiche da allevamento intensivo di folla oceanica, solo che non se ne rendono conto, non vedono il problema (implicherebbe una devastante autocritica verso le proprie convinzioni), e tirano fendenti a casaccio a destra e a manca verso il primo capro espiatorio che gli viene suggerito: nemmeno il capro espiatorio sono capaci di trovarsi da soli...

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  2. << Contenti voi... >>

    Solo per curiosità: noi chi ?

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    1. Non saprei, ma forse chi e' d'accordo con legrenzi e il suo psicologismo economicistico, ad esempio.

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    2. Non mi pare che Legrenzi abbia tutti i torti.

      In ogni caso, io pubblico i pezzi che ritengo più interessanti, non necessariamente quelli che condivido in toto.
      Lo stesso vale per il blog-roll.

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    3. Ci mancherebbe!

      D'altra parte, in generale, di essere "profilati" dagli altri, cosa che e' istintiva da ben prima di facebook, ci si infastidisce.
      Io comunque sono molto critico se non avverso alle profilazioni istituzionalizzate anche se al "nobile" fine di migliorare il meccanismo della societa' (ma chi mai direbbe, o anche solo penserebbe, che il suo fine e' ignobile?) non per semplice fastidio, ma perche' penso che mascherino un intento autoritario.

      Nel mio personale "profilare" istintivo, considero chi approva queste istanze, anche quando abilmente mascherate, dotato di un sottofondo di personalita' autoritaria.

      D'altra parte teniamo presente che nei test psicologici "professionali" non si fanno mai domande dirette per capire la personalita' del soggetto indagato, domande dirette a cui potrebbe mentire in modo deliberato o anche solo perche' convinto del tutto in buona fede di essere diverso da quello che e', e si fanno invece domande quanto piu' indirette possibile.

      E' con questi test che si finisce per inaspettatamente scoprire che i grandi dirigenti di successo e i criminali, o le guardie e i ladri, hanno a volte profili psicologici molto simili, tanto da far pensare che solo il caso li abbia spinti verso l'uno o l'altro tipo di vita. Eppure gli uni sono idolatrati, gli altri disprezzati e incarcerati: ma forse e' solo per questo che altrettanto spesso una stessa persona passa dall'essere considerata prima l'uno, e poi l'altro, nell'arco della vita: vedi i politici di successo, e la triste fine che quasi sempre fanno, quando passano dalla gloria al disprezzo e agli sputi.

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  3. Questo commento è stato eliminato dall'autore.

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  4. Il meritorio contributo fondamentale di psicologi-economisti cognitivi quali il citato Kahneman e il suo collaboratore A.Tversky (Premio Nobel mancato solo xchè prematuramernte scomparso) è consistito soprattutto nell'aver radicalmente incrinato il "dogma" (neo)classico dell' Homo oeconomicus, (ipotetico) agente sempre pienamente razionale, e (indirettamente) nell'aver (mo)strato che le 'emozioni', così come in gen.le ogni tipo di comportamento "di pancia", spesso producono frutti avvelenati...

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    1. Esattamente.
      Kahneman, in particolare, ha scritto un libro eccellente ('Pensieri lenti e veloci') che consiglio vivamente di leggere ed a cui ho anche dedicato un post.

      Questi studi, però, non hanno la visibilità che meritano, forse anche perchè mettono in discussione il mito del libero arbitrio, che rappresenta uno dei pilastri della nostra società (e sul quale sapete già come la penso).

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    2. Al contrario dei preti, naturalmente. Il che potrebbe pero' non essere una prova sufficiente, per avere ragione.

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    3. @claudio

      Guarda che razionale, in questo ambito, vuol solo dire che agisce secondo le sue ragioni (che sono imperscrutabili a lui stesso, secondo il marginalismo neoclassico). Il che non e' tanto giusto, quanto tautologico. Detto questo, e preso atto che la soggettivita', cioe' arbitrarieta', del giudizio di valore e' un luogo comune dai tempi dei marginalisti (neoclassici) menger e jevons del 1860-70, mi chiedo cosa aggiunga alla comprensione di alcunche' tutto cio'.

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  5. Forse la "colpa" di questi psicologi-economisti cognitivi è legata all'aver messo in discussione non tanto il libero arbitrio quanto buona parte del 'paradigma' economico dominante: operazione (Kuhn docet) generalmente ostracizzata dall'establishment accademico-scientifico, anche se il conferimento del P. Nobel e crescenti attestazioni internazionali di interesse mostrano che queste ricerche sono ormai state ufficialmente "sdoganate"...

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    1. Diciamo un po' l'uno e un po' l'altro.
      In effetti, sia il dogma del libero arbitrio che la (presunta) razionalità dell'homo oeconomicus sono tra i pilastri della nostra società.
      Meno se ne discute, meno li si analizza, meglio è per coloro che gestiscono la baracca.
      I quali però poi, guarda caso, spendono miliardi per la pubblicità e la propaganda, che ne sono la negazione.

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    2. In fin dei conti, libero arbitrio e (presunta) razionalità di Homo oec. risultano abbastanza strettamente intrecciati, ovvero si può (quasi) affermare che essi "simul stabunt, simul cadunt"...

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    3. "libero arbitrio che la (presunta) razionalità dell'homo oeconomicus --- I quali però poi, guarda caso, spendono miliardi per la pubblicità e la propaganda, che ne sono la negazione"

      Perche' poi?
      Con la pubblicita' lo convincono della giustezza razionale dei loro suggerimenti, dato che suppongono che con la ragione possono convincerlo.
      Guarda che e' la stessissima identica cosa che stai facendo tu con questo blog.

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    4. A meno che tu non ti arroghi il monopolio della ragione, mentre a loro lasci quello dello sfruttamento dell'emotivita'. Non c'e' un confine netto, non e' cosi' facile, se si va un po' a fondo delle cose. E' solo restandone in superficie che risulta facile darsi ragione e dare torto.

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