mercoledì 14 marzo 2018

L’inefficienza della democrazia

La democrazia è considerata, quasi universalmente, come il sistema più desiderabile per la convivenza umana.
Secondo alcuni, però, questo avverrebbe non per la sua particolare efficienza, ma, paradossalmente, per il suo opposto: cioè perché favorisce la diffusione di tanti diversi centri decisionali, anche sovrapponibili ed in contrasto tra loro.
Ecco alcune considerazioni in merito, tratte dal blog de “Il Pedante”. 
LUMEN 


<< Se la democrazia si realizza nella disseminazione non solo dei poteri decisionali, ma anche del benessere, del risparmio e della proprietà (Cost. art. 47), non può stupire che il suo recente declino si sia accompagnato a innovazioni politiche, giuridiche ed economiche attivamente tese a promuovere un maggior grado di concentrazione. La tendenza riguarda tutti i settori, esprimendosi ad esempio in campo economico come concentrazione dei capitali, già caposaldo dell'analisi marxiana. 

Gli esercizi commerciali diventano franchising di catene internazionali, i marchi storici finiscono in pancia alle corporation, le banche si aggregano, gli operatori di servizi e le aziende di Stato arricchiscono il portafoglio dei grandi investitori, le compagini azionarie e le sedi legali migrano da una giurisdizione all’altra, impercettibili al fisco, onnipresenti al consumatore e ai listini di borsa. 

Il tutto tra il plauso e l’incentivo del legislatore, che immemore del «Too Big to Fail» si vanta di promuovere l’«efficientamento» e le «economie di scala». (…) E si osserva che nella retorica politica e giornalistica più vulgata, la concentrazione non appaia mai come una piaga a cui metter freno per proteggere i diritti della democrazia, ma sia anzi programmatica e auspicata.

L'idea che la disseminazione delle responsabilità e degli ostacoli all'esercizio di un potere garantiscano la sicurezza e i diritti di tutti è un principio fondante della democrazia, la quale allarga la base dei poteri intrecciando «pesi e contrappesi», organi di vigilanza, collegi giudicanti e legislativi, commissioni, articolate gerarchie di comando ecc. e coinvolgendo periodicamente l'intera cittadinanza nella nomina di chi la amministra. 

Non è assolutamente un caso che in anni recenti le garanzie della diffusione dei poteri decisionali e del loro costo siano esplicitamente demonizzate dai teorici, commentatori e protagonisti più accreditati e vocali del «riformismo» politico. Né che seguano gli appelli a «tagliare i costi della politica», rimuovere «lacci e lacciuoli», diminuire i parlamentari, sopprimere organi politici come province e Senato, snellire ulteriormente i processi legislativi, «dis-intermediare» i rapporti di lavoro ecc. Tutto serve a consegnare più poteri a un numero più ristretto di decisori. (…) 

[Inoltre,] il trasferimento ai vertici di poteri e sostanze cerca il consenso della base che ne è deprivata, e quasi sempre lo trova. Il costo della concentrazione, specialmente nel suo costituirsi, finisce così per essere in massima parte sostenuto da chi è destinato a subirne gli effetti. (…) 

E se è teoricamente possibile - ma empiricamente poco plausibile - che una forte concentrazione di poteri produca oggi il massimo beneficio per chi vi è soggetto, nulla garantisce che domani, o in circostanze diverse, il suo abuso non annulli quel beneficio introducendo problemi più seri e più difficili da revocare. 

La valutazione richiede però uno sguardo programmatico che manca a un pubblico accecato dall'orizzonte breve dell'emergenza, del «fate presto» e del pericolo politico, finanziario, terroristico, sanitario, mediatico, fascista, eccetera che incombe, tanto incline a dare carta bianca ai forti e a proiettarvi il proprio bisogno di un «mondo giusto», quanto spaventato, se non incattivito, dalla presunta inadeguatezza dei deboli nel far fronte alle minacce del momento. Spaventato, cioè, da se stesso, dal popolo anonimo e diffuso, e dalla libertà dei suoi membri. E, quindi, dalla democrazia. 

E poiché nulla è nuovo sotto il sole, l'illusione di un'emergenza perpetua suggerisce l'esigenza di una altrettanto perpetua legge marziale, la smania di consegnarsi bendati a un Goffredo da Buglione. La questione è tutta di metodo, sicché le discussioni di merito servono solo ad annacquarla. 

Sarebbe profondamente sciocco dilungarsi - come purtroppo accade - sulla maggiore o minore propensione di agenzie nazionali e sovranazionali, banchieri, grandi investitori, multinazionali del farmaco e dell'industria, colossi del web e monopolisti ad abusare degli enormi poteri che stiamo accumulando nelle ristrette consorterie di chi li dirige, sulla loro buona o cattiva fede, su quanto siano galantuomini, sinceri o privi di scrupoli, su quali crimini possano commettere avvalendosi di quei poteri e fin dove siano disposti a spingersi per realizzare un vantaggio privato a scapito di quello generale. 

Ciò non ha alcuna importanza. (…) L'unica posizione ragionevole è che quel potenziale non deve neanche esistere e che le libertà e i poteri diffusi, o quel che ne resta, devono essere difesi coi denti perché sia negata la possibilità dell'abuso. Gli eventuali «buoni» [di oggi] saranno i «cattivi» di domani, i decisori di cui ci fidiamo cederanno il posto ad altri decisori, gli azionisti ad altri azionisti, «le sinistre» a «le destre» e viceversa. Se non sappiamo chi e come adopererà le armi che stiamo conferendo in un solo arsenale, abbiamo però una certezza: che non le riavremo più indietro quando ne subiremo i colpi. (…) 

Il discorso sulla concentrazione è un caso lampante di ripetizione dell'ovvio. Perché i suoi pericoli sono già tutti nella definizione di democrazia, nell'applicazione dell'aritmetica alle masse di uomini e capitali e nella serie ormai lunga dei suoi fallimenti storici e delle sue promesse mancate. (…) 

Perché in effetti non c'è quasi problema in cui non si affacci un aumento della concentrazione: dal trasferimento delle sovranità nazionali alla Commissione di un superstato continentale solo nominalmente democratico, all'umiliazione dei governi locali ridotti a funzionari, intermediari, esattori; dal trionfo dei gruppi industriali transnazionali che divorano le produzioni locali e dettano le regole del lavoro e del consumo, alle fusioni bancarie con l'abolizione del voto diffuso e cooperativo e la creazione di gruppi facili da vendere, impossibili da controllare; dal progressivo coagulo di monopoli privati nei servizi pubblici alla formazione di fondi finanziari in grado di comprare tutto, anche le politiche degli Stati . 

E ancora: il transito di dati pubblici e privati sulle piattaforme digitali di pochi e onnipotenti operatori, la compulsione alla «smaterializzazione» e il conseguente trasferimento di tutte le informazioni, anche sensibili, anche strategiche, anche determinanti per il governo pubblico, nei canali telematici e sui sistemi di una manciata di imprenditori privati, la digitalizzazione coatta dei pagamenti, la sorveglianza telematica globale, il delirio distopico delle «città smart». (…) 

La concentrazione è un fattore intrinseco di instabilità. Sia pure in regime di buona fede - qualsiasi cosa voglia dire - basta un errore per produrre effetti abnormi, che si riverberano e si alimentano nella sterminata platea dei soggetti. E poiché gli errori li abbiamo sempre commessi e continueremo a commetterli, la concentrazione non genera colossi “Too Big To Fail” ma la garanzia di una “failure” universale senza nicchie di scampo, senza reti di riserva, a cui affidare la tenuta del sistema. >> 

IL PEDANTE

24 commenti:


  1. "Secondo alcuni, però, questo avverrebbe non per la sua particolare efficienza, ma, paradossalmente, per il suo opposto: cioè perché favorisce la diffusione di tanti diversi centri decisionali, anche sovrapponibili ed in contrasto tra loro."

    Questo accade solo quando alla democrazia si unisce il liberalismo, concetto che, come mostra l'autore stesso dell'articolo con le sue complicate elucubrazioni, abbiamo perduto.

    Il concetto dei poteri contrapposti e del check and balance, dei molteplici centri di potere distribuiti, viene fuori dalla borsa dei liberali, non dei democratici. Dai "cittadini" democratici in se' puo' venire fuori, e sono venuti fuori: il terrore, la gogna, la condanna capitale per il dissenso, il totalitarismo.

    La democrazia in se' puo' benissimo sfociare in una dittatura, tant'e' che oggi, per descrivere il presente, usiamo il termine "democratura". Cio' accade quando la "maggioranza" ha troppo potere di decidere non solo per se stessa ma anche per tutti gli altri, eliminando di fatto ogni forma non tanto di dissenso, quanto di pluralita' esistenziale possibile: tutto deve essere regolato dalla Legge che nessuno puo' permettersi di contraddire. Il nostro mondo di oggi, che ci mette tanto a disagio e ci fa' scalciare a destra e a manca senza costrutto contro un nemico immaginario che dovremmo riconoscere subito mettendoci davanti ad uno specchio, e' questo: e' la volonta' del popolo che lo vuole cosi', non il complotto di chissacchi'.

    Non dimentichiamo inoltre che molti dei piu' grandi dittatori del XX secolo sono stati eletti e acclamati a furor di popolo. Sono stati "dittatori democratici" a cui il popolo, che fino a poco prima li idolatrava, si e' rivoltato contro, e nemmeno sempre, solo quando le cose hanno cominciato ad andare _molto_ male. Fra l'altro usando alla fine tali venerati dittatori, come suo stile, da capri espiatori e incolpandoli di tutto, rifacendosi una verginita' che non ha mai avuto.

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  2. "Secondo alcuni, però, questo avverrebbe non per la sua particolare efficienza, ma, paradossalmente, per il suo opposto: cioè perché favorisce la diffusione di tanti diversi centri decisionali, anche sovrapponibili ed in contrasto tra loro."

    Questo accade solo quando alla democrazia si unisce il liberalismo, concetto che, come mostra l'autore stesso dell'articolo con le sue complicate elucubrazioni, abbiamo perduto.

    Il concetto dei poteri contrapposti e del "check and balance", dei molteplici centri di potere distribuiti, viene fuori dalla borsa dei liberali, non dei democratici. Dai "cittadini" democratici in se' puo' venire fuori, ed e' venuto fuori: il terrore, la gogna, la condanna capitale per il dissenso, il totalitarismo.

    La democrazia in se' puo' benissimo sfociare in una dittatura, tant'e' che oggi, per descrivere il presente, usiamo il termine "democratura". Cio' accade quando la "maggioranza" ha troppo potere e decide non solo per se stessa ma anche per tutti gli altri, eliminando di fatto ogni forma non tanto di dissenso, quanto di pluralita' esistenziale possibile: tutto deve essere regolato dalla Legge che nessuno puo' permettersi di contraddire. Il nostro mondo di oggi, che ci mette tanto a disagio e ci fa scalciare a destra e a manca senza costrutto contro un nemico immaginario che dovremmo riconoscere immediatamente mettendoci davanti ad uno specchio, e' cosi': ed e' la volonta' del popolo che lo vuole cosi', non il complotto di chissacchi'.

    Non dimentichiamo inoltre che molti dei piu' grandi dittatori del XX secolo sono stati eletti e acclamati a furor di popolo. Sono stati "dittatori democratici" a cui il popolo, fino a poco prima idolatrante, si e' rivoltato contro, ma solo quando le cose hanno cominciato ad andare _molto_ male. Fra l'altro, il popolo, ha usatoi alla fine tali venerati dittatori, come suo stile, da capri espiatori incolpati di tutto, per rifarsi una verginita' mai posseduta.

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  3. Socrate fu "fatto fuori" nella piu' pura democrazia diretta assembleare: per aver corrotto i giovani inducendoli ad dubitare degli dei...

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    1. Che è comunque una colpa molto grave, per la coesione sociale.
      E te lo dice un ateo impenitente.
      Noi ora, almeno in occidente, siamo abituati al liberalismo, al relativismo ed alla libertà di parola, ma non possiamo giudicare quei tempi con il metro di oggi.

      Certo, la condanna a morte, per un reato di questo tipo è assolutamente inaccettabile (va lasciata solo per i casi di asocialità violenta), ma una condanna non cruenta, magari all'esilio, poteva anche essere giustificata, come forma di legittima difesa.

      In fondo ogni società, così come ogni individuo, ha il diritto di difendersi.

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    2. Intendevo criticare tutt'altro dell'articolo che hai portato alla nostra attenzione: il fatto che potrebbe essere del tutto fuori strada nella diagnosi dei mali che ci affliggono. Purtroppo non e' il solo, oggi come oggi i movimenti oggettivamente reazionari e retrogradi che indica Claudio, quelli che vincono le elezioni dappertutto e soprattutto in italia (l'italia e' l'unico paese europeo in cui la loro somma fa maggioranza assoluta) vedono nel liberalismo il loro massimo nemico: ma alla fonte delle nostre liberta' di cui siamo tanto orgogliosi io sostengo che ci sia proprio il liberalismo, non la democrazia in se'. La democrazia senza liberalismo puo' essere anche peggiore di una dittatura illuminata (e ho portato gli esempi dell'antica grecia e del periodo della rivoluzione francese, figuriamoci un paese di 60 milioni che da' un voto col telecomando della televisione dopo aver visto qualche tipico programma scandalistico-apocalittico di quelli di moda oggi... probabilmente ne conseguirebbe una societa' di esagitati che il "terrore" francese sembrerebbe una passseggiata).

      In altre parole, molte delle idee che girano oggi come grandi ritrovati di evoluzione politica secondo me sono del tutto fuori strada nelle loro ricette palingenetiche (e' una critica, di stampo liberale, alle idee e non alle persone).

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    3. << ma alla fonte delle nostre liberta' di cui siamo tanto orgogliosi io sostengo che ci sia proprio il liberalismo, non la democrazia in se'. >>

      Su questo sono d'accordo, anche se penso che la massima efficacia del liberalismo derivi proprio dal suo incontro con la democrazia.

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    4. Già, con una sintetica metafora storico-filosofica possiamo affermare che occorre(rebbero) PIU' Locke e Montesquieu (e tutto sommato anche Voltaire) e MENO Rousseau e suoi "nipotini" otto-novecenteschi di Destra e di Sinistra (magari in salsa mediorientale, russo-slava o sudamericana)...

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    5. A fare da spartiacque probabilmente e' la differenza fra l'illuminismo pragmatico anglo-scozzese (quello di hume per intenderci), e quello razionalistico-ideologico continentale che si e' prestato molto di piu' a derive totalitarie, perche' tendenzialmente totalitario e' il pensiero sistematico-ideologico che tutto vuol comprendere in se', prevedendo e dirigendo.

      Possiamo ricordarci di questa dicotomia in occasione della recente morte di piero ostellino, che ne fu un osservatore.

      Riporto per vs. comodita' un pezzo del suo "coccodrillo" del corriere: "Era una personalità forte Piero Ostellino, scomparso all’età di 82 anni: giornalista e uomo di cultura, direttore del «Corriere della Sera» tra il giugno 1984 e il febbraio 1987, si distingueva per spirito polemico tra i più appassionati sostenitori del pensiero liberale. Il suo punto di riferimento filosofico era la scuola illuminista scozzese, autori insigni come John Locke, David Hume, Adam Smith, di cui apprezzava la fede nell’individuo e la consapevolezza profonda dell’imperfezione umana. Diffidava invece dell’Illuminismo francese, specie della mentalità «geometrica» che aveva prodotto l’intransigenza giacobina e il Terrore rivoluzionario." (tratto da: http://www.dagospia.com/rubrica-2/media_e_tv/ldquo-se-diventassimo-tutti-liberali-andrei-all-rsquo-opposizione-rdquo-169025.htm)


      Sono differenze di atteggiamento culturale che permangono nei secoli, a stupire infatti e' che la brexit, la separazione inglese dalla ottusa, pachidermica e tendenzialmente totalitaria burocrazia bruxellese (non pochi definiscono spregiativamente EURSS la UE), abbia impiegato cosi' tanto tempo per avvenire, piu' che il suo avverarsi.


      Per quanto riguarda l'incontro del liberalismo con la democrazia, e' un argomento spinoso: la democrazia, e lo vediamo all'opera da decenni anxche nei nostri lidi, non garantisce liberta' ne' liberalismo (nel senso "nobile" del termine): tutto sommato, permette solo al popolo che ne fa uso di esprimere la propria cultura politica, ma se tale cultura politica e' totalitaria e intollerante, cosi' rimane. Il ventennio di relativa prosperita' e ottimismo liberale che ha seguito l'ultimo conflitto mondiale era dovuto allo scompaginamento del tradizionale dispotismo della classe dirigente italiana, non alla democrazia: tant'e' che, nel giro di un altro paio di decenni, siamo tornati, pur sempre nella democrazia, per molti aspetti alla situazione di prima se non peggio (grazie al grande sviluppo tecnologico della capacita' di controllo burocratico). Quello che sta succedendo oggi ne e' solo l'estrema evoluzione.

      Dare in mano alla nostro Stato burocratico i potenti mezzi di controllo totale che fornisce la tecnologia, sara' distruttivo. Ma la maggior parte degli italiani, specie i giovani, credono invece che cosi' otterranno la giustizia finale, e porgono volontariaemnte i polsi per farsi ammanettare.

      Come diceva Popper, la democrazia garantisce solo la possibilita' periodica per un popolo di liberarsi di un governo malvoluto: ma non garantisce nulla al di la' di questo, anzi, e se l'umore del popolo continua a desiderare governi di tal fatta, continuera' ad averli.

      Il disastro e' accentuato dall'accettazione entusiastica del principio di maggioranza, dimenticando che una qualche forma di garanzia e "assicurazione" di liberta', che dovrebbe essere tipica della nostra cultura politica, la si trova semmai nella rete di contrappesi appositamente predisposta per limitare il piu' possibile la libera espressione del potere, che sia di una maggioranza democraticamente eletta o no.

      Questo importantissimo aspetto della democrazia liberale, la drastica limitazione del potere, e' quasi del tutto assente nella nostra cultura politica diffusa odierna, e se ha avuto cittadinanza per un po' dopo il fascismo e' solo per la disastrosa esperienza di cui allora era ancora fresca la memoria.

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    6. Per ridimensionare la "ottusa, pachidermica e tendenzialmente totalitaria burocrazia bruxellese" occorrerebbe tornare rapidamente al progetto originario degli Stati Uniti d'Europa saggiamente delineato negli Anni Quaranta da "idealisti" in realtà dotati di robusto senso pratico quali De Gasperi, Adenauer, Schumann, Einaudi, Rossi e Spinelli (e lo stesso Churchill) ANZICHE' distruggere orgiasticamente quel poco di integrazione continentale finora faticosamente/lentamente realizzato per tornare alla (ormai del tutto illusoria) 'sovranità assoluta' dello Stato nazionale auto-referenziale, autarchico e centralista di stampo hegelo-gentiliano (e per certi versi anche gramsciano); quanto alla Brexit, i cittadini e i leaders politici britannici più avveduti si stanno ormai rendendo conto del disastro economico-sociale a cui quel frettoloso voto referendario li sta esponendo e ancor più li esporrà nel prox futuro (ma mi fermo qui, perché attualmente difendere un autentico federalismo europeo sembra equivalere a un'autodenuncia per crimini contro l'umanità...)

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    7. Caro Claudio, è molto difficile individuare la dimensione ottimale dei raggruppamenti umani.
      Dalla città-stato di antica memoria, sino alla grande federazione continentale (USA, Russia, UE) ci sono tante strutture intermedie, ciascuna con i suoi pregi ed i suoi difetti.

      In tempo di pace, la dimensione ottimale (a mio avviso) è quella regionale.
      Ma quando si vive in tempi turbolenti, con minacce militari serie, quasi sicuramente "big is better", per ovvii motivi.
      Temo che ogni giudizio in merito finisca per fondarsi sul senno di poi.

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    8. Una soddisfacente via di uscita potrebbe essere costituita dall'implementazione del Principio di sussidiarietà a base federalista, in grado di tenere insieme (nel modo più armonico possibile) OGNI livello decisional-territoriale: da quello locale/regionale (anche per il sottoscritto fondamentale, ma a sua volta generalmente compresso dallo Stato nazionale centralizzato "a sovranità assoluta") a quello continentale; il vecchio Kant si era spinto fino alla coraggiosa proposta di una (con)federazione globale 'per la pace perpetua'...

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    9. Sono d'accordo anch'io sul fatto che l'integrazione _confederale_ europea andrebbe spinta spostando sovranita' dagli attuali stati nazionali verso le regioni da un lato, e dall'altro verso la confederazione, magari sul modello svizzero, ma dubito che sara' possibile senza passare attraverso grossi traumi: l'europa attuale e' l'europa degli stati nazionali, e' li' per difenderli e preservarli, Bruxelles e' l'equivalente contemporaneo del congresso di vienna del 1815 (buona questa!), le burocrazie degli stati nazionali stanno lottando senza esclusione di colpi per mantenere e rafforzare il loro potere.

      Oggi come oggi l'europa serve da pretesto agli stati nazionali per vessare ancora di piu' il "suddito", scaricando altrove la responsabilita', su un potere distante, autolegittimato e indiscutibile come quello appunto di bruxelles.

      Visto l'andazzo attuale e la facilita' con cui il popolo si fa "portare a spasso", credo ci sia poco da sperare per l'immediato futuro.

      Inoltre, tale confederazione europea sarebbe possibile solo attraverso un modello molto liberistico (dato che l'alternativa e', all'opposto, il centralismo burocratico), e non mi pare che le attuali simpatie del popolo arrabbiato vadano verso tale modello: non c'e' articolo o considerazione su qualsiasi argomento, finanche la molestia delle donne e il riscaldamento globale, che non finisca per indicare il neoliberismo, come in un mantra, e spesso del tutto a sproposito, come la causa di tutti i mali... amen!

      Vedi anche che tutti i blog indicati in alto a destra, tolto quello di Pardo, eccezione alla regola, non ce n'e' uno che si distolga da questo modello, di moda oggi e imperversante.

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    10. Per carità !
      Certamente il neoliberismo non è "la causa di tutti i mali".
      Ma non è neppure un angioletto innocente.

      Forse è un po' come la democrazia: il sistema peggiore, ad eccezione di tutti gli altri.

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    11. "Le burocrazie degli Stati nazionali stanno lottando senza esclusioni di colpi per mantenere e rafforzare il loro potere"

      Dunque a maggior ragione occorre(rebbe) "limare le unghie" agli Stati nazionali così come li abbiamo conosciuti negli ultimi duecento anni ca., ma anch'io "credo che ci sia poco da sperare per l'immediato futuro":(
      Quanto al 'neoliberismo', espressione in effetti oggi super-inflazionata, diciamo che un libero Mercato "sano" abbisogna di Regole giuridico-politiche (il più possibile) chiare, efficaci e ragionevoli, altrimenti tende a trasformarsi in una sorta di giungla social-darwiniana in cui le conseguenze evidenziate da Lumen sono evidentemente dietro l'angolo...

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    12. << un libero Mercato "sano" abbisogna di Regole giuridico-politiche (il più possibile) chiare, efficaci e ragionevoli >>

      Giusto.
      Purtroppo, è probabile che queste regole siano più facilmente determinabili ed applicabili in un ambito statuale, che non internazional-globalista.
      E siamo da capo...

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  4. L'Articolo lascia piuttosto perplessi, in quanto oggi sembra che "il pendolo della Storia" abbia ripreso a muoversi in direzione opposta alle concentrazioni di cui si parla: in gran parte d'Europa (e non solo) si assiste alla potente rinascita/ricrescita di movimenti e pulsioni demagogico-populisti a sfondo nazionalista, (neo)clericale e protezionista che intendono "riportare indietro le lancette della Storia" e danno a intendere che
    la soluzione da tutti i mali contemporanei si trovi nella restaurazione dello Stato nazionale "muscolare" ottocentesco di matrice hegelo-gentiliana (questo sì centralista e tendenzialmente ad elevata prolificità demografica interna...), di tutta evidenza invece ormai drammaticamente inadatto a gestire/governare fenomeni chiaramente inter-trans/nazionali come le attuali migrazioni di massa (salvo poi magari gridare allo scandalo se le recenti restrizioni statunitensi alla libertà di commercio penalizzano anche i prodotti del proprio Paese di appartenenza)...

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    1. << oggi sembra che "il pendolo della Storia" abbia ripreso a muoversi in direzione opposta alle concentrazioni >>

      E' vero.
      In effetti, oggi i movimenti politici o di opinione di tipo anti-globalista sembrano sempre più importanti ed emergenti.
      Però non credo, al di là delle frasi propagandistiche dei politici di turno, che si potrà mai ritornare ai vecchi stati nazionali dell'800/'900.

      Forse ci aspettano scenari nuovi che non riusciamo neppure ad immaginare.
      Speriamo solo che queste frizioni, sempre maggiori tra due tendenze che appaiono inconciliabili, non scatenino troppa violenza (guerre, rivoluzioni, et similia).
      Per ora ci sono gli interessi comuni del commercio internazionale a tenere tranquilli gli attori della scena internazionale.
      Ma fino a quando sarà possibile ?

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    2. Resta il fatto che i movimenti reazionari citati da Claudio vedono il massimo nemico nel neoliberismo, mentre, rimarco, cio' che abbiamo di buono oggi deriva molto di piu' dal pensiero liberale e dalla democrazia in se'. Ho portato i massimi esempi di democrazia a conferma della mia tesi, quello dell'antica grecia e quello della rivoluzione francese, che culturalmente e' vicinissimo a noi.

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    3. _che_ dalla democrazia in se', mi e' scappato un pezzo, scusate

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    4. << i movimenti reazionari citati da Claudio vedono il massimo nemico nel neoliberismo >>

      Fino a un certo punto.
      Credo che il massimo nemico venga visto nel turbo-capitalismo internazionale, a trazione finanziaria.
      Che le sue colpe ce le ha, eccome.

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    5. "Che le sue colpe ce le ha, eccome"

      Amen. (nel senso che lo dici perche' ne sei davvero convinto o solo perche' e' il mantra, la preghierina, cosi' di moda oggi?)

      Puo' essere, ma sono piuttosto scettico sull'argomento: quelli che sostengono queste opinioni provengono tutti da ambienti culturali almeno in origine totalitari, complottisti, ideologici e antiliberali.

      Piuttosto, dovremmo stare in guardia dalla capacita' che hanno alcuni di quegli arruffapopolo di ipnotizzare attraverso la loro inveterata tendenza a incasellare tutto in schemi ideologici onnicomprensivi che tutto spiegano, dove si sa sempre a priori chi ha torto e chi ha ragione, chi e' buono e chi e' cattivo. Troppo bello, troppo facile. Il mondo ideologico e' cosi', ma non quello reale, senno' non ci sarebbero tante ideologie in contrasto fra di loro, che OGNI volta che si cerca di applicarle mostrano alla fine la follia di cui erano intrise. Meglio girare alla larga... o alla fine non lamentarsi quando si sara' costretti a leccarsi le ferite.

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    6. Lo dico perchè ne sono convinto.

      Penso che il dominio della finanza sia il primo nemico dell'economia, in quanto è solo quest'ultima che produce ricchezza vera.

      La finanza, invece, la ricchezza o si limita a spostarla o, addirittura, la distrugge, con la creazione di pseudo-ricchezze virtuali, destinate prima o poi a scoppiare.

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    7. Oggi, nei paesi occidentali moderni, a produrre "ricchezza vera" e' una infima minoranza della popolazione, tutti gli altri vivono di redistribuzione burocratica, dei quali si puo' dire la stessa cosa che dici della finanza, usata come "straw man". Scagli la prima pietra...

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    8. E' vero, ma la finanza non si limita a ridistribuire la ricchezza, come la burocrazia, ma arriva a crearla fittiziamente sotto forma di ricchezza inesistente.
      Ed è ben noto che i nodi, prima o poi, vengono tutti al pettine.

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