mercoledì 28 marzo 2018

A proposito di razzismo e xenofobia

Le disincantate considerazioni di Gianni Pardo (tratte dal suo blog)  su due aspetti spiacevoli ma ineliminabili della natura umana, quali il razzismo e la xenofobia; e sulla pericolosa stupidità di chi vorrebbe ignorarli. 
LUMEN 


<< Fra le pulsioni ineliminabili della natura umana possiamo mettere la guerra, che infatti è sempre esistita e non coincide con la semplice “violenza”. Gli animali combattono per le femmine o per il territorio, ma non si associano in grandi gruppi per combattere contro altri gruppi di congeneri. La violenza è individuale, la conoscono moltissimi esseri, la guerra è un “noi” contro “loro” ed appartiene ad alcune specie soltanto. Per esempio le formiche.
 
Che cosa determini il “noi” e il “loro” ha un’importanza limitata. Può trattarsi del colore della pelle, della lingua che si parla, della religione che si pratica o del territorio di appartenenza: tutto è sufficiente a far scattare una guerra. Basta che ci siano interessi in conflitto, o perfino semplici pregiudizi, tali da operare una distinzione e renderla aggressiva.
 
In questo quadro il razzismo si configura come una guerra a basso potenziale, spesso ma non sempre incruenta. E, come la guerra, si nutre del sentimento di “noi” e “loro”, quale che sia il discrimine.
 
Nella cultura occidentale il razzismo fa pensare al disprezzo che l’uomo bianco nutre per l’uomo di colore, ma questo è soltanto un fatto contingente. I greci chiamavano barbari quelli che non parlavano greco. Per i romani il colore della pelle funzionava al contrario e avranno sentito disprezzo per i pallidi e biondi germani, perché rispetto a loro essi erano i barbari. I cinesi e i giapponesi disprezzavano ampiamente i non cinesi e i non giapponesi, inclusi ovviamente gli occidentali.
 
Un fondamentale motivo di distinzione dei gruppi è il livello di civiltà. Non sarebbe stato possibile che i coloni di lingua inglese non giudicassero inferiori gli aborigeni australiani; questi erano ancora all’età della pietra (come del resto i pellerossa americani) mentre loro venivano da uno degli Stati più moderni del mondo.
 
Prima di giudicarlo male, bisogna riconoscere che il razzismo è un fenomeno naturale. Il razzista non è un mostro, e a volte il suo atteggiamento è conseguenza della generalizzazione di precedenti esperienze.
 
Avevo una ventina d’anni quando sentii raccontare che all’Ostello della Gioventù di Monaco di Baviera gli italiani erano ospitati esclusivamente ed obbligatoriamente all’ultimo piano, perché avevano la fama di fare baccano e di disturbare gli altri ospiti. Non so se fosse vero. Se lo era, non sarebbero stati i dirigenti ad essere razzisti, sarebbero stati gli italiani ad essere maleducati. Se invece non era vero, e quella limitazione era stabilita sulla base di un pregiudizio, quei bavaresi erano razzisti nel senso peggiore. Quello stupido.
 
Purtroppo ciò avviene spesso. Il razzismo inammissibile è quello che si nutre di pregiudizi privi di giustificazione, come nel caso dell’antisemitismo. Ed è anche il caso dell’ostilità contro i “coloured” quando essi – come a New York – sono perfettamente integrati. Dove invece c’è una base reale, il fenomeno inevitabilmente risorge. Negli Anni Cinquanta i torinesi consideravano i meridionali più o meno come i sudisti americani consideravano i negri.
 
Il razzismo, anche totalmente ingiustificato, nasce pressoché inevitabilmente quando all’interno di un grande gruppo si forma un gruppo minoritario di una certa consistenza. Qualcuno dice l’8%. Basta che fra i due gruppi esista una differenza di religione, oppure di pelle, di costumi, di lingua (si pensi ai valloni e ai fiamminghi, che pure giuridicamente sono tutti belgi) e ciò basta perché nasca tra loro l’ostilità. “Noi” contro “loro”.
 
Dal momento che il fatto è naturale, la cosa migliore è evitare che il gruppo minoritario divenga tanto grande da acquistare visibilità e far nascere l’attrito sociale. Se mezzo milione di angeli volesse venire a stabilirsi a Roma, bisognerebbe dire: “No grazie”. Perché gli angeli, per il semplice fatto di avere usi e costumi diversi dagli altri, sarebbero “loro” e diverrebbero un problema. 

Tutto ciò costituisce un valido motivo per limitare l’immigrazione in Italia. Non per un giudizio negativo sui nuovi arrivati, semplicemente perché gli italiani li sentono come “loro”, in particolare gli “inassimilabili”. Per non dire che gli stessi immigrati si sentono diversi. >>
 

<< Il razzismo ha ben poco a che vedere con la razza. Basti vedere che se ne parla a proposito degli ebrei e gli ebrei non sono una razza. Sarebbe bene non ripetere questo errore scientifico (e tragico) del XX secolo.
 
Qualcuno nega l’esistenza delle razze perché tra un norvegese e un senegalese non c’è un salto, ma un digradare dalla colorazione della pelle, andando a nord a sud. Cionondimeno, dal punto di vista della gente normale, un norvegese è un bianco e un senegalese è un nero. Che poi questo abbia importanza o no è del tutto secondario.
 
I problemi cosiddetti “razziali” si hanno in qualunque società quando un gruppo di abitanti sia sentito come “diverso” dalla maggioranza. La differenza può essere il colore della pelle, la religione, o perfino soltanto la lingua (come in Belgio): ciò che conta è che si possa distinguere un “loro” e un “noi”. (…)
 
La conclusione è che, dove ci sono gruppi minoritari, si ha un problema, almeno finché non si abbia (quando si ha) una totale integrazione. I nipoti dei (…) [meridionali emigrati] a Torino, sono dei torinesi come gli altri, perché sono partiti come bianchi fra i bianchi, cattolici fra cattolici, italiani fra italiani. Mentre in Francia i magrebini musulmani, anche se francesi di nazionalità, rimangono degli “Arabes”, e sono sentiti come “diversi”.
 
Il problema dei gruppi a volte si risolve col tempo (Torino), a volte non si risolve nemmeno molti decenni dopo (Francia e Stati Uniti). Questo significa che la vera risposta è evitare che il problema sorga. I rumeni che immigrano in Italia sono bianchi, cristiani, e fieri della loro lingua neolatina. I loro figli e nipoti saranno italiani come gli altri. Ma i figli e i nipoti dei senegalesi rimarranno diversi e questo costituirà un problema, anche per loro.
 
La risposta morale e culturale è bella e desiderabile, ma non tutti sono disposti a darla e comunque funziona – quando funziona – dopo molti decenni. Né vale di più la risposta legale. Dichiarare tutti i cittadini uguali dinanzi alla legge conta poco, quando ci si presenta per prendere in locazione una casa. Perché se la nostra faccia non piace al proprietario, nessuno può obbligarlo a darci la chiave dell’appartamento.
 
Inoltre, finché il gruppo allogeno rimane piccolo, le discriminazioni sono odiose ma non turbano l’ordine sociale. Quando invece il gruppo allogeno diviene notevole (dicono: quando supera l’8%) la maggioranza – come spesso avviene composta da stupidi – si sente in pericolo e si possono verificare episodi di violenza criminale. Si pensi al Ku Klux Klan. (…)
 
Chi non vuole tenerne conto, preferisce l’ideale e dice che tutti gli uomini sono fratelli. Il messaggio della realtà è invece che ogni gruppo minoritario inassimilabile prima o poi crea un problema insolubile. >>
 
GIANNI PARDO

15 commenti:

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  2. Commento di SERGIO
    (inserito da me per motivi tecnici).

    << Testo esemplare, direi perfetto, da spedire
    con posta raccomandata e risposta pagata
    agli imbonitori nazionali con la loro retorica
    dei ponti da gettare e dei muri da abbattere
    (Bergoglio, Mattarella, Boldrini, Anna Maria
    Rivera - quest’ultima un’antropologa laureatasi
    in antirazzismo all’università degli imbecilli).

    Gianni Pardo è di un chiarezza, semplicità e
    ragionevolezza da sfiorare la banalità. Basta
    un minimo di psicologia per arrivare alle sue
    conclusioni. In appena vent’anni l’Italia si
    è africanizzata e islamizzata (non so se siamo
    già al fatidico 7 o 8% che secondo gli esperti
    scatena reazioni di rigetto da parte degli
    autoctoni - accusati di razzismo e islamofobia
    dai terzomondisti di sinistra). E pensare
    che persino il capo della cristianità è islamofilo
    e persino omofilo (“chi sono io per giudicare?” -
    le ultime parole famose).

    Ricordo un episodio di quaranta o cinquant’anni
    fa. Il Milan aveva acquistato un negro, Germano,
    subissato di fischi da parte della tifoseria, un po’
    perché giocava male, un po’ per il colore della
    pelle. E il famoso Alberoni spiegava il fenomeno
    dei fischi con il colore della pelle del povero
    Germano (che riuscì comunque a fare invaghire
    la figlia del presidente). Credo che all’epoca
    Germano fosse il solo negro d’Italia, oggi
    l’Italia è Africa. E la Bonino che dice: il calo
    della natalità in Italia? Nessun problema, abbiamo
    un giardino d’infanzia dall’altra parte del Mediterraneo ...

    Un fenomeno simile. È noto che ai nordici, specie
    ai tedeschi, piace molto la Toscana e vi acquistano
    case e terreni. Felicissimi i locali di vendere e fare soldi.
    Solo che a un certo punto tutti sti tedeschi cominciano
    a dar fastidio, sono troppi. Il fastidio è una reazione
    naturalissima e normalissima, il razzismo non c’entra proprio.
    Vanno bene i soldi di questi “zucchini” nordici,
    però siamo ancora in Toscania o in Tedesconia? Insomma,
    è la quantità che fa la differenza. Io a scuola ero l’unico
    straniero in classe, facevo tenerezza agli altri. Oggi ci sono classi con
    il 90% di allogeni e pochissimi autoctoni, e ciò crea
    problemi di varia natura, a cominciare dalla lingua. >>

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  3. "I problemi cosiddetti “razziali” si hanno in qualunque società quando un gruppo di abitanti sia sentito come “diverso” dalla maggioranza. La differenza può essere il colore della pelle, la religione, o perfino soltanto la lingua (come in Belgio): ciò che conta è che si possa distinguere un “loro” e un “noi”."

    Non sarei cosi' ottimista sulla natura umana, e aggiungerei che quando le differenze non ci sono, si inventano apposta: chi le ha provate entrambe (la generazione prima della nostra, o due al massimo) dice che le guerre civili sono le peggiori.

    Il fatto e' che qualsiasi gruppo umano, dalla tribu' allo stato, per restare unito ha bisogno di un capro espiatorio contro cui aggregarsi.

    Lo vediamo con regolarita' nella politica: quando un partito si squaglia, subito dopo sparisce o si indebolisce molto, vittima di lotte interne contro capri espiatori a quel punto intestini, anche l'altro che lo contrastava. Ma succede spesso anche nelle famiglie: il legame del sangue viene fuori in caso di grandi calamita' esterne, altrimenti ci si accoltella pure fra fratelli. C'e' pure il proverbio..

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  4. Al di là di alcuni passi problematici, l'Art.lo rappresenta una salutare "boccata d'ossigeno" rispetto agli enormi volumi di 'aria fritta' oggi circolanti rig.do al tema del razzismo e similari.
    Merita un plauso in particolare la sottolineatura del nesso tra DATO NUMERICO-QUANTITATIVO e REAZIONI NEGATIVE degli autoctoni: piaccia o meno alle "anime belle" di qualsivoglia orientamento filosofico-politico-religioso, al crescere del primo tendono inevitabilmente a crescere le seconde: occorre tenerne conto, già a partire dalla dimensione locale-regionale e indipendentemente dal contesto religioso-confessionale (anche in un autobus, oltre un dato limite di affollamento i viaggiatori iniziano a trovarsi a disagio e tendono a spintonarsi e a litigare più o meno animosamente)...

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    1. Gli autoctoni se non hanno il negro o l'ebreo di turno con cui prendersela, a cadenza periodica si ammazzano fra di loro.

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    2. Ciò costituisce una plastica dimostrazione della opportunità/necessità non solo di LIMITARE l'immigrazione alloctona ma anche di CESTINARE ogni pulsione (neo)natalista clerico-nazionalista "interna": sfortunatamente, da queste parti pare si stia andando nella direzione esattamente opposta...

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    3. Purtroppo sul lungo termine hanno ragione i clerico-nazionalisti, anche se non hanno il coraggio, o il senno, di dire apertamente il perche': la natura aborre il vuoto, se lasci spazi liberi qualcun altro, autoctono o alloctono, li riempira' al posto tuo, e il tuo eventuale sacrificio sara' stato inutile.

      Se ti ammassi in citta' per liberare spazio nelle campagne, prima o poi qualcuno riempira' di nuovo anche lo spazio lasciato libero nelle campagne.

      Se lasci il tuo campo incolto perche' ti accontenti di cio' che possiedi e guadagni gia', ci sara' sempre un vicino (o uno stato) ansioso di metterlo a reddito che brighera' per sottrartelo, tutto in una volta o a rate attraverso la tassazione punitiva.

      L'unico modo e' fare in modo che non ci sia piu' spazio, che tutto lo spazio sia occupato e utilizzato al massimo.

      Fra l'altro, se e' cosi', cio' rende patetici, se non stupidi, gli sforzi di disinquinare e salvare il mondo da parte del nostro microscopico e irrilevante paese con meno dell'uno per cento della popolazione mondiale. La sola nigeria ha gia' da adesso il triplo degli abitanti, in rapido aumento...

      Tutte le discussioni su questo tema sono solo beghe interne fra fazioni politiche che userebbero qualsiasi altra scusa (fra cui neri ed ebrei) per aggredirsi reciprocamente.

      L'unico risultato di tutti i nostri sforzi, finora, e' che l'energia elettrica, da un costo di 5 centesimi a KWh di mercato, quando arriva in bolletta va a 50, e sempre in aumento... e per fortuna che e' tassata niente rispetto ai combustibili fossili... ci fosse qualcuno che abbia ammesso di aver sbagliato qualcosa? No, sono sempre che pontificano e dicono che dobbiamo fare +1.

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    4. "La natura aborre il vuoto"

      Secondo la Cosmologia contemporanea, la stragrande maggioranza dell'Universo è sostanzialmente 'vuota'...

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    5. In fisica, in effetti, le cose possono stare in modo diverso.
      Ma quando si parla di biologia, il concetto mi sembra abbastanza vero.
      Gli esseri viventi sono programmati (geneticamente) per riempire qualsiasi nicchia disponibile.
      E quando esagerano, come stiamo facendo noi umani attualmente, non possono che pagarne le conseguenze.

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    6. "Quando esagerano (...) non possono che pagarne le conseguenze"

      Già, ma la neo-corteccia cerebrale (umana) potrebbe/dovrebbe indurre a NON riempire qualsiasi nicchia disponibile e a NON esaurire le risorse ragionevolmente a disposizione: in altri termini, si tratta di mettere in pratica quella 'consapevolezza' che costituisce una delle "ragioni sociali" di questo blog :)
      Quanto al Vuoto, intendevo soprattutto dire che la Natura NON sempre 'aborre il vuoto': gli atomi che costituiscono anche gli organismi viventi hanno enormi spazi privi di 'materia' al loro interno... Intanto: auguri pasquali non-confessionali!

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    7. Caro Claudio, la consapevolezza a cui mi rifaccio io è senza dubbio alla portata dell'homo sapiens, ma sembra molto poco distribuita, non saprei dirti per quale motivo.
      E così - tra istinti forti e consapevolezze deboli - continuiamo il nostro viaggio da Titanic verso gli iceberg che ci aspettano.

      Ricambio con piacere gli auguri per la festa (pasquale) della primavera. :-)

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  5. Cari amici, purtroppo, troppa poca gente accetta di guardare in faccia la realtà, quando si tratta degli aspetti pià discutibili del comportamento umano.
    Troppe anime belle si rifugiano in un comodo, ma totalmente inutile, sfoggio di verbi al condizionale: gli uomini dovrebbero fare X, dovrebbero pensare Y, dovrebbero ignorare Z, e così via.
    Il marxismo si era persino inventato il mito dell'uomo nuovo, visto che il vecchio non gli piaceva abbastanza.

    Ma se tu non parti dai dati di fatto, anche se sommamente scomodi, cioè da come gli uomini sono VERAMENTE, non hai neppure gli strumenti per cercare di migliorare, per quel poco che è possibile, la convivenza umana.
    E così, per troppo volere, non ottieni nulla.

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  6. Ulteriore commento di SERGIO, sempre inserito da me per motivi tecnici.

    << In merito all'argomento del giorno potrebbe interessare questo articolo di Marcello Veneziani in ricordo di Giovanni Sartori, scomparso lo scorso anno:
    http://www.marcelloveneziani.com/articoli/sartori-contro-la-societa-multietnica/

    Il libro di Sartori in questione ha per titolo "Pluralismo, multiculturalismo e estranei". Mi piace il concetto di estraneo che non è sinonimo di straniero. Per dire, uno straniero integratosi nella nostra comunità non è più considerato un estraneo, è diventato uno dei nostri, non avvertiamo quasi più nessuna differenza. Ma se non si integra resterà un estraneo, anche dopo decenni di permanenza e l'acquisizione della cittadinanza. Io ho passato quasi tutta la mia vita in Svizzera, ma non sono affatto uno svizzero, sono e resto un cittadino italiano (ho persino votato il 4 marzo - per corrispondenza). E gli Svizzeri col cavolo che mi darebbero la cittadinanza - a meno che non la richieda in ginocchio e giurando sulla costituzione, altro che jus soli. Hanno torto o ragione? Entrambe le cose, torto e ragione (ma non posso spiegarlo in due parole). >>

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  7. Il razzismo nelle società primitive tendeva al fine di salvaguardare il gruppo dalle aggressioni e contaminazioni esterne sia biologiche che culturali. Il cervello umano e il suo prodotto, la cultura, si è sviluppato in alcuni milioni di anni e anche oggi in piena globalizzazione i nostri cervelli sono rimasti in parte tribali...a parte la patina di cultura politicamente corretta che ci abbiamo spalmato sopra. Negli anni 90 mi colpi come in piena Europa, crollato lo stato Iugoslavo, gruppi etnici che avevano convissuto pacificamente per decenni ricominciarono a scannarsi tra loro. Evidentemente come dice hobbes era solo con il potere autoritario dello stato che gli istinti razziali erano temporaneamente sopiti...

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    1. Caro Agobit, condivido senz'altro le tue considerazioni.
      Troppo spesso ci dimentichiamo degli imperativi biologici che ci condizionano nel profondo e ci illudiamo troppo facilmente che la cultura li possa superare.
      Un po' più di onestà intellettuale nel riconoscere i nostri limiti genetici non guasterebbe.
      Ma per fare questo dovremmo rinunciare ad una buona parte della nostra superbia, che ci fa credere di essere al di sopra, quasi al di fuori, della realtà naturale.

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