Dicevano gli antichi romani che “non scholae, sed vitae discimus” ma, se si guarda in modo disincantato al nostro attuale sistema scolastico, si ha la netta sensazione che di cose utili per la vita, e quindi per il lavoro, a scuola se ne imparano davvero poche.
Sull’inefficienza di un sistema scolastico “istituzionale” ha scritto molto anche Ivan Illich, un saggista austriaco “fuori dagli schemi”, che nei suoi libri si è dedicato a demolire i principali pilastri della società occidentale.
Una critica che, in molti punti, appare decisamente eccessiva, ma che resta stimolante e ricca di idee nuove su cui riflettere.
Quelle che seguono sono alcune delle sue riflessioni sulla scuola (anzi, la "squola").
LUMEN
<< L’istruzione forzosa spegne nella maggioranza delle persone la voglia di imparare per proprio conto.
Sull’inefficienza di un sistema scolastico “istituzionale” ha scritto molto anche Ivan Illich, un saggista austriaco “fuori dagli schemi”, che nei suoi libri si è dedicato a demolire i principali pilastri della società occidentale.
Una critica che, in molti punti, appare decisamente eccessiva, ma che resta stimolante e ricca di idee nuove su cui riflettere.
Quelle che seguono sono alcune delle sue riflessioni sulla scuola (anzi, la "squola").
LUMEN
<< L’istruzione forzosa spegne nella maggioranza delle persone la voglia di imparare per proprio conto.
Molti studenti, specie se poveri, sanno per istinto che cosa fa per loro la scuola: gli insegna a confondere processo e sostanza. Una volta confusi questi due momenti, acquista validità una nuova logica; quanto maggiore è l'applicazione, tanto migliori sono i risultati; in altre parole, l'escalation porta al successo. In questo modo si “secolarizza” l'allievo a confondere insegnamento e apprendimento, promozione e istruzione, diploma e competenza, facilità di parola e capacità di dire qualcosa di nuovo. Si “secolarizza” la sua immaginazione ad accettare il servizio al posto del valore.
Le scuole creano posti di lavoro per gli insegnanti, indipendentemente da ciò che gli allievi imparano.
Due secoli fa gli Stati Uniti guidarono il mondo in un movimento inteso a respingere il monopolio di un'unica chiesa. Oggi occorre il disconoscimento costituzionale del monopolio della scuola, cioè di un sistema che associa legalmente il pregiudizio alla discriminazione.
La scuola è l'agenzia pubblicitaria che ti fa credere di avere bisogno della società così com'è.
Gli scritti di Karl Marx ci hanno reso familiare l'alienazione dell'operaio dal proprio lavoro nella società divisa in classi; è ormai tempo di riconoscere quello che è lo straniamento dell'uomo dal proprio sapere, quando quest'ultimo diventa il prodotto di un servizio professionale e l'uomo il suo consumatore.
La scolarizzazione e l'educazione sono correlate tra loro come la Chiesa e la religione o, in termini più generali, come il rito e il mito.
Decenni di fede nella scolarizzazione hanno tramutato il sapere in una merce, un prodotto commerciabile di tipo speciale. Oggi lo si considera un bene di prima necessità e, contemporaneamente, la moneta più preziosa di una società.
La scuola definisce l'educazione come oggetto di competizione.
Il consumatore-utente ha bisogno della sua dose di sapere garantito, accuratamente preconfezionato. Trova la propria sicurezza nella certezza di leggere lo stesso giornale del vicino, di guardare la stessa trasmissione televisiva del suo padrone. Si accontenta di avere accesso allo stesso rubinetto di sapere del suo superiore, anziché perseguire l'uguaglianza di condizioni che darebbe alla sua parola lo stesso peso di quella del suo padrone.
La scuola sottrae le cose all'uso quotidiano appiccicando ad esse l'etichetta di sussidi didattici.
La dipendenza, che tutti accettano come ovvia, nei confronti del sapere altamente qualificato prodotto dalla scienza, dalla tecnica e dalla politica, erode la fiducia tradizionale nella veracità del testimone e svuota di senso i modi con cui gli uomini possono scambiarsi le proprie certezze. >>
IVAN ILLICH
Ai suoi tempi la necessità di «descolarizzare» la società, proposta da Ivan Illich, m'interessò e i suoi argomenti mi convicevano. Quarant'anni dopo constato però che la scuola è ancora un pilastro portante della società, anche se la diffusione del sapere - anche grazie alle nuove tecnologie - rende la scuola sicuramente meno necessaria e forse persino obsoleta (ma questo sviluppo Illich non se lo immaginava ancora). Oggi l'insegnante non è più onnisciente e un'autorità: qualsiasi ragazzetto ne sa più dell'insegnante su certe questioni.
RispondiEliminaChe fare allora di questa scuola se il sapere e le conoscenze possiamo acquisirle in tanti modi e meglio che a scuola?
Ma già prima di Illich Giovanni Papini aveva sparato a zero contro l'istituzione scolastica. La lettura del suo proclama del 1914, «Chiudiamo le scuole», è ancora oggi - un secolo dopo! - un testo attuale. Ve lo propongo nel post seguente.
"CHIUDIAMO LE SCUOLE"
RispondiEliminadi Giovanni Papini
1 giugno 1914
Diffidiamo de' casamenti di grande superficie, dove molti uomini si rinchiudono o vengono rinchiusi. Prigioni, Chiese, Ospedali, Parlamenti, Caserme, Manicomi, Scuole, Ministeri, Conventi. Codeste pubbliche architetture son di malaugurio: segni irrecusabili di malattie generali. Difesa contro il delitto - contro la morte - contro lo straniero - contro il disordine - contro la solitudine - contro tutto ciò che impaurisce l'uomo abbandonato a sé stesso: il vigliacco eterno che fabbrica leggi e società come bastioni e trincee alla sua tremebondaggine. Vi sono sinistri magazzini di uomini cattivi - in città e in campagna e sulle rive del mare - davanti a' quali non si passa senza terrore. Lì son condannati al buio, alla fame, al suicidio, all'immobilità, all'abbrutimento, alla pazzia, migliaia e milioni di uomini che tolsero un po' di ricchezza a' fratelli più ricchi o diminuirono d'improvviso il numero di questa non rimpiangibile umanità. Non m'intenerisco sopra questi uomini ma soffro se penso troppo alla loro vita - e alla qualità e al diritto de' loro giudici e carcerieri. Ma per costoro c'è almeno la ragione della difesa contro la possibilità di ritorni offensivi verso qualcun di noialtri. Ma cosa hanno mai fatto i ragazzi, gli adolescenti, i giovanotti che dai sei fino ai dieci, ai quindici, ai venti, ai ventiquattro anni chiudete tante ore del giorno nelle vostre bianche galere per far patire il loro corpo e magagnare il loro cervello? Gli altri potete chiamarli - con morali e codici in mano - delinquenti ma quest'altri sono, anche per voi, puri e innocenti come usciron dall'utero delle vostre spose e figliuole. Con quali traditori pretesti vi permettete di scemare il loro piacere e la loro libertà nell'età più bella della vita e di compromettere per sempre la freschezza e la sanità della loro intelligenza?
(continua)
(continuazione)
RispondiEliminaNon venite fuori colla grossa artiglieria della retorica progressista: le ragioni della civiltà, l'educazione dello spirito, l'avanzamento del sapere… Noi sappiamo con assoluta certezza che la civiltà non è venuta fuor dalle scuole e che le scuole intristiscono gli animi invece di sollevarli e che le scoperte decisive della scienza non son nate dall'insegnamento pubblico ma dalla ricerca solitaria disinteressata e magari pazzesca di uomini che spesso non erano stati a scuola o non v'insegnavano. Sappiamo ugualmente e con la stessa certezza che la scuola, essendo per sua necessità formale e tradizionalista, ha contribuito spessissimo a pietrificare il sapere e a ritardare con testardi ostruzionismi le più urgenti rivoluzioni e riforme intellettuali. Soltanto per caso e per semplice coincidenza - raccoglie tanta di quella gente! - la scuola può essere il laboratorio di nuove verità. Essa non è, per sua natura, una creazione, un'opera spirituale ma un semplice organismo e strumento pratico. Non inventa le conoscenze ma si vanta di trasmetterle. E non adempie bene neppure a quest'ultimo ufficio - perché le trasmette male o trasmettendole impedisce il più delle volte, disseccando e storcendo i cervelli ricevitori, il formarsi di altre conoscenze nuove e migliori. Le scuole, dunque, non son altro che reclusori per minorenni istruiti per soddisfare a bisogni pratici e prettamente borghesi. Quali? Per i genitori, nei primi anni, sono il mezzo più decente per levarsi di casa i figliuoli che danno noia. Più tardi entra in ballo il pensiero dominante della "posizione" e della "carriera". Per i maestri c'è soprattutto la ragione di guadagnarsi pane, carne e vestiti con una professione ritenuta "nobile" e che offre, in più, tre mesi di vacanza l'anno e qualche piccola beneficiata di vanità. Aggiungete poi a questo la sadica voluttà di potere annoiare, intimorire e tormentare impunemente, in capo alla vita, qualche migliaio di bambini o di giovani. Lo Stato mantiene le scuole perché i padri di famiglia le vogliono e perché lui stesso, avendo bisogno tutti gli anni di qualche battaglione di impiegati, preferisce tirarseli su a modo suo e sceglierli sulla fede di certificati da lui concessi senza noie supplementari di vagliature più faticose. Aggiungete che sulle scuole ci mangiano ispettori, presidi, bidelli, preparatori, assistenti, editori, librai, cartolai e avrete la trama completa degli interessi tessuti attorno alle comunali e regie e pareggiate case di pena. Nessuno - fuorché a discorsi - pensa al miglioramento della nazione, allo sviluppo del pensiero e tanto meno a quello cui si dovrebbe pensar di più: al bene dei figliuoli. Le scuole ci sono, fanno comodo, menano a qualche guadagno: ficchiamoci maschi e femmine e non ci pensiamo più. L'uomo, nelle tre mezze dozzine d'anni decisive nella sua vita (dai sei ai dodici, dai dodici ai diciotto, dai diciotto ai ventiquattro), ha bisogno, per vivere, di libertà. Libertà per rafforzare il corpo e conservarsi la salute, libertà all'aria aperta: nelle scuole si rovina gli occhi, i polmoni, i nervi (quanti miopi, anemici e nevrastenici possono maledire giustamente le scuole e chi l'ha inventate!).
(continuazione9
RispondiEliminaLibertà per svolgere la sua personalità nella vita aperta dalle diecimila possibilità, invece che in quella artificiale e ristretta delle classi e dei collegi. Libertà per imparare veramente qualcosa perché non s'impara nulla di importante dalle lezioni ma soltanto dai grandi libri e dal contatto personale colla realtà. Nella quale ognuno s'inserisce a modo suo e sceglie quel che gli è più adatto invece di sottostare a quella manipolazione disseccatrice e uniforme ch'è l'insegnamento. Nelle scuole, invece, abbiamo la reclusione quotidiana in stanze polverose piene di fiati - l'immobilità fisica più antinaturale - l'immobilità dello spirito obbligato a ripetere invece che a cercare - lo sforzo disastroso per imparare con metodi imbecilli moltissime cose inutili - e l'annegamento sistematico di ogni personalità, originalità e iniziativa nel mar nero degli uniformi programmi. Fino a sei anni l'uomo è prigioniero di genitori, bambinaie e istitutrici; dai sei ai ventiquattro è sottoposto a genitori e professori; dai ventiquattro è schiavo dell'ufficio, del caposezione, del pubblico e della moglie; tra i quaranta e i cinquanta vien meccanizzato e ossificato dalle abitudini (terribili più d'ogni padrone) e servo, schiavo, prigioniero, forzato e burattino rimane fino alla morte. Lasciateci almeno la fanciullezza e la gioventù per godere un po' d'igienica anarchia! L'unica scusa (non mai bastante) di tale lunghissimo incarceramento scolastico sarebbe la sua riconosciuta utilità per i futuri uomini. Ma su questo punto c'è abbastanza concordia fra gli spiriti più illuminati. La scuola fa molto più male che bene ai cervelli in formazione. Insegna moltissime cose inutili, che poi bisogna disimparare per impararne molte altre da sé. Insegna moltissime cose false o discutibili e ci vuol poi una bella fatica a liberarsene - e non tutti ci arrivano. Abitua gli uomini a ritenere che tutta la sapienza del mondo consista nei libri stampati. Non insegna quasi mai ciò che un uomo dovrà fare effettivamente nella vita, per la quale occorre poi un faticoso e lungo noviziato autodidattico. Insegna (pretende d'insegnare) quel che nessuno potrà mai insegnare: la pittura nelle accademie; il gusto nelle scuole di lettere; il pensiero nelle facoltà di filosofia; la pedagogia nei corsi normali; la musica nei conservatori. Insegna male perché insegna a tutti le stesse cose nello stesso modo e nella stessa quantità non tenendo conto delle infinite diversità d'ingegno, di razza, di provenienza sociale, di età, di bisogni ecc. Non si può insegnare a più d'uno. Non s'impara qualcosa dagli altri che nelle conversazioni a due, dove colui che insegna si adatta alla natura dell'altro, rispiega, esemplifica, domanda, discute e non detta il suo verbo dall'alto. Quasi tutti gli uomini che hanno fatto qualcosa di nuovo nel mondo o non sono mai andati a scuola o ne sono scappati presto o sono stati "cattivi" scolari. (I mediocri che arrivano nella vita a fare onorata e regolare carriera e magari a raggiungere una certa fama sono stati spesso i "primi" della classe).
(continuazione)
RispondiEliminaLa scuola non insegna precisamente quello di cui si ha più bisogno: appena passati gli esami e ottenuti i diplomi bisogna rivomitare tutto quel che s'è ingozzato in quei forzati banchetti e ricominciare da capo. Vorrei che i nostri dottori della legge, per i quali la scuola è il tempio delle nuove generazioni e i manuali approvati sono i sacri testamenti della religion pedantesca, leggessero almeno una volta il saggio di Hazlitt sull'Ignoranza delle persone istruite, che comincia così: "La razza di gente che ha meno idee è formata da quelli che non son altro che autori o lettori. È meglio non saper né leggere né scrivere che saper leggere e scrivere, e non essere capaci d'altro". E più giù: "Chiunque è passato per tutti i gradi regolari d'una educazione classica e non è diventato stupido, può vantarsi d'averla scappata bella". Credo che pochissimi potrebbero - se sapessero giudicarsi da sé - vantarsi di una tal resistenza. E basta guardarsi un momento attorno e vedere quale sia la media intelligenza de' nostri impiegati, dirigenti, professionisti e governanti per convincersi che Hazlitt ha centomila ragioni. Se c'è ancora un po' d'intelligenza nel mondo bisogna cercarla fra gli autodidatti o fra gli analfabeti. La scuola è così essenzialmente antigeniale che non ristupidisce solamente gli scolari ma anche i maestri. Ripeti e ripeti anni dopo anni le medesime cose, diventano assai più imbecilli e immalleabili di quel che fossero al principio - e non è dir poco. Poveri aguzzini acidi, annoiati, anchilosati, vuotati, seccati, angariati, scoraggiati che muovon le loro membra ufficiali e governative soltanto quando si tratta di aver qualche lira di più tutti i mesi! Si parla dell'educazione morale delle scuole. Gli unici risultati della convivenza tra maestri e scolari è questa: servilità apparente e ipocrisia dei secondi verso i primi e corruzione reciproca tra compagni e compagni. L'unico testo di sincerità nelle scuole è la parete delle latrine. Bisogna chiuder le scuole - tutte le scuole. Dalla prima all'ultima. Asili e giardini d'infanzia; collegi e convitti; scuole primarie e secondarie; ginnasi e licei; scuole tecniche e istituti tecnici; università e accademie; scuole di commercio e scuole di guerra; istituti superiori e scuole d'applicazione; politecnici e magisteri. Dappertutto dove un uomo pretende d'insegnare ad altri uomini bisogna chiuder bottega. Non bisogna dar retta ai genitori in imbarazzo né ai professori disoccupati né ai librai in fallimento. Tutto s'accomoderà e si quieterà col tempo. Si troverà il modo di sapere (e di saper meglio e in meno tempo) senza bisogno di sacrificare i più begli anni della vita sulle panche delle semiprigioni governative. Ci saranno più uomini intelligenti e più uomini geniali; la vita e la scienza andranno innanzi anche meglio; ognuno se la caverà da sé e la civiltà non rallenterà neppure un secondo. Ci sarà più libertà, più salute e più gioia. L'anima umana innanzi tutto. È la cosa più preziosa che ognuno di noi possegga. La vogliamo salvare almeno quando sta mettendo le ali. Daremo pensioni vitalizie a tutti i maestri, istitutori, prefetti, presidi, professori, liberi docenti e bidelli purché lascino andare i giovani fuor dalle loro fabbriche privilegiate di cretini di stato. Ne abbiamo abbastanza dopo tanti secoli. Chi è contro la libertà e la gioventù lavora per l'imbecillità e per la morte.
(fine)
Grazie Sergio, per il tuo eccellente contributo.
RispondiEliminaPapini dice cose giustissime e si capisce che sa bene di cosa parla.
Tra i tanti concetti (di Papini e di Illich), quello che mi ha colpito di più è questo: che la scuola strutturata TOGLIE ai ragazzi il piacere naturale di imparare.
E mi pare una colpa davvero imperdonabile.