Da “L’ORIGINE DELLA DONNA” di ELAINE MORGAN
(seconda parte)
(seconda parte)
<< Tanto tempo fa, dunque, indietro nel tempo fino al mite miocene, esisteva una scimmia pelosa, generalizzata, vegetariana, pre-ominide. In essa non si era ancora sviluppato il cervello efficientissimo che distingue oggi la donna da tutte le altre specie. (…)
Come i gorilla attuali, essa si procurava il cibo sugli alberi e dormiva tra i rami, ma trascorreva parte del proprio tempo al suolo. Tuttavia era più piccola e più leggera di un gorilla; e non era fiduciosamente persuasa come il gorilla che la sua specie potesse sconfiggere qualsiasi altra creature in quella parte delle foreste.
Dopo un paio di milioni di anni di questa pacifica esistenza le prime ondate di calura torrida del pliocene cominciarono a inaridire il continente africano. Tutto intorno alla foresta gli alberi cominciarono a disseccarsi nella siccità e furono sostituiti da boscaglia e prateria. (…)
Si rese subito conto che là non si sarebbe trovata a suo agio. Disponeva di quattro mani più adatte ad afferrare che a camminare e al suolo non era molto veloce (…) Nella foresta aveva variato spesso la propria dieta a base di frutta cibandosi di piccoli insetti e di bruchi, e per molto tempo questo fu il solo cibo che le riuscisse di trovare e che le sembrasse remotamente edibile. (…) Divenne orrendamente magra e malconcia. (…)
I suoi fratelli maschi erano probabilmente più forti e meglio equipaggiati. (…) Il “proconsole”, ci si dice, aveva “grossi canini fatti per battersi”. Ardrey li paragona ai “magnifici pugnali sfoggiati dalle scimmie antropomorfe e dai babbuini”. Ma non è esattamente vero che tutti i babbuini sfoggiano magnifici pugnali. Soltanto i babbuini maschi li hanno. (…)
In breve la femmina si trovava in una situazione impossibile. Il solo cibo esistente in abbondanza era l’erba, che il suo stomaco non era in grado di digerire. Tutto in quell’ambiente (tranne gli insetti) era o più grosso, o più feroce, o più veloce di lei. Molti degli animali erano più grossi, più feroci e più veloci. (…) Tenuto conto delle circostanze, essa poteva diventare una cosa sola, e lo divenne subito. Finì col diventare il pranzo del leopardo. (…)
L’obiezione del lettore in genere è più sentita. Se questo primate disceso dagli alberi si estinse, che ne fu del lieto fine ? E noi ? Farò adesso una completa confessione e ammetterò che quella scimmia femmina non fu effettivamente la nostra nonna, ma una pro-prozia dal lato materno, così sfortunata da vivere al centro di un continente.
Centinaia e centinaia di chilometri più lontano, nei pressi della costa, viveva una sua cugina della stessa specie. (…) Essa constatò con gioia che ogni creatura sulle spiagge o nell’acqua era o più piccola, o più lenta, o più pavida di quanto lo fosse lei.
Passò con disinvoltura, quasi senza rendersene conto, dall’abitudine di cibarsi di piccoli insetti striscianti a quella di nutrirsi con piccoli striscianti gamberetti e granchiolini. C’erano migliaia di uccelli marini che nidificavano sulle scogliere, e poiché essa possedeva mani capaci di una salda presa e non soffriva di capogiri, colmò un’altra nicchia ecologica vuota andando in cerca di uova.
Oltre ai gamberetti, esistevano grosse creature dai gusci più duri, che assomigliavano ai mitili, ostriche e aragoste. Il suo compagno era solito stritolare i gusci o aprirli a forza con i denti simili a pugnali; essa invidiava ciò perché, non possedendo canini così lunghi, non sempre riusciva a sfamarsi. In un ozioso pomeriggio, dopo parecchi tentativi ed errori prese un ciottolo (…), colpì con esso uno dei gusci, e il guscio si spaccò. Provò ancora e ogni volta il risultato fu lo stesso. Così la femmina cominciò a servirsi di strumenti e il maschio la osservò e la imitò. (…)
Ogni volta che accadeva qualcosa di allarmante dalla parte dell’entroterra – o talora soltanto perché stava facendo così caldo – essa tornava ad addentrarsi nell’acqua fino alla vita, o addirittura fino al collo. Ciò significava, naturalmente, che era costretta a camminare eretta sugli arti posteriori. Si trattava di un’andatura lenta e goffa, specie all’inizio, ma era assolutamente essenziale se la scimmia voleva mantenere la testa sopra la superficie dell’acqua. (…)
La scimmia trascorreva tanto di quel tempo nell’acqua che la pelliccia finì con il diventare per essa soltanto un fastidio. (…) La pelliccia bagnata a terra non serve a nessuno, e la pelliccia nell’acqua tende a rallentare il nuoto. Essa cominciò a trasformarsi in una scimmia nuda per la stessa ragione in seguito alla quale la focena si trasformò in un cetaceo nudo, l’ippopotamo in un nudo ungulato, il tricheco in un nudo pinnipede, e il lamantino in un nudo sirenide. (…)
Questa teoria acquatica dell’evoluzione umana venne proposta per la prima volta dal professore di biologia marina Sir Alister Hardy, in un articolo pubblicato da “The New Scientist” nel 1960. (…)
Ricapitoliamo alcune altre tesi di Sir Alister. Non era stata soltanto l’assenza di peli degli uomini a indurlo a suggerire l’idea (…) Sul corpo umano i peli residui seguono esattamente le linee che verrebbero seguite dallo scorrere dell’acqua su un corpo il quale notasse. Se i peli, a scopi idrodinamici, si fossero adattati alla direzione della corrente prima di venire in ultimo eliminati, questo è per l’appunto quanto dovremmo aspettarci di osservare. (…)
Fece rilevare che il modo migliore di mantenersi caldi in acqua consiste nel disporre di uno strato di grasso sottocutaneo, analogo al grasso della balena, (…) e che nell’Homo sapiens, unico esempio tra i primati, si è effettivamente sviluppato tale strato, la cui esistenza non ha mai potuto essere spiegata altrimenti. (…)
[Esiste poi il fatto della calvizie, che è molto diffusa solo nei maschi]. Si sarebbe trattato di un vantaggio formidabile per il piccolo se i capelli della madre fossero stati lunghi abbastanza per avvolgervi le dita [nell’acqua] (…) quando avesse voluto riposarsi. Ciò spiegherebbe questo dimorfismo [sessuale] che nessuno ha mai chiarito in modo plausibile (…) A junior non sarebbe importato che la testa di “papà” fosse stata liscia e scivolosa, perché nell’acqua, come in precedenza sugli alberi, la madre era quella a cui si avvinghiava. (…)
Poiché stiamo parlando di piccoli, diamo ancora un’occhiata ai seni. La femmina di scimpanzé allatta perfettamente il piccolo mediante un paio di striminziti piccoli capezzoli situati su una superficie pettorale alquanto piatta, e non esiste nessuna ragione immediata e apparente per cui la scimmia nuda non avrebbe potuto fare altrettanto.
Ma le donne sono diverse; e la teoria andro-centrica decisamente prediletta vuole che la differenza costituisca un miglioramento estetico e che si sia evoluta come una sorta di stimolo sessuale.
Questo è essenzialmente un ragionamento circolare: “trovo questo attributo sexy: per conseguenza deve essersi evoluto affinché io potessi trovarlo sexy”. E’ come dire che la donna cammina ancheggiando perché ciò attrae il maschio. In effetti, essa cammina ancheggiando soltanto perché i suoi figli sono così intelligenti.
La necessità di far passare la testa di un bambino dal cranio voluminoso attraverso l’apertura pelvica ha impedito al suo scheletro di adattarsi alla deambulazione bipede con la stessa grazia dei suoi fratelli; e i maschi trovano questo difetto attraente soltanto perché lo associano alla femminilità. (…)
[Se però siete un piccolo da allattare] vi occorrono in realtà due cose: avete bisogno che il capezzolo si abbassi parecchio di più, e vi serve una massa di qualcosa di meno ossuto, qualcosa di duttile che abbia le dimensioni giuste affinché, con le piccole mani, riusciate a mantenere la presa mentre le giacete in grembo e a guidare le labbra verso il punto giusto. O, se volete, a guidare il punto giusto verso le vostre labbra.
E poiché siete il centro dell’evoluzione, quello che vi occorre in ultimo lo ottenete. Ottenete due bei seni penduli e soffici, facili a tenersi quanto un biberon e ridete. >>
ELAINE MORGAN
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