Si
conclude qui l’articolo di Giorgio Vallortigara sull’origine
delle facili credenze nel soprannaturale e nelle superstizioni. Lumen
(seconda
parte)
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La dicotomia nella rappresentazione mentale delle ‘entità’, [tra
quelle] animate e [quelle] inanimate, ha avuto conseguenze
inaspettate nella nostra specie, nella quale la sofisticatezza della
vita di relazione ha raggiunto livelli impensabili rispetto ad altre
specie pure sociali.
Come
sostiene lo psicologo Paul Bloom, la possibilità di trattare gli
oggetti fisici come entità separate dagli oggetti mentali ci ha reso
dei “dualisti intuitivi”, capaci cioè di concepire corpi privi
di menti e menti prive di corpo. I cadaveri, per esempio, sono
oggetti che hanno posseduto una mente, che sono stati abitati dallo
spirito, e per questo meritano forme di rispetto, sebbene lo spirito
ora li abbia lasciati. Spettri, angeli e demoni, invece, posseggono
delle menti, ma possono in misura maggiore o minore fare a meno dei
corpi. Il dualismo intuitivo costituirebbe, perciò, il fondamento
cognitivo della credenza in una vita dopo la morte.
È
nella letteratura, probabilmente, osserva Bloom, che meglio si palesa
il dualismo che è connaturato alla nostra psicologia. Nessuno crede
che sia una storia vera, ma tutti riusciamo a capire benissimo che
cosa possa voler dire svegliarsi una mattina con il corpo trasformato
in quello di uno scarafaggio, rimanendo nondimeno, in un qualche
senso profondo, la stessa persona, Gregor Samsa [si
tratta ovviamente de ‘La Metamorfosi’ di Franz Kafka - NdL].
È
bizzarro che si trovino plausibili storie come questa. Se la
trasformazione è avvenuta, essa deve aver riguardato l’organismo
tutto intero, quindi Gregor Samsa ora deve avere il sistema nervoso
di uno scarafaggio e pensare come uno scarafaggio (qualsiasi cosa
questo possa voler dire!). Si palesa, qui, un altro tratto
costitutivo delle nostre menti che fornisce ulteriore supporto alle
credenze nel sovrannaturale, l’essenzialismo psicologico.
L’essenzialismo è l’idea per cui certe categorie di cose (le
donne, i gruppi razziali, le lucertole, i quadri di Matisse)
posseggono una loro natura interna, un’essenza per l’appunto, non
osservabile direttamente, che definisce la loro identità e spiega le
somiglianze tra membri della stessa categoria.
Le
proprietà delle essenze tendono [anche] a trasferirsi da un corpo
all’altro. Lo psicologo Bruce Hood lo illustra con un semplice
esempio: sareste disposti a indossare il maglione di un serial killer
? E perché no ? Davvero pensate che la tendenza all’omicidio
seriale possa trasferirsi tramite un maglione, contagiandovi come un
bacillo ? Insensato, certo. Eppure, quante storie avete letto e
quanti film avete visto centrati sull’idea che dopo un trapianto di
cuore qualcosa dell’espiantato, una qualche virtù o un qualche
orribile vizio psicologico, si possa trasferire nel trapiantato
mediante l’innesto del muscolo cardiaco ?
Se
provate a chiedere a un bambino in età prescolare se una lucertola
senza zampe sia ancora una lucertola e non invece un serpente, cui di
fatto assomiglia maggiormente dopo l’amputazione, vi risponderà
che sì, la lucertola è ancora una lucertola, non è diventata un
serpente. Ci saremmo potuti aspettare che per i bambini le qualità
percettive delle cose, quelle “superficiali” per così dire,
siano più importanti di quelle “profonde”, essenziali. Invece i
bambini sono essenzialisti da subito.
In
ambito scientifico l’essenzialismo viene giustamente guardato con
sospetto, perché è stato causa di molte controversie. Per esempio,
quelle attorno alla definizione di che cosa sia “vivente”.
Nozioni come quella di “razza” non corrispondono ad alcuna
sottostante essenza. Lo stesso vale per la nozione di “specie”,
perché le specie evolvono e sono definite a livello di popolazione e
non come proprietà intrinseca degli individui. Molte discussioni che
investono la sfera civica, etica e religiosa sono legate
all’essenzialismo (l’aborto, le cellule staminali, gli OGM). Ciò
accade presumibilmente a causa del fatto che pensare in termini
essenzialistici fa parte del nostro retaggio biologico.
La
psicologa Susan Gelman ha raccolto molte importanti osservazioni a
favore dell’idea che i bambini in età prescolare siano
spontaneamente essenzialisti. Per esempio, i bambini sembrano
possedere una sorta di concezione intuitiva di “potenziale innato”,
cioè l’idea che certe proprietà siano stabilite alla nascita. Se
viene loro raccontata la storia di un coniglio che è stato adottato
da una coppia di scimmie e si chiede ai bambini se il coniglio
mangerà carote o banane e se avrà le orecchie corte oppure lunghe,
questi rispondono tipicamente affermando che il coniglio mangerà
carote e avrà le orecchie lunghe. Ciò anche se il coniglio non ha
mai mangiato carote da piccolo e non ha mai visto carote in vita sua.
Per i bambini, mangiare carote sembra inerente alla natura dei
conigli: si tratta di una proprietà che presto o tardi deve
necessariamente esprimersi, un potenziale innato appunto.
Numerosi
dati raccolti dagli antropologi in culture diverse convergono
sull’idea dell’essenzialismo. In tutte le culture studiate, a
dispetto delle diversità che queste mostrano nel modo di concepire
la nascita e le pratiche di allevamento, i bambini e gli adulti
sottoposti a diverse varianti del test dell’adozione mostrano di
concepire l’appartenenza a una specie come un tratto determinato da
un’essenza, da un potenziale specifico e innato.
È
interessante come le persone siano disposte a ritenere che una
categoria possegga un’essenza, senza che esse sappiano in che cosa
consista tale essenza. Le persone sono convinte che vi debbano essere
importanti differenze nella struttura mentale di maschi e femmine o
che certe precise entità di natura genetica definiscano
l’appartenenza a una razza, ma non saprebbero dire quali esse
siano.
In
effetti, non è importante che lo sappiano per ciò che riguarda la
funzione biologica dell’essenzialismo. Le essenze servono come dei
“segnaposto concettuali”, consentono cioè di distinguere i
membri di una categoria come simili a causa di una struttura interna,
che è comune a tutti loro e che è innata o biologicamente
determinata, stabilendo altresì dei confini netti per la categoria,
fissi e immutabili.
Da
questo punto di vista le essenze sono preziose, perché consentono di
esercitare inferenze su base induttiva. L’induzione è quel
processo per cui estendiamo la nostra conoscenza a nuove entità a
partire dalle proprietà di una categoria, come quando stabiliamo che
un certo tipo di fungo nuovo, mai incontrato prima, è velenoso sulla
base degli altri funghi velenosi incontrati in precedenza.
Le
inferenze che sono condotte dai bambini appaiono essere in accordo
con una concezione essenzialista per due aspetti cruciali: primo, i
bambini trasferiscono con grande facilità le proprietà interne e le
funzioni non visibili da un membro di una categoria a un altro;
secondo, i bambini traggono tali inferenze anche quando
l’appartenenza alla categoria contrasta con le proprietà
percettive superficiali. Se faccio vedere a un bambino un insetto che
ha l’aspetto esterno di una foglia, spiegandogli che si tratta di
un insetto, egli attribuirà all’insetto, senza alcun
addestramento, proprietà da insetto e non da foglia,
indipendentemente dal suo aspetto.
Essenzialismo,
pensiero teleologico e dualismo intuitivo rappresentano dunque
fondamentali adattamenti cognitivi che hanno generato, come
sottoprodotti, la nostra inclinazione a credere al sovrannaturale e
alle superstizioni in generale. Per quali ragioni biologiche si
sarebbero sviluppati questi adattamenti è abbastanza chiaro: gli
agenti sono categorie fondamentali per riconoscere potenziali prede,
predatori, partner sociali o sessuali. Perciò, se vediamo un ramo
spezzato nel bosco tenderemo a interpretarlo come il segno che
“qualcuno” è passato di lì, anziché il risultato accidentale
di un evento naturale, “qualcosa” come un temporale.
D’altronde,
cooperazione e competizione sociale necessitano di raffinate abilità
d’interpretazione e anticipazione dei comportamenti altrui: in
questo senso, la capacità di rilevare tracce di agentività e
d’interpretarle è fondamentale. E il prezzo da pagare per tutto
ciò, la nostra credulità, sembra tutto sommato esser valso la pena.
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GIORGIO
VALLORTIGARA