Da
dove proviene la nostra inclinazione a credere nel soprannaturale o
nelle superstizioni in generale ?
A
credere, con sincera convinzione, nell’esistenza di esseri
superiori chiamati dei o in una vita dopo la morte ?
Pare
che tutto nasca dal fatto che siamo diventati, in sommo grado, dei
“dualisti intuitivi”, portati a suddividere il mondo esterno in
due grandi categorie separate tra loro: da una parte i ‘corpi’ e
dall’altra le ‘menti’.
A
questi meccanismi cognitivi, alle loro cause ed alle loro
conseguenze, è dedicato l’interessante articolo che segue (diviso
in 2 parti), scritto da Giorgio Vallortigara e tratto dal sito della
UAAR.
LUMEN
<<
Siamo tutti creduloni, almeno un po’. A tal riguardo l’antropologo
cognitivo Scott Atran ha confezionato una divertente messa in scena
per i suoi studenti. Egli entra in aula con una scatoletta finemente
decorata e dall’aspetto esotico, spiegando che si tratta di un
reperto delle sue esplorazioni etnografiche: un oggetto magico che, a
detta dei membri della tribù che gliene hanno fatto dono, avrebbe la
proprietà di far scomparire qualsiasi oggetto vi venga riposto,
qualora l’individuo proprietario dell’oggetto medesimo dubitasse
o addirittura osteggiasse gli spiriti che abitano la scatoletta.
Scettici e razionalisti quali sono, i ragazzi accolgono
l’informazione con manifesta incredulità.
A
questo punto, con aria molto seria, Atran lascia la cattedra
avvicinandosi a uno degli studenti e, fissandolo negli occhi, lo
invita a riporre nella scatoletta la sua patente di guida o a
infilarci un dito. E qui succede qualcosa d’interessante. Lo
studente ha un attimo di esitazione e spesso esibisce un sorriso
tirato, facendo mostra di essere a disagio. Poi di solito fa quel che
deve, infilando la patente o il dito nella scatolina magica. Ma
quell’attimo di esitazione, che sembra essere un tratto comune
riscontrabile negli individui delle culture più diverse, perfino in
quelli addestrati ai metodi e alle procedure del pensiero scientifico
occidentale, come gli studenti di Atran, è un fenomeno che richiede
di essere spiegato.
Come
mai – pur asserendo magari di non credere alle superstizioni –
cerchiamo di evitare che un gatto nero ci attraversi la strada,
facciamo gli scongiuri toccando ferro o leggiamo l’oroscopo sul
giornale ? E perché in tutte le culture del mondo le persone hanno
sviluppato una serie di credenze relative all’esistenza di entità
che violano platealmente alcune fondamentali proprietà del mondo
fisico e biologico (fantasmi che passano attraverso i muri, zombie
che camminano anche se sono defunti, angeli in sembianze umane capaci
di volare, santi in grado di perpetrare varie specie di miracoli,
ecc.) ?
Le
ricerche condotte in questi ultimi anni da scienziati cognitivi,
neuro-scienziati e psicologi evoluzionisti hanno cominciato a gettare
un po’ di luce su questi fenomeni. C’è un primo fatto da
considerare: gli organismi biologici sono stati foggiati dalla
selezione naturale per essere efficientissimi “rilevatori di
causalità”. Efficientissimi, ma non accurati. Infatti, i
meccanismi che nel sistema nervoso si occupano di rilevare le
relazioni di causa-effetto sono basati sulla rilevazione di una
relazione di contingenza temporale e, perciò, non sanno davvero se
la relazione sia causale o se sia, appunto, una contingenza, una mera
correlazione.
C’è
un celebre esperimento che lo dimostra. A intervalli casuali si fa
cadere un po’ di cibo nella mangiatoia di un piccione. Dopo breve
tempo l’animale sviluppa dei movimenti stereotipati, che egli
riproduce più e più volte, come per esempio sbattere le ali o
girare in tondo su se stesso. Nulla predice l’evento della caduta
del cibo nella mangiatoia, ma il piccione si comporta come se le
azioni che per caso si è trovato a condurre un istante prima della
caduta del cibo fossero la causa della caduta del cibo. Se, per
esempio, è successo che poco prima di ottenere il cibo l’animale
ha girato il capo per pulirsi le piume del collo, egli in seguito
tenderà a ripetere l’azione. Se il premio è elargito con relativa
frequenza, accadrà ancora che la pulizia del collo sia seguita, per
puro caso, dalla somministrazione del cibo. E questo accentuerà
vieppiù il mantenimento dell’azione.
Vi
suona familiare ? Vi è capitato di scendere dal letto e di indossare
prima la ciabatta sinistra e poi quella destra e di godere poi di una
giornata straordinariamente fortunata ? E di decidere perciò il
mattino seguente che, sì certo, i due eventi probabilmente non
intrattenevano tra loro relazione alcuna, ma, tutto sommato, valeva
la pena di riprovarci, indossando nuovamente prima la ciabatta di
sinistra e poi quella di destra ? Eh già …
L’ossessione
per le relazioni causali non basta però a spiegare la nostra
inclinazione al sovrannaturale. Perché, come abbiamo già visto, la
nozione di causa implica l’idea di un agente causale. Ed è a un
tipo particolare di agenti causali – spesso invisibili – che è
dedicata prioritariamente la nostra attenzione: gli agenti animati.
Tra le scoperte più singolari delle ricerche sullo sviluppo
cognitivo infantile vi è l’osservazione che i bambini di età
prescolare tendono a spiegare gli eventi del mondo come prodotti da
qualcuno piuttosto che da qualcosa. A un’interrogazione più
attenta, si scopre altresì che questo “qualcuno” non si
identifica precisamente con una persona umana, foss’anche la mamma
o il papà, ma in un non meglio [specificato] agente intenzionale
astratto.
Oltre
a ciò, i bambini prediligono le spiegazioni funzionaliste degli
eventi. Tendono cioè a concepire gli oggetti del mondo naturale come
“costruiti per uno scopo” (pensiero teleologico) e manifestano
questa tendenza in modo affatto indipendente da quello che gli adulti
possano aver insegnato loro. Naturalmente nell’età adulta nuovi
sistemi di credenze causali, veicolati dall’istruzione e in
generale dalle conoscenze che si acquisiscono, possono sovraimporsi
alle concezioni intuitive predisposte dalla nostra biologia, ma non
possono eliminarle.
Per
esempio, le psicologhe Deborah Kelemen ed Evelyn Rosset hanno
mostrato che le persone adulte, quando sono richieste di fornire
velocemente un giudizio di plausibilità scientifica ad affermazioni
erronee di tipo teleologico (per esempio, “il sole irraggia la
terra perché il calore facilita la vita”), appaiono più propense
a giudicarle corrette di quanto non lo siano nei confronti di
affermazioni che, seppur sbagliate, sono di tipo non-teleologico (per
esempio: “le colline si sono formate a causa della glaciazione
delle acque sotterranee”).
Sembra
dunque esserci un’universale preferenza nella nostra specie a
comprendere e spiegare il mondo in termini di scopi e funzioni, di
agenti dotati di obbiettivi e intenzioni. Ma da dove viene questa
predilezione per gli agenti intenzionali che agiscono mossi da
obbiettivi e scopi ? Per quale motivo gli esseri umani ricercano
ossessivamente tracce di “agentività” (agency), captando nel
fruscio elettronico prodotto da una radio mal sintonizzata le voci
dei defunti o attribuendo le catastrofi naturali alla volontà di
qualche dio vendicativo irritato dai nostri comportamenti ?
La
storia inizia nella culla, nella distinzione che noi compiamo
precocissimamente tra gli oggetti fisici, inanimati, e quelli
psicologici, animati. La distinzione è così basilare da essere
presente anche in specie molto lontane da noi e senza alcuna forma di
apprendimento [6]. Gli oggetti animati sono naturalmente anch’essi
entità di tipo fisico, ma si muovono spinti da intenzioni e possono
essere tristi o allegri, aggressivi o amichevoli. I bambini
possiedono una capacità innata di distinguere gli oggetti animati da
quelli non animati. E noi adulti possediamo aree cerebrali
specificamente dedicate al trattamento degli uni e degli altri tipi
di oggetti. >>
GIORGIO
VALLORTIGARA
(continua)
COMMENTO DI SERGIO
RispondiEliminaRicordo che persino F. d’Arcais, in un dibattito
che ti avevo segnalato, sostiene che “siamo portati
a credere", sembra che sia una tendenza innata.
Ma la cosa mi sembra naturalissima, e anche noi
gente più o meno istruita crediamo un mucchio
di cose in base all’autorità che afferma certe cose.
Io non saprei da dove cominciare per dimostrare
che la velocità della luce è davvero di ca. 300’000
km/sec (in realtà 270’000 e rotti). O non saprei
come misurare la distanza Terra-Luna. Noi assumiamo
per certe, dimostrate, non più discutibili un sacco
di cose in base al solo principio di autorità. Che
è naturalmente un sano principio, la nostra vita
sarebbe impossibile se non ci potessimo fidare
di qualcuno.
E il bambino “naturalmente” si fida ciecamente
dei genitori che sono per lui onnipotenti, vere
divinità. Quello che dicono è vero, non possono dubitare,
è impossibile immaginarsi un bambino critico.
Sembrerebbe che anche la materia vivente
non possa far altro che imitare. I bambini
imitano i gesti dei genitori, fanno come loro,
tendono a identificarsi. Così comincia la nostra
vita e così prosegue finché non ci accorgiamo che
i genitori non sanno tutto, non sono onniscienti.
Ma all’inizio c’è la “necessaria” e assoluta fiducia
e l’imitazione. Perciò per la Chiesa era fondamentale
la pratica religiosa in famiglia - che è accolta
dal bambino senza mugugni e domande. Ed è
anche in relazione all’educazione - religiosa o meno -
che i bambini apprendono dell’esistenza di esseri
invisibili ma reali. A supporto i genitori possono
far credere che certe cose siano avvenute proprio
per l’intervento di tali esseri. Di cui non è lecito
dubitare. Ma prima del dubbio - che inevitabilmente
sopraggiungerà - c’è l’atto di fede. Prima nelle
capacità dei genitori e degli insegnanti e poi
nelle cose che loro affermano e che c’inducono a
credere. Un classico è la famosa affermazione:
il diavolo è furbo e il massimo della sua malizia,
per fregarci meglio, è di farci credere che non esista.
Poi nell’età adulta del diavolo e del padreterno
hanno dubitato in molti, ma per paura solo pochi
hanno avuto il coraggio di dirlo, i dubbi se li tenevano
per sé. E abbiamo perciò avuto potenti della Terra
e autentici geni che erano credenti come i più
sprovveduti (e avevano il terrore di finire all’inferno).
In conclusione: è vero che siamo portati a credere
per natura, è un’inclinazione assolutamente naturale
e necessaria alla sopravvivenza biologica e poi
anche al nostro stato sociale. Ma poi si arriva alla
critica, altrettanto naturale e necessaria (vediamo
che noi e tutti ci sbagliamo, siamo costretti a rivedere
le nostre opinioni). Consideriamo matura e/o intelligente
una persona che sa distinguere la verità, la realtà, da pure
congetture. Tuttavia anche le persone più intelligenti
e ipercritiche conservano anche loro quella tendenza
iniziale e naturale. Immagino che nessuno abbia dubitato
della realtà di un attentato alle Torri gemelle. Eppure
circolano voci che si sia trattato di un “autoattentato”
del governo americano (io non ci credo, non ci posso credere
(come vedi anche qui uso il verbo credere, non dico
io so che la tesi dell’autoattentato è una balla). C’è
anche chi dice che lo sbarco sulla Luna non c’è mai stato.
Per la gente semplice
fa autorità la televisione o la carta stampata.
Il famoso imprinting dell’anatroccolo che considera
suo padre o sua madre il primo essere vivente che
vede può anche farci capire che “la fede viene prima
della critica”.
Dunque, sì, siamo portati naturalmente a credere,
ma specialmente noi umani sviluppiamo presto anche
la facoltà di dubitare, di rivedere certi giudizi.
Fra parentesi, non c’è persona più antipatica di
chi per principio mette sempre tutto in dubbio:
non ci credo, a me non la si fa, tutte balle.
Una persona normale oscillerà sempre tra la
fede e il dubbio prima di acquisire la certezza.
Caro Sergio, certamente per le persone più colte e consapevoli non è una grande sorpresa che esistano delle basi biologiche alla nostra notevole facilità di credere, che condiziona, nel bene e nel male, tutta la nostra vita sociale.
EliminaMa sono sicuro che per molte altre persone potrebbe esserlo.
Ed alcune di queste potrebbero addirittura rifutare il suddetto collegamento, in quanto sminusce la 'grandezza mentale' dell'homo sapiens ed il suo mitico libero arbitrio (che viene direttamente dal 'dio' creatore e quindi... guai a toccarlo).
Io sono convinto invece che se abbiamo consapevolezza delle nostre debolezze biologiche, siamo meno costretti a subirle e possiamo diventare più forti.
Forse vale la pena di aggiungere che alcuni anni fa il bravo Vallortigara con lo scienziato Girotto e il filosofo Pievani ha pubblicato un importante saggio (eloquentemente intitolato 'Nati per credere') in cui gli Autori non solo approfondiscono in maniera esauriente e convincente la tesi fondamentale esposta nell'Articolo qui riportato ma anche/soprattutto sottolineano la (paradossale ma non troppo) origine & valenza adattativo-evolutiva della credenza non solo nelle spiegazioni di carattere finalistico ma anche in entità sovrannaturali tout court... Saluti
RispondiEliminaGrazie per la segnalazione.
EliminaDeve trattarsi sicuramente di un libro interessante, che non mi dispiacerebbe leggere.
Oltretutto si tratta di un argomento che, per una serie di motivi, non sembra molto esplorato dagli studiosi.