Quando,
circa 30 anni fa, i tedeschi occidentali corsero in aiuto dei cugini
orientali, che, dopo la caduta del muro di Berlino, si erano appena
liberati dal soffocante controllo sovietico, erano tutti contenti:
gli occidentali perché finalmente avrebbero riabbracciato i loro
“fratelli” più sfortunati, e gli orientali perché finalmente
sarebbe arrivato il benessere.
Ma
le cose non andarono proprio così, come racconta il bellissimo libro
di Vladimiro Giacché intitolato (non casualmente) “Anschluss.
L’annessione. L’unificazione della Germania e il futuro
dell’Europa”.
Quella
che segue è l’interessante recensione di Luca Cangianti, tratta
dal sito Carmilla.
LUMEN
<<
La Repubblica democratica tedesca (RDT), [ovvero] la Germania Est,
era un paese del blocco real-socialista. Alla fine degli anni ottanta
del secolo scorso la sua economia era decotta e presto sarebbe
fallita sotto il peso dei debiti. La Repubblica federale tedesca
(RFT), [ovvero] la Germania Ovest, tese generosamente la mano ai
connazionali d’oltre muro con il “Trattato d’unione monetaria”
che entrò in vigore il 1° luglio del 1990, permettendo ai cittadini
tedesco-orientali di avere libero accesso alle merci occidentali.
Dopo l’unione politica entrata in vigore il 3 ottobre dello stesso
anno, il governo della Germania unificata avviò una politica di
investimenti per ricostruire e integrare la disastrata economia
dell’est.
È
questa in sintesi la narrazione corrente e ufficiale
dell’unificazione tedesca che Vladimiro Giacché mette radicalmente
in discussione in “Anschluss” basandosi su una vasta
documentazione per la maggior parte inaccessibile a chi non conosca
il tedesco. Nonostante si tratti di un lavoro di storia economica, il
focus del libro è immediatamente rivolto al presente politico.
Secondo Giacché, infatti, rileggendo le vicende che portarono alla
fine della RDT si può capire molto di quello che sta avvenendo oggi
nell’eurozona. Basta mettere al posto della Germania Est i
cosiddetti Piigs (Portogallo, Italia, Irlanda, Grecia e Spagna) (…).
Il
dispositivo sperimentato nei confronti della RDT sta oggi lavorando
nei paesi periferici dell’Unione europea mediante la spirale del
debito, degli inutili e dannosi tentativi di porvi argine, delle
privatizzazioni, delle politiche recessive dell’austerità, della
distruzione dello stato sociale e del tessuto produttivo. Grazie al
vincolo monetario è stato messo all’opera un meccanismo di
esproprio che nella RDT ha svolto le funzioni sia di accumulazione
originaria che di creazione di una zona interna di sottosviluppo
funzionalizzata alle esigenze di valorizzazione del capitale.
Qualcosa di simile avvenne con il Mezzogiorno d’Italia e ora
rischia di accadere nuovamente con l’attuale processo di
unificazione europea.
Ma
veniamo ai fatti. Con l’unione monetaria del 1990 i marchi
orientali furono cambiati con un rapporto 1 a 1 con quelli
occidentali, mentre il loro rapporto reale era di 4,44 a 1. Ne
conseguì un brutale e repentino apprezzamento della valuta usata
all’est di quasi il 450%. Ciò fece lievitare surrettiziamente i
debiti delle aziende nei confronti dello stato. In verità non si
trattava di debiti veri e propri come nella contabilità di
un’azienda privata, ma di somme che lo stato socialista riallocava
dopo averle ricevute dalle aziende stesse. In quanto proprietario
dell’intero patrimonio industriale, nella RDT lo stato incamerava i
profitti per poi “prestarne” una parte alle stesse aziende che li
avevano generati.
In
soli due anni, inoltre, l’export orientale crollò del 56%, senza
che fossero più possibili forme di svalutazione competitiva. Le
imprese della Rdt persero immediatamente i mercati dell’Europa
dell’est verso i quali si dirigevano gran parte delle loro
esportazioni, che prima dell’unione monetaria ammontavano al 50%
della produzione nazionale. La caduta del PIL non ebbe pari tra gli
altri paesi europei del Comecon, con la particolarità che la RDT era
l’economia più sviluppata del gruppo.
La
disoccupazione, precedentemente assente e vietata per dettato
costituzionale, raggiunse nel settembre del 1990 un milione e 800
mila di unità, rimanendo anche nei decenni a seguire tra le più
alte dell’intera Unione europea. Il risultato è che ancora oggi il
44% della popolazione tedesco-orientale vive di sussidi, con un PIL
pro capite inferiore del 27% rispetto a quella dell’ovest. Intere
zone industriali sono state riassorbite dalla natura, molti centri
urbani si sono spopolati e il tasso di natalità, prima superiore a
quello della Rft, è caduto sotto la soglia della pura riproduzione.
Secondo
le argomentazioni contenute in Anschluss, insomma, il disastro
economico e sociale dell’est tedesco non fu tanto il punto di
partenza del processo di unificazione monetaria, quanto il suo
risultato. Alla vigilia di tale passaggio la RDT era sicuramente
un’economia affetta da bassa produttività (45-55% di quella della
RFT), invecchiamento dei macchinari e insufficienti investimenti
infrastrutturali, tutti mali presenti anche nelle altre economie
real-socialiste, in particolar modo a partire dagli anni settanta.
Nel dopoguerra, inoltre, la RDT aveva dovuto farsi carico della gran
parte del peso dei risarcimenti di guerra senza poter beneficiare del
piano Marshall. Ciò nonostante era riuscita a svilupparsi
industrialmente in molti settori e alla vigilia dell’unificazione
non era certo prossima alla bancarotta.
Il
valore dei suoi asset industriali era stimato infatti in 600 miliardi
di marchi dal presidente della Treuhandanstalt, l’agenzia
fiduciaria che fu preposta alla privatizzazione del patrimonio
pubblico della RDT. Tale operazione si risolse con un colossale
esproprio senza indennizzo ai danni dei cittadini tedesco-orientali e
con una distruzione di ricchezza di dimensioni belliche. Gli
acquirenti delle imprese della RDT furono per l’87% a tedeschi
dell’ovest, per i 7% stranieri e solo per il 6% a cittadini
dell’est.
La
maggior parte delle aziende furono chiuse, smembrate, trasformate in
succursali distributive di imprese dell’ovest o in aziende di
subfornitura gerarchicamente subordinate. Il tutto avvenne senza che
fossero organizzate aste, ma con trattative private, mentre agli
esecutori di tali privatizzazioni fu concessa una garanzia di
copertura legale e finanziaria sul loro operato. Gli atti della
commissione parlamentare d’inchiesta chiusasi al riguardo nel 1994
sono stati secretati per l’80%. (…)
Questi
fatti ci riportano al titolo del libro. Anschluss significa
annessione, ma in storia contemporanea con questo termine tedesco si
indica la specifica inclusione violenta dell’Austria all’interno
della Germania hitleriana avvenuta nel 1938. Ebbene l’unificazione
del 1990 non è avvenuta mediante un esercito d’invasione, ma con
il consenso indiretto degli elettori tedesco-orientali che, forse
pensando di trasformarsi d’incanto in benestanti bavaresi, diedero
la maggioranza ai partiti favorevoli a questa opzione. Tuttavia i
nazisti apportarono al diritto austriaco solo alcune modifiche, anche
se estremamente drammatiche (si pensi alle leggi razziali). Di contro
alla RDT sono state estese, praticamente in toto, le leggi della
Germania Ovest. Come in un processo di colonizzazione.
Ai
margini di questa narrazione mi pongo un interrogativo: come è stato
possibile che i cittadini dell’ex RDT che nel 1992 sentivano di
aver subito una sorte di tipo coloniale fossero gli stessi che solo
due anni prima votavano per i partiti favorevoli all’annessione?
Come è stato possibile che la stragrande maggioranza dei tedeschi
dell’est acconsentisse alla propria spoliazione?
Una
risposta debole è che se le necessarie riforme economiche fossero
state effettuate in tempo utile e fossero state introdotte iniezioni
di democrazia, il bambino socialista non sarebbe stato gettato con
l’acqua sporca burocratica mediante la grande truffa
dell’unificazione. Eppure l’implosione dei paesi dell’est
europeo è stata di una dimensione e di una profondità tali da non
render più credibile e desiderabile un modo di produzione socialista
accerchiato dal mare capitalistico. In condizioni simili, le
pressioni esterne sono tali da poter essere sopportate,
transitoriamente, qualora si riesca a ingenerare un processo
espansivo – come quello cui puntavano i rivoluzionari russi nel
1917, senza che furono in grado di conseguirlo, o come quello che
oggi, in una situazione molto diversa, sembrano portare avanti alcuni
governi progressisti latinoamericani.
Di
contro laddove si è pensato di stabilizzare il socialismo in un’area
con tassi di produttività inferiori rispetto a quelli vigenti nei
paesi capitalisti avanzati si è aperta la via a forme di
degenerazione che hanno portato a regimi autoritari e a nuove
stratificazioni sociali basate sul monopolio del potere politico. Ciò
si è prodotto perché la resistenza al perdurante capitalismo
egemone al livello planetario ha sottoposto le società
postrivoluzionarie a pressioni tali che per esser arginate hanno
portato a esercizi di forza e di disciplina defatiganti, mutageni e
autodistruttivi.
La
storia della RDT in fondo testimonia proprio questo. Lo scambio
neo-corporativo tra il monopolio politico detenuto dall’élite dei
funzionari e la garanzia dei diritti sociali assicurata ai cittadini,
una volta finito il periodo di emergenza postbellica, ha contribuito
al peggioramento dei tassi di produttività e di innovazione
tecnologica, con particolare riferimento alla rivoluzione informatica
avviata negli anni settanta. In queste condizioni il pervasivo
controllo poliziesco della Stasi nulla ha potuto di fronte allo
scintillio delle merci esibite nei grandi magazzini della KaDeWe di
Berlino ovest.
In
conclusione, l’utilità del libro di Vladimiro Giacché è doppia.
Da una parte ci svela con grande chiarezza le modalità
dell’esproprio e della “mezzogiornificazione” in corso in
Europa attraverso l’esempio storico della RDT. Dall’altra
aggiunge elementi oggettivi di riflessione per chi si proponga come
obiettivo il superamento del capitalismo, dopo la disfatta del
socialismo reale. >>
LUCA
CANGIANTI
Commento di Sergio
RispondiElimina(inserito da me per motivi tecnici)
Da quel che si legge nei giornali all'est c'è grande scontento (come forse testimoniano pure i movimenti di AfD e Pegida). Nonostante tutto la RfT ha fatto molto per l'est, la tassa di solidarietà istituita per lo sviluppo dell'est è tuttora in vigore (a quasi trent'anni dall'Anschluss!).
E il tenore di vita dei tedeschi orientali è sicuramente superiore ai tempi del socialismo, anche se non raggiunge il livello dei tedeschi occidentali. Le lamentele degli orientali sono perciò almeno in parte ingiustificate (l'ex cancelliere Schmidt s'incavolò per queste lagnanze considerando appunto il maggiore tenore di vita degli orientali rispetto al passato). Gli orientali si aspettavano di più? Ma i tedeschi pagano ancora la tassa istituita per loro (anche se probabilmente non si svenano per questo).
Ma è difficile giudicare, almeno per il sottoscritto. Non me ne intendo. Allora dovrei starmi zitto, è vero. Il mio è solo un parere senza pretese.
Caro Sergio, certamente le cose sono state piuttosto complesse e per la RFT ci sono stati dei pro e dei contro.
RispondiEliminaMa l'impressione è che i pro, derivanti dall'acquisizione per pochi marchi delle aziende orientali, siano andati a favore delle elites (banche, industrie, grandi imrpese) mentre i contro, che gravavano sulla fiscalitè generale, siano andati a carico della gente comune.
Come sempre, nihil sub sole novi.