sabato 26 ottobre 2013

L'Isola che non c'è

Ci sono tante isole immaginarie nella storia della letteratura: dall’isola del tesoro all’isola di niente, dall’isola misteriosa all’isola nel cielo e molte altre.
Tra tante isole virtuali, ve n’è una che pur non essendo segnata su nessuna  carta geografica, può essere vista ugualmente: è quella, squallida e mostruosa, che galleggia al largo dell’oceano pacifico ed è fatta totalmente di rifiuti.
Un’isola che, oltre ad essere un grave problema ecologico, è anche una metafora del nostro possibile, triste destino.
Ce ne parla l’amico Agobit in questo post, tratto dal suo blog “Un pianeta non basta”.
LUMEN


<< C’è un subcontinente fatto di isole galleggianti sparpagliate e semisommerse che nessuno conosce e che nessuna carta geografica riporta, situato al centro del Pacifico. Ha circa 50 metri di spessore e si estende frastagliato in isolotti, per un’area grande come gli Stati Uniti.
E’ un silenzioso mostro ambientale che si accresce giorno per giorno nel silenzio dei media e nel disinteresse dei governi: è  il subcontinente della spazzatura che ormai intossica gli oceani e altera irreversibilmente la superficie marina. (…)

Sette miliardi e mezzo di umani producono montagne e montagne di rifiuti urbani che non hanno più smaltimento e finiscono per accumularsi sulla terra e nei mari.
La civiltà che si sta sempre più caratterizzando come la civiltà dei rifiuti è quella che sta attualmente globalizzandosi su tutto il pianeta: la civiltà dei consumi.

Ci sono nel mondo sette miliardi e mezzo di consumatori attuali o potenziali. Tutti aspirano a diventarlo, non esistono più differenze di ideologie o di religioni sotto questo aspetto: tutti vogliono consumare e due sono i poteri planetari che dominano e dirigono il fenomeno: la finanza ed il mercato.

Il potere dei consumi si è rivelato in tutta la sua efficacia dopo il 1989. Per decenni il mondo occidentale e l’Unione Sovietica si erano fronteggiati con armi, aerei da guerra, navi e missili nella cosiddetta “guerra fredda”.
Poi inaspettatamente due aspetti della civiltà consumistica, i supermercati e la televisione, hanno in pochi anni distrutto l’ideologia socialista e comunista  che sembrava fino a pochi anni prima inarrestabile e sempre più diffusa.

Il trionfo consumista travolse  la cortina di ferro ed i  regimi dell’est , provocando la fuga, verso l’occidente alla ricerca delle merci e dei consumi,  di milioni di figli del socialismo reale.
Il consumismo ha però come effetto collaterale l’aumento dei costi della crescita  dei figli  ed in genere lo sviluppo economico, dopo alcuni anni, si accompagna ad una minore natalità delle popolazioni interessate.

I paesi sottosviluppati mantengono invece alti tassi di natalità, e lo sviluppo economico - nei casi in cui arriva -  spesso non basta a cambiare la mentalità se non si accompagna a politiche efficaci di rientro demografico.
L’effetto complessivo a livello di demografia planetaria è  quello di un boom demografico inarrestabile che l’ONU nel suo ultimo rapporto quantifica in una previsione di sviluppo della popolazione mondiale fino a  9,6 miliardi nel 2050 e addirittura di 11 miliardi a fine secolo. 

Questa crescita avverrà per la maggior parte nei paesi arretrati o in via di sviluppo. (…)
Accanto a questa esplosione vi è l’imponente processo di urbanizzazione: si prevede che nel 2050, ben  6,5 miliardi di umani vivranno in città mega-metropolitane, più di tutta la popolazione dell’intero pianeta del 1970. (…)

Il problema che si pone al mondo occidentale è drammatico perché non ci sono strategie per affrontare questa situazione che sta ponendo a grave rischio l’ambiente e la sopravvivenza stessa del pianeta: mancano istituzioni che studino il fenomeno, che elaborino strategie, che affrontino i pericoli immediati.
L’ONU latita, perso in diatribe e conflitti di potere su aspetti irrilevanti e secondari. Mancano strategie e politiche adeguate anche a livello dei singoli paesi.

Gli Stati Uniti che al tempo di J.F. Kennedy e L. Johnson avevano affrontato il problema specie in America Latina con interventi volti allo sviluppo economico e al controllo della natalità (ma le iniziative furono interpretate al tempo come colonialismo), dopo l’avvento di Reagan e del liberismo hanno interrotto ogni politica di contenimento demografico anche per favorire le strategie di mercato che considerano la popolazione come target di consumi.
Il commercio e la finanza americana non accetta politiche di controllo delle nascite.

L’UE,da parte sua, non ha più una politica estera, e subisce passivamente gli effetti della globalizzazione e del trionfo della ideologia unica consumista in una afasia disperante priva di idee e di visioni strategiche.
Il mondo sta cambiando in maniera del tutto incontrollata in un caleidoscopio in cui prevalgono interessi finanziari e consumismo che porta a stressare le risorse ambientali e all’esaurimento delle risorse fondamentali  fino a prospettare un prossimo disastro ambientale planetario. (…)

Non vi sono analisi del fenomeno che possano consentirne una regolamentazione. Si assiste inoltre al fatto potenzialmente dirompente della convivenza in queste aree urbane “in via di sviluppo” della stretta vicinanza tra zone ricche e bidonville in cui l’unica cultura unificante è quella di un insensato consumismo senza scopi e senza una guida politica consapevole. (…)

Strutture umane di questo tipo non possono essere assolutamente governate, non esistono istituzioni o mezzi adeguati a regolamentare i fenomeni sociali: unico criterio spontaneo  sono le appartenenze etniche e religiose e un malinteso sfrenato desiderio di consumismo (frutto di una distorta visione dell’occidente ricco)  che si scontra con arretratezza economica e un mercato sregolato. (…)

La produttività di un’area urbana è superiore a quella delle aree rurali ma la povertà urbana è più dura di quella delle campagne.
La povertà dentro le slum e le baraccopoli non è gestibile, a differenza di quella delle aree rurali in cui la produzione del suolo e le minori esigenze delle famiglie riducono il disagio. (…)

La grande spinta dell’Illuminismo che aveva avviato le grandi rivoluzioni sta avviandosi al naufragio sulle sponde del mediterraneo, insieme ai barconi dei figli dell’esplosione demografica.
L’Occidente, proprio nel momento in cui appare a tanti disperati la terra dell’Oro, rivela invece tutta la sua fragilità e inconsistenza. (…)
Scompaiono le tradizioni, le usanze secolari. Scompare la storia, l’appartenenza ai luoghi, l’identità. (…)

Di fatto una assenza di valori forti che si risolve nel trionfo dell’unico valore che dirige tutto: un consumismo fine a se stesso.
Tutto è consumo, tutto si consuma. I prodotti sono tutti a scadenza, proprio per favorirne l’ulteriore consumo.

Si consumano anche le persone che vengono comprate, affittate, spostate, a seconda delle richieste del  mercato. Il valore di un uomo è quello dei suoi consumi.
Ciò che resta da tutto questo è il rifiuto, la spazzatura.
Quella grande immensa isola di spazzatura che staziona al centro  del Pacifico come simbolo del destino cui la Terra è avviata. >>

AGOBIT

7 commenti:

  1. Caro Lumen,
    una delle cose che mi colpi' negli anni '90 al tempo dei primi sbarchi di disperati (o di chi cercava semplicemente benessere) provenienti dal nord Africa furono le interviste a quegli immigrati in cui si chiedeva qual'erano le ragioni che li avevano spinti. Le risposte erano esasperanti: pare che gli spettacoli televisivi con un mondo virtuale gioioso pieno di consumi e apparente ricchezza fosse uno dei motivi principali. Noi, ingenuamente, pensavamo si trattasse di spettacolini senza valore. Eppure quella virtualità e superficialità hanno fagocitato, a poco a poco, la precedente cultura dell'Occidente, lasciandoci in preda ad un vuoto consumismo. Sono loro la nuova cultura. La nostra fine potrebbe essere scritta in quella gigantesca isola nel Pacifico, un'isola di spazzatura.

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  2. Caro Agobit, la pubblicità televisiva è probabilmente la vera cultura dei nostri tempi,
    Una cultura fatta di emozioni piacevoli, di desideri esauditi e di finzioni infantili.
    Può darsi che la nostra difficoltà a vedere la triste realtà del nostro pianeta, e a porvi rimedio, sia anche un po' figlia di questo mondo delle favole in cui ci siamo volontariamente rinchiusi.

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  3. Un quadro apocalittico. E l'unica soluzione che ci prospettano è la crescita dei consumi... Leggevo ieri che l'economia vietnamita soffre di una crescita stentata ... Anche i vietnamiti vorrebbero crescere, non solo l'Italia, la Francia, la Grecia, la Spagna, la Germania (sì, anche i crucchi vogliono espandere, crescere ancora - chi si ferma è perduto e regredisce all'età della pietra ...). E la Russia, l'India, la Cina, e l'Africa intera. Senza dimenticare il Sud America e l'Oceania. Tutti hanno diritto alla loro fetta di torta, mica solo i soliti noti (per es. i milioni di disoccupati italiani ed europei).
    Impossibile un cambiamento di rotta. Il cambiamento sarà probabilmente imposto da eventi imparabili (qualche grossa crisi). Non dimentichiamo le 4000 atomiche pronte all'uso e puntate contro tutti.
    Pensate che bello se fossimo ancora tre miliardi come una quarantina d'anni fa (e anche tre miliardi non sono pochi).
    Ma si vede che era destino. Sia fatta la volontà del Signore, il mio baluardo, la mia speranza, la mia assicurazione sulla vita (eterna).

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  4. << Non dimentichiamo le 4000 atomiche pronte all'uso e puntate contro tutti. >>

    Caro Sergio, in effetti, tutti presi come siamo dagli attuali problemi, nessuno pensa più ai rischi atomici, che invece erano la preoccupazione principale fino a qualche decennio fa.
    E che una crisi ecologica feroce possa indurre qualcuno, più matto o più disperato di altri, a schiacciare il bottone potrebbe anche non essere impossibile.

    Allora avremmo una bella escalation nucleare che magari, in poco tempo, rimetterebbe a posto tante cose.
    Ma a quale prezzo ? A quale terribile prezzo ?
    Meglio non pensarci...

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    1. Caro Lumen,

      cerca su Wikipedia "Terza guerra mondiale". Ci siamo andati vicini in più occasioni, non solo per la crisi di Cuba! Particolarmente agghiacciante l'episodio del 1983: grazie al russo Stanislav Petrov non fu lanciata la rappresaglia contro un presunto attacco americano: adesso non staremmo qui a conversare piacevolmente! Ma anche la tentazione di Moshé Dayan di ricorrere all'atomica nel 1973 dà da pensare ... (dunque già all'epoca Israele disponeva dell'arma assoluta). Il filosofo Severino dice che possiamo lo stesso dormire tranquilli. Non so: potremmo risvegliarci di là e chiederci: ma come è stato possibile? Non diceva Severino che eravamo in un botte di ferro, che mai e poi mai sarebbe successo perché i governanti non sono pazzi? Forse pazzi no, ma un errore e sempre possibile (chiedere a Stanislav Petrov - a cui bisognerebbe erigere un monumento).

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    2. << grazie al russo Stanislav Petrov non fu lanciata la rappresaglia contro un presunto attacco americano >>

      Sì, ho sentito parlare di quel'episodio (pochissimo pubblicizzato, a dire il vero, e non mi stupisce), che fa venire letteralmente i brividi.
      Sembra la sceneggiatura di un film di fanta-politica (una storia molto simile, ma che finisce male, è per esempio A PROVA DI ERRORE di Sidney Lumet) e invece era la pura realtà.

      Ma, se devo essere sincero, penso che se mai qualcuno dovesse schiacciare il bottone in un prossimo futuro non sarà per errore, ma per una scelta ben precisa.

      P.S. - Se tu dovessi trovare qualche buon rifugio anti-atomico a prezzo conveniente, fammelo sapere (eh, eh, eh...).

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