La morale sessuale della Chiesa Cattolica e sempre stata molto rigida e piena di divieti. Le cose però potrebbero cambiare con il nuovo papa Leone XIV, le cui aperture lasciano intravedere sviluppi inaspettati.
A queste aperture, che suscitano molta apprensione nei cattolici tradizionalisti, è dedicato il post di oggi, scritto da Chris Jackson per il blog (tradizionalista) Duc in Altum (LINK).
LUMEN
<< Torniamo su “Una caro. Elogio della monogamia”, la “Nota dottrinale sul valore del matrimonio come unione esclusiva e appartenenza reciproca” diffusa dal Dicastero per la dottrina della fede con l’approvazione di papa Prevost. Il documento si presenta come una meditazione sulla carità coniugale e in superficie suona abbastanza bene: linguaggio biblico su “una sola carne”, riverenti cenni a Giovanni Paolo II, qualche inchino d’obbligo all’”Humanae vitae” e all'”apertura alla vita” degli sposi cristiani.
Sotto la patina pia, il documento compie però un’operazione che va sottolineata. Sposta silenziosamente il centro del matrimonio dal legame divinamente istituito tra sesso e procreazione a una visione essenzialmente psicologica della “carità coniugale”, vissuta secondo un’antropologia fluida e terapeutica mutuata dalle più recenti sperimentazioni della Pontificia accademia per la vita.
Una volta osservato il modo in cui il testo cita Karol Wojtyła e riformula l'”apertura alla vita”, diventa chiaro cosa sta succedendo. “Una caro” non è un attacco frontale alla dottrina cattolica. È il cavallo di Troia parcheggiato appena dentro i cancelli: ancora avvolto nel vocabolario di Wojtyła, ma intriso della logica di cui gli ingegneri morali dell’Accademia avranno bisogno per giustificare la contraccezione artificiale e, in ultima analisi, le sterili “unioni” sessuali di ogni tipo. (...)
Invece di un muro a protezione del matrimonio, questa lettera è una porta sapientemente progettata. Il magistero più antico trattava il matrimonio in termini soprannaturali. (...) La “Casti connubii” di Pio XI parlava chiaramente: Dio ha attribuito all’atto coniugale un fine primario, la procreazione e l’educazione della prole, e un fine secondario, l’aiuto reciproco e il rimedio alla concupiscenza.
In questa tradizione, l’amore non è un sentimento libero di fluttuare e che crea il proprio significato. L’amore è ordinato dalla natura e dalla grazia. La carità coniugale abbraccia i figli perché è radicata nel disegno del Creatore. “Una caro” eredita il lessico, ma non la struttura portante. Parla con calore di carità coniugale e di “fecondità responsabile”, ma tratta costantemente la procreazione come un aspetto tra i tanti, un simbolo inserito in una narrazione più ampia di autorealizzazione, sostegno emotivo e “accompagnamento”.
Il cambiamento decisivo si manifesta nel paragrafo 145, la sezione in cui i ghostwriter di Leone si affidano a Karol Wojtyła per superare i limiti senza dare l’impressione di farlo. Ecco il nocciolo della questione. La lettera afferma: “L’unione sessuale, come espressione della carità coniugale, deve naturalmente rimanere aperta alla comunicazione della vita, anche se ciò non significa che questa debba essere una finalità esplicita di ogni atto sessuale. Possono infatti verificarsi [delle] situazioni legittime:
a) Che una coppia non possa avere figli. Karol Wojtyła lo spiega magnificamente quando ricorda che il matrimonio ha «una struttura interpersonale, è un’unione e una comunità di due persone […]. Per molte ragioni, il matrimonio può non diventare una famiglia, ma la mancanza di questa non lo priva del suo carattere essenziale. Infatti, la ragione interiore ed essenziale dell’esistenza del matrimonio non è solo quella di trasformarsi in una famiglia, ma soprattutto di costituire un’unione di due persone, un’unione duratura fondata sull’amore […]. Un matrimonio in cui non ci sono figli, senza colpa degli sposi, conserva il valore integrale dell’istituzione […] non perde nulla della sua importanza».
b) Che una coppia non ricerchi consapevolmente un certo atto sessuale come mezzo di procreazione. Lo afferma anche Wojtyła, sostenendo che un atto coniugale, che «essendo in sé un atto d’amore che unisce due persone, non può necessariamente essere considerato da loro come un mezzo di procreazione consapevole e desiderato».
Letto velocemente, il paragrafo può sembrare ortodosso. La Chiesa ha sempre riconosciuto i matrimoni sterili come veri matrimoni, e non ha mai preteso che gli sposi elaborassero nella loro immaginazione un’intenzione esplicita di avere un bambino prima di ogni abbraccio. Ma “Una Caro” non si limita a ricordarcelo. Il periodo “l’unione sessuale… deve naturalmente rimanere aperta alla comunicazione della vita, anche se ciò non significa che questo debba essere un obiettivo esplicito di ogni atto sessuale”, sposta già il baricentro. Dice in effetti: la storia generale dell'”apertura alla vita” della coppia è sufficiente, anche se atti particolari non vengono vissuti, qui e ora, in quell’orizzonte procreativo.
Il problema non è solo la cornice che circonda quella frase. La frase stessa viene utilizzata per introdurre un nuovo standard. Invece di chiedersi se questo atto concreto rispetti la struttura procreativa voluta da Dio, “Una caro” ci invita a chiederci se la relazione di coppia, considerata nel suo complesso, possa ancora essere descritta come “aperta alla vita”, anche quando i singoli atti sono chiusi nella pratica. Poi canonizza questo cambiamento elencandolo come una delle tre “situazioni legittime”.
Anche la clausola sul non “cercare consapevolmente” la procreazione in ogni atto diventa tossica in questo contesto. Nel contesto originale di Wojtyła potrebbe essere letta come un semplice promemoria del fatto che gli sposi non sono obbligati a formulare un’intenzione procreativa esplicita prima di ogni abbraccio. In “Una caro” la stessa frase viene strappata dal suo contesto e riproposta. Viene inserita come una delle “situazioni legittime” proprio per suggerire che il significato procreativo dell’atto può recedere in secondo piano, purché la narrazione interiore della coppia sulla “carità coniugale” rimanga intatta. (…)
La stessa logica che attenua la contraccezione finisce per minacciare l’insegnamento della Chiesa sull’omosessualità. Se il peso morale degli atti sessuali risiede principalmente nella loro capacità di esprimere “amore”, e se “l’apertura alla vita” non è più legata alla struttura intrinseca dell’atto ma a un atteggiamento diffuso di generosità e cura, allora l’argomentazione contro le “unioni” omosessuali è già indebolita.
Cosa impedisce a un teologo formatosi in questa nuova scuola di affermare che due uomini o due donne possano vivere una “carità coniugale” di reciproco dono di sé, servizio e “fecondità” intesa come adozione, impegno sociale o sostegno psicologico? Se l’orientamento procreativo dell’atto è stato ampiamente assorbito in una metafora di “generatività”, e l’uso concreto dei poteri generativi può essere bloccato per gravi motivi, quale barriera di principio rimane?
Documenti come “Fiducia supplicans” hanno già giocato su questo terreno benedicendo le coppie omosessuali in astratto, pur insistendo sul fatto che non stanno benedicendo l’unione “in quanto tale”. La nuova teologia morale dell’Accademia fornisce una giustificazione più profonda: l’attenzione è rivolta alla storia interpersonale, alla “gioia di vivere”, al discernimento della coscienza, non alla specie morale oggettiva degli atti.
Una volta abbandonato l’antico insegnamento di “Casti connubii”, secondo cui ci sono atti che, per loro natura, costituiscono gravi violazioni della legge del Creatore, indipendentemente dalle circostanze, il resto si disfa rapidamente. Il cavallo di Troia che introduce clandestinamente la contraccezione in città non si fermerà qui. >>
CHRIS JACKSON
Io ovviamente, in quanto ateo e razionalista, non posso dare nessuna importanza alle argomentazioni teologiche dell'autore.
RispondiEliminaMa non condivido neppure il presunto allarme sociale, perchè né il sesso senza procreazione né le unioni omossessuali rappresentano un vulnus effettivo per la coesione della società (unico aspetto che mi interessa).
Possono esserlo, semmai, la decadenza del matrimonio e la crisi della famiglia legittima, ma si tratta di un'altra e ben diversa questione.
Sì, ma la decadenza del matrimonio e la crisi della famiglia, che possono minare la coesione sociale come dici tu, non sono anche la conseguenza del "libero amore", del libertinismo dilagante e sicuramente promoso dalle tue élite e ora persino dalla Chiesa? Questa storia del "libero amore" è vecchissima, il libero amore era invocato e preteso dai descamisados di inizio Ottocento. La Chiesa ha sempre considerato la procreazione come il fine primario del matrimonio (che era in più obbligatorio per tutti, salvo che per il clero, esentato dall'obbligo perché la generazione era ampiamente assicurata dagli altri). È solo in tempi recentissimi, credo dal Concilio Vaticano II, che la Chiesa ha riconosciuto l'amore coniugale come un fine legittimo del matrimonio, ma secondario rispetto a quello primario, la procreazione. Con "Una caro" la Chiesa innova davvero e apre la porta a tutti gli abusi immaginabili, anche alla procreazione assistita e la gestazione per altri (vulgo utero in affitto). Non ancora, non esplicitamente, ma la direzione è questa. Non tutti sanno che per la Chiesa la procreazione assistita o la fecondazione artificiale è un atto illecito. Ma l'accetterà tacitamente, considerato anche il calo (drammatico) delle nascite in occidente.
EliminaCaro Sergio, in effetti la crisi della famiglia legittima è una conseguenza abbastanza diretta del principio del 'libero amore'.
EliminaUna volta i rapporti matrimoniali erano molto più formali ed assomigliavano più ad un sodalizio di affari che al rapimento estatico del romanticismo.
Ma ormai il 'libero amore' è entrato da protagonista nella nostra società, per una serie di motivi che sarebbe troppo lungo elencare, e condiziona fortemente tutti i rapporti sociali.
Impossibile ignorarlo.
COMMENTO di SERGIO
RispondiEliminaE' proprio così. La Chiesa sta sdoganando non solo l’omosessualità, ma proprio tutto: fate quel che vi pare, l’importante è volersi bene e ovviamente “cercare Dio” (cioè baciare la pantofola del papa).
I vescovi tedeschi hanno pubblicato il 1° ottobre un documento allucinante che va molto al di là di quanto ha finora concesso il Vaticano (ma il Vaticano seguirà a ruota, ormai la via è quella). Il documento è molto lungo e estremamente dettagliato (è un lavoro scientifico, una tesi di laurea). Insomma, la scuola deve rispettare tutte le identità sessuali degli allievi (omo, bi, trans ecc. ecc.), seguirli, incoraggiarli ecc. ecc.
Nessuno deve sentirsi escluso. Gli insegnanti ovviamente dovranno adeguarsi e seguire corsi di perfezionamento. Chissà che non siano incluse anche “dimostrazioni” in classe.
Prevost è stato eletto papa dopo aver assicurato i cardinali che avrebbe seguito il corso di Bergoglio,
vedi anche la sua esaltazione ieri del Concilio Vaticano II che per i tradizionalisti è fumo negli occhi.
La figura del prete è ormai sbiadita, “è uno di noi” dice un vescovo svizzero, un accompagnatore, un amico. Secondo Viganò si mira addirittura alla demolizione del papato, il papa diventerà magari il presidente delle varie chiese di tutti i colori del mondo.
Morselli nel suo “Roma senza papa” l’aveva esiliato a … Zagarolo e non era più vestito di bianco, mi sembra che vestisse in borghese (il romanzo è di cinquant’anni fa). C’è un prete svizzero tradizionalista, ovviamente sposato (mi sembra con una donna, non ricordo) che si batte per rivalutare il culto della Madonna caduto in disuso (è ciò che è davvero accaduto).
Caro Sergio,
Eliminain effetti il nuovo Papa, seguendo la rotta già tracciata, sta facendo proprio quello che temono i tradizionalisti, ovvero rovesciare a 180 gradi la morale sessuale che la Chiesa, storicamente, aveva sempre sostenuto, con molta forza.
Ma credo che non abbiano molte alternative.
La morale della gente (soprattutto in campo sessuale) va avanti per conto suo e la Chiesa o le corre dietro, o la perde per sempre.