martedì 21 marzo 2023

La forza della Superstizione

E' ben noto che le credenze superstiziose non corrispondono alla realtà oggettiva dei fatti, eppure sono diffusissime nella società, e spesso ne guidano il modo di pensare ed i comportamenti collettivi in modo decisivo.
Ma perchè nascono ? E perchè, pur essendo false, si sviluppano con tale intensità ?
A questo apparente paradosso è dedicato il post di oggi, scritto da Marco Pierfranceschi per il suo blog Mammifero Bipede.
(N.B. - Con il termine di 'Bias Cognitivo' l'autore intende l'insieme dei preconcetti e dei meccanismi irrazionali che guidano il nostro comportamento.)
LUMEN


<< [Guardando] alla sfera sociale, osserviamo come i Bias Cognitivi individuali trovino un rinforzo se condivisi con altri membri del proprio gruppo. Una convinzione irrazionale, se collettivamente condivisa, risulta consolidata nella sua funzione di sostituirsi ad una realtà oggettiva.

Dalla condivisione dei Bias Cognitivi e dalla loro elaborazione collettiva si sviluppano narrazioni utili a cementare le relazioni sociali, costrutti culturali che tendono a propagarsi alle generazioni successive. Nella loro forma più semplice si tratta di gesti apotropaici, o propiziatori, di convinzioni condivise da piccoli gruppi sul momento migliore per effettuare specifiche operazioni, come la semina.

Col tempo queste convinzioni si consolidano dando luogo a quelli che ho definito, in mancanza di termini preesistenti, Bias Culturali. I Bias culturali si propagano attraverso ‘meme’ e forme proverbiali, e lentamente si accumulano nella cultura condivisa, in genere rafforzandosi a vicenda sulla base delle rispettive affinità.

A titolo di esempio, un Bias Cognitivo classico riguarda la convinzione che la ‘fortuna’, ovvero l’esito positivo desiderato di un determinato processo, possa essere influenzata da gesti propiziatori. La forma che assumono questi gesti propiziatori varia da cultura a cultura, ed è il prototipo dell’idea di Bias Culturale.

In alcune culture si tratta di indossare (o evitare di indossare) determinati indumenti o colori, effettuare gesti rituali (dal minimalista gettare il sale dietro la schiena, su su fino ai sacrifici di animali, o esseri umani), o recitare formule scaramantiche, più o meno accompagnate da gesti specifici.

Esempi di Bias Culturali appaiono in ogni cultura umana conosciuta. Si va dall’ossessione dei popoli preistorici per la fertilità e la morte, culminati nella cultura dell’antico Egitto, con tutto il suo corollario di riti propiziatori, tecniche di imbalsamazione e monumenti funebri, ai sacrifici umani nelle civiltà mesoamericane, alla celebrazione megalitica degli antenati sul più remoto ed isolato fazzoletto di terra del pianeta, l’isola di Pasqua.

Nessuna di queste convinzioni può essere giudicata, a posteriori, utile o efficace rispetto alle esigenze pratiche: benessere, sopravvivenza e riproduzione, ma tutte hanno in comune una funzione di collante sociale, incarnando i desideri e le aspettative dei diversi popoli e fornendo loro una spinta propulsiva, in mancanza della quale si registra una stagnazione sociale.

Il principio che se ne può dedurre è che, laddove ci si trovi di fronte all’assenza di evidenze fattuali, o all’impossibilità di applicare un ‘principio di causa-effetto’, si apre lo spazio per l’emergere di tesi e supposizioni infondate.

In assenza di una specifica metodologia di validazione oggettiva della realtà, il cosiddetto ‘Metodo Scientifico’ (peraltro sviluppatosi ed affermatosi solo in epoche relativamente recenti), tendiamo ad integrare la porzione di realtà mancante con una narrazione di fantasia, che viene quindi socialmente condivisa.

Un costrutto culturale irrazionale come quelli fin qui descritti svolge sia una funzione tranquillizzante (dalla consapevolezza del valore del sapere discende la paura di non sapere abbastanza) che una spinta motivazionale, derivante dal rimuovere i freni inibitori innescati dalla consapevolezza delle conseguenze di quanto si intende fare.

Il vantaggio di ciò, in termini sociali, è evidente: i tempi decisionali vengono abbreviati, si fa quello che si è deciso di fare senza troppe analisi e discussioni. Questo sistema presta il fianco a decisioni arbitrarie, non di rado errate. Ma a giudicare l’efficacia del processo sono i risultati finali, non le ipotesi di partenza, ed il giudizio può variare a seconda del momento storico in cui viene emesso.

Possiamo pensare che una società analitica e riflessiva sia migliore di una frenetica ed impulsiva, perché in grado di attingere alle risorse ambientali in maniera più graduale, consentendo alle specie predate il tempo di ristabilire l’equilibrio. Tuttavia, in Natura, in presenza di abbondanti risorse, è in genere la specie più energivora ad avere il sopravvento, perché saccheggiando con maggiore efficacia priva le altre di quanto necessario al sostentamento.

Anche in termini di Civiltà, quelle con un approccio più aggressivo riescono in genere a sottomettere e cancellare le civiltà più fragili, indipendentemente dal fatto che questo ottenga solo di posticipare un collasso inevitabile. Quando una cultura pacifica e rispettosa del proprio ecosistema ne incontra una predatrice, è solo l’esito finale a sancire la validità dell’approccio scelto. (...)

Come già detto, i processi biologici, ivi inclusa l’ascesa di specie invasive come quella di cui facciamo parte, non rispondono ad esigenze etiche e/o morali: si sviluppano e basta. Quello che è premiante nel breve termine può risultare letale su una dimensione temporale più estesa, ma il saperlo o meno difficilmente riesce ad influenzare processi che si sviluppano in tempi più lunghi dell’arco vitale dei singoli individui.

Convinzioni irrazionali portano a condotte irrazionali, che tuttavia sono spesso premianti sul medio termine il che, ragionando di civiltà, può ben coprire un arco temporale di secoli.

La storia umana è costellata di esempi di civiltà che hanno sviluppato un approccio tecnologicamente aggressivo, hanno dato vita ad imperi e sono quindi scomparse con l’esaurirsi anzitempo delle risorse predate (un portato dello sfruttamento eccessivo consentito dai processi tecnologici innovativi). >>

MARCO PIERFRANCESCHI

12 commenti:

  1. COMMENTO di SERGIO

    Ho letto il nuovo articolo di Pierfranceschi che trovo da una parte molto interessante, ma dall’altra anche deprimente - perché possiamo fare ben poco.
    Esserne consapevoli può essere una soddisfazione, ma davvero modesta.
    In fondo anche la religione, il cristianesimo, Gesù ecc. ci sono entrati in testa, ovvero ce li hanno messi in testa, ed è quasi impossibile liberarsene.

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    1. Penso che, a livello del singolo, liberarsi delle superstizioni e dei condizionamenti religiosi sia una coosa fattibile; difficile, ma fattibile.
      Sul piano sociale, invece, temo che abbia ragione l'autore.
      Resta da vedere qual è il modo migliore, per chi si è liberato dai condizionamenti, di interagire con la maggioranza della popolazione che, invece, a quei condizionamenti è soggetta.
      Credo che l'opzione migliore sia quello di mantenere un profilo basso e distaccato, ma non è sempre possibile.

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    2. CMMENTO di SERGIO

      Oggi comincia il Ramadan per 1,9 miliardi di islamici.
      I cattolici sono 1,2 miliardi. Poi ci sono chissà quanti
      altri esseri umani credenti in qualcosa. A occhio
      e croce più della metà dell’umanità crede in
      cose fantasiose o assurde che determinano i
      loro comportamenti. Ma chissà, forse un giorno
      (non proprio domani, forse solo fra millenni)
      gli esseri umani saranno meno creduloni.
      Nel frattempo, come consiglia Lumen, i
      consapevoli mantengano un profilo basso
      per non scatenare le furie omicide dei credenti.

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    3. Purtroppo sono solo gli atei / agnostici a poter tenere un profilo basso di fronte alle superstizioni (religiose e non solo), perchè non sono coinvolti emotivamente.
      Par chi ci crede veramente, diventa quasi impossibile fingere 'pro bono pacis'.
      Più ci penso, più mi convinco che il vecchio principio 'cuius regio, eius religio' non fosse poi così ridicolo...

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    4. COMMENTO di SERGIO

      La formula cujus regio ecc. andava bene
      allora, mica si può riproporre. Fu una
      soluzione pratica e ragionevole. Un
      regnante aveva interesse a una popolazione
      abbastanza omogenea perché i “credenti”
      hanno sempre avuto la brutta abitudine
      di non sopportare i diversamente credenti.
      Ancora negli anni Cinquanta del secolo scorso
      cattolici e protestanti si guardavano in cagnesco
      qui da noi in Svizzera.

      Ma poi cosa contava all’epoca del cujus regio?
      Soprattutto la ritualità, la professione formale
      di un certa fede. La gente si adeguava per
      comodità, per non avere guai. Carlo Leopardi,
      non credente come Giacomo, durante una
      processione si levò il cappello mormorando:
      togliamoci il cappello davanti alla pubblica
      opinione. Profilo basso, anzi bassissimo.

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    5. << Ancora negli anni Cinquanta del secolo scorso
      cattolici e protestanti si guardavano in cagnesco
      qui da noi in Svizzera. >>

      Appunto.
      Sono cose che fanno malissimo alla coesione sociale e quindi ala convivenza pacifica.
      Oggi questa formula (del cuius regio) ci sembra impossibile da concepire in occidente, ma credo che in molti altri paesi venga ancora, più o meno apertamente, perseguita.

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  2. Un esempio tipico di 'bias cognitivo' mi sembra quello legato alla valenza sempre & comunque positiva assegnata alla CRESCITA DEMOGRAFICA (umana), indipendentemente dalle variabili legate ai differenti contesti spazio-temporali e ai relativi scenari economico-sociali do riferimento. Tale bias, riassumibile nella classica formula (pseudo)religiosa 'Crescete e moltiplicatevi', promuove aggressive forme di "darwinismo sociale" a base ideologico-politico-religiosa ("il numero e' potenza") che pero' il lento ma progressivo processo di acculturazione/civilizzazione (s'il vous plait: la consapevolezza del fenotipo evoluto...) dovrebbe ragionevolmente CONTRASTARE anziché assecondare! Tuttavia qlcs sembra NON quadrare... Saluti

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    1. Sono d'accordo con te, Claude, con una precisazione.
      La crescita demografica non è solo un bias cognitivo, e quindi una distorsione culturale, ma è anche una spinta genetica, legata al ruolo del gene repicatore.
      E quando queste due forze si dispiegano nella stessa direzione, non c'è scampo.

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    2. Sicuramente esiste anche (forse soprattutto) la base genetica, tuttavia il tasso di natalità nel Mondo occidentale risulta (fortunatamente!) in calo malgrado tutti gli sforzi fatti nella direzione opposta a livello ideologico-politico-religioso. A (possibilmente non troppo) lungo andare potrebbe succedere la stessa cosa anche nel Resto del mondo, cerchiamo di non perdere una (meditata) speranza, altrimenti il pessimismo (ambientale e sociale) e la totale inazione possono dilagare... Saluti

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    3. E' vero, il tasso di natalità dell'occidente è in calo, ma, purtroppo, la pressione contraria rimane fortissima e si estrinseca in due diverse linee d'azione:
      - da un lato si cerca di demonizzare e combattere questa tendenza interna,
      - dall'altro si cerca di compensare, in misura anche maggiore, esaltando (e quindi facilitando) i flussi migratori.
      Difficile non essere pessimisti...

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  3. COMMENTO di SERGIO

    A proposito di demografia. Il governo cinese sembra
    allarmatissimo per il calo demografico: la Cina potrebbe
    passare dai 1,4 miliardi attuali a 700 milioni a fine
    secolo, un colpo gravissimo alle ambizioni del paese.
    Io non ci credo troppo a un calo così vistoso. È però
    un fatto che i cinesi non hanno molta voglia
    di assecondare il nuovo corso del governo: i figli
    costano e poi i cinesi hanno scoperto anche loro
    che … la vita è bella, c’è molto da divertirsi.
    Qui c’è un’invasione di turisti cinesi, la povera
    città di Lucerna è sommersa (è una cittadina di
    appena sessantamila abitanti circa). I commercianti
    godono, gli abitanti meno, molto meno.

    Nel sito di A. M. Valli si spara a zero sul malthusianesimo,
    sui disegni drastici di ridimensionamento demografico
    perseguito secondo loro dalle elite. Per i cattolici, almeno
    per certi cattolici, siamo ancora troppo pochi,
    c’è da mangiare per tutti (e il lavoro, e l’acqua?).
    L’ONU ha lanciato l’allarme per la crisi idrica
    che potrebbe investire l’intero pianeta …
    E questi vogliono ancora più figli! Valli ha sei figli,
    bravo, ha fatto il suo dovere. Dategli la medaglia,
    e anche sussidi, detrazioni fiscali e quant’altro.

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    1. Se mi passi la battuta, direi che Valli ha fatto tanti figli anche per compensare i poveri preti che non possono farlo (almeno ufficialmente).

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