I meccanismi di inganno esistono in natura poiché generano vantaggi per gli individui che li adottano. La loro origine è evolutiva, in quanto gli animali che si mimetizzano meglio (per salvarsi o per predare), sopravvivono e si riproducono con maggior facilità.
Negli esseri umani, dotati di maggiore complessità cerebrale, le strategie di inganno discendono piuttosto da scelte deliberate, e possono dare vantaggi di diverso ordine. Ma possono anche giungere sino al punto (apparentemente paradossale) di ingannare se stessi.
A questo argomento è dedicato il post di oggi, scritto da Marco Pierfranceschi per il suo blog 'Mammifero Bipede'.
LUMEN
<< I processi di inganno che osserviamo nelle società umane originano dalle forme di autoinganno che il cervello ha sviluppato per compensare i danni psichici prodotti da una comprensione troppo approfondita della realtà. A monte di tutto c’è il fatto che i processi vitali sono basati, volenti o nolenti, su una pulsione (alla sopravvivenza e riproduzione) del tutto a-razionale.
Il batterio che sopravvive e si riproduce, o l’organismo complesso che sopravvive e si riproduce, non lo fanno per scelta razionale, ma per un semplice processo auto-selettivo: gli individui che sopravvivono, e si riproducono, trasmettono le loro caratteristiche alla discendenza, gli altri vengono semplicemente eliminati dall’albero della vita.
Tuttavia, quello che può essere semplice per un batterio o un insetto, non lo è più per creature complesse. Nel nostro caso, lo sviluppo di facoltà cognitive evolute ha sì generato un vantaggio in termini di processi di sopravvivenza (siamo più bravi a cacciare, raccogliere, coltivare e mantenerci in salute), però ha prodotto, come contraltare, la sofferenza psichica causata dalla consapevolezza di dover esistere all’interno di un Universo sostanzialmente insensato, esposti all’arbitrio del fato e con l’unica certezza della morte, individuale e di tutte le persone a noi care.
Questa consapevolezza può essere estremamente dannosa per i singoli individui, conducendo a stati di depressione anche profondi, tuttavia può essere efficacemente esorcizzata per mezzo di un costrutto culturale irrazionale: la fede. Alla radice dei processi di inganno, del loro sviluppo e della loro efficacia, si individua la stessa capacità di auto-inganno che ci consente di ignorare la realtà fattuale, costruirci una confortante bugia e sfruttarla per risollevarci lo spirito dalle difficoltà della vita di tutti i giorni.
I suddetti processi di auto-inganno prendono il nome di ‘bias cognitivi’ ed attengono la sfera individuale. Sulla scala dei gruppi (che continuo a trattare come dei sovra-individui), la condivisione delle credenze individuali finisce con l’assumere la forma di costrutti culturali, che vengono condivisi e tramandati tra i partecipanti al gruppo ed, in ultima istanza, trasmessi alle generazioni successive.
Assistiamo pertanto ad una ulteriore articolazione dei processi di inganno: non solo gli individui coltivano forme di auto-inganno (i bias cognitivi), ma finiscono col delegare persone, o gruppi di persone, all’interno del gruppo, perché gestiscano con la maggior efficienza possibile tali processi.
Questo porta all’emergere, nelle società antiche e su su fino a quelle moderne, di caste la cui funzione sociale consiste nell’irrobustire ed alimentare tali forme di auto-inganno collettivo. Caste che finiscono col rappresentare il vertice organizzativo ed ideativo, nonché il motore culturale, delle entità che, in assenza di altri termini, ho finito col definire Ideo-Culture.
A questo punto si rende necessario un passaggio ulteriore, corrispondente ad un’ulteriore incremento di complessità rispetto a quanto precedentemente elaborato, perché diventa evidente come le Ideo-Culture originino da processi di auto-inganno, nel momento in cui la collettività stessa seleziona al suo interno determinati individui per farsi auto-ingannare.
Sostanzialmente tutte le culture umane si basano su qualche forma di ‘inganno delegato’ dal quale la collettività dovrebbe trarre vantaggi. Se i bias cognitivi mi restituiscono un vantaggio, avere un supporto esterno per rafforzarli massimizza questo vantaggio. Ma questa scelta può avere ricadute negative, e la stessa collettività ne può ricavare dei danni, perché gli individui che agiscono l’inganno potrebbero agire per aumentare il proprio tornaconto personale a danno del ventilato benessere collettivo.
Proviamo a vedere qualche esempio concreto. Prendiamo un gran sacerdote di culto religioso. La funzione del culto è convincere la collettività di avere i favori della divinità, che è un’entità benevola. Tali favori non possono manifestarsi esplicitamente in eventi sovrannaturali, quindi l’unico parametro di riferimento (l’unico di pressoché tutte le Ideo-Culture, indifferentemente) diventa il possesso e l’esibizione di ricchezza.
Se sono ricco (come persona e come istituzione) è difficile affermare che la divinità disapprovi il mio agire. Nell’esibire ricchezza il gran sacerdote assolve il suo compito di sostenere la credenza collettiva, ma ne ricava anche consistenti benefici personali. La possibilità di ricavare benefici personali ottiene quindi di attrarre gli individui più avidi, rischiando sul lungo termine di mettere a repentaglio la credibilità del culto.
Prendiamo un comandante militare. La sua funzione è rassicurare il gruppo di riferimento sulla forza dell’esercito e sulla capacità di reagire con successo ad eventuali attacchi da parte dei gruppi confinanti. Per far questo ha necessità di risorse economiche, che vengono drenate dalla ricchezza collettiva. Nel momento in cui si generano flussi di denaro, il meccanismo di accaparramento risulta del tutto analogo a quello visto in precedenza. Per giustificare maggiori investimenti si finisce con l’alimentare un clima di paura, che in ultima istanza nuoce alla collettività.
Ma l’osservazione più importante sta nel fatto che i processi di inganno non siano una condizione accidentale, derivante dalla cattiva volontà di singoli individui, quanto piuttosto una caratteristica strutturale ed ineliminabile delle organizzazioni collettive umane.
Dobbiamo aspettarci che i nostri leader, economici, politici, religiosi e militari, ci ingannino, perché l’inganno è strutturale alla loro funzione sociale, e il pretendere che non lo sia è parte del processo di inganno. Di fatto, è esattamente ciò che gli consente di funzionare, fin dal principio. >>
Negli esseri umani, dotati di maggiore complessità cerebrale, le strategie di inganno discendono piuttosto da scelte deliberate, e possono dare vantaggi di diverso ordine. Ma possono anche giungere sino al punto (apparentemente paradossale) di ingannare se stessi.
A questo argomento è dedicato il post di oggi, scritto da Marco Pierfranceschi per il suo blog 'Mammifero Bipede'.
LUMEN
<< I processi di inganno che osserviamo nelle società umane originano dalle forme di autoinganno che il cervello ha sviluppato per compensare i danni psichici prodotti da una comprensione troppo approfondita della realtà. A monte di tutto c’è il fatto che i processi vitali sono basati, volenti o nolenti, su una pulsione (alla sopravvivenza e riproduzione) del tutto a-razionale.
Il batterio che sopravvive e si riproduce, o l’organismo complesso che sopravvive e si riproduce, non lo fanno per scelta razionale, ma per un semplice processo auto-selettivo: gli individui che sopravvivono, e si riproducono, trasmettono le loro caratteristiche alla discendenza, gli altri vengono semplicemente eliminati dall’albero della vita.
Tuttavia, quello che può essere semplice per un batterio o un insetto, non lo è più per creature complesse. Nel nostro caso, lo sviluppo di facoltà cognitive evolute ha sì generato un vantaggio in termini di processi di sopravvivenza (siamo più bravi a cacciare, raccogliere, coltivare e mantenerci in salute), però ha prodotto, come contraltare, la sofferenza psichica causata dalla consapevolezza di dover esistere all’interno di un Universo sostanzialmente insensato, esposti all’arbitrio del fato e con l’unica certezza della morte, individuale e di tutte le persone a noi care.
Questa consapevolezza può essere estremamente dannosa per i singoli individui, conducendo a stati di depressione anche profondi, tuttavia può essere efficacemente esorcizzata per mezzo di un costrutto culturale irrazionale: la fede. Alla radice dei processi di inganno, del loro sviluppo e della loro efficacia, si individua la stessa capacità di auto-inganno che ci consente di ignorare la realtà fattuale, costruirci una confortante bugia e sfruttarla per risollevarci lo spirito dalle difficoltà della vita di tutti i giorni.
I suddetti processi di auto-inganno prendono il nome di ‘bias cognitivi’ ed attengono la sfera individuale. Sulla scala dei gruppi (che continuo a trattare come dei sovra-individui), la condivisione delle credenze individuali finisce con l’assumere la forma di costrutti culturali, che vengono condivisi e tramandati tra i partecipanti al gruppo ed, in ultima istanza, trasmessi alle generazioni successive.
Assistiamo pertanto ad una ulteriore articolazione dei processi di inganno: non solo gli individui coltivano forme di auto-inganno (i bias cognitivi), ma finiscono col delegare persone, o gruppi di persone, all’interno del gruppo, perché gestiscano con la maggior efficienza possibile tali processi.
Questo porta all’emergere, nelle società antiche e su su fino a quelle moderne, di caste la cui funzione sociale consiste nell’irrobustire ed alimentare tali forme di auto-inganno collettivo. Caste che finiscono col rappresentare il vertice organizzativo ed ideativo, nonché il motore culturale, delle entità che, in assenza di altri termini, ho finito col definire Ideo-Culture.
A questo punto si rende necessario un passaggio ulteriore, corrispondente ad un’ulteriore incremento di complessità rispetto a quanto precedentemente elaborato, perché diventa evidente come le Ideo-Culture originino da processi di auto-inganno, nel momento in cui la collettività stessa seleziona al suo interno determinati individui per farsi auto-ingannare.
Sostanzialmente tutte le culture umane si basano su qualche forma di ‘inganno delegato’ dal quale la collettività dovrebbe trarre vantaggi. Se i bias cognitivi mi restituiscono un vantaggio, avere un supporto esterno per rafforzarli massimizza questo vantaggio. Ma questa scelta può avere ricadute negative, e la stessa collettività ne può ricavare dei danni, perché gli individui che agiscono l’inganno potrebbero agire per aumentare il proprio tornaconto personale a danno del ventilato benessere collettivo.
Proviamo a vedere qualche esempio concreto. Prendiamo un gran sacerdote di culto religioso. La funzione del culto è convincere la collettività di avere i favori della divinità, che è un’entità benevola. Tali favori non possono manifestarsi esplicitamente in eventi sovrannaturali, quindi l’unico parametro di riferimento (l’unico di pressoché tutte le Ideo-Culture, indifferentemente) diventa il possesso e l’esibizione di ricchezza.
Se sono ricco (come persona e come istituzione) è difficile affermare che la divinità disapprovi il mio agire. Nell’esibire ricchezza il gran sacerdote assolve il suo compito di sostenere la credenza collettiva, ma ne ricava anche consistenti benefici personali. La possibilità di ricavare benefici personali ottiene quindi di attrarre gli individui più avidi, rischiando sul lungo termine di mettere a repentaglio la credibilità del culto.
Prendiamo un comandante militare. La sua funzione è rassicurare il gruppo di riferimento sulla forza dell’esercito e sulla capacità di reagire con successo ad eventuali attacchi da parte dei gruppi confinanti. Per far questo ha necessità di risorse economiche, che vengono drenate dalla ricchezza collettiva. Nel momento in cui si generano flussi di denaro, il meccanismo di accaparramento risulta del tutto analogo a quello visto in precedenza. Per giustificare maggiori investimenti si finisce con l’alimentare un clima di paura, che in ultima istanza nuoce alla collettività.
Ma l’osservazione più importante sta nel fatto che i processi di inganno non siano una condizione accidentale, derivante dalla cattiva volontà di singoli individui, quanto piuttosto una caratteristica strutturale ed ineliminabile delle organizzazioni collettive umane.
Dobbiamo aspettarci che i nostri leader, economici, politici, religiosi e militari, ci ingannino, perché l’inganno è strutturale alla loro funzione sociale, e il pretendere che non lo sia è parte del processo di inganno. Di fatto, è esattamente ciò che gli consente di funzionare, fin dal principio. >>
MARCO PIERFRANCESCHI
Testo davvero interessante. Dunque la tendenza a ingannare è iscritta nei nostri geni. L'individuo e il gruppo o addirittura la società stessa hanno in sé il germe per commettere ciò che in teoria è riprovevole: ingannare è mentire e mentire è un peccato, va contro il comandamento.
RispondiEliminaIl fatto è che siamo tutti ... peccatori: alzi la mano chi non ha mai mentito, chi non commette regolarmente questo peccato.
Ovviamente ci sono peccati e peccati, peccati mortali e veniali. Peccato veniale: "digli che non ci sono", peccato mortale: rubare, truffare. La differenza è certamente notevole, ma in ultima analisi è quantitativa (qualcuno obietterà: no, è
qualitativa, eccome!).
Autoingannarsi, ingannare gli altri, lasciarsi facilmente ingannare - tutte tendenze diffuse, ma apparentemente ineliminabili. Ma ineliminabile è anche l'istinto di sopravvivenza che rifiuta l'inganno (esempio banale: nessuno, proprio nessuno, nemmeno uno scemo si fa fregare soldi, si reagisce d'istinto, con un pugno o un processo).
Testo comunque da rileggere e meditare, grazie Lumen (hai proprio il fiuto per scovare cose interessanti).
Grazie Sergio.
EliminaIn effetti lo scopo di questo piccolo blog è proprio quello di poter condividere con altre persone le piccole perle che riesco a trovare (a volte per puro caso), in quel mare magnum che è il web.
Non sempre ci riesco, ma sempre ci provo.
Esempio d'inganno che suscita ammirazione e non riprovazione. Hamrin, giocatore svedese della Fiorentina degli anni Cinquanta e rigorista della squadra batte il rigore: portiere a destra, palla a sinistra in rete, gol capolavoro. Hamrin ha ingannato il portiere e tutti ridono. Peccato veniale, certo, ma la tendenza è appunto quella. Pensiamo anche ai giocatori di poker: si studia l'avversario per fregarlo.
RispondiEliminaMa se adesso passiamo a meditare sui motivi di Putin per giustificare l'aggressione all'Ucraina la cosa si complica.
Caro Sergio, credo che la differenza tra inganno lecito (ammirevole) ed illecito (riprovevole) sia molto più labile di quanto pensiamo.
EliminaCerto, ci si può riferire alle leggi ed alle norme fissate dalla società, e considerare 'inganno lecito' tutto ciò che non le viola.
Ma le zone grigie sono tante: basta pensare alla 'cinconvenzione di incapace' o a certe truffe geniali che presuppongono la partecipazione attiva delle vittime.
Ma in generale, il fatto è che l'inganno ci affascina ed il cinema e la letteratura ci hanno spesso ricamato sopra, facendoci parteggiare per il... cattivo di turno.
Effettivamente quasi tutti parteggiano per il cattivone e persino delinquente. Forse o probabilmente perché riesce a sfuggire alla cappa spesso opprimente dei doveri che ci sovrasta. Identificandoci coll'eversore sfuggiamo anche noi all'oppressione (ma solo per un momento e per scherzo - per fortuna).
EliminaIl truffatore vincente piace perchè dimostra di essere 'superiore' (sia alla vittima che alle forze dell'ordine) e sentirsi superiori è una cosa che piace a tutti (anzi, forse è la cosa che piace di più, in assoluto).
EliminaIstinto e morale
RispondiEliminaLa legge fondamentale di tutti i viventi - l'istinto di sopravvivenza - dice e comanda: tutto è lecito, anche mentire, rubare (se non si ha da mangiare) e persino uccidere (per legittima difesa).
Il gruppo o la società invece dicono: alt, hai ceduto parte della tua sovranità e perciò non tutto è lecito, decide il gruppo in merito. Ed ecco fondata la morale.
Due campioni riconosciuti di morale - Gesù e Kant - propendono per il rigorismo. Gesù: il tuo dire sia sì sì, no no.
Kant: non è lecito mentire in nessuna circostanza e per nessun motivo.
Devo dire che la massima di Gesù mi è sempre piaciuta e mi ci attengo, non mi piace nemmeno la piccola bugia ("digli che non ci sono") ovvero la bugia pietosa (che invece dei colleghi tolleravano: i ragazzi a scuola fanno bene a copiare, sono oggettivamente in difficoltà).
Il rigorismo di Kant rasenta invece la follia: se la Gestapo bussa e mi chiede se per caso nascondo degli ebrei, ebbene non posso mentire nemmeno in questa circostanza. Questo è davvero troppo - perché c'è anche un'altra dote dell'uomo, la sua umanità.
Ti confesso che il rigorismo eccessivo ed imperativo di quei due personaggi non mi piace, e non solo perchè io non potrei mai adeguarmi (ci sono casi in cui mi sarebbe davvero impossibile), ma anche perchè vivere in società richiede necessariamente un minimo di diplomazia, di omissione o di piccola bugia, a fin di bene.
EliminaDire SEMPRE la verità finisce per offendere tutti e farci litigare con tutti (siamo tutti un po' permalosi).
Quindi non è un buon sistema per vivere felicemente in un gruppo.
Effettivamente non si può dire sempre la verità o essere sinceri. Io mi piccavo di essere sempre e comunque sincero finché mi sono accorto che la mia sincerità non era sempre gradita, e non perché offendevo qualcuno, ma perché lo mettevo in imbarazzo. Se io sono o credo di essere sempre sincero in effetti lo pretendo anche dagli altri - e gli altri non sono sempre disposti ad esserlo, e anche con buone ragioni.
EliminaUn problemino morale: a volte si tace, si preferisce tacere per non peggiorare le cose. Questo tacere è mentire? Se taccio a mia moglie o a un amico una cosa di rilievo "perché non è il momento", non la prenderebbe bene eccetera, non rivelo qualcosa di importante e quindi almeno un po' mento. Posso dirmi: ne riparleremo al momento opportuno, ma adesso meglio non dire niente. Però se l'altro si accorge o scopre che meniamo il can per l'aia, che non siamo o non siamo stati sinceri perché abbiamo taciuto la tal cosa, ovviamente se la prenderà e farà dei rimproveri (non sei sempre sincero, non dici sempre tutta la verità). Gesù mi tormenta un poco!
RispondiElimina<< a volte si tace, si preferisce tacere per non peggiorare le cose. Questo tacere è mentire? >>
EliminaBella domanda. Secondo me no, perchè la menzogna è qualcosa di attivo e deliberato, mentre l'omissione può avere cause passive e non deliberate, come il semplice imbarazzo.
Così, mutatis mutandis, alcuni psicologi sostengono che il mancato intervento di fronte ad un atto illecito equivale (giuridicamente ? moralmente ?) a commetterlo, ma, anche in questo caso, non riesco ad essere d'accordo.
Oltretutto intervenendo rischio e ... chi me lo fa fare? Sarò pure un coniglio, ma non sono tenuto a farmi del male. Nemmeno io sono d'accordo con detti psicologi.
EliminaTrovo plausibile anche la tua osservazione sul tacere in certi momenti: sì, non è proprio mentire, e poi la questione è solo rimandata. "Yo soy yo y mis circunstancias." (Ortega) Bisogna pur tener conto di certi fattori che inducono a soprassedere sul momento.
Il grande inganno e l'autoinganno
RispondiEliminaCaro Lumen,
conoscerai quel detto latino: Mundus vult decipi, ergo decipiatur. Non mi ha mai persuaso: possibile che la gente ami essere ingannata?
E adesso veniamo al grande inganno, quello delle religioni.
Attenzione: chi è credente non continui la lettura, quel che dico potrebbe offendere i suoi sentimenti religiosi (che sembrano essere sacri).
Noi due siamo atei o agnostici o ateo-agnostici o semplicemente non credenti. Per noi le religioni, specie quelle del libro, non sono che un cumulo di idiozie. Però hanno avuto una funzione, in negativo quella di tenere a bada la plebaglia ("Timor Dei est initium sapientiae"). Non possiamo però negare che abbiano avuto anche un effetto benefico (l'amore del prossimo, per esempio, la sostanziale uguaglianza di tutti gli uomini ecc.). Penso però che la religione abbia soprattutto dato un senso alla vita che era per la maggior parte degli uomini amara (la valle di lacrime). La vita vera comincia dopo la morte (diceva una nipotina di Manzoni), e se avremo fatto i bravi sarà bellissima e non finirà mai. Molti, moltissimi ci hanno creduto, persino dei geni e molto a lungo (per quasi due millenni). E non pochi continuano a crederci. Com'è stato, com'è possibile? Io penso che Bergoglio, Mattarella e Draghi non credono alle fregnacce della religione cattolica (il Dio uno trino, lo Spirito Santo, la resurrezione della carne e la vita eterna eccetera eccetera). Ovviamente non possono dirlo.
Il cristianesimo si è imposto per merito di Costantino ed è poi stato imposto a tutti i cittadini (Teodosio minacciava la pena capitale ai rinnegati e più tardi l'inquisizione non scherzava). Comunque molti ci hanno creduto accettando l'inganno. Ma davvero volevano essere ingannati come suggerisce il detto latino? Non credo. Pur nelle difficoltà della vita e del credere la religione aveva per loro lo stesso un senso (al punto che i martiri rinunciavano persino alla vita). Il dolore senza senso è insopportabile, invece i credenti non solo lo sopporta(va)no, ma addirittura lo accetta(va)no con gioia convinti di guadagnarsi il paradiso (oggi però le cose stanno cambiando: tutti vogliono vivere il più a lungo possibile e bene).
Alla domanda: c'è una vita dopo la morte?, qualcuno osserva giustamente: ma c'è una vita prima della morte?
Non tutte le religioni però promettono la vita eterna. Gli ebrei non ci credono e i buddisti nemmeno. La promessa di vita eterna è stata però il grande inganno. Non c'è stata nessuna resurrezione di Lazzaro (un caso di morte apparente) e nemmeno di Gesù. Non c'è nessuna evidenza (e come potrebbe esserci?), ma bisogna appunto crederci (ci dicono i preti e il potere, guai a chi dissente).
<< conoscerai quel detto latino: Mundus vult decipi, ergo decipiatur. Non mi ha mai persuaso: possibile che la gente ami essere ingannata? >>
EliminaNo, non lo conoscevo, anche perchè non immaginavo che il pensiero latino fosse arrivato a queste vette di sottigliezza.
Ma mi piace moltissimo e lo condivido in pieno.
Non è solo una faccenda di religione: tutti vogliamo ingannarci con pensieri positivi, per il semplice motivo che la realtà è troppo triste ed angosciante.
Leopardi lo aveva capito in pieno, ma - per l'appunto - ha avuto un'esistenza davvero triste (eccelsa, ma triste).
<< Non tutte le religioni però promettono la vita eterna. Gli ebrei non ci credono e i buddisti nemmeno. >>
EliminaVero.
Il buddismo però non è una vera religione, ma piuttosto una filosofia di vita, fondata sulla conscenza del sè ed il controllo delle passioni.
L'ebraismo, invece, appare davvero come una anomalia incomprensibile, perchè senza escatologia si rinuncia alla forza più importante di una religione, quella della speranza.
Eppure, l'incredibile forza di coesione che anima il popolo ebraico è sotto gli occhi di tutti.
Sarà la famosa eccezione che conferma la regola...
Alfred Brendel, pianista
RispondiEliminaNoi esistiamo
ed è pur sempre qualcosa
Ci tocchiamo
naso, bocca, mento
Nessun dubbio,
siamo
E poi la patta:
dubitarne sarebbe davvero il colmo.
Invece angeli e demoni
non esistono proprio.
Noi adulti lo sappiamo:
la Provvidenza
e Cappucceto Rosso
e l'intera coorte di dèi e demoni -
se uno ragiona davvero
no, non può proprio.
Commento di GPVALLA
RispondiEliminaÈ indubbio che esistono bias cognitivi, che condizionano la conoscenza e la percezione stessa della realtà. Poiché dipendono dallo stesso funzionamento della mente - come plasmato dall'evoluzione - sono ineliminabili: si può solo esserne consapevoli e tenerne conto.
Forse il termine "autoinganno" non è appropriato: si tratta semmai di modalità di funzionamento della mente finalizzate a reagire rapidamente a problemi concreti, sia pure a costo di approssimazioni e semplificazioni.
La lettura imprescindibile sull'argomento è "Pensieri lenti e veloci" di Kahneman.
Quanto alla credenza nella esistenza di Dio (o di dèi), credo che sia una sorta di sottoprodotto della capacità della mente umana - acquisita nel corso dell'evoluzione, di realizzare rappresentazioni mentali di eventi futuri e di condotte altrui ("mettersi nei panni altrui"), di progettare consapevolmente la propria condotta e le conseguenze della stessa, anche non immediate.
Inevitabilmente gli uomini avranno attribuito questo modo di agire consapevole e finalistico anche agli eventi naturali, ipotizzando che gli stessi, imprevedibili e inspiegabili, fossero la manifestazione del volere e dell'agire di un essere superiore.
Tale credenza, peraltro, non sarebbe rimasta se non avesse comportato, a livello di gruppo, un significativo vantaggio competitivo: non solo per controllare l'angoscia esistenziale, ma anche per favorire la capacità dei singoli di sacrificarsi per la collettività, anche superando l'istinto di conservazione individuale.
Non mi sembra però che ciò comporti necessariamente la nascita di religioni organizzate con una casta "professionale" di sacerdoti dedita esclusivamente alle attività di culto. Certo, in ogni civiltà esistono specialisti dei rapporti con gli dèi (sacerdoti, maghi, sciamani, druidi...), ma perché sussista una casta privilegiata e distinta dagli altri membri della società, sostanzialmente parassitaria, è necessaria la formazione di stati organizzati con la conseguente differenziazione sociale e lo sviluppo di poteri accentrati di coercizione ed esazione (i cui frutti in parte venivano girati al clero). A nessuno piace pagare le tasse, anche se a pro degli dèi - e dei loro rappresentanti accreditati...
Caro Beppe, sono d'accordo con te quando ipotizzi che la tendenza finalistica dei primi uomini (animismo proto-religioso) << non sarebbe rimasta se non avesse comportato, a livello di gruppo, un significativo vantaggio competitivo: non solo per controllare l'angoscia esistenziale, ma anche per favorire la capacità dei singoli di sacrificarsi per la collettività, anche superando l'istinto di conservazione individuale. >>
EliminaSi tratta di un tema molto interessante, sul quale ho intenzione di pubblicare (appena possibile) un paio di post scritti da Ugo Bardi.
Avremo quindi modo di approfondire ancora l'argomento.
Uno dei più tenaci 'bias cognitivi' sembra essere quello legato al biblico "crescete e moltiplicatevi" e alle sue versioni secolarizzate: un (auto)inganno in base al quale i disastri (ambientali, economico-sociali, ecc.) direttamente collegati alla persistenza (o al rilancio...) di tassi di natalità sproporzionatamente alti in relazione alle risorse disponibili in un dato contesto spazio-temporale passano completamente sotto silenzio di fronte a considerazioni di tipo implacabilmente "crescitista" legate ad altri ambiti (generalmente ideologici, politico-nazionali, religioso-confessionali, turbocapitalisti, ecc.)
RispondiEliminaIn effetti si tratta di uno degli auto-inganni più pericolosi, conseguenza dei lunghi periodi preistorici (ed anche proto-storici) in cui il numero era davvero potenza positiva, ed il timore (più o meno inconscio) dell'estinzione della tribù (o della stirpe) era ancora vivo e giustificato.
EliminaOggi non è più così, anzi corriamo il rischio opposto, ma liberarsi dei quel bias appare davvero utopistico.
Popolazione mondiale oggi 25 maggio 2022; 7.949.299.000
RispondiEliminaTanti eravamo secondo Worldmeters alcuni secondi fa. Nel frattempo siamo cresciuti ...
Che c'entra? Cavolo se c'entra (secondo il mio modesto parere).
Nel 2000 eravamo appena 6 miliardi (si noti l'«appena») e in tutto il mondo circolavano 550 milioni di veicoli (sì, proprio 550 appena). Oggi, appena vent'anni dopo, ne circolano quasi 2 miliardi, tendenza a salire. Ma adesso, mannaggia, il mercato è fermo (la pandemia, la guerra, l'energia eccetera). L'automobile è un diritto umano ormai. Sommosse in Sry Lanka per il caro benzina.
"Eh no, se va avanti così, chissà come finirà" (Celentano, Il ragazzo della via Gluck).
Come che c'entra?
Caro Sergio, molte persone hanno davvero un orizzonte degli eventi molto limitato.
EliminaQuindi non c'è da stupirsi se, per molti, il problema più urgente sia davvero quello del caro-benzina.
Alla sovrappopolazione ci penseremo un'altra volta, se abbiamo tempo.