giovedì 7 aprile 2022

Sindrome Cinese – 1

Il gigante cinese, dopo secoli di immobilismo, appare davvero incamminato a diventare la nuova potenza mondiale, che dominerà i prossimi decenni. Ma per l'ambiente questa non è una buona notizia.
Ce ne parla l'amico Agobit, in questo lungo post tratto dal suo blog 'Un Pianeta non basta' (prima parte di due).
LUMEN


<< Mentre in Occidente avanza il pensiero unico dell'ambientalismo naif e del politically correct multicultural-nogender, il mondo si frantuma dietro nuove linee rosse che delineano la nuova geopolitica del terzo millennio. Alcune linee di fondo sono chiare: il declino, ancora limitato della potenza americana; il crollo (una specie di Titanic) dell'Europa e della sua rilevanza politica; l'emergere della superpotenza cinese e, assai dietro, di quella indiana.

La ridefinizione delle aree di influenza è rapida: l'Asia sta velocemente cadendo sotto l'egida del Dragone, l'Africa è letteralmente comprata dal governo cinese, la Russia sta apertamente scegliendo l'autocrazia autoritaria elaborando consapevolmente una ripulsa, filosofica prima che politica, della democrazia liberale.

Tutti questi fenomeni della geopolitica contemporanea sono descritti nell'ultimo interessante libro di Federico Rampini "Fermare Pechino" con sottotitolo: "Capire la Cina per Salvare l'Occidente". Finalmente Rampini introduce, nell'analisi politica, l'elemento che in passato veniva rigorosamente evitato per la solita ideologia dominante terzomondista: la demografia.

Non si può infatti ignorare che dietro l'abbandono della politica del figlio unico la Cina abbia indicato la demografia come un'altra delle armi a disposizione per le sue ambizioni mondiali. Come in passato il contenimento della crescita della popolazione era conseguente alla politica di investimenti interni per la modernizzazione, nell'attuale fase di espansione planetaria la crescita demografica conviene al potere cinese esattamente come conviene il greenwashing, cioè la sua politica degli annunci sulla economia verde, nella realtà mai attuata nel territorio controllato da governo cinese, se non in modo superficiale e di facciata.

L'ambientalismo infatti è buono per porre in crisi il concorrente americano ed europeo, si pensi alla frattura fra US e EU sulle politiche dei dazi e la tassazione delle emissioni. Ma per quello che riguarda la produzione nazionale, la Cina apre nuove centrali a carbone e sfrutta in maniera massiva l'energia da idrocarburi o quella idrica con annessa devastazione ambientale.

Come esempio si guardi alle oltre cento dighe costruite dai cinesi e che hanno alterato i sistemi naturali dei fiumi Yarlung Tsangpo-Brahmaputra, generando tra l'altro un conflitto ancora sottarraneo (ma che potrebbe degenerare in conflitto aperto) con l'India per lo sfruttamento delle acque. Su quel confine asiatico si fronteggiano tre miliardi di umani e i loro interessi politico-economici.

Mentre l'occidente si alambicca il cervello con la macchinosa burocrazia dei dazi sulla sostenibilità e con l'industria delle certificazioni del carbon border tax, il protezionismo ambientale non si concilia con gli interessi dei paesi emergenti, per i quali l'orizzonte delle zero emissioni non è realistico.

La Cina, nella sua attuale espansione in Africa, ha un argomento forte: esporta un modello che ha funzionato a casa propria per fare il salto verso l'industrializzazione, che significa la vittoria contro la fame e la miseria. Gli occidentali pensano a un futuro sostenibile dell'Africa come una sorta di Arcadia bucolica, che eviti il passaggio sgradevole del boom manifatturiero, e non hanno un modello concreto, esistente, da opporre a quello di Pechino.

La Cina ha studiato la storia dello sviluppo economico occidentale con più attenzione dei sacerdoti verdi. "I poveri erediteranno la terra" non fa parte del repertorio ideologico del suo presidente, che in questo ha abbandonato il vecchio maoismo in favore di un capitalismo regolato dallo stato. Xi Jinping vuole fare della Cina una potenza ricca come ai tempi dell'Impero Celeste.

Il dominio del mondo esige sviluppo economico , risorse energetiche a basso costo ed efficienti, e una produzione industriale capace di rifornire gran parte del mondo con merci scarsamente studiate per ridurre gli impatti ambientali. Qualcosa che i fondamentalisti verdi preferiscono ignorare.

La Cina è campione mondiale del globalismo commerciale, ma allo stesso tempo è uno stato fortemente "sovranista", nazionalista, protezionista verso le proprie produzioni e insofferente verso le prediche dell'Occidente sui diritti umani.

Riferisce Rampelli che sull'argomento ne sanno qualcosa H&M, Adidas, Nike, Zara e molte altre marche della moda e abbigliamento. (…) In un braccio di ferro l'azienda occidentale può subire un danno cinquanta volte superiore a quello, teorico, che la Cina subirebbe da un blocco delle sue esportazioni.

Il "consumatore morale " in Estremo Oriente segue canoni molto diversi dai nostri. Mentre da noi si accusa di nazionalismo e razzismo per qualunque cosa chiunque non si attenga al politically correct, e si attaccano sempre i brutti e cattivi americani, in oriente non viene passata nessuna critica. L'associazione dei produttori della moda ha dovuto autocensurarsi e cancellare dal proprio sito ogni riferimento ai lavori forzato degli uiguri.

Ora preferiscono riservare le loro critiche alle ingiustizie della società americana, dove sanno di non dover pagare prezzo, anzi incassano applausi. Allo stesso tempo, nel silenzio generale, Xi abolisce la legge costituzionale sul limite di mandato e sulla direzione collegiale, avviando la Cina verso una dittatura autocratica personale. Il flusso continuo delle merci - e delle materie prime essenziali per produrle - è in balia di eventi che possono interromperlo: una pandemia, un conflitto, un embargo, una sanzione, un incidente, un cyberattacco.

Altre volte interi settori strategici si scoprono davvero troppo vulnerabili, alla mercé di fornitori lontanissimi, talvolta ostili. Per questo la Cina espande le sue infrastrutture strategiche, acquista porti in tutto il mondo, costruisce e gestisce ferrovie in Africa, espande le sue flotte militari, pensa all'annessione prossima di Taiwan (ricca di terre rare e imprese per la produzione di microcip), esprime la politica più sovranista e ipernazionalista che si possa immaginare.

Allo stesso tempo si traveste da agnello alle Conferenze sul clima, è il principale e , ormai quasi unico, produttore mondiale di pannelli solari e altre rinnovabili che però usa poco in patria ma esporta per la quasi totalità. Condanna le emissioni di carbonio, ma espande la produzione di energia con il carbone e altri idrocarburi. Firma contratti del valore di decine di miliardi di dollari con i principali produttori di petrolio e gas, e riceve poi gli applausi alla Cop 6 dalla dabbenaggine degli ambientalisti alla cappuccetto rosso.

Questa politica mantiene basso il costo medio dell'energia in Cina mentre le politiche succubi dell'ambientalismo naif stanno portando a triplicare il prezzo dell'energia in Occidente (salvo in parte per chi produce con il nucleare).

Con mossa furbesca il Governo Cinese, nell'ultima conferenza climatica di Glasgow, ha prima firmato la dichiarazione di rientro dalle emissioni di carbonio, partecipando alla pantomima delle fotografie di gruppo con sorrisi e abbracci, e in seguito ha comunicato di rimandarne l'applicazione - per quanto riguarda la Cina - al 2060, imitati in questo dagli Indiani che la fissano al 2070, cioè un'altra era.

Si tratta con ogni evidenza di una solenne presa per i fondelli degli ambientalisti alla cappuccetto rosso. I risultati sono sotto gli occhi: il 2021 è segnato un record tragico. E' il secondo anno più dannoso della storia per la quantità di CO2 rilasciata in atmosfera. La causa è prevalentemente la crescita asiatica, in particolare cinese. Le emissioni carboniche a fine anno potrebbero raggiungere i 33 miliardi di tonnellate, l'aumento più considerevole dal 2010, secondo le stime Aie. >>

AGOBIT

(segue)

5 commenti:

  1. A proposito dell'evouzione della Cina, riporto qui un breve passo tratto dal sito di Sollevazione:

    << Deng Xiaoping ruppe il paradigma maoista nel senso che sostituì all’orizzonte soggettivista contadino e tradizionalista quello evoluzionista e scientifico. (...)
    Sia Mao sia Deng consideravano i cinesi superiori agli occidentali, per storia, cultura e tradizione spirituale, e volevano superare velocemente il gap successivo alla rivoluzione industriale (...)
    Il soggettivismo volontaristico di Mao riteneva fosse possibile colmare il divario grazie alla nobile saggezza tradizionalista e organicista cinese.
    Deng Xiaoping viceversa sosteneva che fosse necessario importare la scienza e la tecnologia occidentali, con una élite politica nazionalista capace di cavalcarle e dirigerle dove “l’egemonia cinese” volesse guidarle.>>

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  2. COMMENTO di GPVALLA

    Articolo interessante, soprattutto perché riassume le principali accuse alla Cina da parte della stampa main stream.
    Nel merito, peraltro, le considerazioni di Rampini mi paiono contestabili, a partire da quelle relative alla demografia. In Cina il tasso di fecondità è di circa 1,3 figli per donna (secondo altri 1,6), comunque ben inferiore al mero tasso di sostituzione (2,1). La popolazione cinese tendenzialmente diminuisce, non aumenta, e l'abbandono della politica del figlio unico è volta a scongiurare i problemi derivanti, in prospettiva, dalla denatalità e dall'invecchiamento della popolazione, non a velleità colonizzatrici ed espansioniste.
    Le critiche fondate sull'ambientalismo sono quanto meno ipocrite: l'energia fossile è la più usata in tutto il mondo e -allo stato - non può essere sostituita dalle mitizzate energie "alternative". Non è poi colpa della Cina se l' UE ha adottato politiche "ambientali" folli (oltre che destinate al fallimento).
    Va inoltre ricordato che i vantaggi competitivi lamentati non solo solo appannaggio delle imprese cinesi, ma anche delle innumerevoli aziende occidentali che hanno delocalizzato le produzioni per avvalersi di legislazioni più permissive ed utilizzare dipendenti poco (o punto) tutelati e molto meno costosi. Ma finché le vittime sono state i lavoratori europei ed americani, nessun giornalista MS ha protestato (è la globalizzazione, TINA!); ora che la Cina fa direttamente concorenza alle multinazionali occidentali, apriti cielo! Il Tibet, gli uiguri , il carbone, i panda... Comunque nessuna mutinazionale ha riportato le fabbriche in Europa.
    Quanto alle accuse di violazione dei diritti umani e di neocolonialismo per la politica africana, siamo al grottesco: non c'è comportamento attribuito alla Cina (a torto o a ragione) che non sia stato praticato prima (e lo zia tutt'oggi) dagli USA e sodali, spesso con estrema brutalità. Non mi risulta che finora la Cina abbia organizzato invasioni, colpi di stato, omicidi politici all'estero; dall' altra parte, ex multis, Mossadeq, Lumumba, Sukarno, Allende, Sankara. E poi la Yugoslavia, l'Irak, l'Afghanistan, la Libia, la Siria, l'Ucraina (il golpe del 2014)....
    Quanto allo stato della democrazia nella UE - e in particolare in Italia -, meglio tacere.
    In fondo ciò che viene imputato alla Cina è il fatto che segua un modello di sviluppo alternativo rispetto a quello delle "democrazie liberali" (un ossimoro), con un efficace e penetrante controllo pubblico dell'economia finalizzato al perseguimento degli interessi generali del Paese, e che tale modello abbia successo.
    Ma mettere in discussione il dogma liberista è evidentemente inaccettabile.

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    1. << In fondo ciò che viene imputato alla Cina è il fatto che segua un modello di sviluppo alternativo rispetto a quello delle "democrazie liberali" (un ossimoro). >>

      Caro Beppe,
      in effetti la 'colpa' principale che si può imputare alla Cina è proprio il fatto che il suo sistema politico-economico, con tutti i suoi difetti (ed almeno per ora), funziona meglio del nostro.
      E' una cosa... intollerabile.

      Però mi devi spiegare meglio perchè ritieni il termine "democrazie liberali" un ossimoro.

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    2. COMMENTO di GPVALLA

      La questione è stata trattata, con numerosi interventi di altissimo livello, da Luciano Barra Caracciolo nel suo blog Orizzonte 48, che suggerisco di consultare.
      Riassumendo e semplificando: è democratico uno Stato in cui tutti i cittadini partecipano effettivamente alla determinazione dell'indirizzo politico, potendo davvero scegliere fra più opzioni diverse, che hanno tutte la possibilità di essere messe in pratica.
      Non è democrazia un sistema in cui lo Stato rinuncia per principio ad intervenire e a dirigere l'economia, lasciando libero campo alle oligarchie finanziarie ed industriali. Anche se si tengono elezioni formalmente "libere", il loro risultato è prederminato laddove una parte (i potentati economici privati) controlla tutti i mezzi di informazione e comunicazione, svolge massiccia attività di lobbying sui politici eletti e può in concreto ricattare economicamente la grande maggioranza dei cittadini.
      Il motto della "democrazia liberale" è TINA: there is not alternative.
      Peggio ancora quando, come nella UE, tutte le principali decisioni di politica economica vengono direttamente o indirettamente prese da organismi non eletti e sottratti al controllo dei cittadini, che sono in concreto i meri portavoce ed esecutori dei programmi delle oligarchie.

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    3. Ti ringrazio, per la chiarissima precisazione.
      Però, se la discriminante è questa, ho l'impressione che di 'Democrazie' vere e proprie, nel mondo, ce ne siano piuttosto poche.

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