Ritorno a dedicare un post ai ricorrenti problemi della Scuola italiana, sulla quale sembra gravare una sorta di maledizione, per cui anche le buone intenzioni producono spesso pessimi risultati.
I tre contributi che seguono, diversi tra loro per contenuto e lunghezza, ma tutti interessanti, sono tratti dal web. Buona lettura.
LUMEN
SCUOLA E UGUAGLIANZA
I tre contributi che seguono, diversi tra loro per contenuto e lunghezza, ma tutti interessanti, sono tratti dal web. Buona lettura.
LUMEN
SCUOLA E UGUAGLIANZA
<< È facile mostrare l’incompatibilità tra conoscenza critica e ideale dell’uguaglianza assoluta: la conoscenza prende sul serio ciò che esiste; ma ciò che esiste è sempre determinato, cioè differente, dunque la conoscenza deve per sua natura valorizzare la differenza; invece l’esigenza di uguaglianza assoluta nasce dall’insoddisfazione per ciò che esiste, proprio perché esso è determinato, differente; essa è dunque incompatibile con il presente, in fuga volontaristica verso il futuro.
L’odio ugualitario della conoscenza si esprime in molti modi, non solo come disprezzo teologico della ragione per attenersi alla rivelazione, ma anche come insofferenza illuminista della metafisica e della teologia e infine come rifiuto marxista della filosofia. Stretta da tanti giganti, la conoscenza può confidare più sulle cose, che sugli uomini.
La polemica astiosa contro il liceo classico, perché era fondato sul principio della conoscenza critica, è stata portata avanti non solo dal pragmatismo borghese, ma soprattutto dalle ideologie ugualitarie: dai comunisti che gli rinfacciavano il classismo, e dagli illuministi, che gli rinfacciavano il nozionismo e il tradizionalismo. (,,,).
Proprio nel momento in cui lasciavano i lavoratori esposti alla pressione neo-liberale, gli ex-comunisti lenivano i propri sensi di colpa restando fedeli a sé stessi nell’unico campo in cui era loro consentito.
L’odio ugualitario della conoscenza si esprime in molti modi, non solo come disprezzo teologico della ragione per attenersi alla rivelazione, ma anche come insofferenza illuminista della metafisica e della teologia e infine come rifiuto marxista della filosofia. Stretta da tanti giganti, la conoscenza può confidare più sulle cose, che sugli uomini.
La polemica astiosa contro il liceo classico, perché era fondato sul principio della conoscenza critica, è stata portata avanti non solo dal pragmatismo borghese, ma soprattutto dalle ideologie ugualitarie: dai comunisti che gli rinfacciavano il classismo, e dagli illuministi, che gli rinfacciavano il nozionismo e il tradizionalismo. (,,,).
Proprio nel momento in cui lasciavano i lavoratori esposti alla pressione neo-liberale, gli ex-comunisti lenivano i propri sensi di colpa restando fedeli a sé stessi nell’unico campo in cui era loro consentito.
Le buone intenzioni di fare della scuola non più una caserma autoritaria e oppressiva, ma il nido in cui gli insegnanti, scesi dalla cattedra, facessero da animatori della spontaneità già matura di ogni alunno, sono state la pelle d’agnello sotto la quale i lupi dell’ugualitarismo hanno espulso il rigore della conoscenza critica.
Così l’aristocratica severità gentiliana si è dissolta e la democrazia matriarcale è divenuta impercettibilmente il principio unico e inderogabile della pedagogia: è perché ogni bambino ha diritto di esprimere la sua ricca spontaneità che essi non sanno più impugnare la penna, e se sanno leggere non capiscono quello che leggono.
E' la preoccupazione di impedire le disuguaglianze che suggerisce agli insegnanti la rinuncia all’insegnamento, che induce i consigli di classe e le commissioni d’esame alle più sottili psicologie pur di promuovere anche l’ignoranza più beata, indifferenti alle conclusioni che gli alunni ne trarranno – che sia tutto regalato, che non serva impegno, che il successo scolastico sia un diritto naturale come l’amore materno e non occorra meritarlo con l’adempimento dei doveri. (...)
La scuola assistenziale finge gli alunni uguali e li lascia uguali. Una scuola pubblica che si rispettasse riconoscerebbe una doppia disuguaglianza: quella iniziale del talento e quella finale della preparazione; dovrebbe dare di più a chi ha avuto meno dalla natura e dal caso: stargli più accanto per abituarlo alla disciplina che quello non sa imporsi da solo, perché raggiunga comunque il livello teoretico necessario al cittadino.
Una scuola pubblica che si rispettasse dovrebbe esaltare il talento, anzitutto rispettando ciò che per il talento ha valore: la conoscenza disinteressata, la severità dell’impegno, la finezza del gusto, e poi coltivandolo in modo che giunga al virtuosismo. >>
DI REMIGIO e DI BIASE (SOLLEVAZIONE)
SCUOLA E BUONISMO
Così l’aristocratica severità gentiliana si è dissolta e la democrazia matriarcale è divenuta impercettibilmente il principio unico e inderogabile della pedagogia: è perché ogni bambino ha diritto di esprimere la sua ricca spontaneità che essi non sanno più impugnare la penna, e se sanno leggere non capiscono quello che leggono.
E' la preoccupazione di impedire le disuguaglianze che suggerisce agli insegnanti la rinuncia all’insegnamento, che induce i consigli di classe e le commissioni d’esame alle più sottili psicologie pur di promuovere anche l’ignoranza più beata, indifferenti alle conclusioni che gli alunni ne trarranno – che sia tutto regalato, che non serva impegno, che il successo scolastico sia un diritto naturale come l’amore materno e non occorra meritarlo con l’adempimento dei doveri. (...)
La scuola assistenziale finge gli alunni uguali e li lascia uguali. Una scuola pubblica che si rispettasse riconoscerebbe una doppia disuguaglianza: quella iniziale del talento e quella finale della preparazione; dovrebbe dare di più a chi ha avuto meno dalla natura e dal caso: stargli più accanto per abituarlo alla disciplina che quello non sa imporsi da solo, perché raggiunga comunque il livello teoretico necessario al cittadino.
Una scuola pubblica che si rispettasse dovrebbe esaltare il talento, anzitutto rispettando ciò che per il talento ha valore: la conoscenza disinteressata, la severità dell’impegno, la finezza del gusto, e poi coltivandolo in modo che giunga al virtuosismo. >>
DI REMIGIO e DI BIASE (SOLLEVAZIONE)
SCUOLA E BUONISMO
<< Da alcuni mesi mia moglie sta facendo delle supplenze in una scuola media ed il bestiario nel quale si trova coinvolta è qualcosa che fa pensare di non potere più usare la parola scuola.
Solo per esempio: al fine di non traumatizzare i poveri ragazzi non bisogna usare la penna rossa nelle correzioni, per le interrogazioni (ammesso che di interrogazioni si possa parlare) non chiamare in ordine alfabetico perché potrebbero non reggere alle emozioni. Non continuo per carità di patria…
Metà delle classi sono “bes” (bisogni educativi speciali), sigla di cornice che contiene poi al suo interno una miriade di altre sigle più o meno impronuciabili di difficoltà o patologie presunte, un tempo inesistenti (in realtà, si tratta perlopiù di ragazzi che non hanno voglia e che disturbano, che anziché essere raddrizzati come si faceva una volta, ora vengono invece trasformati in vittime da comprendere).
Risultato della proliferazione dei “bes”: verifiche facilitate (essere 'bes' paga, per così dire) ed una pletora di insegnati di sostegno che nella maggior parte dei casi fanno poco o nulla, salvo percepire lo stipendio pubblico e non perdersi uno sciopero o una assemblea sindacale.
Solo per esempio: al fine di non traumatizzare i poveri ragazzi non bisogna usare la penna rossa nelle correzioni, per le interrogazioni (ammesso che di interrogazioni si possa parlare) non chiamare in ordine alfabetico perché potrebbero non reggere alle emozioni. Non continuo per carità di patria…
Metà delle classi sono “bes” (bisogni educativi speciali), sigla di cornice che contiene poi al suo interno una miriade di altre sigle più o meno impronuciabili di difficoltà o patologie presunte, un tempo inesistenti (in realtà, si tratta perlopiù di ragazzi che non hanno voglia e che disturbano, che anziché essere raddrizzati come si faceva una volta, ora vengono invece trasformati in vittime da comprendere).
Risultato della proliferazione dei “bes”: verifiche facilitate (essere 'bes' paga, per così dire) ed una pletora di insegnati di sostegno che nella maggior parte dei casi fanno poco o nulla, salvo percepire lo stipendio pubblico e non perdersi uno sciopero o una assemblea sindacale.
Tralascio il livello dell’apprendimento dei delicatissimi ragazzi di cristallo, perché è anche peggio (molto peggio) di quello che si può immaginare. >>
DAL BLOG DI GIANNI PARDO
DAL BLOG DI GIANNI PARDO
SCUOLA E ALLENAMENTO
<< La scuola non deve formare buoni professionisti [o lavoratori]. Questa roba va fermata. La scuola e’ pagata dallo stato e deve formare CITTADINI. Se poi l’imprenditore vuole che sappiano usare un tornio, non deve fare altro che sborsare la lira e formarli in azienda.
Ma ormai si e’ diffusa la storia che la scuola deve “servire” a lavorare. E’ come se io chiedessi ad un tizio che fa jogging dove sta andando di preciso, e perche’. La risposta sara’ che correre non gli serve per andare da qualche parte, ma ad avere gambe migliori.
Allo stesso modo, allo studente deve essere tolta dalla testa l’idea che quel che studia “gli serve”: quel che studia gli serve ad allenare un cervello migliore. Esattamente come lo jogging non serve ad andare da qualche parte, ma ad avere gambe migliori. >>
Ma ormai si e’ diffusa la storia che la scuola deve “servire” a lavorare. E’ come se io chiedessi ad un tizio che fa jogging dove sta andando di preciso, e perche’. La risposta sara’ che correre non gli serve per andare da qualche parte, ma ad avere gambe migliori.
Allo stesso modo, allo studente deve essere tolta dalla testa l’idea che quel che studia “gli serve”: quel che studia gli serve ad allenare un cervello migliore. Esattamente come lo jogging non serve ad andare da qualche parte, ma ad avere gambe migliori. >>
URIEL FANELLI