giovedì 7 ottobre 2021

Il consumatore globale – 2

Gli effetti negativi della produzione di massa sulla nostra vita civile, in un testo di Agobit , tratto dal suo blog 'Un pianeta non basta'. (seconda ed ultima parte).

LUMEN


<< Il concetto di produzione perde il rapporto prevalente con quello di necessità. Il prodotto spesso è in se inutile o ha una utilità marginale. Il suo valore non è la sua effettiva utilità a coprire una esigenza. Il valore del prodotto è nel prodotto stesso. Nasce la società dell'opulenza in cui il lusso è uno status sociale.

Dice Galbraith: "Nessuno puo' sostenere seriamente che l'acciaio che serve ad allungare di quattro o cinque piedi le carrozzerie delle nostre automobili a scopo esclusivamente estetico o per sfoggio di potenza, sia veramente necessario. Per molte donne e anche per qualche uomo, il vestiario ha cessato di avere una funzione protettiva, ed e' diventato, come il piumaggio di certi uccelli, un mezzo che serve solo ad attrarre persone dell'altro sesso".

Questi prodotti non sono necessari, ma rispondono ad una legge fondamentale: determinano dei bisogni indotti nella popolazione. Con l'aiuto della pubblicita e dei modelli diffusi dai media, si instilla nella popolazione la convinzione che il miglioramento della propria esistenza consista nell'aumento dei consumi e nella moltiplicazione del possesso di merci.

Tutto questo contribuisce alla crescita della produzione, la produzione di merci diviene inarrestabile fornendo il benessere generale, che consiste ormai su un solo parametro: il consumo.

Sono gli anni in cui nascono le grandi catene di supermercati e le multinazionali della produzione. "Tuttavia il problema della produzione continua ad essere al centro delle nostre preoccupazioni. Non si tende a considerare la produzione come una cosa naturale e scontata, come si fa per il sole e l'acqua: essa continua , invece, a costituire una misura dei pregi e del progresso della nostra civilta'".

Il filosofo Umberto Galimberti vede in questa prevalenza del paradigma della produzione uno degli aspetti che sono alla base del nichilismo della societa contemporanea.

La produzione in continua crescita presuppone che la merce prodotta sia presto buttata via, in un sistema unidirezionale che prevede l'annientamento della merce passando per il suo consumo. La nullificazione del prodotto e la sua trasformazione in rifiuto e' costitutivo della societa globale dei consumatori. Il riutilizzo del prodotto è una eresia per la società dell'abbondanza.

Lo stato perde i confini e alla vecchia sovranita' nazionale subentrano le nuove sovranita' sovranazionali, le grandi istituzioni finanziarie e le multinazionali della produzione. La produzione perde ogni rapporto con i luoghi, essa si sposta come una merce tra le altre: le grandi fabbriche serializzate divengono globali. Insieme alla produzione si spostano i consumi e i popoli.

Gli organismi che regolano i commerci globali acquisiscono rilevanza strategica. Si importa crescita demografica dove manca, ricorrendo ai paesi con alta natalita', affinche il ciclo di produzione e consumo non si stabilizzi ma cresca continuamente, come richiedono gli interessi finanziari globali. Tutte le idee convenzionali sullo Stato e sulla nazionalita' vengono spazzate via dall'idea del consumatore unico. Soros subentra a Marx, Adam Smith e Keynes.

La democrazia è nata con la ghigliottina. (...) Oggi quei diritti, distrutte tutte le visioni spirituali dell'uomo, sono i diritti della produzione e dei consumatori. I nuovi giacobini sono i padroni della rete. La nuova democrazia dei consumatori presuppone una nuova ghigliottina, dei nuovi giacobini. Chi si oppone alla crescita della produzione e dei consumatori va silenziato ed eliminato dalla rete, nel nome dei diritti umani assolutizzati.

La nuova umanita e' senza storia e globalizzata. Il mito unico è la merce. Il nuovo autoritarismo è soft ma pervasivo: negli Stati Uniti non e rappresentato tanto dalle grida di Trump e il suo decisionismo naif, (...) quanto dall'establishment mediatico del politically correct.

In Europa ad esempio questo sistema di pensiero unico e' alla base delle istituzioni europee e della scuola pubblica dei vari paesi, oltre che della informazione e delle istituzioni statali. Ben piu violento e il controllo generale dei media e dei social da parte del potere finanziario e produttivo internazionale. Una decisione a Bruxelles può decidere del futuro e del benessere di intere popolazioni in luoghi distanti.

Mentre negli stati nazionali i poteri di controllo delle idee erano rappresentati dal governo locale, nel globalismo i poteri sono piu distanti e mediati. Le grandi istituzioni economiche, le banche centrali, le agenzie di rating e le concentrazioni finaziarie determinano le idee consentite e quelle non consentite consentendo la circolazione delle prime e proibendo le seconde con la demonizzazione mediatica e della rete.

Chi e fuori del paradigma subisce la dannazione dei media. I grandi media (network dellinformazione, web-social, le conferenze internazionali, i premi ecc.) controllano la manifestazione delle idee con la giubilazione di quelle conformi e la damnatio memoriae di quelle non conformi. Andare contro il pensiero unico comporta l'esclusione da una serie di benefici e facilitazioni che nel mondo globalizzato sono irrinunciabili.

L'esprimere idee non adeguate al pensiero unico da parte di dirigenti e governi significa bloccare l'economia di un paese, l'esclusione effettiva dalle decisioni internazionali, la bannerizzazione dai media, la condanna etica dell'apparato che controlla la formazione delle opinioni e la vita sociale.

Poiche i vizi vanno sempre ammantati di virtu, al tempo della societa opulenta globalizzata le repressioni delle idee non uniformi vanno giustificate con la necessita di rispettare i diritti umani assolutizzati. Non i diritti del singolo individuo appartenente ad una storia ed a una terra di origine, ma i diritti di una persona neutra, globale, senza identita: in una parola i diritti del consumatore globale. >>

AGOBIT


7 commenti:

  1. Un elemento introdotto dall’analisi di Galbraith che oggi ci appare profetico e geniale è quello di “mentalità convenzionale”. Nella sua società opulenta l’autore si riferiva ad un fenomeno nuovo nella società americana di quegli anni. si tratta di una visione del mondo che crea un modo di pensare e di parlare indotto dai media e, in quegli anni, dalla pubblicità. Non esistevano ancora il web e i social che poi avrebbero implementato il fenomeno. Si trattava inoltre negli anni 50 di un mondo di tre miliardi di umani: già allora si percepiva la forza di un pensiero indotto nelle masse, che isola chi non si adegua e crea stili di vita cui la pressione sociale spinge ad adeguarsi (la moda, l’architettura, l’auto come ostentazione, le seconde case, le vacanze esotiche e via consumando…). Oggi che le masse sono di otto miliardi di consumatori (reali o potenziali) il fenomeno è ancora più cogente è opprimente. L’antropocentrismo e’ costitutivo della mentalità convenzionale, un antropocentrismo svuotato però dei suoi valori più profondi e spirituali e ricondotto all’homo faber di Hanna Arendt, o all’uomo superficiale della società virtuale (la società dei rotocalchi come la definiva Heidegger nella sua storica intervista allo Spiegel). Oggi di fatti la mentalità convenzionale è estesa a gran parte del mondo e qualunque critica viene silenziosamente repressa( in genere senza violenza, basta il conformismo della massa…)

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    1. Io credo che la "mentalità convenzionale" sia sempre esistita; quelle che sono cambiate sono le fonti da cui proviene.
      Certo, i media e la pubblicità del secondo dopoguerra sono stati importanti, così come, oggi, lo sono internet ed i social.
      Ma anche nei tempi antichi c'era il pensiero unico gestito dal potere dell'epoca, che poteva utilizzare il condizionamento religioso (fortissimo per molti secoli) o il sostanziale monopolio della cultura.

      Forse l'unica vera differenza tra i tempi attuali e quelli passati (almeno in occidente) è data dal minor ricorso alla violenza ed alla repressione fisica da parte delle istituzioni.
      Ma, forse, solo perchè la violenza è diventata più inefficiente e costosa rispetto agli altri metodi disponibili.

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  2. A proposito di propaganda istituzionale, ecco quello che dice Antonio Turiel (grande esperto di energia) in merito alla tanto strombazzata novità della transizione ecologica:

    << L'intera 'Transizione Energetica', a volte etichettata come "Ecologica", non è mai stata finalizzata a risolvere il problema climatico, ma a fronteggiare la crisi energetica innescata dal picco del petrolio, accompagnata dal picco del gas e dal picco del carbone.
    Forse molte persone che credono, in buona fede, nel modello di una impossibile transizione energetica, dovrebbero aprire gli occhi sul fatto che la difesa dell'ambiente, qui, non ha mai avuto importanza.
    Si tratta solo un affare per pochi, anche se questo porta tutti noi a un pericoloso vicolo cieco, come società e come civiltà. >>

    (testo orignale in spagnolo, con traduzione 'alla buona' di Google).

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  3. La recente decisione cinese di aumentare le centrali a carbone (le più inquinanti) la dice tutta sulle reali scelte energetiche dei grandi paesi produttori. Poi ai vari Cop si riuniscono raccontandosi balle a vicenda per tener buoni gli allocchi. E i Verdi abboccano…

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    1. Caro Agobit, o riduciamo drasticamente la popolazione mondiale, oppure, per la tutela dell'ambiente, sarà tutto inutile.
      Ma non ho nessuna speranza che questo possa accadere.

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    2. "o riduciamo drasticamente la popolazione mondiale"

      Attenzione a certe affermazioni, passi subito per nazista.
      Ma dire che bisogna/bisognerebbe "stabilizzare" la popolazione mondiale si può, è un discorso accettabile.
      Per me si pone però subito la domanda: a che livello si stabilizzerà la popolazione mondiale? A 10, 15 miliardi? Probabilmente troppi o in condizioni per noi inaccettabili o poco attraenti.
      Comunque per alcuni suonerà osceno o disumano anche solo accennare alla necessità di stabilizzare la popolazione. Quindi dovrà provvedere la natura, poco sentimentale, anzi matrigna per L.

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    3. Caro Sergio, hai ragione: quel tipo di accusa è sempre pronta per noi 'decrescisti'.
      Eppure è storicamente infondata.
      Perchè è vero che il nazismo sosteneva (e praticava) l'eugenetica, ma non anche la riduzione demografica, in quanto, come (quasi) tutte le dittature, cercava la potenza nel numero.

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