Il
dialogo virtuale di oggi ha come vittima
il professor Paolo
Flores d’Arcais,
noto filosofo e direttore della rivista culturale “MicroMega”,
ed
ha come oggetto il tema, sempre importante e delicato, del “fine
vita”, a cui il professore ha dedicato un breve ma intenso pamphlet
dal titolo “Questione
di vita e di morte”.
L'intervista
è tratta – con minime variazioni - dal sito Bonculture e le
domande sono di Felice Sblendorio (con cui mi scuso per il piccolo
furto innocente).
LUMEN
LUMEN
– Professore, buongiorno.
FLORES
– Buongiorno a voi.
LUMEN
- Come è giusto trattare il nostro fine vita? Può ognuno di noi decidere il proprio corso, oppure la nostra libertà di decisione
deve essere condizionata da un estraneo, da una asettica maggioranza
o da un altro potere con un preciso orientamento spirituale e
ideologico?
FLORES
– Sono domande molto importanti, direi fondamentali. E proprio a queste domande ho cercato di rispondere
nel mio ultimo libro, "Questione di vita e di morte".
LUMEN
- Il Cardinale Bassetti nello scorso settembre ha affermato che “Va
negato un diritto a darsi la morte: vivere è un dovere, anche per
chi è malato e sofferente”.
Tutto il contrario di quello che voi affermate in questo libro: è
così?
FLORES
- A
tutti coloro che sostengono la posizione del Cardinal Bassetti
sottopongo una domanda molto secca: sul vostro fine vita preferireste
decidere voi oppure delegare una scelta così personale a qualcun
altro? Io ho posto questa domanda in occasione di dibattiti e mai
nessuno dice: “Preferisco che decida lei, che decida un estraneo
che non so chi sia, che ha valori completamente diversi dai miei”.
Tutti pretendono che sul loro fine vita decidano loro stessi.
LUMEN
– Mi pare giusto.
FLORES
- Ora, per quale motivo, visto che tutti pretendono una propria
autonomia di scelta, ci sono alcuni che oltre a decidere sul proprio
pretendono di decidere pure sul mio, sul suo, sul fine vita degli
altri? È una pretesa assurda che non sta né in cielo, né in terra.
Il diritto all’eutanasia è un diritto della sfera privata di
ognuno di noi, che non dovrebbe neanche essere posto ai voti di una
maggioranza, perché anche una minoranza risicatissima, che
nell’ideale simbolico è il singolo cittadino, avrebbe diritto a
decidere quello che vuole. Questo diritto è uno di quelli che non
possono essere messi in discussione.
LUMEN
- Credo che le due prospettive siano inconciliabili: Bassetti parla
di dovere, voi parlate di diritto alla vita. Se non siamo in grado di
rifiutare questo dono, scegliendo autonomamente il suo corso, cosa
diventa la vita?
FLORES
– Appunto. Che senso ha dire che la vita è un dovere, visto che
poi il Cardinale parla di dono? Posto che l’espressione “vita
come dono” è sempre utilizzata in forma retorica, perché
ovviamente si intende dono di Dio e questo limita il concetto ai soli
credenti: un dono è tale se io lo posso rifiutare, se io non lo
posso rifiutare non è un dono ma una condanna. Si parla di dono da
condividere con gli altri: questo, però, non è un dono. Io un dono
posso rifiutarlo, tenerlo tutto per me, regalarlo. Un dono è questo,
altrimenti si parla di dono ma s’intende altro: il dovere secondo
la morale di Santa Romana Chiesa. Cambia tutto.
LUMEN
– Voi pertanto destrutturate questa linea di pensiero, della vita
come bene indisponibile. Perché non possiamo legittimare questa
prospettiva come principio di natura ?
FLORES
- Perché l’esistenza dell’uomo è quanto di più innaturale ci
sia: dal primo momento in cui l’essere umano ha cominciato a
utilizzare delle erbe facendo infusi per curare delle ferite, la sua
vita non è stata più una vita determinata dalla natura, ma
dall’intervento dell’uomo sulla natura. Dire che la morte deve
avvenire in modo naturale non significa assolutamente nulla, perché
noi interveniamo sempre contro la natura, contro il suo andamento
spontaneo fin dall’inizio della nascita: se non intervenissimo in
molti parti morirebbe sia la mamma che il bambino.
LUMEN
– Verissimo.
FLORES
- Chi parla di lasciar fare alla natura dovrebbe riflettere sulla
radice della parola antibiotico: anti-bios, contro la vita, quella
dei batteri, agenti che ci fanno del male e che noi distruggiamo.
Quella della natura è una tesi assurda. Ne parlavano già gli
stoici, Montaigne, Hume e proprio uno di loro diceva: spostiamo il
corso dei fiumi per irrigare e questo non è contro la volontà della
natura? Tutta la vita umana è contro natura.
LUMEN
- La Chiesa parla di una cultura della morte, teorizzata anche da
Benedetto XVI, mentre voi parlate dell’opposizione a questo
diritto, che è la condanna alla vita. La vostra, però, non è
un’apologia al suicidio: quando secondo voi è moralmente giusto
lasciarsi andare?
FLORES
- Il mio libro è un’apologia della libertà e della bellezza della
vita, solo che la bellezza della vita implica il fatto che chi la
vive la senta come qualcosa di bello: nel momento in cui si dovesse
sentire questa vita come una tortura, con che diritto condanniamo una
persona alla tortura?
LUMEN
– E la tortura, giustamente, è proibita.
FLORES
– Appunto. Io non mi metterei mai a decidere quando sia giusto
prendere una decisione del genere, perché è una scelta particolare,
circostanziata. La legge oggi stabilisce che si possano rifiutare
delle cure mediche anche se queste cure portano alla morte, e lo fa
perché riconosce un diritto di libertà: nessuno può obbligare
queste cure e nessuno può decidere quando è giusto o sbagliato
lasciarsi andare.
LUMEN
- Su questo tema la politica ha latitato e continua a latitare. I
diritti civili non sono politicamente urgenti?
FLORES
- Non saprei, ma spero che non sia così. Su questi temi, secondo me,
la decisione dovrebbe essere unanime perché viviamo in una società
democratica dove la vita di ognuno è uguale quanto quella dell’altro
in ordine di libertà e dignità personale. Il fatto che una parte
clericale del Paese pretenda di imporre la sua idea sul fine vita
anche per gli altri è una prevaricazione inaccettabile che dura da
più di ottant’anni, da quando il fascismo decise di inserire quei
principi nei codici.
LUMEN
- È una decisione che può prendere una maggioranza politica?
FLORES
- Questo è un dilemma. Io credo che un tema del genere debba unire
tutti. Quando si dice che in parlamento molti sono contrari al
diritto all’eutanasia dovremmo riprendere sempre quel vecchio
interrogativo: e se decidesse per te il tuo nemico, ad esempio ? Se
si decide a maggioranza, oggi chi soffre bestialmente potrebbe non
porre fine alla sua tortura, ma domani un’altra maggioranza
potrebbe dire che in caso di quelle sofferenze è obbligatorio porre
fine. La maggioranza ha questa particolarità: può oscillare in un
senso oppure nell’altro. È ovvio che sarebbe mostruoso imporre il
fine vita a chi vuole continuare la sofferenza, come sarebbe
ugualmente mostruoso decidere per chi non vuole soffrire più. Ecco
perché è importante concorrere per la libertà.
LUMEN
- I cardinali e la chiesa, comunque, restano sempre sullo sfondo.
Anche nel vostro libro c'è una dura la critica contro le gerarchie
ecclesiastiche italiane. Però non crede che, lasciando un momento da
parte le varie ingerenze, si riveli più colpevole di queste mancanze
la struttura democratica? La Chiesa tutela un patrimonio di valori
non negoziabili, quelli che sostengono e nutrono un percorso di fede.
FLORES
- Nel mio libro analizzo tutte le obiezioni al diritto di eutanasia
svolte dalle tre figure più importanti della bioetica: il Cardinale
Sgreccia, il Cardinale Tettamanzi e Monsignor Paglia. Sarei ben
felice di sentire le teorie contrarie in un confronto pubblico da
parte degli esponenti della Chiesa. Trovo curioso che la Chiesa non
abbia il coraggio di dire quello che è abbastanza ovvio: noi
chiediamo ai cattolici di rifiutare l’eutanasia perché per noi la
vita è un dono di Dio e solo lui può decidere sul nostro corso.
Quindi si stabilisce con forza il motivo di fede. È strano che
rinuncino all’argomento di fede, che dovrebbe essere l’elemento
fondamentale per un cattolico.
LUMEN
– E perchè lo fanno ?
FLORES
- Forse ci rinunciano perché sanno che se utilizzassero l’argomento
di fede, che è l’unico valido per l’eutanasia, dovrebbero poi
accettare che in uno Stato laico e pluralista questo valga solo per
loro, ma non possa essere esteso come obbligo a tutti tramite il
braccio secolare della legge. È così che la Chiesa ha smesso di
confrontarsi, perché se la fede è il solo argomento convincente
utile a negare il diritto di ciascuno a porre fine alle proprie
sofferenze, non si può di certo pretendere che un motivo religioso
diventi argomento per fare una legge. Questa sarebbe una pretesa
analoga a quella della sharia.
LUMEN
– Una prospettiva da brividi. Grazie professore e auguri per il
vostro libro.
FLORES
– Grazie e voi.
Volevo comprare il libro di F. d'Arcais, per altro breve, ma poi vi ho rinunciato. In fondo condivido pienamente la posizione di F. d'Arcais e il libro aggiungerebbe solo particolari non proprio necessari o dirimenti. La questione per noi agnostici è chiara, chiarissima. Un dibattito con le alte autorità vaticane non servirebbe a nulla (fra parentesi, l'arcigno signor Niet - Elio Sgreccia - è morto alcune settimane fa). Sgreccia diceva sempre no a qualsiasi proprosta innovativa. Vorrei ricordare en passant che la Chiesa ha sempre condannato qualsiasi forma di fecondazione artificiale o assistita, come pure ovviamente l'autoerotismo. Adesso invece l'ultimo papa (ultimo in ogni senso) viene a dirci che l'omosessualità è un dono di Dio ... Che s'adda fa pe' campà, dicono dalle mie parti (Napoli). Qualche concessione la Chiesa deve pur farla, altrimenti tutte le pecore scapperebbero e lei non può fare niente perché il potere, quello vero, ritiene ormai la Chiesa e la sua morale non più utili al mantenimento del potere, anzi persino nefasti (la società dei consumi è incompatibile con la severa morale cattolica e il pauperismo). Ricordo che non molto tempo fa, anni Cinquanta e persino Sessanta, gli alberghi rifiutavano in Italia la matrimoniale a due persone non sposate ...
RispondiEliminaMa un'autorità è tale se viene riconosciuta dalla collettività e deve fondarsi su alcuni principi non negoziabili, per es. la morale pubblica. I tre comandamenti fondamentali del Decalogo - non uccidere, non rubare, non dire il falso - sono universalmente riconosciuti e alla base della morale pubblica. Invece i primi tre comandamenti ... non li sanno recitare nemmeno i preti. Ma ce n'è uno, il primo, su cui si fonda ancora un certo potere della Chiesa: Io sono il signore Dio tuo, non avrai altro Dio al di fuori di me. Chi sia questo Dio, dove stia di casa, che progetti abbia ecc. ecc. non lo sa ovviamente nessuno, nemmeno la Chiesa, che però si appella alla fede nell'esistenza di Dio, ormai l'ultima diga al dilagare dell'agnosticismo. Il potere, quello vero, a cui la Chiesa e la sua morale sessuale stavano sui santissimi, un po' blandisce ancora la Chiesa (può magari ancora servire), un po' vorrebbe liberarsene (la gente deve consumare, non pregare).
La Chiesa "molla" sulla sessualità e sposta il discorso su altri temi (Bergoglio: fornicare è meno grave di non accogliere i migranti). Ma ovviamente non può rinunciare alla fede in Dio e al principio evangelico dell'amore del prossimo. Salvini non è cristiano, anche se brandisce il rosario, perché erige muri e chiude i porti.
Quo usque tandem abutere, sancta romana ecclesia, patientia nostra ....
<< il potere, quello vero, ritiene ormai la Chiesa e la sua morale non più utili al mantenimento del potere, anzi persino nefasti (la società dei consumi è incompatibile con la severa morale cattolica e il pauperismo). >>
EliminaE' una osservazione molto acuta, la tua, e che aiuta a spiegare molte cose circa l'evidente declino della Chiesa cattolica.
Il trono e l'altare si sono sempre sostenuti egregiamente a vicenda, ma se l'altare non serve più, se diventa un inciampo, il trono può benissimo fare da solo, quando siano disponibili altre tecniche di controllo sociale.
Mentre l'inverso è molto più difficile, perchè la fede ha bisogno della forza e delle risorse (anche economiche) del mondo secolare.
Ma torniamo all'argomento di oggi, la buona morte o l'aiuto al sofferente e/o morente. D'Arcais è imbattibile quando parla di religione o della buona morte (evitiamo per quanto possibile parola gravemente ipotecate, come eutanasia; anche suicidio assistito suona male, mentre il termine tedesco - Sterbehilfe (aiuto a morire) - non implica violenza come suicidio, è direi un'espressione neutra, anzi benevola: aiuto qualcuno a sottrarsi a sofferenze magari indicibili e inutili (mentre il buon pastore Pio XII vedeva nella sofferenza dei moribondi un ... aiuto divino a purificarsi, una specie di purgatorio in terra che avrebbe abbreviato il viaggio in paradiso ...).
RispondiEliminaC'è però un ma al discorso di F. d'Arcais. Il singolo individuo ha bisogno della società, non può sopravvivere da solo. Ma la società ha a sua volta bisogno dell'apporto del singolo al bene comune. L'individuo è dunque parte di un gruppo e sottostà necessariamente ad alcuni principi o norme della società. Per il potere e la Chiesa era inammissibile che l'individuo decidesse di propria volontà a porre fine alla propria esistenza, persino in situazioni drammatiche. Ma su questo punto la morale pubblica è cambiata o sta cambiando: si riconosce all'individuo la facoltà di decidere il momento e i modi per porre fine alla propria vita (pronunciamento ufficiale del Tribunale Federale svizzero, la massima autorità del paese). La Chiesa ovviamente non può condividere questa posizione: se l'accettasse dovrebbe chiudere bottega. Perciò i suoi vani appelli all'autorità di Dio cui solo spetta il diritto di farci morire quando pare a lui. La vita è un dono indisponibile, Dio dona la vita e se la riprende quando fa comodo a lui ...
(e così ci manda all'inferno, mentre se aspettava un momento di più potevamo salvarci con un atto di "contrizione perfetta").
In fatto di buona morte (non diciamo eutanasia, se no tirano subito fuori il nazismo) la morale comune sta cambiando, non per niente si sta adeguando persino la Chiesa che accetta ormai i rapporti sessuali al di fuori del matrimonio e persino la sodomia. Si appella ancora a Dio per darsi un tono, in fondo non le resta altro.
<< C'è però un ma al discorso di F. d'Arcais. Il singolo individuo ha bisogno della società, non può sopravvivere da solo. Ma la società ha a sua volta bisogno dell'apporto del singolo al bene comune. L'individuo è dunque parte di un gruppo e sottostà necessariamente ad alcuni principi o norme della società. >>
EliminaQuesto è vero,certo; la società ha sicuramente le sue giuste pretese nei contronti delle nostre decisioni.
Ma se possiamo discutere sull'ampiezza dei diritti di fine vita, è necessario che il principio sia comunque rovesciato rispetto ad oggi: ovvero io posso decidere liberamente del mio fine vita, salvo i casi espressamente vietati dalla legge.
Questo sarebbe sufficiente ad evitare le situazioni più estreme, in cui ci si sottrae egoisticamente agli impegni sociali.
Inoltre, i casi di fine vita riguardano nella gran maggioranza dei casi persone gravemente malate che - in quanto tali - rappresentano per la collettività non un supporto, ma un costo notevole.
E se è vero che la collettività - ovviamente - non può decidere per loro (sarebbe uan cosa da nazisti) è anche vero che loro devono essere liberi di decidere per sè, anche nell'interesse indiretto della collettività.
Aggiungo infine che le persone che sceglierebbero il fine vita per motivi diversi dalla salute, sarebbero comunque pochissime e quindi l'impatto sociale sarebbe irrisorio.
Ma chi è questo Flores d'Arcais? Wikipedia ci racconta un po' i suoi trascorsi ... allucinanti. Lo direi per lo meno ondivago: va dove lo porta il cuore. Adesso è innamorato delle sardine ...
RispondiEliminaMa giudicate voi.
"Tra gli autori cui ha dichiarato di ispirarsi per i suoi saggi possiamo citare Albert Camus e Hannah Arendt. È stato, fino al 2009, ricercatore universitario di filosofia morale presso il dipartimento di Studi filosofici ed epistemologici della facoltà di Filosofia dell'Università di Roma "La Sapienza". Paolo Flores d'Arcais è "radicalmente ateo"[1].
Inizia presto ad occuparsi di politica nell'organizzazione giovanile del Partito Comunista Italiano, ma presto viene espulso dalla FGCI per la sua prolungata e grave attività frazionistica, cioè per la sua doppia militanza nella FGCI e nella Quarta Internazionale trotskista. Allievo e amico di Lucio Colletti, dopo esser stato uno dei protagonisti del "Sessantotto" romano, approda a posizioni di riformismo radicale e verso la fine degli anni settanta ha una breve ma vivida intesa con Bettino Craxi e Claudio Martelli, dai quali, tuttavia, si distacca ben presto.
Nel 1991 aderisce al Partito Democratico della Sinistra di Achille Occhetto entrando nella Direzione del movimento, da cui però fuoriesce due anni dopo poiché favorevole alla guerra del Golfo a differenza della linea maggioritaria del partito. Tra i promotori della breve stagione dei girotondi, tenta di proporre una lista di suoi candidati alle primarie dell'Ulivo per le elezioni politiche del 2006 ma come lui stesso deve ammettere "realizza un fallimento pieno e perfetto" raccogliendo appena 130 adesioni alla sua idea. Il 25 marzo 2008 annuncia su MicroMega che nelle elezioni politiche del 2008 avrebbe votato per il Partito Democratico in funzione anti-berlusconiana.[2] Il 29 gennaio 2009 decide di ritentare in politica prospettando il "Partito dei Senza Partito" insieme ad Antonio Di Pietro ed Andrea Camilleri per partecipare alle elezioni europee del 2009[3] ma, il 12 marzo dello stesso anno, viene annunciato il mancato accordo fra i tre. Per le elezioni politiche del 2013 ha dichiarato di votare la lista Rivoluzione Civile di Antonio Ingroia.[4] Successivamente non nasconde le sue simpatie per il Movimento 5 Stelle per il quale dichiara di votare[5]. Tuttavia in seguito all'alleanza tra il Movimento 5 Stelle e la Lega si dice deluso dal Movimento, accusando in particolare Luigi Di Maio di avere tradito le promesse agli elettori.[6] "
Caro Sergio, per gli intellettuali di sinistra il mondo non può essere accettato così com'è (orrore !), ma deve essere modellato secondo i loro nobili ideali.
EliminaE siccome l'impresa resta impossibile, ecco che si passa da un movimento all'altro nell'inutile tentativo di combinare qualcosa.
Alla fine, ovviamente, non si sarà costruito nulla (come dimostrano le infinite frammentazioni della sinistra), ma almeno ci si sentirà in pace con la propria coscienza.
Sui diritti civili e sulle questioni bioetiche le posizioni di Flores d'A. risultano più che ragionevoli e ampiamente condivisibili: l'apologia cattolico-clericale della 'morte naturale' fa pendant con la tetragona opposizione cattolico-clericale alle moderne tecniche anticoncezionali e alla pianificazione familiare in gen.le: opposizione che ha dato e continua a dare un sostanzioso e pesante contributo all'attuale esplosione demografica terzomondiale e alle gravissime conseguenze ambientali e socio-economiche di quest'ultima... Saluti
RispondiElimina<< Sui diritti civili e sulle questioni bioetiche le posizioni di Flores d'A. risultano più che ragionevoli e ampiamente condivisibili. >>
EliminaSu questo sono pienamente d'accordo.
Purtroppo, mentre sui temi della bioetica e (in parte) della demografia, gli intellettuali di sinistra hanno idee ottime ed applicabili, sul versante socio-economico finiscono facilmente fuori strada, con idee ottime, ma - ahimè - impraticabili.