sabato 23 giugno 2018

Ascesa e caduta degli imperi

Alcune interessanti considerazioni di Amedeo Maddaluno sull’ascesa e la caduta dei grandi imperi, tratte dal sito di Aldo Giannuli. 
LUMEN


<< Non sarà Donald Trump a causare la caduta dell’Impero Americano, come non furono Commodo o Massimino il Trace a causare la caduta di quello Romano o ancora Gorbacev a causare quella dell’Impero Sovietico. Non da soli, almeno. Per quanto singole scelte errate di singoli governanti fungano da facilitatori, catalizzatori e acceleratori di processi storici, questi ultimi sono dati da prospettive assai più lunghe, complesse, strutturali e non congiunturali.

Nella fattispecie – per quanto riguarda cioè gli imperi e le forme statuali di natura “imperiale” – la caduta (o, più propriamente nel caso degli Stati Uniti, il declino) è causato da alcuni fattori che la storiografia, l’economia e la scienza strategica individuano ormai con buona approssimazione.

Per fare un sunto della letteratura degli ultimi decenni sul tema, a partire dal fondamentale saggio “Ascesa e declino delle grandi potenze” di Paul Kennedy, gli studi di economisti della scuola di economia istituzionalista contemporanea (per citare un autore tra i tanti, Daron Acemoglu), di polemologi come Edward Luttwak ma anche di ottimi studiosi italiani come Giovanni Arrighi (…), il declino delle grandi potenze si può ricondurre alla problematica della “sovra-estensione”. (…)

Gli imperi sono condannati ad espandersi dalla loro stessa natura: e la loro crescita li porta in contatto con nemici, avversari e concorrenti sempre nuovi con cui bisogna battersi, ora per ragioni difensive e di sicurezza ora per velleità di conquista.

L’economia imperiale stessa si regge sulla guerra, sulle conquiste, la potenza della moneta dell’impero (dalla quantità d’oro razziato o ottenuto coi commerci in un vastissimo spazio che i romani potevano fondere, al dollaro come moneta globale) si basa sulla sua potenza militare che a propria volta si fonda sulla ricchezza dell’impero.

Un impero non può scegliere coscientemente di chiudersi al mondo, pena l’asfissia: è quello che accadde all’Impero Cinese della dinastia Ming, chiusosi in un delirio ideologico reazionario per tutelare la casta dei mandarini, delirio culminato col divieto di navigazione nell’oceano – scelta che contribuì a condannare la prima economia globale del tempo ad un inarrestabile declino. (…)

Ogni impero raggiunge nel proprio ciclo storico un picco di estensione politica, militare, in definitiva geografica e strategica, oltre il quale i costi – militari, umani e finanziari – del mantenimento del regime imperiale superano i benefici, quantomeno quelli percepiti da una popolazione stanca delle continue guerre e conquistata dal benessere.

Gli immigrati, cui romani ed americani spalancano le porte, portano sì nuove energie e la necessaria fame, ma anche forti problemi di integrazione, che sono un altro contributo, sul lungo periodo, alla disgregazione sociale degli imperi stessi. La corrente economicistica spiega tutto con il classico “dilemma del burro e dei cannoni”: ad un certo punto, l’impero cessa di essere efficiente nell’allocare risorse tra l’espansione esterna e il benessere interno.

All’impero sovietico accadde dopo nemmeno un secolo di storia, a quello americano comincia forse ad accadere ora ? La corrente istituzionalista è un po’ meno determinista e pone l’accento sul degrado delle istituzioni partecipative: in tutti gli imperi si consolidano caste economiche che mirano a costituirsi come gruppo chiuso inibendo la mobilità sociale e le energie creative della società, spostando l’economia da produttiva ad estrattiva/speculativa (quello che successe agli imperi mercantili veneziano e britannico).

In tutto questo (…) Trump è un effetto e non una causa: un effetto della stanchezza imperiale della classe lavoratrice e operaia e della classe media bianca (spesso coincidenti nel paese) per lo sforzo bellico sostenuto dalle precedenti presidenze Clinton e Bush e per la percepita perdita di potere, influenza e peso demografico a causa degli immigrati e della popolazione nera.

Le amministrazioni Clinton e Busch sono però l’architrave della nostra riflessione: “l’arroganza unipolare” americana, l’illusione della fine della storia e dell’eternità della condizione di unica potenza hanno condotto gli Stati Uniti ad una serie di avventure militari espansive teoricamente sensate dal punto di vista geopolitico – occupazione di bacini petroliferi, chiusura della Russia nei margini nordici dell’Eurasia – ma disastrosi nel conseguente dispendio umano e finanziario nonché nella rottura di consolidati equilibri strategici.

Oggi l’America si ritrova con una Russia risorgente e compattata al proprio interno dalle mosse americane in Ucraina e nell’ex-Jugoslavija, un Iran quasi padrone del Medio Oriente e una Cina in compiuta ascesa, nonché con gli alleati europei e turchi sempre più insofferenti all’interventismo a stelle e strisce.

Il disastro finale per il paese di George Washington sarebbe però solo uno: la perdita del dollaro come valuta globale, quel che non si vede all’orizzonte, per l’insipienza europea nel gestire la crisi dell’Euro e per la non ancora completa affermazione dello Yuan cinese.

I cinesi hanno appreso bene la lezione americana, sono riluttanti a cadere nella trappola della sovra-espansione e a giocare un più assertivo ed espansivo ruolo internazionale. Preferiscono la penetrazione mercantile a quella militare e politica, quel che potrebbe forse rallentare ma forse non inibire un futuro ruolo se non di predominio dello Yuan quantomeno di sua pari dignità col dollaro. Il declino relativo dell’Impero Americano è un fatto cui assistiamo già oggi: gli USA non sono più i signori incontrastati del pianeta.

La Caduta dell’Impero americano non è però un fatto prevedibile nel medio termine, giacché questi mantengono due enormi vantaggi. In primis quello tecnologico (…); in secundis, quello geopolitico. Già, la geografia e la geopolitica, troppo spesso ignorate da economisti e sociologi ma ben note ai militari e a molti storici (soprattutto quelli della scuola francese!).

L’America è un’isola, e non ha nemici via terra. Può dedicare le proprie risorse tecnologiche e militari non al controllo di un territorio, ma delle infrastrutture di collegamento tra i territori: i mari (con la flotta militare più potente della storia umana), lo spazio (in cui mantiene un importante vantaggio tecnologico) e le reti di comunicazione cibernetiche (l’America le ha inventate, ma sono il settore in cui i cambiamenti sono più rapidi e in cui cinesi ed anche i russi hanno fatto i più rapidi progressi).

New York resta sul podio delle piazze finanziarie globali – prima sotto alcuni indicatori. Le imprese tecnologiche americane hanno capacità finanziaria (e un domani forza politica?) incomparabile e sono quasi monopoliste in interi ambiti di attività (da Google a Facebook). Lo stesso deficit commerciale americano alimenta la dimensione globale del dollaro.

L’America è la potenza talassocratica ed infrastrutturale più forte della storia, laddove i russi – e i tedeschi – sono potenze prive del controllo dei mari (ma dipendenti dalle esportazioni!) ed i cinesi soffrono della doppia vulnerabilità: dal mare, circondati da anelli di potenze ostili o comunque non alleate, nonché dalla flotta americana stessa, e da terra, tenuti lontani dai mercati europei da grandi distanze, spazi aridi e montuosi e dall’instabilità della “faglia islamica”, composta da stati collassati, poveri, instabili, da guerre, guerriglie e terrorismo.

Guarda caso, la faglia in cui gli americani hanno concentrato e concentrano gli sforzi per aumentare il tasso di caos e di instabilità. Il declino americano è solo relativo. La partita del caos è apertissima. >>

AMEDEO MADDALUNO

7 commenti:

  1. A proposito della crisi degli Imperi e delle complesse interazioni che ne derivano con gli Stati Nazionali, ecco alcune considerazioni (di grande attualità) esposte da Ugo Bardi:

    << Dopo la fine della seconda guerra mondiale, l'Unione Europea ha assunto il ruolo di agente dell'Impero Americano per tenere sotto controllo gli stati europei.
    Ma l'UE stessa doveva essere tenuta sotto controllo per evitare che potesse diventare un altro impero che avrebbe potuto sfidare la supremazia americana. Quindi all'UE non è stato permesso di sviluppare un esercito, né tutto l'armamentario che l'avrebbe trasformata in uno stato riconoscibile, da una lingua ufficiale a una bandiera decente.
    È stato un esercizio di acrobazia politica ed è notevole che abbia funzionato abbastanza bene per più di mezzo secolo.
    Ma oggi l'UE è indebolita dalla crisi economica e probabilmente ferita a morte dalla perdita della Gran Bretagna.
    Tutti gli Imperi tendono a collassare in tempi di difficoltà economiche, un risultato ancora più probabile per un'entità, l'UE, che era un impero fallito sin dall'inizio.
    Quindi, i vecchi stati stanno ritornando fuori, una tendenza che vediamo anche al di fuori dell'Europa.
    Anche negli Stati Uniti, Donald Trump è impegnato a riportare l'impero americano a essere uno stato-nazione. >>

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  2. "L'UE era un impero fallito sin dall'inizio"
    Un impero presuppone un qualche tipo di 'imperatore': sinceramente non riesco a capire dov'era/qual'era l'(almeno potenziale) imperatore nell'originario, lungimirante e saggio progetto di Stati Uniti d'Europa di impianto radicalmente federalista (come gli Stati Uniti d'America stessi), poi tradito soprattutto dalla scarsa volontà degli Stati nazionali a devolvere crescenti quote della mitica 'sovranità nazionale assoluta' agli Organi comunitari.
    E se l'U.E. NON è mai stata né poteva essere/diventare un impero (quantomeno nel senso classico del termine), per quale motivo oggi è diventata il 'capro espiatorio' di tutto ciò che nel Vecchio Continente non funziona? Sembra un comportamento equivalente a "sparare sul pianista"...

    "I vecchi Stati stanno tornando fuori"
    Purtroppo è vero, e iniziamo a vederne le drammatiche conseguenze, che (in)credibilmente riaprono l'inquietante prospettiva di (nuove) guerre civili europee, oltre che di progressivo e diffuso impoverimento economico...

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    1. Caro Claude, hai ragione a dire che il presunto Impero Europeo non ha un imperatore, ma forse questa omissione è stata voluta per farlo restare debole.
      In fondo, quando andiamo a votare per il Parlamento Europeo, abbiamo la sensazione di compiere un rito democratico quasi inutile.
      Non ti pare ?

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  3. E' vero, ma al di là del fatto che sinceramente la medesima sensazione mi sembra sempre più diffusa anche quando si va a votare per i vari Parlamenti nazionali (cfr. il crescente astensionismo), l'oggettiva debolezza delle Istituzioni europee mi sembra rendere del tutto incoerenti/ingiustificate le sempre più feroci critiche che investono la U.E. e la stessa Moneta unica, attaccate dai vari "sovranisti" proprio in nome di quei 'valori' (da loro elevati al cubo) che l'hanno mantenuta debole facendo deragliare il prezioso progetto originario degli Stati Uniti d'Europa, acutamente proposto ad es. dal Cattaneo già a metà Ottocento.
    In altri termini, la sensazione di quasi-inutilità mi sembra derivare dal fatto che l'attuale U.E. è TROPPO DEBOLE e troppo sottomessa ai vincoli dei vari Stati nazionali, e non (come affermano i sovranisti) troppo forte e invadente. E i medesimi sovranisti quale "taumaturgico" rimedio propongono in maniera sempre più marcata? Smantellarla completamente...

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  4. Gli Sati Uniti d'Europa, per funzionare, avrebbero avuto bisogno, come minimo, di 2 pilastri fondamentali: una lingua unica e la disponibilità degli stati più ricchi ad aiutare economicamente quelli più poveri.
    Entrambi questi presupposti non solo sono mancati, ma, per quanto ne so, non sono stati neppure oggetto di discussione.
    Dunque, perchè stupirsi del (mezzo) fallimento attuale ?

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  5. Ma allora, egregio Lumen, perché stupirsi/incavolarsi del fatto che Istituzioni sovra-nazionali che attacchi e delegittimi duramente da mesi/anni ti lascino da solo (in particolare) nella gestione dei crescenti flussi migratori afro-asiatici?

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  6. Caro Claude, stupito non lo sono di certo.
    Incavolato, magari sì, di fronte all'ennesimo esempio di un grande e nobile concetto (quello della solidarietà europea) utilizzato per nascondere le solite meschine furberie.

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