(Dal libro “Perché non possiamo non dirci darwinisti” di Edoardo Boncinelli” – Terza parte. Lumen)
<< Con queste premesse, non desta meraviglia che dal nocciolo originario della proposta darwiniana sia nata una vera e propria scienza, che si è sviluppata e perfezionata nel corso del tempo, attraverso una serie di tappe.
La prima di queste risale agli inizi del Novecento. Si riscopre la grandiosa opera di Mendel e si gettano le fondamenta della nuova scienza della genetica.
Si comincia a parlare di geni e di mutazioni e si tenta di inserire queste nuove nozioni all'interno della proposta darwiniana, con grandi successi, ma anche con alcune difficoltà. Rimane per esempio ancora irrisolto il problema della nascita di organi complessi come l'occhio o dell'origine, più o meno repentina, delle grandi suddivisioni tassonomiche.
La questione della discontinuità e dei grandi cambiamenti fu uno degli argomenti principali a interessare i riscopritori della genetica all'inizio del Novecento. Ci fu chi introdusse per esempio il concetto di super-mutazione, un'ipotetica mutazione particolarmente ricca di conseguenze, poiché sembrava impossibile o improbabile che si procedesse sempre attraverso piccoli cambiamenti, ma si trattava di una teoria troppo speculativa che non ha retto alla prova del tempo.
Nello stesso periodo accadono però due fenomeni fondamentali per la vicenda che stiamo raccontando: da un lato si assiste al fiorire rigoglioso di ampi studi naturalistici sul campo, dall'altro alla nascita della biologia matematica, e in particolare della cosiddetta genetica delle popolazioni, a opera di grandi autori come Ronald Fisher e John Haldane in Inghilterra e Sewall Wright negli Stati Uniti.
La matematica dell'evoluzione e la genetica delle popolazioni richiederebbero un capitolo a parte.
Non è questa la sede per tale approfondimento, ma possiamo dire che è con l'affermarsi, negli anni Venti e Trenta del Novecento, di questa disciplina che nasce, finalmente, un evoluzionismo scientifico e verificabile sul campo: si postulano ipotesi precise, si segue in dettaglio l'evolversi di determinate popolazioni, si calcola la fitness dei diversi gruppi di individui e l'azione della selezione naturale attraverso un coefficiente numerico, per giungere infine a una conclusione.
La proposta darwiniana dell'evoluzione diventa quindi una teoria scientifica a tutti gli effetti.
Gli esempi di cui abbiamo parlato nel capitolo precedente potrebbero tranquillamente essere riproposti da un punto di vista matematico, ipotizzando in questo caso la fitness dei nostri immaginari erbivori di dimensione media o di taglia più piccola in un determinato ambiente, e osservando come questo coefficiente potrebbe variare con il passare del tempo o con il mutare delle condizioni ambientali.
Nel caso poi di fenomeni reali molto studiati come la falcemia o la talassemia, si conosce con grande precisione il coefficiente di selezione degli individui normali, dei falcemici omozigoti e degli eterozigoti.
Tutto questo fervore teorico e pratico crea, dunque, intorno agli anni Trenta e Quaranta del Novecento, i presupposti per lo sviluppo di un nuovo darwinismo, che prende il nome non felicissimo di “sintesi moderna”.
Allo sviluppo di questa danno il loro contributo grandi naturalisti come il genetista Theodosius Dobzhansky (cui si deve la celebre frase: «Niente ha senso in biologia se non nella luce dell'evoluzionismo»), il botanico Ledyard Stebbins e gli zoologi Geoge Gaylord Simpson ed Ernst Mayr.
Si giunge così alla vigilia dell'avvento del DNA e della biologia molecolare con una versione aggiornata, arricchita e «quasi» perfetta della proposta darwiniana. (È curioso notare come l'uomo creda sempre di aver raggiunto la perfezione nelle teorie scientifiche più diverse, salvo accorgersi, solo qualche tempo dopo, di essersi sbagliato, o almeno di aver corso troppo.)
Questa versione aggiornata convinse all'epoca moltissime persone in tutto il mondo che la teoria di Darwin, unita alla genetica e in particolare a quella applicata alle popolazioni, fosse una scienza ormai matura e quasi definitiva, anche se permanevano parecchi interrogativi. >>
(continua)
La limpida prosa di Boncinelli risulta assimilabile alla ricca tradizione della Saggistica di buona divulgazione scientifica di matrice anglosassone...
RispondiEliminaConcordo.
EliminaDi Boncinelli ho letto parecchi saggi e tutti mi hanno incantato per la semplicità della sua prosa, che non è però semplicismo, in quanto si abbina sempre a rigore e conoscenza.
Un autore di scienza divulgativa come ce ne sono pochi (soprattutto in Italia).