Quello del politico è sicuramente uno dei mestieri più difficili del mondo, perché richiede notevoli competenze (dalla conoscenza dei problemi alla capacità di mediazione), e si scontra con infinite difficoltà, a cominciare da quella, purtroppo attualissima, della corruzione.
Trovare un equilibrio accettabile è quindi molto difficile, ma questo non ci esime dal cercare, comunque, una piccola scala delle priorità, che ci aiuti nelle valutazioni.
Ce ne parla Aldo Giannuli, storico e politologo molto acuto, in questo post volutamente provocatorio (tratto dal suo sito), che fa seguito ad una piccola polemica precedente.
LUMEN
<< Non ho mai inteso fare l’apologia, la giustificazione o anche solo la minimizzazione della disonestà in politica. (…) Mai pensato di mettere i grandi del passato come Giulio Cesare e Napoleone sullo stesso piano dei politici di oggi, per dire che, alla fine tutti sono stati ladri.
Ce ne parla Aldo Giannuli, storico e politologo molto acuto, in questo post volutamente provocatorio (tratto dal suo sito), che fa seguito ad una piccola polemica precedente.
LUMEN
<< Non ho mai inteso fare l’apologia, la giustificazione o anche solo la minimizzazione della disonestà in politica. (…) Mai pensato di mettere i grandi del passato come Giulio Cesare e Napoleone sullo stesso piano dei politici di oggi, per dire che, alla fine tutti sono stati ladri.
Non sono un qualunquista e nel pezzo non c’è nulla che autorizzi una interpretazione così becera. I politici di oggi sono infinitamente inferiori a quei grandi, ma non perché siano meno onesti di quelli, ma perché infinitamente meno capaci e geniali. Che è quello che è decisivo,
Né avevo lontanamente in testa di dire che i grandi sono stati solo disonesti (quindi inutile fare elenchi che comproverebbero come fra i grandi ce ne sarebbero stati anche di onesti). Lo so che intelligenza, onestà e competenza possono benissimo andare d’accordo e ce ne sono ottimi esempi. Ma a me serviva dimostrare come la corruzione non impedisce di fare una grande politica.
Messa in termini di logica formale (oddìo chissà cosa succederà ora), io ho detto che A (l’onestà) non è condizione necessaria di B (il genio politico), ma non che B coincide sempre con –A (la negazione di A, cioè la disonestà). (…)
Ne consegue che io non ho inteso porre una scelta necessaria nella coppia concettuale Onesto-imbecille o Disonesto-capace come l’unica possibile. Semplicemente mi sembrava una “catalanata” dire che è preferibile ad ogni altra alternativa un politico onesto e capace, mentre uno disonesto e incapace è peggiore di qualsiasi altra cosa. Per cui, ho ritenuto che la problematica si ponesse nel caso di politici che avessero solo una delle due qualità, mancando dell’altra. (…)
Dunque, mettiamo da parte la metafora del politico disonesto e capace e di quello incapace ed onesto e parliamo della questione vera: che valore hanno in politica onestà e capacità.
E partiamo da una cosa: l’onestà, in politica, ha un valore sostanzialmente negativo e neutro. Spieghiamoci meglio, perché già vedo in agguato l’insopportabile armata dei moralisti.
Negativo non nel senso di disvalore, ma nel senso che indica più in non-fare che un fare. D’altra parte, tutta l’etica è fatta più di prescrizioni negative che positive, come dimostra lo stesso decalogo che contiene otto prescrizioni negative (“non avrai altro Dio..”, “non rubare”, “non uccidere, “non dire falsa testimonianza) e solo due positive (ricordati di santificare le feste, onora il padre e la madre).
Dunque, in politica, l’onestà coincide con una serie di prescrizioni negative (non rubare, non fare brogli elettorali, non combattere gli avversari con metodi violenti o truffaldini, non fare clientelismo ecc.) molto più che positive (fai questo o quello). Ed anche quando volessimo trovare indicazioni di tipo positivo (ad esempio: servi il bene pubblico, difendi i deboli, ecc.) la morale, in quanto tale, pone il compito, ma non dice affatto come perseguire questi obiettivi, lasciando alla politica il compito di individuare obiettivi e mezzi per raggiungerli, magari indicando dei divieti su questi ultimi, ma senza mai dare indicazioni positive.
A esempio, è giusto moralmente combattere la Mafia, ma come? La morale può intervenire su mezzi proibendone alcuni (ad esempio la tortura o usare i parenti, in particolare bambini, per indurre i latitanti a consegnarsi) ma non ti dirà mai se è giusto l’uso dei confidenti o quello delle intercettazioni, il 41 bis o la legislazione premiale per i pentiti.
Queste sono questioni da discutere in sede politica come tante altre (restare o no nell’Euro? Quali pene adottare per gli scafisti che trafficano carne umana? Adottare il rito penale abbreviato o no? Restare nella Nato o promuovere una diversa alleanza militare? Scegliere un sistema d’arma o un altro? Università pubblica o privata? Energia nucleare o alternativa? Ecc ecc) che esulano dal dibattito morale.
Ma i moralisti, nella loro totale ignoranza della politica, riducono tutto alla questione morale, nella convinzione che ci sia sempre una scelta politica “giusta” ed auto evidente, e che se essa non viene perseguita è solo per sordidi interessi che mistificano le cose, impedendo di capire quel che sarebbe giusto fare. Per cui basta essere persone oneste per fare la cosa giusta.
Niente di più sbagliato. Occorre mettersi in testa che la politica è un mondo complesso in cui non esistono scelte “giuste” in astratto, perché i problemi complessi non hanno, per definizione, soluzioni semplici ed univoche. Di volta in volta bisogna mediare fra valori (a proposito, cari moralisti: non esiste una morale unica cui attenersi) ed interessi, fra proponimenti e disponibilità, fra disegni politici e rapporti di forza.
Capisco che la lunga serie di politici corrotti che ha afflitto (ed affligge ancora oggi) questo paese ha causato una giusta reazione di disgusto per cui ci sia una esasperata sensibilizzazione sul tema della corruzione; ma questo ha provocato uno spaventoso regresso politico e culturale. Qui stiamo tornando indietro a Machiavelli ed alla separazione fra morale e politica.
Mettiamocelo in testa: la politica non può essere ridotta solo a morale e l’onestà non è un programma politico. Nessuno qui sta dicendo che i politici possano essere disonesti e che non occorra cacciare i corrotti (ripetiamolo un’ennesima volta per quelli che non capiscono), ma che la politica è altro dalla morale, anche se fra le due cose (o dovrebbero esserci) ci sono evidenti rapporti,
Pertanto, piaccia o no, la politica è uno specialismo (esattamente come la chirurgia, l’architettura o la psicologia), che richiede una preparazione specifica.
Poi si pone il problema di come evitare che le decisioni politiche diventino monopolio di una ristretta oligarchia di politici e “tecnici”, ma questo è un diverso ordine di problemi di cui riparleremo, qui vogliamo rimarcare, contro ogni sbracatura populista (…) che non ci si può improvvisare “politici” solo perché “onesti”, in quanto il requisito specifico dell’uomo politico non è l’onestà: onesti debbono essere tutti, il commerciante, il contribuente fiscale, il commissario concorsuale, il direttore delle carceri, il medico ed il manager dell’industria privata.
Al politico si chiede una cosa specifica, che è quella di “pensare in grande”, così come al medico di saper curare un ammalato. Almeno da certi livelli istituzionali in su (nessuno lo pretende da un consigliere comunale o provinciale) il politico DEVE pensare in grande, perché non sta amministrando un condominio o una tabaccheria di paese, ma una comunità di milioni di uomini e donne, la cui vita dipende in buona parte dalle sue decisioni. Tanto più se si trova a gestire un paese, una regione o una grande città in tempi di globalizzazione e di crisi.
Settanta anni fa, il fondatore dell’Uomo qualunque, Guglielmo Giannini, teorizzò che lo Stato aveva bisogno solo di un ragioniere che, entrato in carica il 1° gennaio, tenesse in ordine i conti, per consegnarli in perfetto ordine il 31 dicembre dello stesso anno e non fosse rieleggibile per nessuna ragione. Era una idea di “Stato amministrativo” che non ha bisogno di politica.
Il qualunquismo [però] è “spazzatura”: una visione da miserabile mezzemaniche culturalmente straccione che comporta la fine della politica e l’asservimento volontario. Vedo che stiamo tornando a questa idea. Io non credo che una simile degenerazione possa conquistare la maggioranza degli italiani, ma, se così fosse, arrivo a dire: meglio un colpo di Stato militare. Sapete benissimo come la penso in tema di colpi di Stato, ma dico meglio De Lorenzo che Monsieur Travet.
Quanto alla disputa iniziale sul se sia meglio il corrotto capace o l’onesto incapace, mi limito ad osservare che se non è affatto detto che il capace sia anche onesto è sicuro che l’incapace non è mai onesto, non fosse altro perché usurpa un posto che non gli compete, godendone i relativi vantaggi, senza sentire il dovere di togliersi di mezzo.
Anche per questo, preferisco il primo: almeno lui è capace mentre l’altro non è neppure onesto. Naturalmente non posso che essere d’accordo con chi dice che non dobbiamo rassegnarci a questa deprimente scelta e dobbiamo puntare ad avere una classe dirigente di onesti e competenti, ma una classe dirigente così non si improvvisa, si forma e non con le prediche parrocchiali sull’onestà, ma con quella formazione politica che non fa più nessuno.
Cosa si può fare con l’onestà da sola, senza preparazione, in politica? La birra. Niente altro. E con l’”onestismo” non si combatte neppure la corruzione, che, essendo un fenomeno sociale e politico, richiede un contrasto sociale e politico e non inutili geremiadi. Ma qui il disastro culturale lo combinò Berlinguer con il discorso sulla questione morale e sulla diversità morale degli uomini del Pci (dopo si è visto….). >>
ALDO GIANNULI
Né avevo lontanamente in testa di dire che i grandi sono stati solo disonesti (quindi inutile fare elenchi che comproverebbero come fra i grandi ce ne sarebbero stati anche di onesti). Lo so che intelligenza, onestà e competenza possono benissimo andare d’accordo e ce ne sono ottimi esempi. Ma a me serviva dimostrare come la corruzione non impedisce di fare una grande politica.
Messa in termini di logica formale (oddìo chissà cosa succederà ora), io ho detto che A (l’onestà) non è condizione necessaria di B (il genio politico), ma non che B coincide sempre con –A (la negazione di A, cioè la disonestà). (…)
Ne consegue che io non ho inteso porre una scelta necessaria nella coppia concettuale Onesto-imbecille o Disonesto-capace come l’unica possibile. Semplicemente mi sembrava una “catalanata” dire che è preferibile ad ogni altra alternativa un politico onesto e capace, mentre uno disonesto e incapace è peggiore di qualsiasi altra cosa. Per cui, ho ritenuto che la problematica si ponesse nel caso di politici che avessero solo una delle due qualità, mancando dell’altra. (…)
Dunque, mettiamo da parte la metafora del politico disonesto e capace e di quello incapace ed onesto e parliamo della questione vera: che valore hanno in politica onestà e capacità.
E partiamo da una cosa: l’onestà, in politica, ha un valore sostanzialmente negativo e neutro. Spieghiamoci meglio, perché già vedo in agguato l’insopportabile armata dei moralisti.
Negativo non nel senso di disvalore, ma nel senso che indica più in non-fare che un fare. D’altra parte, tutta l’etica è fatta più di prescrizioni negative che positive, come dimostra lo stesso decalogo che contiene otto prescrizioni negative (“non avrai altro Dio..”, “non rubare”, “non uccidere, “non dire falsa testimonianza) e solo due positive (ricordati di santificare le feste, onora il padre e la madre).
Dunque, in politica, l’onestà coincide con una serie di prescrizioni negative (non rubare, non fare brogli elettorali, non combattere gli avversari con metodi violenti o truffaldini, non fare clientelismo ecc.) molto più che positive (fai questo o quello). Ed anche quando volessimo trovare indicazioni di tipo positivo (ad esempio: servi il bene pubblico, difendi i deboli, ecc.) la morale, in quanto tale, pone il compito, ma non dice affatto come perseguire questi obiettivi, lasciando alla politica il compito di individuare obiettivi e mezzi per raggiungerli, magari indicando dei divieti su questi ultimi, ma senza mai dare indicazioni positive.
A esempio, è giusto moralmente combattere la Mafia, ma come? La morale può intervenire su mezzi proibendone alcuni (ad esempio la tortura o usare i parenti, in particolare bambini, per indurre i latitanti a consegnarsi) ma non ti dirà mai se è giusto l’uso dei confidenti o quello delle intercettazioni, il 41 bis o la legislazione premiale per i pentiti.
Queste sono questioni da discutere in sede politica come tante altre (restare o no nell’Euro? Quali pene adottare per gli scafisti che trafficano carne umana? Adottare il rito penale abbreviato o no? Restare nella Nato o promuovere una diversa alleanza militare? Scegliere un sistema d’arma o un altro? Università pubblica o privata? Energia nucleare o alternativa? Ecc ecc) che esulano dal dibattito morale.
Ma i moralisti, nella loro totale ignoranza della politica, riducono tutto alla questione morale, nella convinzione che ci sia sempre una scelta politica “giusta” ed auto evidente, e che se essa non viene perseguita è solo per sordidi interessi che mistificano le cose, impedendo di capire quel che sarebbe giusto fare. Per cui basta essere persone oneste per fare la cosa giusta.
Niente di più sbagliato. Occorre mettersi in testa che la politica è un mondo complesso in cui non esistono scelte “giuste” in astratto, perché i problemi complessi non hanno, per definizione, soluzioni semplici ed univoche. Di volta in volta bisogna mediare fra valori (a proposito, cari moralisti: non esiste una morale unica cui attenersi) ed interessi, fra proponimenti e disponibilità, fra disegni politici e rapporti di forza.
Capisco che la lunga serie di politici corrotti che ha afflitto (ed affligge ancora oggi) questo paese ha causato una giusta reazione di disgusto per cui ci sia una esasperata sensibilizzazione sul tema della corruzione; ma questo ha provocato uno spaventoso regresso politico e culturale. Qui stiamo tornando indietro a Machiavelli ed alla separazione fra morale e politica.
Mettiamocelo in testa: la politica non può essere ridotta solo a morale e l’onestà non è un programma politico. Nessuno qui sta dicendo che i politici possano essere disonesti e che non occorra cacciare i corrotti (ripetiamolo un’ennesima volta per quelli che non capiscono), ma che la politica è altro dalla morale, anche se fra le due cose (o dovrebbero esserci) ci sono evidenti rapporti,
Pertanto, piaccia o no, la politica è uno specialismo (esattamente come la chirurgia, l’architettura o la psicologia), che richiede una preparazione specifica.
Poi si pone il problema di come evitare che le decisioni politiche diventino monopolio di una ristretta oligarchia di politici e “tecnici”, ma questo è un diverso ordine di problemi di cui riparleremo, qui vogliamo rimarcare, contro ogni sbracatura populista (…) che non ci si può improvvisare “politici” solo perché “onesti”, in quanto il requisito specifico dell’uomo politico non è l’onestà: onesti debbono essere tutti, il commerciante, il contribuente fiscale, il commissario concorsuale, il direttore delle carceri, il medico ed il manager dell’industria privata.
Al politico si chiede una cosa specifica, che è quella di “pensare in grande”, così come al medico di saper curare un ammalato. Almeno da certi livelli istituzionali in su (nessuno lo pretende da un consigliere comunale o provinciale) il politico DEVE pensare in grande, perché non sta amministrando un condominio o una tabaccheria di paese, ma una comunità di milioni di uomini e donne, la cui vita dipende in buona parte dalle sue decisioni. Tanto più se si trova a gestire un paese, una regione o una grande città in tempi di globalizzazione e di crisi.
Settanta anni fa, il fondatore dell’Uomo qualunque, Guglielmo Giannini, teorizzò che lo Stato aveva bisogno solo di un ragioniere che, entrato in carica il 1° gennaio, tenesse in ordine i conti, per consegnarli in perfetto ordine il 31 dicembre dello stesso anno e non fosse rieleggibile per nessuna ragione. Era una idea di “Stato amministrativo” che non ha bisogno di politica.
Il qualunquismo [però] è “spazzatura”: una visione da miserabile mezzemaniche culturalmente straccione che comporta la fine della politica e l’asservimento volontario. Vedo che stiamo tornando a questa idea. Io non credo che una simile degenerazione possa conquistare la maggioranza degli italiani, ma, se così fosse, arrivo a dire: meglio un colpo di Stato militare. Sapete benissimo come la penso in tema di colpi di Stato, ma dico meglio De Lorenzo che Monsieur Travet.
Quanto alla disputa iniziale sul se sia meglio il corrotto capace o l’onesto incapace, mi limito ad osservare che se non è affatto detto che il capace sia anche onesto è sicuro che l’incapace non è mai onesto, non fosse altro perché usurpa un posto che non gli compete, godendone i relativi vantaggi, senza sentire il dovere di togliersi di mezzo.
Anche per questo, preferisco il primo: almeno lui è capace mentre l’altro non è neppure onesto. Naturalmente non posso che essere d’accordo con chi dice che non dobbiamo rassegnarci a questa deprimente scelta e dobbiamo puntare ad avere una classe dirigente di onesti e competenti, ma una classe dirigente così non si improvvisa, si forma e non con le prediche parrocchiali sull’onestà, ma con quella formazione politica che non fa più nessuno.
Cosa si può fare con l’onestà da sola, senza preparazione, in politica? La birra. Niente altro. E con l’”onestismo” non si combatte neppure la corruzione, che, essendo un fenomeno sociale e politico, richiede un contrasto sociale e politico e non inutili geremiadi. Ma qui il disastro culturale lo combinò Berlinguer con il discorso sulla questione morale e sulla diversità morale degli uomini del Pci (dopo si è visto….). >>
ALDO GIANNULI
Mah, Giannuli dice qualcosa di condivisibile ma il suo discorso non mi piace troppo. Io ancora non ho "capito" (cioè accettato) Machiavelli. Il Principe per me è un cinico che ricorre a tutti i mezzi, legittimi e illeggitimi, anche la religione, per conservare il potere. Se ci riesce (a conservare il potere) è per Machiavelli un ottimo principe. Ora ammetto che per conservare il potere bisogna dar fondo a tutte le riserve d'intelligenza che uno ha - o per dirla alla Machiavelli o Giannuli, bisogna essere un vero genio. Mi dispiace, ma un tale Principe o politico è sì un genio, ma del male. Se è vero che l'onestà non è un titolo sufficiente per governare (a che serve l'onestà se sei un incompetente e fai più danni che altro?) non si capisce perché il genio debba aver libertà di rubare e uccidere (il Principe poteva anche uccidere, "spegnere" il nemico - oggi non gli è più permesso). Anche Croce chiudeva un occhio sulle debolezze del politico geniale (come il tifoso chiude pure lui un occhio sul campione). Davvero le primedonne hanno libertà di essere anche volgari qualche volta? Sì, siamo tutti più indulgenti e generosi verso chi è capace di grandi cose (nella politica come nell'arte) ma preferisco il genio abbinato all'onestà. Non mi piace l'alternativa: o il genio o l'onestà. Non sono qualità antitetiche, anche se naturalmente della sola onestà non sappiamo che farcene a certi livelli (ma senza onestà nemmeno una società è concepibile - proviamo a immaginare che tutti comincino a rubare e che dobbiamo stare continuamente all'erta: chiaramente una società invivibile).
RispondiEliminaQuesto commento è stato eliminato dall'autore.
RispondiEliminaCaro Sergio, io, sulla gestione della cosa pubblica, ovvero sulla politica, sono anche meno ottimista di Giannuli.
RispondiEliminaSecondo me, non solo sono molto rari i politici onesti (perchè rischiano di uscire subito dal giro), ma non esistono neppure quelli geniali.
I politici che passano alla storia sono quelli che, per una serie di circostanze, si sono trovati al posto giusto al momento giusto.
Nel mio piccolo, continuo a ritenere che la storia NON la fanno le singole persone, anche se si tratta di governanti e di statisti.
Che dici: sto esagerando ?
Questo commento è stato eliminato dall'autore.
Elimina"Nel mio piccolo, continuo a ritenere che la storia NON la fanno le singole persone,"
EliminaEssendo l'uomo un animale prettamente culturale, il cui spazio sociale fermenta di idee, invenzioni e opinioni in continua lotta fra di loro per il predominio, forse no. Lo e' invece se si pensa che i vincoli materiali siano preminenti, come i decrescisti-picchisti che non a caso, normalmente, sono di origine materialistico-marxista, e coerentemente considerano degna di nota un'unica idea, la loro, in quanto unica vista come specchio della realta' materiale e confusa con essa.
L'amoralita' del politico pero' andrebbe vista nel senso che puo' essere necessario praticarla nell'immediato allo scopo di raggiungere dei fini che ne diminuiscano l'ammontare complessivo nel futuro, non certo come un fine in se', anche se esservi predisposti, in politica, aiuta... Machiavelli stesso, a quel che ricordo, la intendeva cosi'. Se cosi' fosse, si tratta dell'ennesima polemica inutile, ennesimo esempio della degradazione morale/culturale di questo paese. Degradazione non minore nei cosiddetti difensori della morale, i moralisti, anzi.
RispondiElimina<< L'amoralita' del politico pero' andrebbe vista nel senso che puo' essere necessario praticarla nell'immediato allo scopo di raggiungere dei fini che ne diminuiscano l'ammontare complessivo nel futuro >>
RispondiEliminaCaro Diaz, certamente un politico non può mai esimersi dal dover prendere decisioni sgradevoli anche qualora sia onesto, capace e lungimirante.
E questo per il semplice motivo che l nostre società sono così complesse che qualsiasi decisione risulta vantaggiosa per qualcuno e svantaggiosa per qualcun altro.
Quindi anche un politico che prenda una decisione oggettivamente vantaggiosa per la società (nel suo complesso) potrà essere aspramente criticato da chi ne avrà un danno.
Di fronte a questo rischio, è facile la tentazione di limitarsi a curare il proprio orticello politico, prendendo tempo con decisioni dilatorie e di facciata.
Da questo cinismo da sopravvivenza, alla corruzione vera e propria, il passo purtroppo è breve.
"è facile la tentazione di limitarsi a curare il proprio orticello politico"
EliminaTi diro' che, ricordando l'aforisma di Churchill, "il migliore argomento contro la democrazia? Un colloquio di un quarto d'ora con l'elettore medio", che e' facile vedere confermato alla grande dalla libera e anonima, quindi sincera, espressione delle opinioni nel web, mi chiedo se un politico non deve essere proprio idiota per fare altro che curare il proprio orticello. Fra l'altro, di questi tempi e' considerato ladro da molti in ogni caso: tanto vale che rubi. ;)
<< l'aforisma di Churchill, "il migliore argomento contro la democrazia? Un colloquio di un quarto d'ora con l'elettore medio" >>
EliminaGrazie Diaz, per la segnalazione: si tratta di un aforisma bellissimo, che non conoscevo.
Però Churchill è anche quello che riteneva la democrazia il peggior sistema politico, ad eccezione di tutti gli altri...