Agosto, tempo di pigro relax; di
letture piacevoli, ma non impegnative.
Come questo breve, ma delizioso
racconto di Achille Campanile, sul fascino sottile dell’apparenza.
Buon divertimento. LUMEN
IL BIGLIETTO DA VISITA
di Achille Campanile
Il viandante scalcagnato entrò col figlioletto nel vestibolo del
sontuoso albergo, si diresse verso la cattedra del portiere e, dopo aver a
lungo frugato nella rigonfia borsa spelacchiata che mai lo abbandonava, ne
trasse un biglietto da visita e lo porse all'uomo gallonato.
«Mi annunzi al direttore» disse.
Il portiere, che intanto aveva squadrato
dall'alto in basso lo strano personaggio, le sue scarpe malridotte e il nodoso
bastone che a costui serviva per tener lontano i cani da pastore nelle sue
lunghe peregrinazioni, dié un'occhiata al cartoncino. Di colpo, sbalordito,
fece una riverenza al nuovo venuto e corse ad annunziarlo.
Sul biglietto si leggeva:
«S.E. prof. ing. avv. comm. Pasini».
Dopo poco dall'alto della scalea si
precipitava giù il direttore dell'albergo in persona che, chiamato mentre stava
per andare a letto, stava terminando di infilarsi il tight. Col biglietto in
mano fece un profondo inchino al visitatore e: «In che posso servirla,
eccellenza?» disse.
Il viandante scalcagnato si schermì.
«Non sono eccellenza» fece, modesto.
«Ma sul suo biglietto è stampato S.E.» osservò
l'altro.
«Sono le iniziali del mio nome: Silvio Enea.»
Il direttore era rimasto un po' smontato.
«Bene professore,» fece «dica pure.»
Nuovamente l'altro ebbe un cortese gesto di
protesta come chi non ambisca i titoli.
«Non sono professore» disse.
«Ma questo "prof."?»
«Abbreviazione di profugo» spiegò il nuovo
venuto. «Sono profugo d'un campo di concentramento.»
«Mi dispiace molto ingegnere» fece il
direttore, dopo aver data un'altra occhiata al biglietto da visita.
«Non sono ingegnere» mormorò il visitatore.
«Eppure,» disse l'altro «qui c'è un
"ing.". Non vorrà dirmi» aggiunse in tono rispettosamente scherzoso
«ch'ella sia un ingenuo o un ingiusto, e tanto meno un ingeneroso.»
«Ingegnoso,» precisò il viandante «nient'altro
che ingegnoso. E gliela prova fra l'altro il fatto d'indicare questa mia virtù
con un' abbreviazione che talvolta mi procura dei vantaggi.»
«Ah,» fece il direttore, con una certa
freddezza «allora la chiamerò soltanto col suo titolo di avvocato.»
Il nuovo venuto fece spallucce.
«Quale titolo?» esclamò tra stupito e
divertito per l'equivoco. «Quale avvocato? Quando feci fare i biglietti da
visita non ero in pianta stabile nel posto che occupavo. Ciò le spiega
quell'"avv." che tanto l'ha impressionato e che sta per avventizio.»
«E qual era questo posto, commendatore?»
domandò l'uomo in tight con deferenza; ché anche il titolo di commendatore, per
quanto svalutato, merita qualche considerazione.
L'altro si fece serio.
«Non sono commendatore» precisò. «Non mi piace attribuirmi titoli che
non ho. E ai quali non tengo.»
«Eppure qui dice "comm."» scattò il direttore. «Oh, perdio
santissimo, non sono mica cieco. Leggete anche voi.» E sventolava il biglietto
sotto gli occhi del portiere ammutolito.
Il viandante scalcagnato non si scompose.
«Abbreviazione di "commissionario"» disse con cortese
fermezza. «Ero commissionario d'albergo.»
S'udì un tonfo.
Il portiere gallonato, che aveva assistito
alla scena, cadde lungo disteso. Il fatto che colui ch'egli aveva ritenuto, non
soltanto commendatore, ma addirittura eccellenza, fosse invece un semplice
commissionario fu per il brav'uomo il crollo di un'illusione. Tanto più che,
tratto in inganno da quella sfilza di presunti titoli, egli aveva elargito al
personaggio parecchi rispettosi inchini. Non si risollevò più dal colpo. Colto
da un febbrone, in breve volger di tempo morì. Ma per fortuna la catastrofe
avvenne dopo la fine della scena che è oggetto del presente racconto.
Quindi non saremo tenuti a rattristare i lettori con la descrizione d'una degenza complicata da un doloroso delirio.
Quindi non saremo tenuti a rattristare i lettori con la descrizione d'una degenza complicata da un doloroso delirio.
Per il direttore dell'albergo, intanto, la
notizia che il presunto commendatore altri non fosse che un commissionario fu
una doccia fredda sul suo entusiasmo di poc'anzi.
«Dica, Pasini» mormorò seccamente.
L'altro scosse il capo.
«Che?» urlò il direttore. «Scuote il capo? Non sarebbe per caso nemmeno
Pasini? Questo è troppo.»
Ma l'altro lo tranquillizzò.
«Scuoto il capo per passatempo» disse.
«Bene, brav'uomo» borbottò il direttore; e
dovette far forza a se stesso, ché non gli era facile dar del brav'uomo a uno
che pochi istanti prima egli aveva creduto un commendatore. «Che cosa
desidera?»
«Vorrei essere assunto come facchino.»
«E mi fa anche alzare dal letto?» urlò il
direttore. «Siamo al completo! »
Gli voltò le spalle piantandolo in asso.
Il viandante scalcagnato affondò il biglietto nella borsa e col
figlioletto per mano si allontanò nella notte.
Carina, mi sono fatto un paio di belle risate. Campanile è irresistibile talvolta. Se le trovo (nelle sue opere) ti mando un paio di cose sue davvero esilaranti, da scompisciarsi dal ridere.
RispondiEliminaCaro Sergio, sono contento di averti strappato una risata.
RispondiEliminaHo letto alcune cose di Campanile (la cui produzione è veramente sterminata) e mi sono quasi sempre divertito molto.
Il suo umorismo tranquillo, la sua ironia paradossale, il suo garbo un po' understatement sono irresistibili, soprattutto per un tipo come me.