Lo storico americano Joseph Tainter ha scritto un libro molto interessante, intitolato “The Collapse of Complex Societies” (Il Collasso delle Società Complesse), in cui avanza l’idea che il crollo delle civiltà sia dovuto principalmente alle conseguenze della loro complessità, in quanto, con l’aumentare della complessità sociale, i rendimenti (economici) marginali diventano sempre più decrescenti, sino a risultare negativi.
Il libro, purtroppo, non è reperibile in italiano, in quanto nessuno dei nostri editori ha ritenuto opportuno tradurlo (!?!).
Ci dobbiamo pertanto accontentare di alcuni commenti del prof. Ugo Bardi (dal suo ottimo blog “Effetto Cassandra”), che riporto qui di seguito in sintesi. Una lettura molto interessante.
LUMEN
<< Nel suo libro, Tainter esamina studi precedenti ed elenca almeno undici cause (o "concause") dei collassi che sono state proposte dagli storici. L'esaurimento delle risorse, le catastrofi, gli invasori, il conflitto sociale ed altre ancora. Ma esiste una singola causa del collasso? O ce ne sono diverse?
Tainter cerca un'unica, comune radice del problema e la trova in quello che lui chiama "i rendimenti decrescenti della complessità".
Partendo da un concetto ben noto nella teoria economica, quella dei rendimenti decrescenti, Tainter costruisce il suo caso su esempi storici. E' chiaro che numerose società hanno continuato a costruire e gestire strutture complesse e costose, anche in condizioni nelle quali era molto difficile trovare le risorse necessarie.
Un esempio è quello delle fortificazioni a protezione dell’Impero Romano di Occidente, che devono essere state un tale fardello che possiamo considerarle fattori che abbatterono l'Impero.
E, in generale, effettivamente vediamo che le società, compresa la nostra, erigono burocrazie complesse ed ipertrofiche che appaiono del tutto inutili; un aumento di complessità che genera solo uno spreco di risorse. >>
<< Per gli storici romani, che lo vivevano, il collasso [della loro società] era completamente invisibile. Anche molti secoli dopo, storici moderni come Edward Gibbon, erano incapaci di vedere il crollo dell'Impero Romano come qualcosa di più complesso che il semplice risultato dell'invasione militare dei barbari.
Soltanto oggi, con il collasso della nostra stessa società imminente, o già in corso, riusciamo a vedere il parallelismo fra i nostri antenati del tardo impero romano e la nostra situazione. Lo storico moderno che ha analizzato in dettaglio questa analogia è [come detto] Joseph Tainter e i risultati non sono forieri di ottimismo.
Tainter parte dal concetto di "complessità." Pur senza definirlo in modo esatto, lo intende come la somma di tutte quelle strutture economiche, sociali, burocratiche e militari che fanno parte di quella cosa che chiamiamo "civiltà". Il concetto di fondo che Tainter propone è che la civiltà reagisce a ogni crisi aumentando la propria complessità. Ovvero, crea delle strutture burocratiche, militari, o quant'altro, destinate a risolvere la crisi.
Ovviamente la complessità ha un costo. Più strutture complesse si creano, più si mette sotto stress l'economia della società che deve supportare queste strutture. Il punto cruciale della faccenda, secondo Tainter, è la contraddizione che si crea quando il problema da risolvere è la scarsità di risorse.
La società cerca di risolvere il problema della scarsità creando strutture che lo aggravano. A lungo andare, è questa contraddizione che genera il collasso - un destino comune a tutte le società che conosciamo nella storia umana.
Pensiamo all'Impero Romano, il punto di partenza dell'analisi di Tainter.
Nel terzo secolo a.d. l'Impero aveva un grosso problema: insufficienti risorse per mantenere sotto controllo tutto il territorio. La soluzione pensata da Diocleziano fu di aumentare le tasse e con quelle pagare più legioni. In pratica, Diocleziano raddoppiò le dimensioni dell'esercito e allo stesso tempo creò una pesante burocrazia per strizzare quanti più soldi possibile dai cittadini romani.
Questa complessa struttura riuscì a risolvere il problema - per un po' - tenendo fuori i barbari dai confini dell'Impero. Ma, a lungo andare, ebbe l'effetto di strangolare l'economia dell'Impero di Occidente che finì per scomparire completamente un paio di secoli dopo.
Se ci pensiamo sopra, vediamo che la nostra società sta facendo qualcosa di simile. Non abbiamo un problema militare, abbiamo un problema di risorse (intese anche come la capacità dell'atmosfera di assorbire i prodotti della combustione dei fossili senza surriscaldarsi). La risposta che diamo al problema è di creare strutture sempre più complesse.
Pensiamo a come il problema energetico veda come soluzioni proposte, per esempio, quella di strutture enormemente complesse come le centrali nucleari. Il problema climatico vede come soluzione proposta la creazione di una complessa burocrazia di "crediti di carbonio" e - anche quello - le centrali nucleari.
Ci sono molti altri esempi che mostrano come, di fronte al problema di scarsità di risorse la società risponda con un aumento della propria complessità; ovvero creando strutture che lo dovrebbero risolvere ma che, in pratica, sono costose e lo aggravano.
L'interessante della faccenda è che per supportare queste nuove strutture la società fa del suo meglio per diventare più "efficiente".
Per esempio, in Italia abbiamo deciso che una struttura come l'educazione superiore, ovvero le università, deve essere resa più efficiente. In pratica la stiamo smantellando, ma probabilmente ne rimarrà in piedi una versione molto snella e efficiente (talmente snella e efficiente da rischiare di fare la fine dell'asino il cui padrone gli insegnava a non mangiare).
Ora, si può discutere sull'opportunità o meno di mandare i baroni universitari a lavorare nei campi, come si faceva al tempo della rivoluzione culturale in Cina. Ma, indipendentemente da questo, il punto da considerare è che le risorse risparmiate smantellando l'università non vengono veramente "risparmiate".
No, sono semplicemente spostate in aree che il governo (o, più esattamente, le lobby economiche che lo controllano) giudica più interessanti: centrali nucleari, la tratta ad alta velocità, il ponte sullo stretto, eccetera. In pratica, la società continua a consumare risorse al massimo ritmo possibile. >>
(continua)
Molto interessante. Ma probabilmente non c'è alternativa all'incremento della complessità - fin quando la natura dirà: "Stop, torna alla casella di partenza, homo sapiens sapiens."
RispondiEliminaMa perché non c'è alternativa? Un tizio diceva una volta che l'uomo non può rinunciare e non rinuncerà mai a ciò che ha conquistato e che è per lui irrinunciabile, come per es. la luce elettrica e la mobilità.
Ma le conseguenze? Il "sistema" non ha altra ricetta che la "crescita" perché solo la crescita può conservare le strutture attuali del sistema (cioè del potere) che non possono essere toccate.
Strano che a nessuno venga in mente che se fossimo un po' meno magari staremmo meglio e non dovremmo arrampicarci sugli specchi di una crescita illusoria e - se avvenisse - persino catastrofica. Nessuno? Be' qualcuno c'è, per es. un professore di economia svizzero. Eichelberger, che ha calcolato che un nuovo "convitato al tavolo della vita" (parole alate di Paolo VI) riceve oggi più di quel che può rendere alla società (istruzione e assistenza sanitaria gratuite ecc. ecc.) e che perciò ... non può durare. Fra parentesi, sarebbe anche opportuno ricordare che i "giovani" sono oggi praticamente a carico della famiglia e della società anche fino a 30 anni (dunque parassiti per 30 anni). Dico questo perché trovo piuttosto indecente la continua polemica verso i "vecchiacci" a carico delle generazioni che lavorano. Sì, certo, grazie al progresso sti vecchiacci campano a lungo, troppo a lungo. Ma se facciamo i conti fra vecchi parassiti e giovani parassiti risulterà forse che i giovani sono ancora più parassiti dei vecchi ...
Ma per tornare alla complessità. Un sistema tende in genere a una maggiore complessità, ma c'è un grado di complessità che non è più possibile mantenere e il sistema collassa o deve fare sforzi immensi per mantenere quel grado di complessità - ma solo per rinviare il momento del collasso, altrettanto inevitabile.
Forse sbaglio, ma continuo a credere che sarebbe meglio se fossimo meno. All'idiota che adesso mi dirà: ma comincia a farti da parte tu, vorrei dire che io non ho contribuito all'incremento demografico (per un cattolico o uno del sistema questa è ovviamente una colpa grave).
Ricordo che l'UE europea voleva azzerare la disoccupazione entro il 2010. C'è qualcuno che crede davvero che l'UE riassorbirà la spaventosa disoccupazione europea, di una parte del mondo poi che se la passa nel complesso ancora bene rispetto per es. all'Africa e ad altri paesi "in via di sviluppo"? Forse se ridimensionassimo le aspettative e gli appetiti potremmo ancora farcela, ma ormai la gente scende ovunque in piazza reclamando panem et circenses (a Madrid, a Tel Aviv, a Taranto, a Tripoli, a Damasco). Se la benzina aumenta di qualche centesimo la sinistra spara a zero sul governo. Io sarei per - diciamo - 5 euro al litro, anzi meglio 10. Ma passerò per un pazzo che minaccia la crescita ...
Caro Sergio, commento sacrosanto il tuo.
RispondiEliminaNon vedo davvero perchè sia meglio vivere da poveracci in tanti, piuttosto che vivere meglio in pochi: davvero, non riesco proprio a capire il valore intrinseco della moltitudine (se non dal solito punto di vista del gene replicatore egoista e cieco).
oltretutto non si tratta di ammazzare nessuno, ma solo di ridurre la procreazione.
Trovo azzeccata anche la tua ultima considerazione sulla benzina.
A volte penso che il prezzo sempre più alto del carburante non solo non sia un problema, ma possa essere addirittura una parte della soluzione: così - per banali motivi di portafoglio - impariamo a consumare meno, sprecare meno ed inquinare meno.
Caro Lumen, trovo il discorso di Tainter condivisibile, ma sono le conclusioni -credo di Bardi- che inficiano tutto il discorso. In particolare la complessità cui accenna Tainter non credo abbia nulla a che vedere con le centrali nucleari. Le centrali nucleari sono strutture "enormemente" più complesse di tutto l'apparato necessario alla estrazione, stoccaggio, raffinazione, trasporto, trasformazione e utilizzazione degli idrocarburi? Con tutti i pocessi di inquinamento, tra cui l'immissione di carbonio in atmosfera, che tale combustione comporta (e tutti i processi complessi messi in piedi per porvi riparo)? Non credo che sia la tecmologia la causa della complessità delle società avanzate sull'orlo del collasso. Credo che invece la complessità in questione abbia molto a che fare con la perdita dei valori di riferimento cui la crescita delle strutture sociali e burocratiche danno luogo.
RispondiEliminaCondivido. L'analisi di Tainter e' interessantissima e con enorme importanza euristica, si applica addirittura a se stessa per non parlare delle estensioni di Bardi, e rilancio: e' impossibile sapere in quale punto della curva ci si trova.
Elimina<< e' impossibile sapere in quale punto della curva ci si trova.>>
EliminaCaro Winston, quello che dici è molto giusto ed è, purtroppo, un grosso guaio.
Se sapessimo con precisione dove ci troviamo, forse avremmo un po' di consapevolezza in più e quindi una maggiore possibilità di intervenire in tempo.
Invece certe cose le sapremo solo ex post, quando ormai sarà troppo tardi.