giovedì 17 ottobre 2024

De Profundis

Per quanto mi riguarda, sono assolutamente favorevole all'eutanasia, che considero una delle massime espressioni della libertà individuale.
Però, Marcello Veneziani non ha tutti i torti quando sostiene che, a furia di diritti individuali (di cui l'eutanasia può essere considerato il punto culminante), si perde irrimediabilmente la coesione della società; la quale, per funzionare, ha bisogno di valori condivisi e considerati superiori, anche se si tratta di finzioni ed inganni
Per questo, le società fondate sui diritti individuali, come la nostra, finiscono sempre con la dissoluzione. Resta da vedere chi verrà a sosituirla.
LUMEN


<< Da tempo i messaggi pubblici inviati dalle maggiori agenzie di riferimento della nostra epoca, tra i quali spiccano il cinema e la tv, ruotano intorno a certi temi [legati alla morte] e si raccolgono infine nell’elogio dell’eutanasia. (…)

Non entro nel merito dell’eutanasia, capisco alcune sue ragioni, reputo ragionevole stabilire dei limiti all’accanimento terapeutico o al mantenimento in vita solo artificiale, di persone che non hanno più una vita cosciente e non hanno più possibilità di riprendersi.

Capisco, condivido l’umana pietà di mettere fine alla sofferenza. No, non è di questo che voglio parlare. Ma del fatto che gli unici messaggi ideali e morali, civili e individuali che vengono diramati dalle messaggerie culturali dell’epoca nostra sono rivolti alla morte, al pensiero negativo, alla preferenza per il non essere rispetto all’essere. E l’unica sovranità riconosciuta è di tipo individuale e ancora negativo, come il potere di uscire dalla vita.

Rovesciando il punto di osservazione, noto che l’eutanasia è l’unico messaggio dominante sul passaggio tra la vita e la morte. Non c’è più il mistero di Dio, la scommessa sulla fede, la contemplazione della morte, il destino dell’uomo, la sua memoria e le eredità che lascia a chi resta, ma solo la possibilità del singolo di tagliare il nodo gordiano, di recidere il cordone della vita, come si recidono i cordoni ombelicali per mettere la mondo i neonati.

Questa recisione ha un significato inverso, come inverso è ormai il canone odierno. L’eutanasia è l’ultimo decisionismo dell’occidente-uccidente; una decisione-recisione volta solo a negare, a sottrarsi, in una via di fuga individuale. Autonomi nella dissoluzione, libertà come cupio dissolvi.

Aleggia in questa ossessione dell’eutanasia il segno di una società stanca e sfiduciata, demotivata e ripiegata nella vita singola, isolata, popolata da vecchi, impauriti dall’incipiente soglia; che allestisce terapie, balsami e culture utili a giustificare il trapasso indolore e inodore, asettico, verso l’estinzione. Un nirvana per via sanitaria, un nichilismo clinico come sollievo dal dolore di esistere.

Nei millenni passati furono attrezzati grandi cerimoniali per accompagnare la vita nel suo fatale distacco; riti, liturgie, pensieri, opere e missioni, lasciti, eredi e testamenti.

Ho visto degli splendidi 'tableau vivant' a Castellabate, in cui venivano inscenate alcune grandi opere pittoriche a tema religioso, in prevalenza sulla morte di Gesù Cristo: colpiva vedere la morte come atto corale, corpi viventi intrecciati a corpi morenti, dolore consorte, compagnia dell’addio. La nostra è invece morte ospedaliera, in solitudine.

Fino a pochi anni fa l’unica eutanasia riconosciuta era morire per un motivo che fosse più importante della nostra vita individuale: morire per testimoniare la fede, come facevano i martiri, morire per la patria, come facevano gli eroi, morire per la Causa che trascende la vita dei singoli.

Inconcepibile oggi; ma di queste scelte estreme vorrei sottolineare la convinzione che la morte individuale fosse meno importante rispetto a entità, principi, realtà comunitarie che sopravvivono al destino dei singoli. Offrivi la vita sapendo che la tua morte non coincideva col nulla, ma era la fine di una foglia, forse di un ramo, non dell’albero, con le sue radici e il suo tronco e le sue stagionali rinascite; la tua morte rientrava nel ciclo delle stagioni, in cui si rinnova la pianta.

Nessun uomo di senno e di buon senso può rifugiarsi in quel paragone e limitarsi a rimpiangere quel mondo. Ma il fatto che oggi poniamo la questione solo a livello individuale e racchiudiamo la visione della morte solo nell’atto di andarcene, in libertà, quando lo vogliamo noi e non quando lo dice la sorte o la malattia, è il tema di cui dovremmo curarci, perché investe noi oggi, il nostro tempo, il nostro domani.

Sconforta osservare che anche su questo tema non esiste alcuna divergenza di vedute nei racconti pubblici, non c’è un film o un’opera che dica una cosa diversa se non opposta a quella del mainstream mortifero.

E stiamo parlando di una società che celebra la libertà sopra ogni cosa e ritiene anzi di essere superiore a tutte le epoche precedenti proprio per la sua raggiunta libertà. E invece non c’è possibilità di vedere e narrare diversamente le cose; non è possibile, esiste un muro invisibile, una cappa pervasiva che impedisce di articolare un pensiero differente e metterlo poi su strada.

Se ci provi ti saltano a uno a uno gli addendi: non trovi chi si esponga a scrivere, a sceneggiare, a produrre l’opera, a realizzarla, a recitare, a distribuire, a comunicare, a riconoscere e premiare una cosa del genere. Strada facendo il progetto si azzoppa, nessuno vuol andare a sbattere contro il muro, andare allo sbaraglio. Eutanasia del dissenso.

Noi occidentali viviamo in una società profondamente spaccata, con rari e confusi attraversamenti fra le due sponde; siamo divisi tra l’alto e il basso, tra oligarchie e popoli, tra comunitari e individualisti, fra tradizione e liberazione, e potrei a lungo continuare.

Non immagino che si possa ritrovare l’unità, se non attraverso l’intolleranza, l’egemonia e la supremazia coatta di una parte sull’altra: vorrei invece che fosse possibile avere la possibilità di scegliere, che sia legittimo divergere e soprattutto che sia possibile esprimerlo pubblicamente.

Ma se guardo la realtà, al momento, non vedo segnali e aperture. Chiedono la libertà dell’eutanasia, ma io vedo l’eutanasia della libertà. >>

MARCELLO VENEZIANI

domenica 13 ottobre 2024

Punti di Vista – 37

L'EGOISMO DELLA MIGRAZIONE
Ci sono tanti fattori che condizionano le scelte delle persone; io non voglio essere rigida e sicuramente non voglio demonizzare qualsiasi tipo di migrazione.
C'è chi migra per aiutare gli altri, o per amore, o per imparare, o per offrire un servizio all’umanità intera e non solo a una sua parte.
Ma dietro a tantissime storie di migrazione, per quanto umanamente comprensibili e anche ammirevoli nell’impegno e nel coraggio che hanno richiesto, c’è fondamentalmente una motivazione egoistica.
Per sè, per i propri figli. E basta. Non per il paese da cui sono partiti. Non per il paese che li riceve. Chi non è stato fedele la prima volta, forse non lo sarà neanche la seconda. Dovesse mettersi male, potrebbe scappare di nuovo. (…)
Dicevo che alcuni migrano per amore: trovano una persona o un posto e se ne innamorano, e per questo si spostano. Ma tanti migrano per interesse, per un lavoro che paga di più, per una vita con meno problemi.
Dal punto di vista di chi riceve, questa cosa può sia essere lusinghiera che sconfortante. È bello essere apprezzati, anche poter condividere quello che si ha con chi non ce l’ha, ma non essere obbligati a fare i conti con l’opportunismo altrui.
Per me questa è casa, è assolutamente insostituibile; spesso per chi viene qui è un posto come un altro.
GAIA BARACETTI


RIVOLUZIONI E CAOS
Alla rivoluzione francese nel 1789 seguì un decennio di caos. Le élite furono sostituite dall’equivalente settecentesco dei populisti.
Le conseguenze economiche furono gravi e diffuse, causando notevoli difficoltà per il popolo francese. La produzione e il commercio diminuirono, la produzione agricola crollò e la nazione dovette affrontare iperinflazione, carenza di cibo, corruzione e la confisca della proprietà privata.
Allo stesso modo, la rivoluzione russa e la guerra civile (1917-1922) causarono enormi perturbazioni economiche. Le infrastrutture furono danneggiate, la produzione industriale crollò e si verificarono diffuse carenze di beni e servizi.
Il cittadino medio russo ha dovuto affrontare notevoli difficoltà, tra cui carenza di cibo, disoccupazione e un forte calo degli standard di vita.
Nella maggior parte delle rivoluzioni moderne, le élite sono semplicemente sostituite da nuove élite, e non è raro che le vecchie riacquistino il potere entro pochi decenni.
ART BERMAN


C'ERA UNA VOLTA LA SINISTRA
L’antifascismo nasconde il tradimento della sinistra nei confronti della lotta al capitalismo: il capitale diventa alleato perché il nemico supremo da abbattere è sempre e solo il fascismo (che non esiste).
Così la sinistra diventa ovunque la guardia bianca del capitale. Cosa riceve in cambio? L’adozione del proprio manuale ideologico antifascista, filo-migranti e filo-transgender.
Al di là di una spruzzatina pop sui temi sindacali e sociali, la sinistra di fatto non sogna alcun superamento del capitalismo, è dentro il suo mondo e la sua tabula rasa, concorre a cancellare la civiltà ereditata; il suo nemico non è più il Padrone, i ricchi, i giganti della finanza e i potenti, che sono invece suoi alleati, ma la famiglia, la civiltà tradizionale, la sovranità nazionale e popolare, riassunti nella formula diabolica del fascismo, con aggravante obbligata del razzismo. (...)
La formula viene applicata ovunque. Se tu per esempio denunci che un treno ad alta velocità e lungo percorso non può abbandonare a metà corsa sui binari, per sciopero, i viaggiatori, tra cui donne, bambini, disabili, trovi sempre quattro deficenti di sinistra che ti attaccano: ah, il solito fascista, vuole abolire il diritto di sciopero.
I problemi concreti del presente, il disagio reale dei cittadini, cancellati dal solito mantra ideologico di un secolo fa. A questo serve l’antifascismo, usato dai cinici furbi e dai cretini acidi.
MARCELLO VENEZIANI


LE SFIDE INUTILI
Mi sono sempre domandato che senso abbia affrontare i pericoli scalando una montagna.
Gli scalatori dicono che "sfidano" la montagna. Si accorgono della sciocchezza che dicono? La montagna non è un essere vivente, non parla e non conosce. Si può sfidare un avversario che sia anch'egli un essere umano.
Non si può infatti dire che un uomo sfidi una tigre se non va a disturbarla o non si trovi aggredito perché entrato nel suo territorio disturbandola o addirittura con l'idea di cacciarla.
La tigre non ha intenzione di sfidare l'uomo. Come il povero toro non ha alcuna intenzione di sfidare il maledetto e vigliacco torero (quando qualche rara volta viene incornato ne provo grande gioia).
Tanto meno si può dire "Sfidare la montagna". La montagna non sfida alcuno. Sta lì ferma e, se avesse il pensiero, direbbe: " Sta' lontano da me. Io non ti sfido e tu non venire a rompermi le scatole. Non lamentarti poi se ti capita qualcosa. L'hai voluto tu, non io, che non sono sfidante". (…)
Fatta questa premessa mi domando: come mai i famosi scalatori, come anche quelli che fanno traversate oceaniche in solitario, appaiono come eroi moderni, degni di considerazione e di ammirazione?
Io li considero degli esseri inutili, se le loro imprese non hanno un significato scientifico. Per me non sono gente normale di testa.
Io ammiro invece i ricercatori che, pur senza correre rischi, lavorano nell'oscurità di un laboratorio per dedicare la loro vita alla ricerca scientifica con benefici per tutti. Essi sono i veri eroi dell'umanità, facendo funzionare la mente e non la passione inutile dell'impresa senza senso.
PIETRO MELIS

martedì 8 ottobre 2024

Putant quod Cupiunt

L'espressione latina del titolo (in inglese “wishful thinking people”) si riferisce a quelle persone che preferiscono credere alle affermazioni più piacevoli e consolatorie, anche se false, piuttosto che accettare le verità scomode.
Il testo che segue, a cui ho intercalato i miei commenti, è tratto dalla pagina FaceBook di 'Telefonoverde' e mi sembra perfettamente adatto a rappresentare il fenomeno.
LUMEN



<< PERCHÉ DIO ESISTE? - Abbiamo provato a dare delle risposte a sostegno dell'esistenza di Dio che, andando oltre quelle che chiaramente darebbe la Bibbia, ci sono apparse ovvie, chiare, di assoluto buon senso ed universalmente accettabili.

È RAGIONEVOLE CHE DIO ESISTA
Senza l’esistenza di un essere supremo, che ha pianificato ogni cosa e che ha un disegno preciso, l’esistenza umana non ha ne capo ne coda; è occasionale e senza un reale senso. Senza Dio siamo senza una vera ragione se non quella fine a se stessa di sopravvivere, venendo dal nulla per riandare nel nulla.
L’esistenza di Dio, invece, colloca l’esistenza umana all’interno di una ragione; ha una causa ed ha un effetto. Con Dio l’esistenza umana assomiglia tantissimo a tutto quello che un essere intelligente normalmente fa e cioè: pensa, progetta e realizza qualcosa. 
Tutto nel creato segue questa logica. Gli animali non vagano a caso ma hanno degli obiettivi da realizzare. Le piante hanno un senso ed un ruolo all’interno dell’ecosistema così come tutto ciò che è creato. L’uomo, poi, è una sequenza interminabile di progetti ed obbiettivi da perseguire. 
Allora la cosa più irragionevole sarebbe che tutto questo creato, sensato e determinato, venga da un fatto insensato ed occasionale. È ragionevole invece che tutto venga da un fatto altrettanto, anzi, maggiormente sensato come l’esistenza di una intelligenza superiore che ha un progetto da perseguire ed una meta da raggiungere.

NOTA di LUMEN – La scienza biologica ha confermato che l’esistenza umana, così come quella di ogni essere vivente, non ha nessun significato particolare e nessuno scopo ultimo, che non sia la replicazione del proprio DNA. Dobbiamo farcene una ragione.


È GIUSTO CHE DIO ESISTA
Siamo tutti amanti della giustizia e dell’equità. Siamo in grado di concepire questi valori e di perseguirli. È assurdo concepire qualcosa che difficilmente possa poi trovare una vera e piena realizzazione. 
Nel mondo, infatti, esistono una infinità di ingiustizie e di iniquità che restano e che resteranno senza una risposta adeguata. Ingiustizie sociali, ingiustizie personali, ingiustizie genetiche (è ingiusto che uno sia più intelligente di un altro o che uno sia sano mentre un altro nasca disabile ecc…).
Questa ingiustizia dalla quale siamo pervasi, associata al senso di giustizia che tutti abbiamo, ci spingono energicamente a credere che esista una giustizia oltre i nostri limiti ed oltre quello che è al momento fuori dalla nostra portata pratica e cognitiva. Una giustizia che toccherà tutto e tutti; una giustizia che risponderà equamente ad ogni ingiustizia.
Ora questa giustizia è chiaro che non possa essere di questo mondo per cui deve essere per causa di forza maggiore una giustizia che risiede in qualcuno intelligente e potente che è sopra gli uomini, e chi se non Dio può essere questo giudice? Dio soddisfa il bisogno profondo di giustizia che è in ogni essere umano. Se Dio non esistesse questo mondo oltre che essere senza senso sarebbe anche un luogo profondamente e biecamente ingiusto ed impunito.
L’esistenza di Dio come esecutore di una giustizia sovrana, certa ed infallibile, colloca l’umanità in un quadro reale e profondamente compatibile con le aspettative dei sentimenti e dei valori umani, molto più di quanto non lo sarebbe la sua inesistenza.

NOTA di LUMEN - La scienza fisica ha dimostrato che il mondo è solo una sequenza di eventi oggettivi, privi di qualsiasi significato etico, e quindi non può che apparirci profondamente ingiusto. Possiamo cercare di contenere i danni, difendendoci dai pericoli, ma se ci limitiamo a confidare in una fantomatica giustizia soprannaturale, subiremo una sorte anche peggiore.

 
È NECESSARIO CHE DIO ESISTA
Proviamo ad immaginare quale reazione susciterebbe la notizia secondo la quale sarebbe stato inequivocabilmente dimostrato che Dio non esiste. Pensiamoci un attimo. Credo che la disperazione sarebbe totale e globale e non solo da parte dei credenti, come ci si aspetterebbe, ma sono convinto che questa disperazione investirebbe inaspettatamente anche gran parte dei non credenti: agnostici, atei e affini.
La disperazione sarebbe globale perché in fondo in fondo, anche se alcuni molto in fondo, tutti sperano, in modi differenti e con aspettative differenti, che dopo la morte possa davvero esistere qualcosa come una una specie di giusto riscatto dalle sofferenze di quaggiù. Una speranza alimentata da quel barlume di probabilità prodotto dal fatto che in realtà nessuno, ma proprio nessuno, può affermare il contrario e cioè che dopo la morte tutto realmente si estingue nel nulla.
I credenti hanno le loro idee molto chiare; i meno credenti hanno le loro idee confuse; gli atei e affini vedono alla possibilità che Dio esista e che esista un al di là nello stesso modo in cui vede la vincita uno che ha comprato un biglietto della lotteria; non ci crede mica più di tanto che vincerà, anzi ci crede poco, o niente, ma in fondo in fondo spera che possa essere proprio lui il vincitore.
 Così molta umanità guarda a Dio e all’aldilà. Non ci crede molto, poco, pochissimo, ma in fondo in fondo nutre una piccolissima, (o grande?) speranza che ciò che si dice in giro sia vero e che Dio sia benevolo poi con lui.
Se ci fosse la tragica notizia della certa inesistenza di Dio tutto ma proprio tutto il mondo sarebbe inevitabilmente ed irreversibilmente depresso e disperato perché tutti in qualche modo, in modo più o meno evidente, magari come un segreto inconfessabile del proprio cuore, sentono la necessità che Dio esista per davvero. Questa speranza in Dio e nella sua esistenza è il pensiero dell’eternità che abita ogni cuore e che spinge l’uomo a cercare la verità su se stesso e su Dio.

NOTA di LUMEN – La consapevolezza della 'non esistenza' di Dio comporterebbe, in effetti, una grande disperazione tra la gente. Questo però spiega soltanto l'esistenza delle Religioni ed il loro successo millenario. Null'altro.


È INEVITABILE CHE DIO ESISTA
Da che esiste il genere umano esiste anche il pensiero dell’eternità e di una qualche realtà sovrumana che possa avere un’influenza sul destino dell’umanità. Tutti gli esseri umani di tutti i tempi e di tutti i luoghi della terra, dalla tribù più sperduta fino al popolo più evoluto; dalla notte dei tempi fino ad oggi, hanno sempre avuto nel loro cuore la percezione di qualcuno o qualcosa al di sopra di essi e che li sovrastava.
Sono stati dati molti nomi a questa entità sovrumana, da Manitù agli alieni, dai politeisti ai monoteisti, dalle energie non meglio precisate alle divinità famigliari ecc… ; ma in un modo o in un altro l’idea del sovrumano, del divino, o di qualcuno che ci sovrasta e che possa intervenire per cambiare le sorti dell’umanità è sempre stata costantemente presente.
Se ci pensiamo, l’ateismo o l’agnosticismo sono relativamente recenti come pensieri filosofici ed anche se si cerca di collocare questo pensiero nella notte dei tempi in realtà dobbiamo arrivare al diciottesimo secolo per trovare l’ateismo positivo. 
Inoltre, la stragrande maggioranza di coloro che si compiacciono di definirsi “atei o agnostici” non sa assolutamente nulla di queste filosofie ma semplicemente scelgono l’ateismo perché banalmente non gli piace credere nell’esistenza di Dio passando di fatto, a piè pari, da una fede in Dio ad una sprovveduta fede negazionista, perché sempre di fede si tratta.
Chiediamoci: tutta questa umanità mondiale che dalla notte dei tempi ad oggi ha sempre percepito il divino è una umanità debole, ignorante e sprovveduta? No! La verità è piuttosto che l’esistenza e la presenza di Dio è inevitabile; la si trova in ogni angolo dell’universo, in ogni cm sulla terra ed in ogni angolo del pensiero, del credente come dell’”ateo”. 
La presenza di Dio è inevitabile ed invadente e nessuno potrà mai cancellarla ma ognuno dovrà piuttosto conciliarla alle aspettative, troppo spesso frustrate, di un cuore e di un pensiero che da sempre sono in grado di percepirla. >>

NOTA di LUMEN – E' vero che i credenti religiosi sono la maggioranza nel mondo, mentre gli atei e gli agnostici sono solo una minoranza, ma questo non significa nulla. La maggioranza può avere la forza di decidere, ma il numero non basta per avere ragione.

giovedì 3 ottobre 2024

Pensierini – LXXVII

I QUATTRO PILASTRI
Le leggi che governano la natura sono moltissime ed è bene conoscerne il maggior numero possibile.
Esistono però quattro leggi fondamentali, che è assolutamente necessario conoscere per avere una adeguata comprensione del mondo, cioè per essere un Fenotipo Consapevole.
La prima riguarda l'universo nel suo complesso ed è la legge dell'ENTROPIA, secondo cui tutte le strutture passano inevitabilmente da uno stato di ordine ad uno di disordine, seguendo la freccia del tempo.
La seconda riguarda gli esseri viventi ed è la legge dell'EVOLUZIONISMO, secondo cui lo scopo ultimo di tutti gli esseri viventi è quello della massima replicazione.
La terza riguarda le società umane ed è la legge delle ELITES, secondo cui ogni gruppo organizzato si divide sempre tra una minoranza che comanda ed una maggioranza che obbedisce.
La quarta, infine, riguarda la nostra mente ed è la legge della SUPERIORITA', secondo cui, una volta soddisfatti i bisogni fisici primari, le persone hanno come obiettivo principale quello di sentirsi superiori agli altri.
Non sono leggi difficili da conoscere e nemmeno da applicare, ma, per qualche strano motivo, vengono ignorate dalla maggior parte delle persone.
LUMEN


VERO AMICO
Come si fa a distinguere un vero amico da un semplice conoscente ?
Non è difficile.
Un vero Amico è una persona a cui puoi mostrare i tuoi punti deboli, sapendo che non li userà mai contro di te.
Con tutti gli altri, invece, è meglio andare cauti.
LUMEN


TERRA NOSTRA
Nel suo ultimo libro (molto interessante), dedicato ai disastri ecologici del turismo di massa, Gaia Baracetti si chiede, tra le altre cose, a chi appartenga davvero un territorio.
Appartiene a chi lo abita oggi e se ne prende cura ? A chi l'ha abitato nel recente passato ? Nel lontano passato ? Oppure a chiunque voglia venirci ad abitare ? O, addirittura, a tutti gli uomini, indistintamente ?
L'autrice non ha una risposta definitiva e conclude che le cose devono essere valutate di volta in volta.
Io, invece, una risposta ce l'avrei, anche se è cinica e sgradevole: 'una terra appartiene a chi ha la forza militare per occuparla e difenderla'.
E' vero che l'affermazione viola i principi del diritto internazionale, ma questo diritto esiste davvero o è solo un'illusione ?
LUMEN


FEMMINISMO ESTREMO
Ho l'impressione che le femministe più estreme, quelle che continuano a battersi come furie anche dopo il raggiungimento (sacrosanto) della parità giuridica tra i sessi, non abbiano ben chiaro il ginepraio in cui vorrebbero inoltrarsi.
Quello che chiedono, infatti, è che le donne non si accontentino dei propri difetti naturali, ma ci aggiungano anche quelli degli uomini.
Non mi sembra un grande guadagno.
LUMEN


AMARE
Pochi termini sono importanti, ed al tempo stesso generici, come il verbo amare. Ma la precisione lessicale è importante.
Secondo me, 'amare' vuol dire mettere un'altra persona prima di sé, cioè pensare al bene dell'altro prima che al proprio.
Per questo le donne amano di più degli uomini: perchè sono abituate a farlo con i propri figli.
LUMEN


SFORTUNA
Il principio secondo cui gli uomini vogliono sempre primeggiare, non viene meno neppure nei casi di autolesionismo o di masochismo.
Nel senso che anche le vittime di questi handicap psicologici tentano comunque, come tutti, di essere superiori agli altri, e non riuscendo ad esserlo 'in positivo' ci provano (paradossalmente) 'in negativo'.
A confema di ciò, ho trovato sul web questo piccolo calambour, che risulta divertente proprio perchè lo sentiamo vero.
« Sono un tipo molto sfortunato. Sono così sfortunato che quando ho partecipato ai campionati mondiali di sfortuna sono arrivato secondo. »
Ma crogiolandosi nel 'tanto peggio, tanto meglio' non si potrà mai combinare nulla.
LUMEN