Qualcuno ha detto che “crescendo si impara a non capire’”, e questa è forse la miglior definizione del concetto di 'bias' (condizionamento) culturale.
Le nozioni ed i modi di pensare che la scuola e la società ci inculcano, infatti, finiscono molto spesso per renderci incapaci di vedere la vera natura dei fatti reali, in quanto li incastrano e li trasfigurano all’interno di ideologie, di cui, in genere, non siamo consapevoli.
Delle ideologie e del processo evolutivo che le ha rese non solo possibili, ma anche utili, ci parla Marco Pierfranceschi in questo bellissimo post, tratto dal suo blog (Mammifero Bipede).
LUMEN
<< Da dove hanno origine le ideologie? La risposta che mi sono dato fin qui è che discendono in linea diretta dall’utilizzo che facciamo del nostro cervello altamente evoluto. Nel momento in cui la specie Homo inizia ad utilizzare le idee alla stesso modo in cui utilizza i propri strumenti, ovvero quando il ragionamento astratto diventa un utensile capace di operare sulla realtà e facilitare la sopravvivenza di individui e gruppi, blocchi di idee si amalgamano necessariamente in strutture complesse ed interrelate: le ideologie.
Un esempio di ideologie che si sono dimostrate efficaci per garantire il successo dei primi gruppi umani sono le credenze religiose. Da un lato l’idea di una vita dopo la morte risulta utile e funzionale alla sopravvivenza di singoli e gruppi, dall’altro, l’assenza di evidenze fattuali obbliga a costruire ragionamenti astratti a supporto di tali tesi, mediante l’elaborazione di edifici di credenze tipicamente molto complessi, che non di rado prendono la forma di culti misterici, in cui le ‘verità finali’ sono appannaggio di una ristretta casta di sacerdoti, che non le condividono con la massa dei fedeli.
Le ideologie, pur assolvendo ad un compito essenziale per la sopravvivenza umana, sono tipicamente intrise di bias culturali, perché veicolano modelli comportamentali strettamente legati al momento storico ed alla cultura dalla quale sono state formulate, avendo tra le funzioni primarie la stabilizzazione della cultura stessa, ed il porre un freno ad ulteriori trasformazioni.
Per comprendere l’influenza delle ideologie sullo sviluppo della nostra specie dobbiamo tornare indietro, all’alba dei tempi, e rileggere tutta la nostra storia alla luce del concetto di auto-domesticazione. (...)
La domesticazione è un processo per mezzo del quale gli appartenenti ad una specie selvatica vengono costretti in cattività e limitati nella loro libertà in cambio di cibo e comfort vari (sicurezza, protezione dalle intemperie). Normalmente siamo abituati a pensare che la domesticazione sia stata praticata dalla specie Homo nei confronti di varietà animali e vegetali che utilizziamo per la nostra alimentazione, per la produzione di cibo e tessuti e per il lavoro.
Di fatto, però, l’intero percorso storico che siamo soliti definire “progresso” può essere descritto come un processo di auto-domesticazione umana, nel corso del quale la nostra specie ha spontaneamente rinunciato alla vita selvatica, nomade, ed a parte delle libertà che questa consentiva, in cambio di maggior cibo, comfort e sicurezza.
L’uomo domestico, quello che siamo soliti definire ‘moderno’, emerge a partire dall’invenzione dell’agricoltura (domesticazione di specie vegetali), processo che, a fronte di una disponibilità più continua di cibo, obbliga alla stanzialità e porta alla costruzione di abitazioni che col tempo si trasformano in villaggi e città.
La trasformazione procede con lo sviluppo dell’allevamento (domesticazione di specie animali), quindi dello sfruttamento dell’energia animale a fini agricoli (aratura), che da ultimo consente ai nostri predecessori di esportare le tecniche agricole al di fuori dei delta fluviali, dove la fertilità era garantita dalle esondazioni annuali dei fiumi (Nilo, Tigri ed Eufrate, Indo e Huang Ho).
Ci sono evidenti parallelismi tra la domesticazione animale e l’auto-domesticazione umana. La crescita numerica delle popolazioni dei primi villaggi e delle prime città favorì l’evolversi di strutture gerarchiche: sistemi sociali in cui gli individui più intelligenti e determinati occupavano i vertici decisionali, quelli più versati nell’esercizio della violenza si occupavano di mantenere l’ordine e di combattere le guerre, e tutti gli altri praticavano un ventaglio di lavori, manuali ed intellettuali, che si è ulteriormente diversificato nel corso del tempo.
In buona sostanza, lo stesso trattamento riservato dalla nostra specie ad animali e vegetali è stato riprodotto sulla scala delle società umane, con una grande fetta della popolazione asservita al lavoro manuale, ed una piccola élite occupata a governarla, sfruttando la manodopera militare. Un’organizzazione piramidale del tutto analoga (e spero che nessuno si offenda per il parallelo) a quella che legava insieme il pastore, i cani ed il gregge. Questa strutturazione, nelle società antiche, è risultata vincente grazie all’efficacia nel garantire ricchezza e benessere ai popoli che la adottavano.
Le dimensioni delle società umane sono andate aumentando nel tempo. Dalle prime città stato sumere si è passati agli imperi, in un processo che ha visto le città più efficienti nel produrre ricchezza e nell’accrescere la propria popolazione, sconfiggere ed asservire le proprie concorrenti. Un semplice meccanismo che, proiettato su un arco temporale di millenni, ha finito col dar vita al mondo contemporaneo.
Nel tempo si sono resi necessari degli aggiustamenti, man mano che la crescita di scala e complessità delle società umane cominciava ad evidenziare i limiti dell’originale, rudimentale, strutturazione. Il problema principale da gestire, nelle forme di governo dell’antichità, discendeva dalle discontinuità causate dalla variabilità genetica indotta dalla riproduzione sessuata.
Ogni re, generale o conquistatore, al termine della propria vita, aspirava a consegnare la macchina statale alla propria discendenza. Le leggi della genetica, tuttavia, non consentono di trasmettere intatte le proprie capacità intellettuali alla prole. Il risultato era che a re molto capaci e brillanti potevano succedere principi molto meno versati nell’arte del governo, col relativo seguito di errori, insuccessi, sconfitte, insoddisfazione diffusa, rivolte e guerre civili fra le diverse fazioni.
Nel lontano passato, ed in alcune culture, una parziale soluzione consisté nella poligamia: il re, sovrano o imperatore disponeva di numerose concubine, che gli fornivano una prole abbondante all’interno della quale poteva essere selezionato il discendente più adatto a dare continuità all’azione di governo. Anche questa soluzione presentava svantaggi, poiché tra la numerosa prole ‘regale’ potevano annidarsi altri pretendenti altrettanto capaci e determinati del ‘prescelto’, e trovare supporto in trame di corte per sostituire il regnante designato.
Ciò era ulteriormente complicato dall’assenza di un reale meccanismo di ascesa sociale, che impediva di fatto agli individui più brillanti generati dalle classi inferiori di aspirare a ruoli di potere. Sul lungo termine questo finiva col produrre strutture statali in cui il ristagno genetico delle élite dominanti causava una perdita di efficienza della funzione di governo, e prestava il fianco a rivolte o prese di potere da parte dei comandanti militari, potendo l’esercito ancora rappresentare quell’ascensore sociale capace di consentire ad individui particolarmente brillanti l’accesso a posizioni di comando.
Ma la trasformazione più significativa avviene attraverso la sostituzione del potere militare con quello economico, ovvero con la nascita di imprese su scala sovranazionale (multinazionali) in cooperazione/competizione tra loro. L’inizio di questo processo coincide con la rivoluzione industriale e segna l’inizio del declino delle forme di governo antiche, basate sull’appartenenza ad una casta nobiliare.
L’impresa capitalista è il nuovo soggetto in grado di distribuire ricchezza e benessere alle popolazioni, e si trova ben presto in competizione, per la gestione delle masse operaie, con le forme di governo classiche. Le due guerre mondiali del ventesimo secolo sono il momento in cui l’umanità realizza l’incompatibilità tra le tradizionali strutture gerarchiche e la capacità distruttiva della civiltà industriale.
Le imprese capitaliste di diversi stati europei vedono dapprima nella guerra la possibilità di massimizzare i propri guadagni, ma la faccenda gli si rivolta contro quando i ‘grandi dittatori’ trascinano le nazioni dell’Europa centrale in una distruzione mai vista prima. Al termine della seconda guerra mondiale appare evidente il fatto che occorra impedire ai singoli individui di possedere il potere di governare intere nazioni, e si provvede a sostituire, a re e dittatori, forme di democrazia più o meno controllate ed addomesticate.
Nel nuovo assetto, il potere è diversamente distribuito. Il controllo delle corporations è in mano non più a singoli ma ad oligarchie (i consigli d’amministrazione) i cui membri vengono in buona parte selezionati in base a criteri meritocratici. Il terreno di confronto si sposta dal piano militare a quello dell’innovazione, della qualità di prodotto e della capacità di influenzare pensieri e gusti delle popolazioni per mezzo dei mass media.
Per quanto riguarda la sfera politica, il succedersi di tornate elettorali, nelle quali i finanziamenti privati influenzano fortemente sia la visibilità che le probabilità di successo dei candidati, garantisce al potere economico una forte capacità manipolativa, atta ad impedire ulteriori escalations distruttive, o un sovverimento del meccanismo.
Più o meno in ogni epoca (la più antica che mi sovviene riguarda l’avvento del cristianesimo, la più recente il marxismo) intellettuali e filosofi, insoddisfatti della stratificazione sociale, che sacrifica larga parte della popolazione, si impegnano per formulare nuove elaborazioni teoriche (di fatto ulteriori ideologie), orientate a realizzare una diversa organizzazione della struttura sociale. Nella maggior parte dei casi questi tentativi ottengono soltanto di realizzare una riproposizione, con differenze minime, della medesima organizzazione di base. >>
MARCO PIERFRANCESCHI
"ci parla Marco Pierfranceschi in questo bellissimo post"
RispondiEliminaBellissimo? Io l'ho trovato troppo lungo e noioso, nessun "valore aggiunto"!
Io ho la tendenza a semplificare (forse un po' troppo, lo ammetto). Cosa è un'ideologia? Una pseudospiegazione della realtà, dei fenomeni. Che si fossilizza perché la spiegazione talvolta o persino spesso "funziona", ha funzionato. E anche quando non funziona si cerca il motivo in qualche nostro errore.
L'uomo è un essere abitudinario, l'abitudine diventa una seconda natura, cambiare abitudini è cosa ardua, difficile, per molti quasi impossibile.
I nostri progenitori erano esposti a mille pericoli: fulmini, terremoti, inondazioni, epidemie, difficile ricerca del cibo ecc. ecc. Erano confrontati con una natura inclemente, ostile, un nemico invisibile ma reale che fu poi personalizzato, divenne addirittura un Dio da ammansire con offerte, sacrifici, riti. Nacque così la religione (mi scuso per questa semplificazione forse eccessiva). E la cosa funzionava (talvolta): la danza per far piovere, le processioni per far finire la peste (invece le processioni favorivano la diffusione del patogeno ...).
Le ideologie sono dure a morire, il cristianesimo dura da ben due millenni (i credenti si considereranno offesi per questa affermazione, mi dispiace, pazienza, ma potrò dire ciò che penso, credo che esista ancora la libertà di pensiero ed espressione).
Il comunismo (che ha una radice cristiana) ha imperversato per oltre un secolo nonostate le dure repliche della storia - e rischia di tornare! La formula magica dell'ideologia comunista era: tutti devono farsi un mazzo così e riceveranno in base ai loro bisogni (che stabilirà il comitato centrale ovvero la cricca dei Furbastri al potere). Ma non funzionava, non funziona, perché la formula magica cozza contro la natura umana. La natura umana? Anche questa è una ideologia secondo gli ideologi comunisti, la natura umana non esiste! Ah, davvero? Ma pensa!
Il comunismo voleva (vuole) la pace e la giustizia, indubbiamente ideali desiderabili. Senonché gli ideali cozzano contro la ... natura umana. Il singolo, ma anche un gruppo, persino un popolo hanno necessità vitali e urgenti da soddisfare. Il singolo e i suoi familiari devono intanto sopravvivere, giorno per giorno, ora per ora, e perciò dimenticano spesso o quasi sempre gli ideali ("meglio l'uovo oggi che la gallina domani").
Ma non stiamo vivendo grazie al progresso e alla scienza la fine delle ideologie? Sì e no, le ideologie, tante ideologie circolano ancora. Forse è un'ideologia anche la scienza? Rispetto a certe ideologie però la scienza sa di non possedere la verità e sa emendarsi, riconoscere gli errori o arrendersi a una nuova evidenza, destinata a essere superata in futuro.
<< Cosa è un'ideologia? Una pseudospiegazione della realtà, dei fenomeni. Che si fossilizza perché la spiegazione talvolta o persino spesso "funziona", ha funzionato. E anche quando non funziona si cerca il motivo in qualche nostro errore. >>
EliminaCaro Sergio, condivido la tua sintesi, aggiungendo che purtroppo, l'ultima considerazione (la giustificazione illusoria) resta ancora troppo predominante.
Quando ci accorgiamo che una ideologia funziona male, perchè non fornisce valide spiegazioni e predizioni, la logica e la convenienza vorrebbero che se ne cercasse un'altra.
Invece, un po' per pigrizia, un po' per la propaganda di terzi interessati, si resta nell'alveo delle proprie convinzioni, dando la colpa dei fallimenti a qualche causa consolatoria.
Ed è un peccato, perchè se anche fosse vero che delle ideologia non possiamo fare a meno, nulla vieta di cercarne sempre delle migliori, ovvero di più aderenti alla realtà.
A proposito delle ideologie moderne, ecco quanto scriveva (circa un secolo fa) Vilfredo Pareto a proposito della democrazia:
RispondiElimina<< Gli antichi Romani davano agli dèi il merito dei prosperi successi della loro repubblica; i popoli moderni regalano il merito del miglioramento economico a parlamenti corrotti, ignoranti e poco pregevoli. (...). In Francia, sotto l’antica monarchia, il re aveva alcunché di divino; se vedevasi seguire qualche abuso, si diceva: «Se il re lo sapesse!». Ora la repubblica, il suffragio universale sono diventati delle divinità. >>
Riporto qui di seguito alcune ulteriori considerazioni di Pierfranceschi sull'argomento 'ideologie', che aiutano a capire meglio la loro importanza:
RispondiElimina<< Le ideologie divisero, e dividono ancor oggi, la popolazione in strati sociali: i più scaltri ed abili assurgono a posizioni di potere e governo, relegando il resto della popolazione ai lavori manuali, alla fatica, alle privazioni ed alla sofferenza. (...)
Le ideologie sono pertanto toalmente strutturali all’esistenza di gruppi umani distinti, definiscono comportamenti da seguire, priorità individuali e collettive, validano rapporti di forza e strutturano le relazioni tra gli individui.
Tutto ciò, inutile dirlo, con l’unica finalità di garantire la coesione del gruppo sociale, la sua competitività ed in ultima istanza il suo successo, in maniera del tutto indipendente dalla realtà oggettiva.
Se un gruppo sociale trae forza e coesione dal credo comune in una o più divinità, l’esistenza stessa di tali divinità all’interno di una realtà oggettiva non è rilevante quanto il fatto che gli appartenenti vi credano. >>