Gli
“elitisti” sono convinti che la storia della civiltà umana non
sia altro che la storia delle loro élites – molto diverse tra loro
a seconda dei tempi, ma sempre presenti ed ineliminabili - e che
quindi il resto della truppa, cioè il popolo composto dalla gente
comune, si limiti a seguirle, anche quando, come nel caso delle
rivoluzioni, abbia l’impressione di precederle.
Io,
nel mio piccolo, la penso esattamente come loro ed ho quindi
apprezzato in modo particolare il (lungo) post di Andrea Scarabelli
(tratto dal suo blog) che recensisce alcuni interessanti libri
sull’argomento. (Prima parte).
LUMEN
<<
“Elites”. (…) Questa parolina, tanto odiata e vilipesa,
costituisce il titolo di un libro pubblicato nel 2016 da Circolo
Proudhon, poi ristampato da Gog, sua metamorfosi editoriale. Il
sottotitolo di Élites – che contiene scritti di Gaetano Mosca,
Vilfredo Pareto, Roberto Michels e Antonio Gramsci – è Le
illusioni della democrazia. Più che un’antologia è una doccia
fredda di realpolitik, se è vero – ed è vero – che «i popoli,
salvo brevi intervalli di tempo, sono sempre governati da
un’aristocrazia», composta dai «più forti, energici e capaci,
nel bene e nel male».
Tuttavia,
continua Vilfredo Pareto, «le aristocrazie non durano, onde la
storia umana è la storia dell’avvicendarsi di quelle aristocrazie,
mentre una gente sale e l’altra cala». Tradotto: la storia altro
non è che il continuo avvicendarsi di gruppi dominanti, «un
cimitero di aristocrazie» che si succedono nel tempo. Quando una di
esse perde presa sul reale ne subentra un’altra, che ne occupa il
posto. Punto.
Un
luogo comune, si dirà. Fino a un certo punto: ragionare in questi
termini vuol dire negare qualsiasi finalità alla storia diversa
dalla “circolazione delle élite”. La storia non procede né
verso il meglio né verso il peggio, non ha ragion d’essere al di
fuori di quella pattuita dalle élites di turno. Il senso della
storia non è “naturale” ma è sempre deciso da qualcuno. È
sempre una élite a far capolino dietro rivoluzioni e
democratizzazioni, a dettare il tempo ai giri di boa della storia: e
l’ambizione di questa “casta” (per usare un termine piuttosto
di moda) non è filantropica o quant’altro, ma semplicemente
egemonica; non mira a migliorare l’uomo, il mondo o la società, ma
più semplicemente a perpetuarsi.
Come
scrive Lorenzo Vitelli, curatore del volume, nella sua ricca
introduzione, l’obiettivo è «garantirsi la conservazione del
potere e la stabilità dei rapporti di forza in gioco. È un
conformismo nei confronti delle forze che dominano il mondo. La
domanda che si pongono le élites non è “cosa voglio?”, ma
piuttosto, “cosa devo fare per conservare il potere?”».
Per
penetrare nel tessuto sociale, tali gruppi operano mimeticamente,
assorbendo i leitmotiv del tempo e facendoli coincidere con i propri.
I loro membri si riciclano all’occorrenza operai o migranti,
difensori dei valori “tradizionali” (sic!) o moderni, amanti di
maggioranze o minoranze, servi o padroni, sempre in ossequio al qui e
ora. Ma questa facoltà mimetica non esaurisce il fenomeno delle
élites, le quali, nota ancora Vitelli, «operano in bilico tra la
libertà e la necessità, sono vittime e detentrici del potere, gli
strumenti e i controllori, incarnano le forze vive della storia per
dirigerle. E tanto più gli strumenti di esercizio diventano
totalizzanti e centralizzati nelle mani di pochissimi, tanto più si
allarga lo spazio di libertà delle élites».
La
loro posizione è mediana: da un lato partecipano alla storia – che
appunto è il gioco del loro alternarsi – dall’altro se ne
vorrebbero astrarre. Ebbene, quando la seconda tendenza ha la meglio
sulla prima, il secolo è pronto per un ricambio di élite.
Un’inclinazione,
come ha scritto Gaetano Mosca, connaturata all’élite stessa, che
per natura è dinastica, ereditaria ed entropica: «Tutte le forze
politiche hanno quella qualità, che in fisica si chiama forza
d’inerzia, cioè la tendenza a restare nel punto e nello stato in
cui si trovano». La propensione ad accentrare il potere è insomma
connaturata a ogni gruppo politico in quanto tale. Ed è una tendenza
che non si esercita per via morale, filosofica, culturale e via
dicendo: «Quando vediamo in un Paese stabilita una casta ereditaria
che monopolizza il potere politico, si può esser sicuri che un
simile stato di diritto fu preceduto dallo stato di fatto. Prima di
affermare il loro diritto esclusivo ed ereditario al potere, le
famiglie o le caste potenti dovettero tenere ben saldo nelle loro
mani il bastone del comando, dovettero monopolizzare assolutamente
tutte le forze politiche di quell’epoca e di quel popolo in cui si
affermarono».
Prima
dello stato di diritto c’è sempre uno stato di fatto. Ecco svelato
l’arcano: prima si prende il potere, poi lo si legittima. Prima si
occupano gli scranni della società, poi si elaborano filosofie,
utopie, teologie politiche e altre sciocchezze del genere. È un
passaggio fondamentale, ben noto ai positivisti giuridici:
ogniqualvolta sentite parlare di principi “assoluti”, diritti
“inalienabili” o “naturali”, validi per tutti e per sempre,
ricordatevi che essi non sono caduti dal cielo, ma sono stati
formulati da qualcuno. Sono sempre figli di un certo tempo (e di un
certo luogo). In sostanza, se qualcuno vi propone di aderire a
ideologie universalistiche, è molto probabile che vi stia fregando.
Anche i princìpi che vorrebbero essere universali sono in realtà
particolari. Particolarissimi. Cinismo? È la Storia, bellezza.
E
la storia dell’umanità, continua Mosca, si risolve nella lotta fra
due forze, una centripeta e l’altra centrifuga: da un lato, la
volontà propria agli «elementi dominatori di monopolizzare le
forze politiche e trasmetterne ereditariamente il possesso»,
dall’altro la deriva «verso lo spostamento di queste forze e
l’affermazione di forze nuove». Le vecchie élites decadono quando
«non possono più esercitare le qualità per le quali arrivarono al
potere, o queste perdono ogni importanza nell’ambiente sociale in
cui vivono». Guai se le élites perdono forza, isolandosi dal mondo
circostante e impedendone il ricambio: «Le classi superiori
divengono deficienti di caratteri arditi e pugnaci e ricche di
individui molli e passivi».
Nascono
allora fenomeni singolari, che ricordano da vicino la fase storica
che stiamo vivendo: «Una specie di cultura tutta astratta e
convenzionale» prende il posto «del senso della realtà e della
vera ed esatta conoscenza della vita umana»; gli uomini perdono ogni
forza e dilagano copiosamente buonismi, «teorie sentimentali ed
esageratamente umanitarie sulla bontà innata della specie umana,
specialmente quando non è guasta dalla civiltà, e sulla preferenza
assoluta da darsi, nelle arti di governo, ai mezzi dolci e persuasivi
piuttosto che a quelli rigidi ed imperiosi».
Dietro
a quest’umanitarismo zuccheroso e stucchevole – sovente
esercitato, tra l’altro, da individui ben poco rousseauiani – si
cela dunque il logorio di una élite. Nemmeno il democratismo sfugge
a quest’analisi. Nell’antologia edita da Gog è Roberto Michels
l’“élitista” incaricato a smascherarlo, ne La legge ferrea
dell’oligarchia: «Per fare atto di presenza in parlamento non c’è,
per il ceto dei signori, che un mezzo solo: atteggiarsi a democratico
nell’arena elettorale, chiamare fratelli e compagni i
contadini ed i lavoratori del suolo, e cercar di persuaderli che i
loro interessi economici e sociali concordano coi suoi».
Una
truffa bella e buona, insomma, che vede l’aristocratico farsi
simile a quel popolo che non ama, che in fondo disprezza e ha sempre
disprezzato: «Tutto il suo essere reclama autorità, mantenimento
di suffragi ristretti e, ove esso sia in vigore, abolizione del
suffragio universale». Eppure, vedendo che lo spirito dei tempi è
cambiato, si ricicla in democrat, «fa di necessità virtù ed
implora la massa plebea di dargli la maggioranza. Lo spirito
conservativo dell’antica casta dei signori ha bisogno
d’avvilupparsi in un ampio manto dalle pieghe democratiche». Anche
il sistema democratico, secondo Michels, è organizzato su base
aristocratica: la tendenza all’oligarchia sembra in qualche modo
connaturata allo stesso divenire storico. >>
ANDREA
SCARABELLI
(continua)
Che dire? Se davvero le cose stanno così tanto vale cercare di opporsi, ragionare, filosofare, prendersela, disperarsi o addirittura fare l'eroe, immolarsi per una causa. Mi sembra chiaro che noi non facciamo parte dell'élite o di una delle élite di varia natura in combutta fra di loro. Ma direi che non fanno parte della élite o delle élite neanche i teorici dell'élite qui sopra (Pareto, Michels ecc.). O magari ne fanno indirettamente parte anche loro in quanto incaricati di spiegare al popolo la ragion d'essere delle élite, la loro funzione, la loro necessità e l'inutilità di contestarle o di volerle eliminare.
RispondiEliminaUn filosofo o intellettuale che mi sono scelto come autore di riferimento, Ortega y Gasset, sosteneva anche lui che la gerarchia è insopprimibile, che il popolo deve essere guidato. Ma nemmeno lui faceva parte dell'élite, o al massimo apparteneva all'élite intellettuale che apparentemente è non solo tollerata, ma persino promossa dalle vere élite, le detentrici del potere vero, con la finalità di intrattenere e rabbonire le masse. La chiesa è diventata Chiesa con Costantino che aveva l'effettivo potere. È diventata così élite anche lei, ma di secondo livello, è sta ora per essere scaricata dalle élite che contano e a cui non serve più. Per intrattenere e tenere a bada le masse ci sono oggi i consumi e lo smartphone, e la Chiesa era persino d'impaccio con il suo pauperismo, anticonsumismo, sessuofobia e spirito di rinuncia. Non pare peregrina l'ipotesi che Ratzinger* sia stato obbligato a dimettersi per far posto al primo gesuita papa, filomassone e fautore di una religione universale meglio adatta alle esigenze del mondialismo.
* Ratzinger e la Chiesa erano per la scomunica di chi denunciasse casi di pedofilia e causasse così danni d'immagine irreparabili all'istituzione. Rischiava un processo, era forse ricattato, e ha preferito dimettersi. Adesso la Chiesa si è fatta mosca cocchiera della lotta alla pedofilia, ma forse troppo tardi.
<< La chiesa è diventata Chiesa con Costantino che aveva l'effettivo potere. È diventata così élite anche lei, ma di secondo livello >>
EliminaSecondo me, ma posso sbagliare, per lunghi secoli la chiesa (almeno ai suoi vertici) era da considerarsi elite del primo livello.
Non per nulla i vescovi esercitavano nelle loro provincie sia il potere spirituale che quello temporale.
Certo, c'era sempre qualche Re o qualche Imperatore che guidava formalmente la società, ma il clero era ben sistemato al suo fianco, per non parlare di Roma dove il Papa era il padrone assoluto di tutto.
Forse la Chiesa è passata ad elite di secondo livello con la rivoluzione industriale, che ha consentito alle elites laiche di arricchirsi ed acquisire un novtevole potere tramite le industrie ed i grandi commerci.
Adesso però come dici giustamente tu, rischiano di perdere anche la posizione seocndaria, e nulla lo dimostra meglio delle continue esternazioni del nuovo Papa, la cui unica funzione sembra quella di mantenere un minimo di visibilità in un mondo sempre più indifferente al loro magistero.
Sì, certamente la Chiesa in alcuni momenti della sua lunga storia era al massimo livello, non per niente si parlava di cesaropapismo, la Chiesa era la massima autorità, scomunicava e destituiva imperatori.
RispondiEliminaHai mai letto il dictatus papae di Gregorio VII (quello di Canossa)?
Lo trovi su Wikipedia, è un testo brevissimo ma eloquente, una testimonianza di megalomania. Bei tempi per la Chiesa, ma tempi passati.
Caro Sergio, non conoscevo il 'dictatus' e quindi gli ho dato un'occhiata.
EliminaIn effetti qui siamo ai livelli più alti mai assurti dalla religione Cristiana.
Le mie 2 preferite sono:
-Che una Sua sentenza non possa essere riformata da alcuno; al contrario, Egli può riformare qualsiasi sentenza emanata da altri.
-Che Egli non possa essere giudicato da alcuno.
Ovviamente, sopra di lui restava sempre il potere supremo di Dio, ma sapevano bene che dell'intervento diretto di Dio non era il caso di preoccuparsi troppo.
Io vedo una differenza fra aristocrazia ed oligarchia, non di merito, ma di struttura mentale. Le aristocrazie ragionano per caste e per dinastie. Possono quindi essere miti o feroci, capaci od incapaci, ma strutturalmente sono lungimiranti.
RispondiEliminaGli ologarchi pensano invece per individui. Anche loro possono essere miti o feroci, capaci o incapaci, ma comunque sono strutturalmente miopi. Anche quando si preoccupano di trovare un buon lavoro per il figlio.
Per questo, di solito, le aristocrazie sono politicamente più longeve delle oligarchie che, però, risultano vincenti nei periodi di estrema instabilità come quello in corso.
Caro Jacopo, ti ringrazio per il tuo intervento, che trovo assolutamente centrato.
EliminaL’aristocrazia e l’oligarchia, in effetti, sono entrambe “elìtes”, ma non sono affatto la stessa cosa e la differenza è proprio quella che hai indicato tu, con tutti i corollari che ne conseguono.
Mi viene in mente una vecchia battuta sui politici (facilmente estendibile alle elites in generale) che diceva: i politici sono tutti ladri, ma non sono tutti uguali: ci sono quelli che sono ‘solo’ ladri e quelli che sono ‘anche’ ladri.
Nel senso che questi ultimi, oltre a fare i propri interessi diretti, tentano di fare anche quelli generali della nazione.
E sotto questo profilo, le aristocrazie, proprio per il loro orizzonte temporale più lungo, possono (a volte) dare risultati più utili.
Premesso di non amare le teorie complottistico-cospirazioniste (oggi peraltro di gran moda), probabilmente il problema NON sta tanto nella presenza delle Elites (in qualche modo, necessarie o almeno inevitabili) quanto nel fatto che la loro 'circolazione' risulta spesso basata non sulle competenze & sul merito bensì su altri fattori (censo, familismo, auto-referenzialità, ecc.)... Saluti
RispondiEliminaIo penso che, nella gran parte dei casi, le elites non elaborano particolari complotti o strategie oscure, ma si limitano ad individure le linee naturali di tendenza della società, per poi piegarle, grazie al potere di cui dispongono, ai loro particolari interessi.
EliminaMa posso sbagliare.
"Le elites non elaborano particolari complotti o strategie oscure"
RispondiEliminaInfatti: i complotti demo-giudeo-pluto-massonici, le scie chimiche degli Illuminati di Baviera e le trame dei Rettiliani conviene lasciarli a romanzieri come D.Brown e affini: le Società (non soltanto occidentali) contemporanee risultano così complesse/complicate da rendere sostanzialmente IMPOSSIBILE un controllo globale "top-down" da parte di qualsivoglia Gruppo o Ente misterioso, viceversa bastano e avanzano i controlli esercitati dalle "tradizionali" elites economico-politico-religose e massmediatiche (inter)nazionali il cui limite principale sembra appunto consistere nello scarso turn-over interno ed esterno...