venerdì 15 febbraio 2019

Le Elites e la storia – 3

Si conclude qui il post di Andrea Scarabelli, tratto dal suo blog, sul tema dell “elitismo”. (Terza e ultima parte). LUMEN


<< Ad aver descritto questo scollamento [tra le èlites e la realtà - NdL] è stato il filosofo francese Alain de Benoist, “teorico delle nuove sintesi”, che nel corso della sua sterminata produzione ha fatto più volte appello alla necessità di elaborare un pensiero situato oltre la destra e la sinistra, per come tradizionalmente – e, talvolta, quasi calcisticamente – intese.

Lo ha fatto anche ne Il populismo, pubblicato da Arianna lo scorso luglio con il sottotitolo programmatico La fine della destra e della sinistra. Di questo si parla, in realtà: il “fenomeno populista” viene utilizzato per sondare la fine di queste categorie politiche (…). Uno scandaglio utilissimo, se è vero che sono esistiti ed esistono populismi di destra e di sinistra, insieme ad altri che uniscono elementi “tradizionalmente” di destra e sinistra, seminando il panico tra chi ancora difende l’una o l’altra ideologia. Ebbene, anche le pagine di de Benoist si confrontano – naturalmente – con le nuove élites, verso cui i popoli cominciano ad avvertire una certa allergia. Quali sono le loro caratteristiche?

«Un’irreprensibile vocazione al nomadismo, al cambiamento perpetuo, al rifiuto delle radici, al disprezzo dei valori comunitari e popolari, alla fuga in avanti nella frenetica ricerca del profitto, a una permissività senza limiti, a una fascinazione per i “vincenti”».

Caratteristiche, d’altronde, evocate anche da Costanzo Preve (cui de Benoist ha dedicato il suo libro), che sulle colonne di «Krisis» descrisse così le fattezze della global middle class: «La facilità di viaggiare, l’inglese turistico, l’uso moderato delle droghe, una nuova estetica androgino-transessuale, un umanesimo terzomondista, un multiculturalismo senza una vera curiosità culturale».

Cosa diventa la filosofia in mano alle nuove élites? «Una terapia psicologica di gruppo e una ginnastica di relativismo comunicazionale, il chiacchiericcio di persone semicolte».

È questo il quadro antropologico entro cui crollano i principi di destra e sinistra, tra l’altro in sincrono con la chiusura del Novecento, il “secolo delle ideologie”, che ha seppellito le dottrine della modernità sotto un cumulo di macerie – come messo a fuoco anche da Aleksandr Dugin (altro punto di riferimento e “compagno di viaggio” di de Benoist) nel suo magnifico La Quarta Teoria Politica, appena uscito in edizione italiana grazie all’impegno di NovaEuropa. Le categorie politiche che hanno infiammato il Novecento sono crollate come castelli di carte. Lo stesso dicasi dell’antica dicotomia tra conservatorismo e progressismo, categorie che raccolgono una pluralità di idee difficilmente accorpabili entro una sola definizione. D’altronde, non stiamo parlando di valori eterni, ma – come già ricordato – di concetti generati e sviluppatisi all’interno di un preciso momento storico:

«Nata dalla modernità, la divisione destra/sinistra si cancella con essa. Vi restano ancora abbarbicati soltanto coloro i quali – per ragioni di abitudine, comodità, pigrizia o interesse – non hanno compreso che il mondo è cambiato e che strumenti concettuali obsoleti non permettono di farne l’analisi».

Dopo la chiusura del “secolo breve”, è sempre più evidente l’impossibilità di affibbiare un patentino politico a idee che nel corso dei decenni sono transitate da destra a sinistra e viceversa. Il populismo è la mappatura di questa geografia ideale, che contraddice quella utilizzata da certi giornalisti: imperialismo e colonialismo, cristianesimo e laicismo, americanismo e antiamericanismo, europeismo e antieuropeismo, conservatorismo e progressismo, autoritarismo e liberalismo, fino a temi scabrosi come razzismo e antisemitismo, sfuggono completamente alla dicotomia destra/sinistra. Per poi non parlare del fatto che, secondo de Benoist, è assai ingenuo parlare di destra e sinistra al singolare, poiché queste etichette raccolgono una pluralità di orientamenti, spesso reciprocamente incompatibili, nonché legati a contesti storici e geografici differenti.

Nel clima di autentica follia che ha accompagnato negli ultimi mesi la cronaca italiana, forse la sua testimonianza sarebbe risultata utile – peccato che le sue conferenze siano state sospese a seguito di proteste indignate, che hanno livellato il filosofo francese a pedina elettorale del Front National (per il quale, come lui stesso ha dichiarato, nemmeno ha mai votato, così come non ha mai incontrato Florian Philippot). Eppure, nella sua sterminata produzione legata a questi argomenti, basterebbe leggere proprio il libro di cui stiamo parlando per comprendere come i giudizi forniti dai suoi detrattori non siano di alcuna pertinenza (in particolare, il saggio La destra e il denaro, che demolisce praticamente tutte le tipologie di destra degli ultimi duecento anni!). Ma tant’è.

Spauracchi agitati da certo giornalismo culturale, destra e sinistra non sono (più), secondo de Benoist, chiavi di lettura per comprendere il nuovo che avanza. Né per affrontare le sfide del futuro. Valga come esempio l’idea stessa di capitale e progresso, secondo analisi mutuate dall’intellettuale eretico Jean-Claude Michéa: «Alla stupidità delle persone di sinistra che ritengono possibile combattere il capitalismo in nome del “progresso” corrisponde l’imbecillità delle persone di destra, che ritengono possibile difendere al contempo i valori “tradizionali” e un’economia di mercato che non smette di distruggerli».

Modulati secondo variazioni assai differenti, i tre testi di cui abbiamo parlato puntano sempre sul nostro mondo, che sta affrontando un periodo di transizione ma rimane legato a punti di riferimento logori, a cartografie ormai superate, ad élite la cui forza propulsiva sta lentamente esaurendosi. Segni dei tempi: ad ogni modo, i giganti hanno sempre piedi d’argilla. >>

ANDREA SCARABELLI

2 commenti:

  1. "Ad èlite la cui forza propulsiva sta lentamente esaurendosi"

    Già: l'onda lunga clerico-nazional-populista & protezionista ostile alla globalizzazione sta ormai segnando il trionfo della nuova èlite in gran parte del mondo: dagli Stati Uniti (cfr. Bannon) alla Russia (Dughin), dall'Italia (Fusaro, allievo di Preve) alla Francia (De Benoist) e alla coppia polacco-ungherese, fino al Brasile... In altri termini, come intuito alcuni decenni fa da un piccolo-grande cantautore ligure di orientamento liberale "non è cambiando slogan o il nome del Padrone che il Popolo ha finito di esser preso per cog...ne"! Saluti

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  2. Il cantautore ligure citato da Claude è ovviamente Bruno Lauzi, autore ed interprete di tante bellissime canzoni romantiche, ma anche di testi impegnati.
    Come, per esempio, il brano "Io canterò politico", da cui è tratto il verso di cui sopra.

    << Io canterò politico quando starete zitti
    e tutti i vostri slogan saranno ormai sconfitti
    quando sarete stanchi di starvene nel coro
    a battere le mani solo se lo voglion loro
    avrete bisogno dell'individualismo
    per vincere la noia di un assurdo conformismo.
    ecc. >>

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