Si
conclude qui il post di Andrea Scarabelli, tratto dal suo blog, sul tema dell “elitismo”.
(Terza e ultima parte). LUMEN
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Ad aver descritto questo scollamento [tra
le èlites e la realtà - NdL]
è stato il filosofo francese Alain de Benoist, “teorico delle
nuove sintesi”, che nel corso della sua sterminata produzione ha
fatto più volte appello alla necessità di elaborare un pensiero
situato oltre la destra e la sinistra, per come tradizionalmente –
e, talvolta, quasi calcisticamente – intese.
Lo
ha fatto anche ne Il populismo, pubblicato da Arianna lo scorso
luglio con il sottotitolo programmatico La fine della destra e della
sinistra. Di questo si parla, in realtà: il “fenomeno populista”
viene utilizzato per sondare la fine di queste categorie politiche
(…). Uno scandaglio utilissimo, se è vero che sono esistiti ed
esistono populismi di destra e di sinistra, insieme ad altri che
uniscono elementi “tradizionalmente” di destra e sinistra,
seminando il panico tra chi ancora difende l’una o l’altra
ideologia. Ebbene, anche le pagine di de Benoist si confrontano –
naturalmente – con le nuove élites, verso cui i popoli cominciano
ad avvertire una certa allergia. Quali sono le loro caratteristiche?
«Un’irreprensibile
vocazione al nomadismo, al cambiamento perpetuo, al rifiuto delle
radici, al disprezzo dei valori comunitari e popolari, alla fuga in
avanti nella frenetica ricerca del profitto, a una permissività
senza limiti, a una fascinazione per i “vincenti”».
Caratteristiche,
d’altronde, evocate anche da Costanzo Preve (cui de Benoist ha
dedicato il suo libro), che sulle colonne di «Krisis» descrisse
così le fattezze della global middle class: «La facilità di
viaggiare, l’inglese turistico, l’uso moderato delle droghe, una
nuova estetica androgino-transessuale, un umanesimo terzomondista, un
multiculturalismo senza una vera curiosità culturale».
Cosa
diventa la filosofia in mano alle nuove élites? «Una terapia
psicologica di gruppo e una ginnastica di relativismo
comunicazionale, il chiacchiericcio di persone semicolte».
È
questo il quadro antropologico entro cui crollano i principi di
destra e sinistra, tra l’altro in sincrono con la chiusura del
Novecento, il “secolo delle ideologie”, che ha seppellito le
dottrine della modernità sotto un cumulo di macerie – come messo a
fuoco anche da Aleksandr Dugin (altro punto di riferimento e
“compagno di viaggio” di de Benoist) nel suo magnifico La Quarta
Teoria Politica, appena uscito in edizione italiana grazie
all’impegno di NovaEuropa. Le categorie politiche che hanno
infiammato il Novecento sono crollate come castelli di carte. Lo
stesso dicasi dell’antica dicotomia tra conservatorismo e
progressismo, categorie che raccolgono una pluralità di idee
difficilmente accorpabili entro una sola definizione. D’altronde,
non stiamo parlando di valori eterni, ma – come già ricordato –
di concetti generati e sviluppatisi all’interno di un preciso
momento storico:
«Nata
dalla modernità, la divisione destra/sinistra si cancella con essa.
Vi restano ancora abbarbicati soltanto coloro i quali – per ragioni
di abitudine, comodità, pigrizia o interesse – non hanno compreso
che il mondo è cambiato e che strumenti concettuali obsoleti non
permettono di farne l’analisi».
Dopo
la chiusura del “secolo breve”, è sempre più evidente
l’impossibilità di affibbiare un patentino politico a idee che nel
corso dei decenni sono transitate da destra a sinistra e viceversa.
Il populismo è la mappatura di questa geografia ideale, che
contraddice quella utilizzata da certi giornalisti: imperialismo e
colonialismo, cristianesimo e laicismo, americanismo e
antiamericanismo, europeismo e antieuropeismo, conservatorismo e
progressismo, autoritarismo e liberalismo, fino a temi scabrosi come
razzismo e antisemitismo, sfuggono completamente alla dicotomia
destra/sinistra. Per poi non parlare del fatto che, secondo de
Benoist, è assai ingenuo parlare di destra e sinistra al singolare,
poiché queste etichette raccolgono una pluralità di orientamenti,
spesso reciprocamente incompatibili, nonché legati a contesti
storici e geografici differenti.
Nel
clima di autentica follia che ha accompagnato negli ultimi mesi la
cronaca italiana, forse la sua testimonianza sarebbe risultata utile
– peccato che le sue conferenze siano state sospese a seguito di
proteste indignate, che hanno livellato il filosofo francese a pedina
elettorale del Front National (per il quale, come lui stesso ha
dichiarato, nemmeno ha mai votato, così come non ha mai incontrato
Florian Philippot). Eppure, nella sua sterminata produzione legata a
questi argomenti, basterebbe leggere proprio il libro di cui stiamo
parlando per comprendere come i giudizi forniti dai suoi detrattori
non siano di alcuna pertinenza (in particolare, il saggio La destra e
il denaro, che demolisce praticamente tutte le tipologie di destra
degli ultimi duecento anni!). Ma tant’è.
Spauracchi
agitati da certo giornalismo culturale, destra e sinistra non sono
(più), secondo de Benoist, chiavi di lettura per comprendere il
nuovo che avanza. Né per affrontare le sfide del futuro. Valga come
esempio l’idea stessa di capitale e progresso, secondo analisi
mutuate dall’intellettuale eretico Jean-Claude Michéa: «Alla
stupidità delle persone di sinistra che ritengono possibile
combattere il capitalismo in nome del “progresso” corrisponde
l’imbecillità delle persone di destra, che ritengono possibile
difendere al contempo i valori “tradizionali” e un’economia di
mercato che non smette di distruggerli».
Modulati
secondo variazioni assai differenti, i tre testi di cui abbiamo
parlato puntano sempre sul nostro mondo, che sta affrontando un
periodo di transizione ma rimane legato a punti di riferimento
logori, a cartografie ormai superate, ad élite la cui forza
propulsiva sta lentamente esaurendosi. Segni dei tempi: ad ogni modo,
i giganti hanno sempre piedi d’argilla. >>
ANDREA
SCARABELLI
"Ad èlite la cui forza propulsiva sta lentamente esaurendosi"
RispondiEliminaGià: l'onda lunga clerico-nazional-populista & protezionista ostile alla globalizzazione sta ormai segnando il trionfo della nuova èlite in gran parte del mondo: dagli Stati Uniti (cfr. Bannon) alla Russia (Dughin), dall'Italia (Fusaro, allievo di Preve) alla Francia (De Benoist) e alla coppia polacco-ungherese, fino al Brasile... In altri termini, come intuito alcuni decenni fa da un piccolo-grande cantautore ligure di orientamento liberale "non è cambiando slogan o il nome del Padrone che il Popolo ha finito di esser preso per cog...ne"! Saluti
Il cantautore ligure citato da Claude è ovviamente Bruno Lauzi, autore ed interprete di tante bellissime canzoni romantiche, ma anche di testi impegnati.
RispondiEliminaCome, per esempio, il brano "Io canterò politico", da cui è tratto il verso di cui sopra.
<< Io canterò politico quando starete zitti
e tutti i vostri slogan saranno ormai sconfitti
quando sarete stanchi di starvene nel coro
a battere le mani solo se lo voglion loro
avrete bisogno dell'individualismo
per vincere la noia di un assurdo conformismo.
ecc. >>