(Dal
libro “Perché non possiamo non dirci darwinisti” di Edoardo
Boncinelli” – Settima parte. Lumen)
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Abbiamo lasciato un po' in sospeso il discorso dell'adattamento e del
suo ruolo concettuale nell'ambito delle spiegazioni evolutive. Siamo
giunti al momento di riprendere le fila del discorso, anche tenendo
conto di quanto abbiamo detto.
Il
discorso dell'adattamento (adaptation) è talmente chiaro di per
sé, che non dovrebbe presentare dei problemi. Tutti gli esseri
viventi sono e sono stati adatti alla vita nel loro ambiente,
altrimenti non ci sarebbero stati. Si ritiene però generalmente, e
niente lo può smentire, che gli organismi che sono venuti dopo in
una determinata linea evolutiva siano più adatti dei loro antenati a
quel tipo di vita.
Ciò
soddisfa la nostra intuizione e ci fornisce una chiave per capire la
direzione del processo evolutivo nel suo complesso, chiave ben
presente nella mente di Darwin e per nulla da lui disdegnata. È
proprio da queste premesse che nasce la frase: «La selezione
naturale seleziona gli individui più adatti».
Fin
qui tutto bene. Il problema nasce quando si tenta di dare una
formulazione scientifica a queste impressioni e a queste
affermazioni. Ricapitoliamo.
Va
detto innanzitutto che la constatazione dell'adattamento di una
struttura o di un comportamento a un certo ambiente può essere
effettuata solo a posteriori. Noi riscontriamo un adattamento
osservando che quel particolare organismo che vive in un dato
ambiente ha escogitato quel determinato trucco.
Non
possiamo conoscere nei dettagli come era quell'organismo prima di
adattarsi a quell'ambiente e soprattutto non sappiamo se avrebbe
potuto adattarsi anche meglio sviluppando altre caratteristiche
strutturali o comportamentali. Quindi l'adattamento è una realtà
riconoscibile solo a posteriori, sulla base di un'interpretazione.
In
secondo luogo, allo stesso ambiente ci si può adattare in mille modi
diversi. Noi osserviamo quindi alcune forme di adattamento, non l'
adattamento. Alle condizioni di una certa zona desertica si sono
adattate certe piante, certi rettili, certi insetti, certi uccelli e
perfino certi piccoli mammiferi, senza che si possa dire chi si sia
adattato meglio o quale sia il trucco più riuscito e soprattutto se
si sarebbe potuto escogitare qualcosa di ancora migliore.
L'adattamento
quindi non è assoluto ma relativo a certe condizioni: date certe
condizioni ambientali e biologiche di partenza — essere un rettile,
un insetto o una pianta con certe caratteristiche — si riscontra o
meno un buon adattamento.
In
terzo luogo, il grado di adattamento non si può misurare e neppure
comparare: si tratta in sostanza di un parametro isolato e
qualitativo. Non si può affermare che una struttura o un
comportamento sono meglio adattati di altri, sia che questi ultimi
siano presenti nella stessa specie sia in organismi di altre specie.
Al
massimo si può affermare che un organismo che sta invadendo un nuovo
ambiente è per il momento molto male adattato a certe
caratteristiche di quell'ambiente. È molto probabile per esempio che
un dromedario o un'ara avrebbero qualche difficoltà a vivere in
Antartide. È più facile in sostanza riscontrare o sottolineare un
non-adattamento che il contrario.
Ci
dobbiamo quindi accontentare di una definizione intuitiva e
approssimata di adattamento. In questa luce è decisamente
inappropriata, come abbiamo visto, quella formulazione ingenua
dell'evoluzionismo darwiniano secondo la quale la selezione naturale
favorirebbe gli individui più adatti. Anche se alla fine il
significato è quello, questa formulazione non soddisfa alcun
criterio di scientificità e non ha nessun valore predittivo.
Si
tratta di un'affermazione di grande effetto ma di natura
intrinsecamente circolare. Come faccio infatti a sapere chi sono i
più adatti se non osservando quegli individui che sono stati
selezionati? Come faccio a distinguere gli adatti dai più adatti?
Come faccio infine a comparare il grado di adattamento delle due
sottospecie che così di frequente la selezione naturale finisce per
sostituire a una data specie?
Questa
formulazione avrebbe un significato non ambiguo solo se disponessimo
di un criterio indipendente, e magari quantitativo, per valutare il
grado di adattamento a determinate condizioni ambientali di una
struttura o di una funzione, ma questo criterio, almeno per il
momento, non esiste.
La
formulazione corretta, anche se certamente meno soddisfacente dal
punto di vista psicologico, è quella secondo cui la selezione
naturale favorisce preferenzialmente alcuni individui di una data
specie rispetto ad altri. Negli individui che la selezione ha
favorito possiamo riconoscere alcuni tratti di un buon adattamento a
quell'ambiente, ma anche altri che difficilmente potrebbero essere
definiti tali. La selezione infatti opera sugli individui nel loro
complesso, non sui singoli tratti biologici.
La
formulazione più corretta potrebbe quindi essere: la selezione
naturale assegna una capacità riproduttiva differenziale ai vari
tipi di individui presenti in ogni istante all'interno di una data
popolazione. Secondo la visione corrente, tutto il resto deriva da
questa azione selettiva differenziale.
A
parte questa formulazione comune, più cauta e fondamentalmente
inoppugnabile, occorre dire che non tutti sono d'accordo riguardo a
una svalutazione del concetto di adattamento biologico. Alcuni
naturalisti, soprattutto di lingua e tradizione anglosassone,
attribuiscono tutt'oggi una notevole importanza al concetto di
adattamento e vengono di solito definiti adattamentisti o
iper-adattamentisti.
A
rigore, insomma, non esistono neppure i geni per fare le gambe, le
mani o quelli per fare le antenne, contrariamente a quanto abbiamo
detto in precedenza. Il singolo gene ignora, per così dire, ciò che
è destinato a fare. È lì per sintetizzare il suo prodotto e basta.
Se questo verrà utilizzato per produrre una struttura biologica
oppure un'altra, non lo riguarda affatto.
Innanzitutto
perché i prodotti di un gene possono essere utilizzati per la
costruzione di un certo numero di strutture biologiche diverse nello
stesso organismo. E, in secondo luogo, perché lo stesso gene può
entrare nella costruzione di strutture biologiche diverse in specie
differenti. Quello che cambia da una specie all'altra è la regia,
non gli attori, che sono invece notevolmente conservati.
Di
recente ha sollevato un certo scalpore la notizia che le spugne, che
sono fra gli organismi più primitivi e che vivono in colonie,
possiedono alcune proteine molto simili a quelle utilizzate nel
sistema nervoso degli animali superiori per far funzionare le
sinapsi, le minuscole connessioni dei nervi tra di loro. Nelle
spugne, però, le proteine in questione sembrano compiere una
funzione assai differente: regolare o meno l'adesione di una cellula
all'altra nello sviluppo di una colonia.
A
parte il fatto che, dal punto di vista astratto, le due funzioni non
sono poi così differenti – in un caso come nell'altro si tratta di
riconoscere e discriminare, una funzione fondamentale per la vita nel
suo complesso –, che cosa c'è di strano in questa interessante
scoperta?
La
chiave per comprendere il fenomeno è tutto sommato molto semplice: i
geni in questione non producono né strutture di riconoscimento fra
cellule di spugna né complessi sinaptici di animali superiori; si
limitano semplicemente a produrre il loro prodotto, che può essere
utilizzato per questo oppure per quel fine. Il fatto è che la vita,
in tutte le sue manifestazioni, dalla replicazione dei virus
all'intelligenza e al pensiero, è di natura intrinsecamente e
inesorabilmente molecolare.
Perché
pensare che la replicazione cellulare e la digestione siano fenomeni
molecolari, mentre la memoria e la creatività no? Gli attori sono
sempre gli stessi. Inconsapevoli nel senso più metaforico del
termine. Le molecole si aggregano, si parlano, si separano, che si
tratti di spugne o di Mammiferi, di aggregazione cellulare o della
risoluzione di un problema. La differenza non risiede nella natura
intrinseca di questi fenomeni, ma nel nostro modo di considerarli.
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EDOARDO
BONCINELLI
(continua)
L'importante concetto di "capacità riproduttiva differenziale", spiegato da par suo da Boncinelli, sembra implicare il fatto che nella 'lotteria evolutiva' finisce x prevalere chi produce il maggior numero possibile di figli anche del tutto indipendentemente dalle risorse disponibili, ma ciò (lo vediamo chiaramente rig.do all'attuale esplosione demografica della specie umana) sembra remare in direzione contraria/opposta al corretto impiego di quella 'consapevolezza fenotipica' tra l'altro messa opoportunamente al centro del presente Blog.
RispondiEliminaCome si esce da questo 'cul de sac'?
Bella domanda !
RispondiEliminaSe ne esce aumentando il numero dei 'fenotipi consapevoli' in rapporto ai 'non consapevoli'.
Obbiettivo teoricamente concepibile (in quanto tutti i dati scientifici che ci servono li abbiamo già), ma praticamente impossibile non solo da raggiungere, ma persino da avvicinare.
Ho il sospetto che la tanto decantata superiorità dell'homo sapiens sulle altre specie animali, che indubbiamente esiste, funzioni solo per alcune situazioni.
E che quando si tratta di fertilità differenziale non ci scostiamo poi molto dai simpatici conigli. :-)
Per dirla tutta, secondo i moderni studi di etologia comparata le specie viventi più "evolute" (molti Uccelli e soprattutto la maggior parte dei Mammiferi, Homo S. compreso) tendono ad abbandonare la strategia riproduttiva più primitiva R (=molta prole e scarse cure parentali) a favore di quella K (=poca prole e ampie cure parentali), proprio in quanto complessivamente più vantaggiosa.
RispondiEliminaPurtroppo le Ideologie politiche autoritarie, collettiviste e identitario-nazionaliste e la maggior parte delle Confessioni religiose, spalleggiate almeno sotto questo aspetto dagli economisti turbo-capitalisti di mezzo mondo, NON sembrano averlo ancora capito (oppure lo hanno capito molto bene ma continuano a predicare elevati tassi di natalità per meri "interessi di bottega")...
Direi più la seconda che la prima (gli interessi di bottega sono terribili !).
EliminaLe elites, salvo rare eccezioni, sono gente colta ed informata, e le cose le sanno.