Uno
dei paradossi dell’uomo moderno è quello di essere figlio
inconsapevole di una tecnologia avanzatissima e pervasiva, che però
di fatto non conosce.
Al
punto da non comprenderla, e neppure apprezzarla come merita.
Quelle
che seguono sono alcune considerazioni sull’argomento del sempre
bravo e brillante Sergio Ricossa (tratte dalla prefazione di uno dei
suoi libri).
Lumen
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Siamo figli di una civiltà industriale che non conosciamo: viviamo
in mezzo a macchine di cui ignoriamo il modo di funzionare, e
lavoriamo in una economia che obbedisce a regole sulle quali sappiamo
poco o nulla.
Ogni
sera decine di milioni di persone guardano un apparecchio, chiamato
televisore, che è un perfetto oggetto misterioso: realizza il
prodigio di farci vedere quel che sta accadendo magari all'altro capo
del mondo, ma non quello di farci chiedere come sia stata possibile
l'invenzione della televisione, chi l'abbia concepita, e perché il
lusso di possedere una tale scatola magica se lo possano permettere
quasi tutti, e non solo pochi privilegiati.
Zworykin,
l'uomo che forse più di ogni altro contribuì all'invenzione, è un
nome che quasi nessuno ha sentito nominare: a quest'uomo non si
innalzano monumenti e non si intitolano vie; i libri di storia
generalmente tacciono di lui.
Di
conseguenza la nostra civiltà industriale non è nostra affatto, non
sentiamo che ci appartenga; la giudichiamo male, ma siamo incapaci di
confrontarla sensatamente con le altre diverse; il suo destino, che è
vulnerabile, ci lascia indifferenti. Ci comportiamo come se fosse
piovuta dal cielo, senza alcuno sforzo nostro o dei nostri avi, quasi
dovesse soddisfare un nostro diritto naturale; e pensiamo spesso che,
senza alcuno sforzo nostro, abbia l'obbligo di darci sempre di più,
sempre di meglio.
Un
qualunque intoppo, per esempio un ostacolo ai rifornimenti di
petrolio, ci coglie di sorpresa. Un qualunque difetto ci indigna.
Perché le paghe non dovrebbero aumentare almeno del 10% all'anno,
ogni anno? Perché gli orari di lavoro non dovrebbero diminuire, per
lasciar posto a più vacanze retribuite? Perché, insomma, siamo
insoddisfatti?
Naturalmente,
siamo insoddisfatti, e sempre lo saremo, perché siamo uomini, perché
abbiamo dentro di noi un pungolo che nessun altro animale possiede,
ed è questo che determina la nostra supremazia fra tutti gli esseri
viventi.
Ma
c'è modo e modo di reagire, e noi oggi sembriamo voler reagire nel
modo peggiore, che è la frustrazione. Sperduti nel labirinto della
civiltà industriale, non vogliamo stare fermi e non sappiamo in
quale direzione procedere. Ci manca una mappa adeguata del nostro
passato, la quale indichi come siamo arrivati qui, a questo punto, ma
pretendiamo una impossibile mappa del nostro futuro, e che sia di un
solo colore: rosa.
[E’
utile pertanto] guardare indietro nel tempo, non per cercare il
segreto della felicità, o per consolarci se troveremo, come
troveremo, che i mali di una volta erano sovente peggiori degli
attuali, ma per comprendere meglio il presente.
Non
sappiamo se i nostri avi erano più o meno felici di noi, ma vivevano
molto diversamente da noi. Per secoli, anzi per millenni, la gente
comune, la gran massa dei lavoratori, subì le ferree costrizioni di
una economia primitiva, preindustriale, che rispetto all'economia
industriale appare immobile, stagnante.
Oggi,
invece, tutto sembra girare vorticosamente, e ciò basta per darci
una ragione del senso di vertigine che proviamo.
Il
cambiamento cominciò in Gran Bretagna tra la fine del Settecento e
l'inizio dell'Ottocento, poi si propagò a gran parte dell'Europa
occidentale e dell'America del nord. In Italia bisognò attendere la
fine del secolo scorso, e forse addirittura la fine della seconda
Guerra Mondiale, perché gli effetti dell'industrializzazione
diventassero possenti come altrove.
Tra
le due guerre, non lontano da Milano, Torino e Genova, i vertici del
nostro "triangolo industriale", non poche famiglie
contadine vivevano ancora in condizioni paragonabili a quelle
medievali: non avevano l'elettricità, attingevano l'acqua dal pozzo,
si scaldavano e cuocevano il cibo con la legna raccolta nel bosco,
pativano la fame o la sete se il raccolto del grano o la vendemmia
andava male, riservavano le scarpe e la giacca per i giorni di festa,
non si allontanavano mai dal villaggio, dove si nasceva, si cresceva,
ci si sposava, si invecchiava, si moriva, avevano nel cavallo e nel
bue i loro "motori" coi quali risparmiarsi qualche fatica,
e ascoltavano le storie della città come leggende di terre lontane.
Due
o tre generazioni sono bastate perché modi di vivere millenari
scomparissero quasi ovunque, e di essi si perdesse perfino il
ricordo. La civiltà industriale ci è piombata addosso con effetti
traumatizzanti; siamo sotto shock, abbiamo dimenticato chi eravamo,
da dove venivamo, quale sangue ci scorre nelle vene. (…)
E
nell’indagare sulle origini della civiltà industriale, sul declino
della civiltà agricola, sull'estensione della miseria nell'una e
nell'altra, [si potrà riflettere] sulla natura della fatica nell'una
e nell'altra, e su quel che si è guadagnato e perso passando
dall'una all'altra. >>
SERGIO
RICOSSA
Queste sagge considerazioni di R. possono valere (ovv.te 'mutatis mutandis') anche oggi, epoca della rapida e turbolenta transizione dalla Società industriale a quella post-industriale & dei servizi: transizione che comprensibilmente genera incertezze & preoccupazioni nelle quali trovano terreno fertile i movimenti clerico-nazional-populisti oggi potentemente alla ribalta in mezzo mondo con relativo carico di promesse miracolistiche, decisamente a buon mercato e sfortunatamente (auto)illusorie...
RispondiEliminaCaro Claude, i movimenti populisti, con i loro richiami ad una passata (e forse illusoria) età dell'oro, hanno le loro colpe.
RispondiEliminaMa i movimenti della sinistra globalista, che con il loro buonismo ingenuo ed autolesionista hanno contribuito a far nascere e prosperare molti degli attuali problemi, hanno colpe non inferiori. Anzi.
Gli esempi non mancano e sono sotto i nostri occhi, così come le conseguenze negative per il popolo comune.
Ma questo - al di là delle belle parole di facciata - non sembra interessare più di tanto.
E le elites, che possono lmitarsi a manovrare a proprio piacimento i movimenti di volta in volta alla ribalta, se la ridono.
Una considerazione interessante sull'argomento tratta dal blog di Lorenzo Celsi:
RispondiElimina<< In passato la cosa che condizionava le esistenze era il bisogno materiale.
La gente ne era condizionata, ma ne era anche consapevole e quindi scuoteva le catene nei modi, tempi e luoghi che poteva.
Adesso le esistenze sono condizionate dal lavaggio del cervello, dal controllo delle masse applicato dalla nascita. (...)
Secondo me è un fatto senza precedenti storici che è stato reso possibile dalle tecnologie.
Paradossalmente mai l'Uomo è stato meglio e mai è stato peggio. >>
Caro Lorenzo, grazie per aver visitato il mio blog.
RispondiEliminaTu dici (tra l'altro) che "la tecnologia non ha niente di misterioso", ma questo vale solo per chi la conosce a fondo, cioè per pochissimi.
Per la gente comune ha sicuramente qualcosa di magico, cioè funziona sulla base di nessi causali che non conosce (e spesso neppure concepisce), e questo la porta da un lato ad esserne schiavo, dall'altro a sopravvalutarla.
Ma questo fa ben comodo alle elites attuali, per le quali la regola aurea è sempre la stessa: pensate a divertirvi e non disturbate il manovratore.