Confini naturali e confini politici. Tre brevi considerazioni sull’importanza dei confini nel guidare (e condizionare) il corso la storia. Lumen
CONFINI EUROPEI
<< Nella politica internazionale [europea] ci sono nazioni fortunate, come la Spagna, le cui frontiere sono state disegnate dalla natura, e vivono tendenzialmente tranquille.
L’orso russo invece, pur essendo estremamente forte, manca di frontiere naturali, vive nella paura e trasforma questa paura in aggressività. Cerca sempre di tenere alla massima distanza i possibili aggressori e il risultato è che la Russia è tanto temuta quanto odiata. L’Impero Romano non sapeva come tenere lontani i barbari che premevano per entrare e divenire anche loro “romani”, Mosca non ha mai creato in nessuno dei suoi vicini il desiderio di divenire russo.
I regimi sono cambiati, ma al Cremlino la politica espansionistica non è mai cambiata, dagli zar a Stalin, da Kruscev allo stesso Putin. Quest’ultimo, pur democraticamente eletto, non appare meno preoccupante e temibile dei predecessori. Quando strappa la Crimea all’Ucraina spinge gli altri Stati a chiedersi se, dopo, non sarà il loro turno, e non dubbio si riarmano.
L’orso spaventato amerebbe forse essere amato, ma è fin troppo trasparente la sua convinzione che potrà sopravvivere soprattutto divorando i suoi vicini. Vive nell’angoscia e fa vivere nell’angoscia. In quella zona del mondo si rappresenta l’eterna tragedia dell’orso che rischia di morire di fame e della foca che rischia di essere uccisa.
L’Europa centro-orientale ha la sfortuna di essere una grande pianura, dove le frontiere – da tempo immemorabile – sono state disegnate più dalle armi che dalla natura. La Polonia nei secoli recenti ha spesso dovuto subire le aggressioni e le annessioni dei suoi prepotenti vicini. Dopo la Seconda Guerra Mondiale, la Russia l’ha addirittura sollevata di peso e spostata verso ovest. Con quali sentimenti di gratitudine degli interessati è facile immaginare.
Oltre vent’anni dopo essere riuscite a liberarsi dal giogo di Mosca, le infelici nazioni che vanno dal golfo di Botnia al Mar Nero si chiedono per quanto tempo ancora riusciranno a rimanere indipendenti. > >
GIANNI PARDO
<< Nella politica internazionale [europea] ci sono nazioni fortunate, come la Spagna, le cui frontiere sono state disegnate dalla natura, e vivono tendenzialmente tranquille.
L’orso russo invece, pur essendo estremamente forte, manca di frontiere naturali, vive nella paura e trasforma questa paura in aggressività. Cerca sempre di tenere alla massima distanza i possibili aggressori e il risultato è che la Russia è tanto temuta quanto odiata. L’Impero Romano non sapeva come tenere lontani i barbari che premevano per entrare e divenire anche loro “romani”, Mosca non ha mai creato in nessuno dei suoi vicini il desiderio di divenire russo.
I regimi sono cambiati, ma al Cremlino la politica espansionistica non è mai cambiata, dagli zar a Stalin, da Kruscev allo stesso Putin. Quest’ultimo, pur democraticamente eletto, non appare meno preoccupante e temibile dei predecessori. Quando strappa la Crimea all’Ucraina spinge gli altri Stati a chiedersi se, dopo, non sarà il loro turno, e non dubbio si riarmano.
L’orso spaventato amerebbe forse essere amato, ma è fin troppo trasparente la sua convinzione che potrà sopravvivere soprattutto divorando i suoi vicini. Vive nell’angoscia e fa vivere nell’angoscia. In quella zona del mondo si rappresenta l’eterna tragedia dell’orso che rischia di morire di fame e della foca che rischia di essere uccisa.
L’Europa centro-orientale ha la sfortuna di essere una grande pianura, dove le frontiere – da tempo immemorabile – sono state disegnate più dalle armi che dalla natura. La Polonia nei secoli recenti ha spesso dovuto subire le aggressioni e le annessioni dei suoi prepotenti vicini. Dopo la Seconda Guerra Mondiale, la Russia l’ha addirittura sollevata di peso e spostata verso ovest. Con quali sentimenti di gratitudine degli interessati è facile immaginare.
Oltre vent’anni dopo essere riuscite a liberarsi dal giogo di Mosca, le infelici nazioni che vanno dal golfo di Botnia al Mar Nero si chiedono per quanto tempo ancora riusciranno a rimanere indipendenti. > >
GIANNI PARDO
CONFINI AFRICANI
<< Fin dall'inizio delle lotte per l'indipendenza e lungo tutto il corso della storia post-coloniale, la gran parte degli Stati africani ha dovuto fare i conti con l'eterna questione dei propri confini, eredità tangibile, e sinora pressoché ineludibile, della dominazione coloniale. Un’eredità che affronta costantemente il complesso problema dell'incontro-scontro tra gli elementi culturali, sociali, politici e antropologici dei paesi occidentali colonizzatori e la miriade di entità esistenti in Africa prima del contatto con gli europei.
Dal punto di vista politico, ciò ha significato essenzialmente la trasposizione, e quindi l'imposizione nel continente, di categorie politiche, istituzioni e di una concezione stessa della sovranità sino ad allora sconosciute in Africa. Sul piano territoriale si è tradotto nell'applicazione di criteri cartografici, di mappe e di confini modellati sull'impostazione culturale e sugli interessi dei colonizzatori.
L'accettazione pressoché unanime dei confini coloniali quale punto fermo per la costruzione delle nuove nazioni africane indipendenti è un dato storico incontrovertibile. Una sorta di tabù per gli stessi leader africani.
In effetti il poco più di mezzo secolo di storia dell'Africa indipendente mostra come, a dispetto di numerose dispute bilaterali sui confini e nonostante gli innumerevoli conflitti inter-etnici (sia dentro sia fuori dalle frontiere degli Stati sovrani), siano stati pochissimi i casi di cambiamento dei confini internazionali e ancora meno i casi di nuovi Stati costituiti (…).
Tutte quelle nuove frontiere furono delineate in larga misura in maniera arbitraria. Rispondevano esclusivamente a logiche di spartizione tra potenze coloniali (oltre che mostrare la profonda ignoranza dei colonizzatori sul piano etno-antropologico) e sono state in qualche modo l'unico elemento su cui tentare di costituire in tempi brevi una qualche forma di sovranità territoriale.
Del resto lo sgretolamento o l'implosione delle antiche e spesso piccole entità sovrane esistenti al momento dell'arrivo dei colonizzatori non ha lasciato molta scelta alle classi dirigenti dei neonati Stati africani. Al loro interno questi paesi non corrispondevano a nazioni in senso proprio. Erano più aggregati di popolazioni che spesso condividevano null'altro che il passato coloniale. Un processo di costruzione dello Stato all'inverso dunque: sulle ceneri di entità sovrane ereditate dai vecchi imperi coloniali si tentava di costruire una nazione. (…)
La storia dell'ultimo mezzo secolo ha dimostrato come l'incidenza di conflitti legati a questioni inter-etniche sia maggiore laddove maggiore è stata la divisione di gruppi omogenei in diversi Stati-nazione. Più conflittualità, quindi, dove le linee tratteggiate dai colonizzatori hanno separato e diviso le storie di uno stesso gruppo etnico in due o più entità nazionali, o dove, per converso, la stessa palingenesi cartografica ha costretto più gruppi a coesistere in un'unica entità nazionale. >>
SILVIO FAVARI
CONFINI MEDIO-ORIENTALI
<< La presenza di un’entità politica forte come l’Impero ottomano aveva impedito, per tutto l’Ottocento, una completa colonizzazione occidentale nel Vicino e Medio Oriente. La scomparsa dell’impero, potenza uscita sconfitta nel primo conflitto mondiale, assicurò ai Grandi dell’Europa l’espansione della loro influenza in queste regioni asiatiche.
L’irruzione dell’Occidente nel Medio Oriente ha comportato l’invenzione degli Stati. L’Iraq e Israele non sono Stati storici e non hanno frontiere naturali. Ambedue sono nazioni “artificiali”, come “inventati” sono anche la Siria, il Libano, la Giordania, l’Arabia Saudita, il Kuwait: tutti frutto di una spartizione di Francia e Gran Bretagna.
Forti del mandato loro attribuito dalla Società delle Nazioni, quali Stati vincitori della Prima guerra mondiale, Francia e soprattutto Gran Bretagna si arrogarono il diritto di tracciare delle linee su una carta geografica muta, toccando inevitabilmente sensibilità che riguardano la religione e l’identità. (…).
Dall’autorità coloniale dipendeva la definizione dei confini degli Stati, la designazione dei leader e delle elités poste ai vertici del potere statale, la modellazione dei regimi politici, con la preferenza normalmente accordata alle monarchie ereditarie, l’allocazione delle risorse naturali.
Sin dal loro primo ingresso nel Medio Oriente, tuttavia, gli europei portarono il progresso: alla prima fase, puramente militare, seguì quella della rapida modernizzazione delle vie di comunicazione (costruzione di strade, ferrovie, porti), del progresso tecnologico (elettricità, telegrafo, radio, motore a scoppio) e di quello economico. La più importante iniziativa occidentale fu la scoperta e lo sfruttamento del petrolio, che ha posto redditi enormi a disposizione anche ai governi mediorientali. (…)
Le sorti della regione furono già decise dalle potenze europee già prima della fine del conflitto mondiale, attraverso una serie di intese diplomatiche. La presenza del petrolio, pur ritenuto un fattore importante, non fu comunque un interesse dominante, come lo sarebbe diventato in seguito, cioè da quando l’Arabia Saudita iniziò per prima a sfruttarlo. Infatti, accanto alla presenza di ricchi giacimenti di oro nero, c’era l’interesse di controllare le vie di comunicazione e di commercio, la più importante delle quali era il canale di Suez.
La logica europea era chiara: nel breve periodo spartirsi il Medio Oriente in funzione dei propri interessi; (…) nel lungo periodo bisognava fare in modo che i futuri governi del Medio Oriente continuassero ad aver bisogno degli europei.
Per questo occorreva adottare la strategia del ‘divide et impera’ che sfruttava le divisione settarie, etniche e tribali, sostenendo con la dovuta forza le minoranze (come i curdi) per frenare le rivendicazioni arabe e creare barriere artificiali: ad esempio la Transgiordania, che secondo gli Inglesi doveva servire per impedire al futuro Stato ebraico di espandersi verso Est, oppure la separazione francese del Libano dalla Siria, per indebolire quest'ultima, oppure ancora separare il territorio del Kuwait dall’Iraq per limitare il più possibile lo sbocco al mare di quest’ultimo. >>
RENZO PATERNOSTER
<< Fin dall'inizio delle lotte per l'indipendenza e lungo tutto il corso della storia post-coloniale, la gran parte degli Stati africani ha dovuto fare i conti con l'eterna questione dei propri confini, eredità tangibile, e sinora pressoché ineludibile, della dominazione coloniale. Un’eredità che affronta costantemente il complesso problema dell'incontro-scontro tra gli elementi culturali, sociali, politici e antropologici dei paesi occidentali colonizzatori e la miriade di entità esistenti in Africa prima del contatto con gli europei.
Dal punto di vista politico, ciò ha significato essenzialmente la trasposizione, e quindi l'imposizione nel continente, di categorie politiche, istituzioni e di una concezione stessa della sovranità sino ad allora sconosciute in Africa. Sul piano territoriale si è tradotto nell'applicazione di criteri cartografici, di mappe e di confini modellati sull'impostazione culturale e sugli interessi dei colonizzatori.
L'accettazione pressoché unanime dei confini coloniali quale punto fermo per la costruzione delle nuove nazioni africane indipendenti è un dato storico incontrovertibile. Una sorta di tabù per gli stessi leader africani.
In effetti il poco più di mezzo secolo di storia dell'Africa indipendente mostra come, a dispetto di numerose dispute bilaterali sui confini e nonostante gli innumerevoli conflitti inter-etnici (sia dentro sia fuori dalle frontiere degli Stati sovrani), siano stati pochissimi i casi di cambiamento dei confini internazionali e ancora meno i casi di nuovi Stati costituiti (…).
Tutte quelle nuove frontiere furono delineate in larga misura in maniera arbitraria. Rispondevano esclusivamente a logiche di spartizione tra potenze coloniali (oltre che mostrare la profonda ignoranza dei colonizzatori sul piano etno-antropologico) e sono state in qualche modo l'unico elemento su cui tentare di costituire in tempi brevi una qualche forma di sovranità territoriale.
Del resto lo sgretolamento o l'implosione delle antiche e spesso piccole entità sovrane esistenti al momento dell'arrivo dei colonizzatori non ha lasciato molta scelta alle classi dirigenti dei neonati Stati africani. Al loro interno questi paesi non corrispondevano a nazioni in senso proprio. Erano più aggregati di popolazioni che spesso condividevano null'altro che il passato coloniale. Un processo di costruzione dello Stato all'inverso dunque: sulle ceneri di entità sovrane ereditate dai vecchi imperi coloniali si tentava di costruire una nazione. (…)
La storia dell'ultimo mezzo secolo ha dimostrato come l'incidenza di conflitti legati a questioni inter-etniche sia maggiore laddove maggiore è stata la divisione di gruppi omogenei in diversi Stati-nazione. Più conflittualità, quindi, dove le linee tratteggiate dai colonizzatori hanno separato e diviso le storie di uno stesso gruppo etnico in due o più entità nazionali, o dove, per converso, la stessa palingenesi cartografica ha costretto più gruppi a coesistere in un'unica entità nazionale. >>
SILVIO FAVARI
CONFINI MEDIO-ORIENTALI
<< La presenza di un’entità politica forte come l’Impero ottomano aveva impedito, per tutto l’Ottocento, una completa colonizzazione occidentale nel Vicino e Medio Oriente. La scomparsa dell’impero, potenza uscita sconfitta nel primo conflitto mondiale, assicurò ai Grandi dell’Europa l’espansione della loro influenza in queste regioni asiatiche.
L’irruzione dell’Occidente nel Medio Oriente ha comportato l’invenzione degli Stati. L’Iraq e Israele non sono Stati storici e non hanno frontiere naturali. Ambedue sono nazioni “artificiali”, come “inventati” sono anche la Siria, il Libano, la Giordania, l’Arabia Saudita, il Kuwait: tutti frutto di una spartizione di Francia e Gran Bretagna.
Forti del mandato loro attribuito dalla Società delle Nazioni, quali Stati vincitori della Prima guerra mondiale, Francia e soprattutto Gran Bretagna si arrogarono il diritto di tracciare delle linee su una carta geografica muta, toccando inevitabilmente sensibilità che riguardano la religione e l’identità. (…).
Dall’autorità coloniale dipendeva la definizione dei confini degli Stati, la designazione dei leader e delle elités poste ai vertici del potere statale, la modellazione dei regimi politici, con la preferenza normalmente accordata alle monarchie ereditarie, l’allocazione delle risorse naturali.
Sin dal loro primo ingresso nel Medio Oriente, tuttavia, gli europei portarono il progresso: alla prima fase, puramente militare, seguì quella della rapida modernizzazione delle vie di comunicazione (costruzione di strade, ferrovie, porti), del progresso tecnologico (elettricità, telegrafo, radio, motore a scoppio) e di quello economico. La più importante iniziativa occidentale fu la scoperta e lo sfruttamento del petrolio, che ha posto redditi enormi a disposizione anche ai governi mediorientali. (…)
Le sorti della regione furono già decise dalle potenze europee già prima della fine del conflitto mondiale, attraverso una serie di intese diplomatiche. La presenza del petrolio, pur ritenuto un fattore importante, non fu comunque un interesse dominante, come lo sarebbe diventato in seguito, cioè da quando l’Arabia Saudita iniziò per prima a sfruttarlo. Infatti, accanto alla presenza di ricchi giacimenti di oro nero, c’era l’interesse di controllare le vie di comunicazione e di commercio, la più importante delle quali era il canale di Suez.
La logica europea era chiara: nel breve periodo spartirsi il Medio Oriente in funzione dei propri interessi; (…) nel lungo periodo bisognava fare in modo che i futuri governi del Medio Oriente continuassero ad aver bisogno degli europei.
Per questo occorreva adottare la strategia del ‘divide et impera’ che sfruttava le divisione settarie, etniche e tribali, sostenendo con la dovuta forza le minoranze (come i curdi) per frenare le rivendicazioni arabe e creare barriere artificiali: ad esempio la Transgiordania, che secondo gli Inglesi doveva servire per impedire al futuro Stato ebraico di espandersi verso Est, oppure la separazione francese del Libano dalla Siria, per indebolire quest'ultima, oppure ancora separare il territorio del Kuwait dall’Iraq per limitare il più possibile lo sbocco al mare di quest’ultimo. >>
RENZO PATERNOSTER