Torno a parlare (male) dei buonisti e della carità interessata, con questo post al vetriolo di Uriel Fanelli, tratto dal suo blog personale (LINK).
Le considerazioni di Fanelli possono apparire un po' troppo ciniche o anche eccessive, ma la sua analisi psicologica dei 'buonisti' mi sembra abbastanza centrata.
LUMEN
<< La beneficenza (...) appartiene alla categoria delle manifestazioni di potere. In quanto tale, e’ un vero proprio atto di sopraffazione, che approfitta della debolezza (indigenza) di chi subisce questo atto: essendo povero sei costretto a subire la beneficenza per vivere. (…)
La beneficenza [infatti] e’ tutta una serie di cose:
= La beneficenza e’ uno status symbol. Chi fa beneficenza? I ricchi. Chi ha una fondazione per aiutare l’ Africa? Bill Gates. Chi riceve beneficenza? I poveri. La beneficenza ha tutte le qualita’ degli status symbol. Potete possedere un’auto costosa, frequentare determinati locali o fare beneficenza: socialmente, siete riconoscibili come ricchi in tutti i casi.
= La beneficenza e’ un atto di superiorita’. Normalmente chi fa beneficenza non chiede nulla in cambio. Le associazioni di beneficenza non chiedono a chi viene beneficato di , che so, aiutarli nelle loro attivita’. Tra dare cibo ad una persona e mandarla via e dare cibo ad una persona e , che so, farsi aiutare in cucina, la differenza starebbe nella dignita’: ma lo scopo della beneficenza e’ l’umiliazione pubblica, quindi non si tollera alcuna beneficenza che sfoci in un rapporto do-ut-des, che sarebbe paritario.
= La beneficenza e’ un insulto deliberato. Il fatto che ad una persona beneficiata non venga mai offerto alcun modo di sdebitarsi , ne’ gli sia consentito di farlo, classifica la beneficenza come un atto di deliberata offesa. (...)
= La beneficenza e’ una libera scelta solo da un lato. Quando si fanno presenti queste cose, immediatamente parte la storia che “si, ma se ti metti nei loro panni e’ una manna dal cielo, mentre tu ci rimetti il superfluo”. E non ci si rende conto che si sta semplicemente enunciando la propria superiorita’: posso farlo perche’ sono ricco, deve subirlo perche’ e’ povero.
= La beneficenza e’ economica. Tra gli status symbol, la beneficenza e’ quella accessibile gia’ al ceto medio, e persino alla working class. In quanto tale, si tratta del piu’ economico tra gli status symbol: sentirsi superiori agli altri per un vestito piu’ lussuoso puo’ costare centinaia di euro. Sentirsi superiori ad un tizio che chiede l’elemosina ne costa uno o due.
La beneficenza e’ l’unico rapporto di umiliazione pubblica ad essere socialmente tollerato, per la semplice ragione che, come tutti gli status symbol, e’ troppo piacevole e diffuso perche’ le masse accettino di rinunciarvi.
Se proponiamo di passare dalla beneficenza al welfare, per esempio, molti non ci stanno piu’. Se creassimo un ente statale con la finalita’ di raccogliere soldi per la beneficeza ai clochard, e poi si occupi di distribuire ad ogni clochard un assegno giornaliero, scopriremmo che nessuno la troverebbe piu’ affascinante. Le forme di contribuzione volontaria al welfare, che di per se’ hanno la stessa identica funzione di ridistribuzione della ricchezza, non sono amate quanto la beneficenza che avviene in pubblico, col rapporto personale. Perche’?
Perche’ non vedendo il beneficiato, ci viene tolta la libidine di sentirci superiori ad un essere umano in carne ed ossa. La sopraffazione, cioe’, deve essere personale. Se non vediamo la persona che abbiamo sopraffatto di fronte a noi, non sembra la stessa cosa. Si dice che e’ “impersonale”, ma se il punto fosse dare da mangiare, non farebbe alcuna differenza.
E qui andiamo a quelli che continuano a dire “L’ occidente deve aiutare” In realta’ si tratta di persone che stanno cercando di sancire la superiorita’ dell’ occidente. Il meccanismo e’ lo stesso di quello dell’elemosina: nel momento in cui diamo, stiamo dicendo sempre tre cose:
= Abbiamo del superfluo da dare.
= Loro sono cosi’ disperati da accettare.
= Noi siamo sempre migliori di loro.
Se la terza frase vi sfugge, proviamo a farci delle domande. Quando avviene una catastrofe naturale in qualche “Sarkazzistan”, o quando veniamo a sapere che esistono bambini poveri in qualche paese (…), allora noi andiamo dalle nostre associazioni caritatevoli a dare dei soldi. Perche’ noi siamo “i paesi industrializzati”. Questi paesi, che hanno emergenze, si rivolgono inoltre ai vari enti come Unicef, FAO, e compagnia bella, allo scopo di ricevere fondi per alleviare le sofferenze dei loro popoli.
Adesso faccio una domanda: durante l’ultima crisi finanziaria, ma anche durante l’ultimo terremoto in Italia, o durante l’ultima inondazione, o quando ISTAT ha detto che ci sono 7 milioni di famiglie povere in Italia, o quando salta fuori che di conseguenza ci sono N centinaia di migliaia di bambini poveri in italia, qualcuno in Italia ha mai proposto di chiedere l’ elemosina di paesi piu’ ricchi? (...)
Perche’ non chiedere agli enti di beneficenza come UNICEF di aiutare i bambini italiani poveri, o la FAO ad aiutare le femiglie italiane in difficolta’? Perche’ non accettare la beneficenza dei paesi ricchi di liquidita’, come la Cina? Tutti allora vi metterete a dire che “non siamo ancora a questo punto”, che “possiamo farcela da soli”, “non siamo ancora costretti a farlo”, “sarebbe troppo umiliante”. Ma guarda caso, e’ proprio quello che voi proponete di fare con gli altri.
Allora, sembra che sia del tutto logico se voi fate l’elemosina agli altri, ma quando si tratta di chiederla, si scopre che e’ umiliante, che piuttosto vi arrangiate, che non siete ancora costretti a chiederla… insomma, che e’ davvero una cosa brutta. Non e’, quindi, quella cosa benevolente, frutto di umana fratellanza (ovvero eguaglianza): e’ una semplice dimostrazione di superiorita’ di chi la offre, o una dichiarazione di sconfitta di chi la chiede.
Del resto, anziche’ dare soldi in aiuti a chi sta male si potrebbero stipulare trattati commerciali che aiutino quelle nazioni a riprendersi, MA in quel caso si uscirebbe dall’elemosina, e questo togliere all’occidente l’assunzione di superiorita’ che lo spinge a fare elemosina. Avere aiuti “in cambio di qualcosa” (…) non e’ accettabile come elemosina: non perche’ non sarebbe giusto sdebitarsi, ma perche’ consente a chi riceve l’elemosina di conservare la dignita’ del “do ut des”, ovvero di sfuggire all’umiliazione totale.
Se osservate bene chi siano i maggiori contribuenti delle entita’ caritatevoli dell’ ONU, della FAO, e di tutti gli altri enti simili, scoprite che sebbene l’occidente sia in declino e si venga superati da altre nazioni in via di sviluppo, la quantita’ di soldi dati in aiuti per i paesi poveri e’ cambiata di pochissimo. I soldi degli aiuti ai poveri africani arrivano, esattamente come prima, sempre dagli stessi paesi: il fatto che l’ Italia sia stata superata dal Brasile in termini economici non significa che il Brasile donera’ piu’ soldi dell’ Italia ai paesi dove si fa la fame. (...)
Dietro questo punto si nasconde lo spartiacque, la forza che spinge ogni paese occidentale a dire “dobbiamo aiutarli”: la convinzione di essere superiori. E a maggior ragione durante una crisi tremenda, quando la superiorita’ viene messa in dubbio, non sperate che questo bisogno si attenui: e’ proprio quando la superiorita’ viene messa in dubbio che c’e’ bisogno di conferme. >>
URIEL FANELLI