giovedì 24 dicembre 2015

Non aprite quella porta !

LUMEN – Messer Vasari, buongiorno. Voi avete dedicato la vostra vita a narrare di arte e di artisti.
VASARI – Gli è vero.

LUMEN – Di grandi artisti e di grandissime opere d’arte. 
VASARI – Le più grandi del mondo, ovvia.

LUMEN - Cosa pensate dell’arte moderna ? Ed in particolare della scultura ?
VASARI – Davvero poco di bono. Gli è pieno di birboni che si approfittano della credulità della gente.

LUMEN – Avete qualche storia divertente o curiosa da raccontare ?
VASARI – Tantissime, ne avrei. Ma la mia preferita gli è quella della porta di Duchamp.

LUMEN – Bene. Raccontatela, allora, che siamo curiosi.
VASARI – Siamo nel giugno 1978. Gli operai, che stanno finendo di dipingere i padiglioni della Biennale d'Arte di Venezia, si accorgono che c'è ancora una vecchia porta da verniciare. In quattro e quattr'otto, dato che c'è poco tempo perché l'inaugurazione è ormai prossima, la dipingono tutta bianca, così la porta risplende come se fosse nuova.

LUMEN – Un lavoro da professionisti.
VASARI - Non potevano sapere, quei ragazzotti coi pennelli in mano, che avevano verniciato niente meno che un' opera d' arte.

LUMEN – Un’opera d’arte ? Una scultura ?
VASARI – Non saprei se possa essere definita una scultura. Comunque era una porta in legno del dadaista francese Marcel Duchamp, prestata alla Biennale di Venezia per la mostra “Dalla natura all'arte e dall'arte alla natura“ e debitamente assicurata - come opera d’arte - per duecentomila dollari.

LUMEN – Oh, santo cielo !
VASARI – In effetti la porta, alta 2 metri e 20 per 62 centimetri di larghezza, aveva proprio bisogno di una ritoccatina, perché nel 1978, quando venne messa in mostra, compiva 51 anni.

LUMEN – Addirittura.
VASARI – La porta risaliva infatti al 1927 e proveniva da una casa di Rue Larry a Parigi, dove Duchamp aveva abitato. L'artista, che era noto per il suo temperamento dissacratorio, amava infatti trasportare fuori dal loro contesto abituale gli oggetti di uso comune, ironici o assurdi, sostenendo che in questo modo persino un orinatoio rovesciato - e lui una volta lo presentò davvero - poteva diventare un' opera d' arte.

LUMEN – Povera arte…
VASARI - Convinto che l'arte sia un mezzo per auto-intossicarsi (come l'oppio), Duchamp era stato protagonista di numerose provocazioni, come quella volta che portò in America delle sfere di vetro riempite di aria di Parigi, o come quando si mise a costruire dei complicati meccanismi assolutamente privi di una qualsiasi utilità.

LUMEN – Immagino che qualche critico compiacente avesse già dato un nome, magari altisonante, a questa specie di corrente artistica.
VASARI – Certamente. L’avevano definita “Nichilismo estetico”.

LUMEN – Bellissimo. Ma torniamo alla nostra Biennale.
VASARI - All' esposizione d'arte del 1978, ideata da una commissione composta da famose personalità del mondo dell’arte, c'erano due opere di Duchamp: uno “scolabottiglie” e, appunto, la “Porte, 11 Rue Larrey, Paris”.

LUMEN – Anche l’idea dello scolabottiglie non è male.
VASARI – La porta era stata strategicamente piazzata nel “Padiglione Italia”, in posizione di angolo fra due locali, in modo che desse vita ad un curioso gioco, con una stanza che restava con la porta sempre chiusa e l' altra con la porta sempre aperta o viceversa.

LUMEN – Sarà anche divertente, ma l’arte cosa c’entra ?
VASARI – E chi lo sa ? L' allestimento però era così realistico che trasse in inganno i pittori del colorificio G. che stavano dipingendo il padiglione nei giorni frenetici della vigilia, e che di fronte a quella vecchia porta il legno non ebbero dubbi nel decidere che occorreva, e subito, una bella mano di bianco.

LUMEN – E dopo il “sacrilegio” cosa successe ?
VASARI – Successe che il padrone della porta, il collezionista romano F.S., fece causa alla Biennale, e l'ente a sua volta tirò in ballo il colorificio G. e poi – essendo l’opera assicurata – le sei compagnie di assicurazioni coinvolte.

LUMEN – Immagino che, tra perizie e controperizie, la causa sia andata avanti per un bel pezzo.
VASARI – Sì. La causa è durata in tutto nove anni, e alla fine i giudici del Tribunale di Venezia hanno dato ragione al proprietario della porta (pardon, dell'opera), condannando l'ente culturale veneziano ad un risarcimento di quattrocento milioni di vecchie lire.

LUMEN – Che botta ! E i poveri operai ?
VASARI – Ne sono usciti senza danno. I giudici hanno deciso infatti che la colpa non era né degli operai né del colorificio, ma solo della Biennale per la leggerezza e la mancanza di diligenza nella direzione dei lavori e perché non avvertì i dipendenti del colorificio dell'esistenza dell' opera d' arte.

LUMEN – Beh, una vera opera d’arte non dovrebbe avere bisogno di cartelli.
VASARI – Sono d’accordo.

LUMEN – Ma la porta, in fondo, non era andata distrutta: era stata danneggiata solo superficialmente.
VASARI – Ma era stata alterata. Nel corso della causa, i giudici veneziani avevano chiesto una perizia sull’opera al professor R.D.G., il quale aveva così concluso: ”Siamo di fronte ad un vecchio oggetto mitizzato e sacralizzato che ha un senso artistico solo in quanto quella vecchia porta, sporca e insignificante, è stata a suo tempo utilizzata da Duchamp che l'ha firmata e datata, dandole da quel momento in poi un valore di feticcio”.

LUMEN – E quindi ?
VASARI – Quindi, secondo il Tribunale di Venezia, l'imbrattamento della porta di Duchamp, con la parziale abrasione della firma e della data, e la perdita della patina originaria, avevano costituito un nocumento irreparabile al pregio dell'opera, traducendosi in un grave danno economico, sicuramente risarcibile.

LUMEN – E come venne stato calcolato, in concreto, il danno subito dal proprietario collezionista ?
VASARI – Venne quantificato – un po’ salomonicamente, direi - nella metà del valore a suo tempo assicurato, trasformato in lire. A questo si sono poi aggiunti gli interessi maturati nel frattempo, fino ad arrivare così alla somma indicata nella sentenza.
 
LUMEN – Quindi, correggetemi se sbaglio, il signor collezionista di cui sopra, senza perdere la sua preziosa porta di Duchamp, si è ritrovato con un risarcimento economico milionario, tanta pubblicità intorno al suo nome e, per soprammercato, anche una bella riverniciata gratis. 
VASARI – Proprio così.
 
LUMEN – E poi dicono che l’arte moderna non rende….

giovedì 17 dicembre 2015

Terra promessa

Sono ormai decenni che, nella “terra promessa” di Israele, o di Palestina che dir si voglia, ebrei ed islamici se le danno di santa ragione.Dopo tanto tempo, tante incomprensioni, tanta violenza e tante crudeltà sembra davvero difficile dividere in modo ragionevole i torti e le ragioni, ma ci si può provare. Ce ne parla il saggista americano Sam Harris in questo interessante post, tratto dal blog “Il Censore”.
LUMEN



<< La mia posizione su Israele è in un certo senso paradossale. (…) Non penso che Israele dovrebbe esistere in quanto stato ebraico. Credo che sia osceno, irrazionale e ingiustificabile avere uno stato organizzato attorno a una religione. Quindi non celebro l'idea che esista una patria ebraica nel Medio Oriente. Certamente non sostengo alcuna pretesa ebraica su beni immobili basata sulla Bibbia. (…)

La giustificazione per uno stato simile [però] è piuttosto facile da trovare. Non c'è bisogno di cercare qualcosa, oltre il fatto che il resto del mondo si sia dimostrato entusiasta di assassinare gli ebrei in quasi ogni occasione. Così, se ci dovesse essere uno stato organizzato attorno alla protezione di membri di una singola religione, dovrebbe certamente essere uno stato ebraico. (…)
 
È superfluo dire che, nel difendere il suo territorio in quanto stato ebraico, il governo israeliano e gli israeliani stessi hanno fatto cose terribili. Hanno combattuto, come stanno combattendo ora, delle guerre contro i palestinesi che hanno causato perdite enormi di vite innocenti. A Gaza sono stati uccisi (…) più civili che miliziani. Questa non è una sorpresa perché Gaza è uno dei posti più densamente popolati della terra. Occuparla, combattervi delle guerre, dà la garanzia di far uccidere donne e bambini e altri civili.
 
E probabilmente ci sono pochi dubbi che nel corso di diverse guerre gli israeliani abbiano compiuto azioni che equivalgono a crimini di guerra. Sono stati brutalizzati da questo processo, ovvero, sono stati resi brutali da esso. Ma questo è per lo più dovuto al carattere dei loro nemici.
 
Qualunque cosa terribile gli israeliani abbiano compiuto, è anche vero che hanno adoperato più autocontrollo nella loro lotta contro i palestinesi di quanto noi – americani, o europei occidentali – abbiamo usato in una qualunque delle nostre guerre. Hanno sostenuto più esami pubblici minuziosi di livello mondiale di qualunque altra società, che si sia mai dovuta difendere da degli aggressori. Semplicemente gli israeliani sono tenuti a misurarsi con uno standard differente. E le condanne rivolte loro dal resto del mondo sono del tutto sproporzionate rispetto a ciò che hanno realmente fatto.
 
È chiaro che Israele sta perdendo la guerra delle pubbliche relazioni e la stia perdendo ormai da anni. Per gli osservatori esterni una delle cose più irritanti dell'attuale guerra a Gaza è la perdita sproporzionata di vite umane da parte palestinese. Questo non ha un gran senso dal punto di vista morale. Israele ha costruito dei rifugi anti-bomba per proteggere i suoi cittadini. I palestinesi hanno costruito tunnel attraverso i quali possono lanciare attacchi terroristici e rapire gli israeliani. Israele dovrebbe forse essere incolpata per essere riuscita a proteggere la propria popolazione in una guerra difensiva? Penso di no.
 
Ma è impossibile guardare alle immagini che escono da Gaza (…) e pensare che questo sia qualcosa di diverso da un male mostruoso. Nella misura in cui gli israeliani sono i perpetratori di questo male, sembra impossibile sostenerli. E non c'è dubbio che i palestinesi abbiano sofferto terribilmente per decenni sotto l'occupazione. Qui è dove la maggior parte dei critici di Israele sembra fermarsi. (…)
 
La verità è che c'è una differenza morale scontata, innegabile ed enormemente significativa tra Israele e i suoi nemici. Gli israeliani sono circondati da persone che hanno esplicite intenzioni di genocidio nei loro confronti. Lo statuto di Hamas è esplicitamente genocida. Auspica un tempo, basato su una profezia coranica, quando la terra stessa chiederà urlando sangue ebraico, in cui gli alberi e le pietre diranno «O musulmano, c'è un ebreo che si nasconde dietro di me. Vieni a ucciderlo». Questo è un documento politico. Stiamo parlando di un governo che è stato eletto al potere da una maggioranza dei palestinesi.
 
La discussione nel mondo musulmano circa gli ebrei è assolutamente sconvolgente. Non solo c'è la negazione dell'Olocausto, [ma] l’affermazione che lo metteranno in atto realmente se sarà data loro l'opportunità. L'unica cosa più odiosa del negare l'Olocausto è dire che sarebbe dovuto esserci; non è avvenuto, ma se ne avremo l'opportunità, lo compiremo. Ci sono programmi televisivi per l'infanzia che insegnano ai bambini di cinque anni le glorie del martirio e la necessità di uccidere gli ebrei.
 
E questo è il cuore della differenza morale tra Israele e i suoi nemici. (…) Per comprendere questa differenza morale, dovete chiedervi cosa ciascuna parte farebbe se avesse il potere di compierla.
 
Cosa farebbero gli ebrei ai palestinesi se potessero far loro tutto ciò che vogliono? Beh, conosciamo la risposta a questa domanda, perché possono fare più o meno qualunque cosa vogliano. Domani l'esercito israeliano potrebbe uccidere tutti quelli che sono a Gaza. Quindi questo che significa ? Beh, significa che, quando sganciano una bomba su di una spiaggia e uccidono dei bambini palestinesi, come è avvenuto, questo è quasi certamente un incidente. Non stanno mirando ai bambini. Potrebbero mirare a tutti i bambini che vogliono. (…)
 
Ora, è possibile che alcuni soldati israeliani diventino furiosi sotto pressione e finiscano per sparare nel mucchio dei bambini che lanciano pietre ? Naturalmente. Troverete sempre dei soldati che agiscono in questo modo nel mezzo di una guerra. Ma sappiamo che questo non è lo scopo generale di Israele. Sappiamo che gli israeliani non vogliono uccidere civili, perché possono ucciderne tanti quanti ne vogliono, e non lo stanno facendo.
 
Cosa sappiamo dei palestinesi ? Cosa farebbero i palestinesi agli ebrei di Israele se lo squilibrio dei poteri fosse invertito ? Beh, ci hanno detto cosa farebbero. Per qualche ragione, i critici di Israele semplicemente non vogliono credere al peggio riguardo a un gruppo come Hamas, anche quando esso stesso dichiara il peggio.
 
Abbiamo già avuto un Olocausto e diversi altri genocidi nel ventesimo secolo. La gente è capace di commettere genocidi. Quando ci dicono che intendono commettere un genocidio, dovremmo crederci. Ci sono tutte le ragioni per credere che i palestinesi ucciderebbero tutti gli ebrei di Israele, se potessero. Ogni palestinese approverebbe il genocidio ? Naturalmente no. Ma un enorme numero di loro – e di musulmani di tutto il mondo – sì. 

Inutile dire che i palestinesi in generale, non solo Hamas, hanno una storia alle spalle riguardo al prendere di mira civili innocenti nel modi più sconvolgenti. Si sono fatti saltare in aria su autobus e ristoranti. Hanno massacrato degli adolescenti. Hanno assassinato degli atleti olimpici. Ora lanciano indiscriminatamente razzi su aree civili. E di nuovo, lo statuto del loro governo a Gaza ci dice esplicitamente che vogliono annientare gli ebrei, non solo in Israele ma ovunque.
 
La verità è che tutto ciò di cui avete bisogno di sapere riguardo la differenza morale tra Israele e i suoi nemici può essere compreso nel caso degli scudi umani. Chi usa scudi umani? Beh, certamente li usa Hamas. Lanciano i loro razzi da quartieri residenziali, dalle vicinanze di scuole, ospedali e moschee. Anche in altri conflitti recenti, in Iraq e altrove, i musulmani hanno usato scudi umani. Hanno poggiato i propri fucili sulle spalle dei propri figli e sparato da dietro i loro corpi.
 
Considerate la differenza morale tra l'usare scudi umani e l'essere dissuasi da essi. È questa la differenza di cui stiamo parlando. Gli israeliani e le altre potenze occidentali sono dissuase, per quanto in modo imperfetto, dall'uso musulmano di scudi umani in questi conflitti, così come dovremmo essere. È moralmente ripugnante uccidere civili se lo si può evitare. È certamente ripugnante sparare attraverso i corpi di bambini per colpire il tuo avversario.
 
Ma prendetevi un momento per riflettere su quanto spregevole sia questo comportamento. E per comprendere quanto sia cinico. I musulmani stanno agendo in base alla supposizione – l'informazione, in effetti – che gli infedeli che combattono, proprio quelle persone che la loro religione non fa altro che denigrare, saranno dissuasi dal loro uso di scudi umani musulmani. Essi considerano gli ebrei la progenie di scimmie e maiali, eppure contano sul fatto che non vogliono uccidere civili musulmani.
 
Ora immaginate di invertire i ruoli. Immaginate quanto sarebbe futile – e sicuramente comico – se gli israeliani tentassero di usare scudi umani per dissuadere i palestinesi. Alcuni sostengono che l'abbiano già fatto. Ci sono resoconti secondo cui i soldati israeliani abbiano occasionalmente messo dei civili palestinesi di fronte a sé mentre avanzavano in aree pericolose. Non è questo l'uso di scudi umani di cui stiamo parlando. È un comportamento oltraggioso. Indubbiamente costituisce un crimine di guerra.
 
Ma immaginate gli israeliani disporre come scudi umani le proprie donne e i propri bambini. Naturalmente questo sarebbe ridicolo. I palestinesi stanno cercando di uccidere tutti. Uccidere donne e bambini fa parte del piano. Invertire le parti qui produce una parodia grottesca (…). Se avete intenzione di discutere del conflitto nel Medio Oriente, dovete riconoscere questa differenza. Non penso che da nessuna parte vi sia una disparità etica che sia più sconvolgente e significativa di questa.
 
E la verità è che questo non è neppure il peggio che i jihadisti fanno. Praticamente Hamas è un'organizzazione moderata, paragonata ad altri gruppi jihadisti. Ci sono musulmani che si sono fatti saltare in aria tra folle di bambini – di nuovo, bambini musulmani – solo per colpire i soldati americani che stavano distribuendo loro caramelle. Hanno commesso attentati dinamitardi suicidi, solo per mandare un altro attentatore all'ospedale per attendere i feriti, dove poi hanno fatto saltare in aria tutti i degenti, con i dottori e le infermiere che stavano cercando di salvare le loro vite. (…)
 
Cosa farebbero gli israeliani se potessero fare ciò che vogliono ? Vivrebbero in pace con i loro vicini, se avessero vicini che vogliono vivere in pace con loro. Continuerebbero semplicemente a costruire il loro settore dell'alta tecnologia e prospererebbero.
 
Cosa vogliono gruppi come l'ISIS e al-Qaeda e persino Hamas ? Vogliono imporre il loro punto di vista religioso al resto dell'umanità. Vogliono reprimere ogni libertà cara alle persone rispettabili, educate e secolari. Questa non è una differenza banale. Eppure a giudicare dal livello di condanna che ora Israele riceve, pensereste che la differenza fosse nel senso opposto. >>
 
SAM HARRIS

sabato 12 dicembre 2015

C’era una volta

Alcune considerazioni del professor Pietro Melis sull’evoluzione della vita sulla terra, la comparsa della nostra specie (Homo sapiens sapiens) e la sua incompatibilità con i miti religiosi (dal suo blog). 
LUMEN


<< Nel [periodo geologico del] Permiano, a causa di eruzioni vulcaniche avvenute 240 milioni di anni fa, sparì sulla Terra arroventata della Pangea il 95 % di tutte le specie viventi. Fu un caso o una necessità? In questo caso si può dire che prevalsero le necessità fisiche dell'assestamento del sottosuolo terrestre. Quel 5 % che sopravvisse diede poi luogo alla successiva formazione di altre specie viventi.
 
Sino a 65 milioni di anni fa la Terra fu abitata da insetti e da grandi rettili, mentre piccoli mammiferi vivevano nascosti e infrattati in piccole caverne uscendo di notte per nutrirsi perché di giorno potevano essere prede dei grandi rettili, che tuttavia non erano tutti carnivori. Infatti vi erano anche dei grandi rettili vegetariani che si difendevano bene da quelli carnivori.
 
Circa 65 milioni di anni fa un grande meteorite lungo circa 11 km impattò sulla Terra (sulla attuale penisola Yucatan del Messico) alla velocità di 70.000 km orari (…). La conseguenza fu tremenda: (…) la potenza di impatto fu pari all'energia di migliaia di bombe atomiche. Il pulviscolo sollevato dal meteorite pervase tutta l'atmosfera terrestre. (…) La conseguenza ulteriore fu l'oscuramento della Terra (…) e tale oscuramento fu la causa di una glaciazione di tutta la Terra.
 
A causa di tale glaciazione scomparvero tutti i grandi rettili (…) che non potevano più trovare cibo per nutrirsi. In effetti la concausa, che fu la causa principale della loro scomparsa, fu dovuta al fatto che i grandi rettili, come tuttora i rettili, sono a sangue freddo e hanno perciò bisogno di assumere continuamente del caldo dall'esterno (come le lucertole) perché sono privi di termoregolazione, come [invece] i mammiferi.
 
Se non fossero scomparsi tutti i grandi rettili, non vi sarebbe stata la successiva evoluzione di quei piccoli mammiferi. (…) I mammiferi sono la conseguenza di una evoluzione casuale di alcuni piccoli rettili che, già quando vi erano i grandi rettili, avevano subito delle modificazioni genetiche assumendo, ma solo parzialmente, i caratteri dei mammiferi. I biologi evoluzionisti hanno infatti introdotto la fase MAMMALIANA come fase di trapasso dal rettile al mammifero. (…)
 
Gli uccelli [secondo alcuni] sarebbero derivati da rettili che avevano avuto mutamenti genetici che consentirono loro di avere delle ali che, allungatesi sempre di più, consentivano loro di scendere su un albero con un volo planato, di discesa e non di ascesa. Falso. (…) Le penne delle ali si formarono unicamente come mezzo di protezione dal freddo. Infatti molte penne delle ali di tutti gli uccelli non sono affatto funzionali al volo. Il volo fu una conseguenza della formazione delle penne delle ali. Infatti vi sono molti uccelli che non volano. Come i pinguini e le galline.
 
A questo punto la domanda sorge spontanea: quel meteorite cadde per caso o per necessità? Certamente cadde per caso. E se questo è vero, quel meteorite fa franare ogni religione.
 
Infatti se è stato il caso a far scomparire tutti i grandi rettili e a favorire l'evoluzione ulteriore dei mammaliani e successivamente di tutti i piccoli mammiferi, poiché senza l'evoluzione dei mammiferi che ha dato luogo alla diversificazione di tutte le specie dei mammiferi non vi sarebbe stata l'evoluzione biologica sino all'uomo, si può concludere che anche l'apparizione dell'uomo sulla Terra è dovuta originariamente al caso, cioè a quel meteorite che cadde casualmente sulla Terra.
 
Da questa visione dell'evoluzione si trae una concezione che sconfigge qualsiasi concezione antropocentrica e perciò ogni religione. (…)
 
L'evoluzione dell'homo [va] dalla fase dell'australopithecus all'homo erectus di un milione e mezzo di anni fa, (…) per concludersi con il sapiens di Neanderthal e il “Sapiens sapiens”. Sono state affacciate varie ipotesi sulle cause dell'estinzione del Neanderthal, che si sarebbe trovato già in Europa 200.000 anni fa e che venne a contatto successivamente con il Sapiens sapiens.
 
Non è verosimile, ritengo, che il Neanderthal (che aveva un cranio di volume maggiore rispetto a quello del Sapiens sapiens) sia stato sterminato dal Sapiens sapiens. Le relative popolazioni erano così scarse e le regioni così vaste che non poteva esistere una competizione tra le due popolazioni. E' più verosimile che le due popolazioni si siano incrociate. (…)
 
[Vi è anche] l'ipotesi, sostenuta da alcuni studiosi, che in realtà il Sapiens sapiens non abbia avuto origine in Africa per poi diffondersi sino all'Asia, ma sia l'ulteriore evoluzione dell'erectus, giacché resti fossili dell'erectus si sono trovati persino in alcune isole dell'Indonesia e risalenti a 800.000 anni fa. Il che fa pensare che l'erectus fosse già in grado di costruirsi delle zattere per navigare tra le isole indonesiane dopo essersi spostato dal continente asiatico.
 
In effetti l'erectus (…) aveva già l'uso del fuoco e da preda era diventato predatore, cuocendo le carni degli animali uccisi nella savana. Divenne carnivoro solo per ragioni di sopravvivenza nell'arida savana, ponendosi in concorrenza con gli altri predatori. Ma aveva conservato la struttura fisica dell'animale erbivoro quale era l'australopithecus. Divenne dunque carnivoro per motivi culturali e non naturali.
 
Che dunque il papa si confronti con questi argomenti, che ne demoliscono qualsiasi autorità. Ci dica se, secondo lui, fu Dio a scagliare il meteorite sulla Terra per favorire l'evoluzione dei mammiferi e ci dica in quale fase dell'evoluzione dall'australopithecus al Sapiens sapiens abbia introdotto nella specie homo l'anima immortale e con essa la responsabilità morale e la coscienza del peccato.
 
Ci dica infine in che cosa sarebbe consistito il peccato originale, senza il quale cade tutta la cristologia. Altrimenti chiuda la bocca e taccia per sempre, evitando di seminare come verità le sue favole religiose. E se non ha alcuna autorità scientifica il papa si deve astenere dal fare discorsi che riguardano l'ecologia ponendola sotto la tutela di argomenti religiosi, cioè, nel suo caso, del cristianesimo. 

Altrimenti, (…) si arriverebbe alla conclusione che Dio avrebbe programmato un certo disegno dell'Universo sino a giungere alla formazione del nostro sistema solare. Poi, visto che l'evoluzione tardava ad indirizzarsi verso la formazione della specie homo, avrebbe trovato l'espediente del meteorite.
 
Dunque Dio, persa la pazienza perché i dinosauri impedivano l'evoluzione dei mammiferi, scagliò il meteorite sulla Terra per far scomparire i dinosauri e aggiustare il progetto con variazioni in corso d'opera, visto che sulla base delle sole leggi fisico-biologiche non gli sarebbe stato possibile indirizzare l'evoluzione verso l'homo.
 
Come si vede, con le religioni si finisce sempre in barzelletta (…). I cristiani sono condannati a vivere da schizofrenici perché a scuola debbono imparare nozioni di biologia evoluzionistica, mentre poi debbono credere a ciò che dicono i vangeli. I cattolici debbono credere anche al papa. (…)
 
Per gli islamici il contrasto tra scienza e fede non si pone nemmeno: infatti nelle scuole e nelle Università islamiche è proibito insegnare l'evoluzione biologica. Preferiscono essere ciechi che schizofrenici.
 
Il papa ha detto che ogni essere vivente è degno di rispetto. Mi domando che cosa avesse in mente questo scriteriato dicendo ciò. Escludo che abbia volto fare un'affermazione da manifesto animalista. Infatti avrebbe dovuto essere più chiaro, invitando, per esempio, come minimo, a non identificare più il Natale e la Pasqua con una strage di agnelli. Più chiaramente e coerentemente avrebbe dovuto invitare i cristiani a diventare vegetariani.
 
In altro senso la stessa frase è priva di senso. Infatti dovremmo avere rispetto anche per tutti insetti nocivi, pulci, zecche, pidocchi, zanzare, etc. E perciò non dovremmo usare antiparassitari contro di essi. Ma l'esistenza di questi insetti dimostra che la natura non può far parte di un disegno intelligente (divino) della natura.
 
Se si considerano poi tutte le malattie provocate da virus e da batteri si dovrebbe concludere, come Jago nell'Otello di Verdi: “Credo in un Dio crudele. >>
 
PIETRO MELIS

sabato 5 dicembre 2015

Avanti Popolo !

La storia della “sinistra politica”, intesa come movimento ideologico di ispirazione socialista, è sempre oscillata tra le posizioni più moderate (la c.d. socialdemocrazia) e quelle più estremistiche (comunismo e simili). 
Questa oscillazione ha portato spesso ad errori storici, ovvero a fare scelte teoricamente giuste nel momento sbagliato, finendo per accumulare qualche successo e molte sconfitte.
Ce ne parla il politologo Aldo Giannuli in questi due brevi articoli, tratti dal suo sito.
LUMEN

 

<< Al suo sorgere [nell’800], il movimento socialista fu tutto rivoluzionario ed antisistema (salvo gli inglesi che sono sempre stati riformisti), tanto in Francia quanto in Italia, in Spagna ed in Germania. (…)
 
La svolta venne dopo il 1871, con la repressione della Comune di Parigi: un massacro di ferocia senza precedenti, con migliaia di comunardi fucilati o deportati. Lo shock fu molto forte e se, in seguito, questo spingerà le frange più di sinistra sulla strada dell’insurrezione, armata ma preparata scientificamente (il leninismo, in primo luogo), nell’immediato la lezione venne vissuta piuttosto come un perentorio invito alla moderazione.
 
La vittoria degli orientamenti riformisti, prima di tutto in Francia e Germania, poi in Italia e Spagna, venne fra gli anni settanta ed i primi novanta, proprio sulla base della riflessione sul tragico esito della Comune. Parve che la via elettorale e riformista fosse una manifestazione di saggezza: scambiare la velocità del processo con la solidità dell’avanzata e la sicurezza di non dover affrontare una repressione di quella gravità.
 
Lo stesso Engels, nell’ultimo decennio della sua vita (Marx era morto nel 1883) fu molto cauto nel criticare questi orientamenti. Peraltro, il clima culturale, dominato dall’evoluzionismo positivista – anche nelle scienze sociali e si pensi a Durkheim - assecondava e sosteneva questo corso di cose: la storia aveva una sua direzione di marcia, era dominata dalla legge fatale dell’evoluzione, che avrebbe spinto naturalmente il socialismo verso la vittoria.
 
Ne derivò una idea della lotta politica senza “salti”, come la natura, pertanto ogni rottura era rifiutata come un’avventura foriera di gravi pericoli. Sfortunatamente, non è vero che “natura non facit saltus” e, tantomeno la storia e la politica.
 
Esistono quei salti che dopo abbiamo imparato a chiamare “biforcazioni catastrofiche” e la riprova venne subito con la crisi finanziaria del 1907, con la 1° guerra mondiale, con il fascismo, con la crisi del 1929. Tutti fenomeni che la socialdemocrazia non capì e non seppe affrontare: di fronte alla guerra si piegò anche a votare i crediti di guerra, poi di fronte alla crisi del dopoguerra non seppe lontanamente che fare. Turati (…) non capì nulla del fascismo e così i capi della socialdemocrazia tedesca di fronte al nazismo. 

La sconfitta del movimento operaio fu equamente responsabilità delle impazienze del movimento comunista (per tutte, ricordiamo l’insurrezione spartachista) e delle “prudenze” della socialdemocrazia. Da allora, tutte le volte che un partito del movimento operaio si è trovato ad affrontare una lunga guerra di posizione è impercettibilmente scivolato in una sonnolenta routine riformista che lo ha reso incapace di riconoscere i momenti di crisi.
 
Il riformismo più o meno socialdemocratico, è pensiero politico adatto ai momenti ordinari della vita politica, ma quando arrivano i momenti di crisi del sistema, la socialdemocrazia, essendo interna al sistema stesso, non riesce a rendersene conto e regolarmente finisce travolta più degli altri, non avendo, come i liberali, il sostegno dei poteri forti.
 
Un socialdemocratico si riconosce da una cosa: che vuol fare la frittata, ma ha paura di rompere le uova. Il guaio è che quando arriva una crisi di sistema si solleva un’ondata di protesta popolare e se a dirigerla non sei tu, lo farà un altro. (…) A volte è l’essere troppo prudenti ad essere la posizione meno realistica. >> 


 << Ci fu un tempo in cui la sinistra si divise fra rivoluzionari, che volevano conquistare il potere con l’insurrezione armata e fondare, con un solo atto di volontà, un sistema sociale e politico totalmente diverso da quello esistente, e riformisti, che volevamo andare al potere con il voto, per cambiare il sistema attraverso una politica, appunto, di riforme graduali. (…)
 
Poi la “socialdemocrazia” accettò via via il sistema capitalistico, (…) mentre la sinistra “radicale”, abbandonata la prospettiva insurrezionale, manteneva l’aspirazione ad un diverso sistema sociale e si dichiarava “riformatrice” per distinguersi dai “riformisti” e pensava che le “riforme di struttura” potessero essere lo strumento idoneo a raggiungere l’obiettivo.
 
Per definizione, la sinistra riformista era “ritenuta interna al sistema”, mentre quella radicale “antisistema”, in riferimento alla sua alterità di sistema, a prescindere dai mezzi utilizzati per il cambiamento. Poi, man mano, anche la sinistra radicale (…) finì per accettare il sistema capitalistico, e ripiegò sulla difesa e l’espansione dello Stato Sociale.
 
In qualche modo, le politiche welfariste diventavano l’”alternativa interna al sistema”. Il sistema restava capitalistico, ma aperto ad una redistribuzione della ricchezza (in particolare attraverso la leva fiscale) ed alla modificazione delle gerarchie di classe attraverso le politiche sociali (in particolare l’istruzione e l’estensione dell’intervento statale in economia). Non si usciva dal sistema, ma lo si poteva modificare restando al suo interno, perché il sistema prevedeva alternative interne. (…)
 
Il presupposto comune a tutte queste posizioni è la possibilità di modificare la struttura economica attraverso l’azione politica (più moderatamente o più radicalmente), entro la cornice della sovranità dello stato nazionale. Anche la “rivoluzione mondiale” coltivata dall’Internazionale Comunista, scontava che la rivoluzione si affermasse nel contesto nazionale e la presa del potere avvenisse di contesto nazionale, in contesto nazionale. (…)
 
La rivoluzione neo-liberista [però] (…) ha distrutto questo presupposti:
 
1. affermando il primato della finanza sull’economia e dell’economia sulla politica.
 
2. costruendo un ordine gerarchico mondiale tendenzialmente monopolare (oggi in crisi) che riduce la sovranità degli stati nazionali.
 
3. sottraendo i grandi capitali finanziari al fisco, attraverso la mobilità mondiale dei capitali, che consente al “grande contribuente” di scegliere il fisco cui pagare le sue tasse.
 
4. attraverso la delocalizzazione produttiva e la liberalizzazione degli scambi commerciali che, inevitabilmente premia i paesi a costo del lavoro più basso e, quindi, agendo come attrattore verso il basso dei livelli salariali.
 
5. realizzando un sistema monetario sganciato dalla base aurea o, comunque, da parametri oggettivi e basato solo sull’apprezzamento reciproco delle monete, che fa dipendere la stabilità monetaria di ciascuno dalla dittatura del rating e dalle decisioni dei mercati finanziari, (…) di fatto, riducendo ai minimi termini la sovranità monetaria dei singoli paesi.
 
6. coprendo l’intero ambito rapporti economici a livello mondiale, con una fittissima rete di accordi e trattati internazionali (…) che precludono ogni politica diversa da quella neo-liberista e proibiscono esplicitamente l’intervento statale in economia.
 
7. impedendo ogni politica industriale nazionale, privatizzando le imprese pubbliche e promuovendo grandi fusioni internazionali a guida finanziaria.
 
8. liquidando i presupposti stessi dello stato sociale.
 
Di conseguenza, l’ordine neo-liberista ha carattere politicamente monistico e non ha spazio per una sinistra interna. Nel mondo della globalizzazione neo-liberista non c’è spazio per politiche keynesiane, per compromessi welfaristi e, di conseguenza, per ogni politica riformista. L’ordine neo-liberista non prevede alcuna sinistra interna, è tutto ed organicamente di destra. (…)
 
Ne consegue che occorre abbandonare la pratica istituzionale per passare a forme di lotta violente o addirittura armate ? Per nulla: (…) che si prenda il potere in un paese, tanto per via pacifica e legale, quanto per via violenta ed illegale, il problema non si sposta di un centimetro, perché il nuovo governo, comunque formatosi, avrebbe di fronte lo stesso problema: di fare i conti con un ordine mondiale ostile, dove l’unica variabile decisiva sarebbe quella dei rapporti di forza. (…)
 
Il che significa, [per la sinistra], che l’asse dell’azione politica si è spostata dall’arena nazionale a quella internazionale. >>
 
ALDO GIANNULI

martedì 1 dicembre 2015

Pensierini – XVIII

EQUILIBRIO ECOLOGICO
L’archeologo americano Steven LeBlanc ha provato ad analizzare il mito – piuttosto diffuso - secondo cui soltanto lo stile di vita “pacifico” dei primitivi cacciatori-raccoglitori sarebbe stato davvero in equilibrio ecologico col proprio ambiente.
In realtà neppure loro erano così innocenti.
Secondo LeBlanc, infatti, tutte le società umane hanno sempre superato le loro risorse di base, denudato la terra, fatto estinguere le altre specie del territorio; poi semplicemente si spostavano per fare la stessa cosa altrove, magari a spese delle “sfortunate” popolazioni residenti.
Lo squilibrio ecologico sarebbe quindi – in ultima analisi - la causa principale di tutte le lotte e le guerre della storia umana.
Adesso però lo spazio sulla Terra è finito, mentre forse su Marte c’è l’acqua. E se dichiarassimo guerra ai Marziani ?
LUMEN  


ASSASSINI SERIALI
Il giornalista inglese Steve Wells ha provato a fare un confronto biblico tra Satana e Dio, ovvero tra i simboli assoluti del male e del bene, e si è chiesto: «Chi ne ha uccisi di più, Satana o Dio ?».
Anche se la Bibbia non si può certo definire un testo neutrale, essendo totalmente schierata dalla parte di Dio, il risultato è assolutamente sorprendente.
A Satana sono attribuite appena 10 morti. Dieci.
Al contrario, limitandosi solo alle uccisioni per le quali è dato esplicitamente il contro delle vittime, Dio avrebbe ucciso 2.476.633 persone. Quasi due milioni e mezzo.
Ed il conto non include le vittime del diluvio di Noè, di Sodoma e Gomorra, o delle molte altre calamità naturali di cui la Bibbia è piena.
O Dio onnipotente e buono, dove sei ?
LUMEN


PIU’ VELOCE DELLA LUCE
Isaac Newton sosteneva che l’arena dell’universo era lo spazio (a 3 dimensioni) e che il tempo si limitava a scorrere uniformemente, per scandire la successione degli eventi.
Einstein, invece, fuse i due elementi ed introdusse il concetto di “spazio-tempo” (a 4 dimensioni), in base al quale ci si può muovere sia nel tempo che nello spazio.
Ma siccome la velocità massima nello spazio è, come noto, quella della luce (300.000 Km al secondo), e non può essere superata, il fisico Brian Greene ha elaborato una affascinante ipotesi: che gli oggetti si muovano nello spazio-tempo non a velocità diverse, ma tutti esattamente alla stessa velocità: quella della luce.
Ciò vuol dire che – siccome il moto è ripartito tra spazio e tempo - più siamo veloci nello spazio e meno lo siamo nel tempo. Più siamo veloci nel tempo e meno lo siamo nello spazio.
Quindi, anche quando crediamo di essere fermi, magari seduti in poltrona a leggere un libro, in realtà ci stiamo muovendo, nel tempo, alla velocità della luce.
Mentre, per converso, se le particelle di luce, i fotoni, si muovono solo nello spazio per la loro intera velocità, ciò vuol dire che non si muovono nel tempo, e che quindi sono… eterni. 
Com’è strana la fisica moderna.
LUMEN


DEMOGRAFIA ED ELITES
Sono convinto che il problema dello squilibrio demografico (e della conseguente crisi ambientale) sia totalmente nelle mani delle elites e della loro percezione.
Finché saranno convinti di esserne immuni (come ora), continueranno a parlarne senza fare nulla di concreto. 
Se invece si convinceranno di poterne essere danneggiati "direttamente", allora incominceranno a fare qualcosa.
Ovviamente "fare qualcosa" non significa risolvere il problema, perché i numeri sono numeri e potrebbe essere troppo tardi.
Ma l'eventuale soluzione del problema può arrivare solo dal loro.
LUMEN


LIBERISTI A META’
L'economista (eretico) Alberto Bagnai osserva che l'adesione entusiastica all'Euro nasconde in realtà parecchie contraddizioni:
<< Gli economisti “euristi” (spiacevole ossimoro) per la maggior parte appartengono al fronte “omodosso”, cioè neoclassico. Ma questa armata Brancaleone, per difendere la propria adesione ideologica all’euro, ricorre ad analisi che contraddicono le fondamenta del proprio pensiero. Ad esempio: perché mai un liberista dovrebbe essere così accanitamente contrario all’esistenza di un mercato, quello dei cambi ? >> 
Ma la coerenza, per certi personaggi, non è certo la dote principale. 
LUMEN


venerdì 27 novembre 2015

Procreazione assistita

GIUSEPPE - Maria, mia dolcissima fidanzata, c'è qualcosa di cui volevo parlarti.
MARIA – Dimmi, Giuseppe, mio promesso sposo.

GIUSEPPE - Sembri ingrassare attorno alla vita, e vomiti ogni mattina, e, ehm, non hai alcun periodo. Il che è strano, perché è come se…
MARIA – Fossi incinta ?

GIUSEPPE – Ecco sì, proprio quello.
MARIA – Ebbene sì ! Sono incinta ! Va bene ? Sono INCINTA !

GIUSEPPE - E come è possibile?
MARIA - Secondo te ?

GIUSEPPE - Non lo so, è per questo che te lo sto chiedendo. Voglio dire, sei ancora vergine, giusto ?
MARIA – Ma certo...

GIUSEPPE - Allora ?
MARIA - È stato Dio.

GIUSEPPE - Hai fatto sesso con….
MARIA – Ma no, no ! Naturalmente no ! Voglio dire, sai come fa Dio ? Ha semplicemente schioccato le dita, ha fatto una di quelle cose miracolose che fa lui e mi ha resa incinta.

GIUSEPPE - Dio ti ha resa incinta ?
MARIA - Sì.

GIUSEPPE - Maria, questo è semplicemente... assolutamente...
MARIA – …oddio…

GIUSEPPE – Bellissimo !
MARIA - Lo pensi davvero ?

GIUSEPPE – Naturalmente ! Chi non la penserebbe così ? Forza, dobbiamo raccontare la notizia a tutti !
 

MARIA - Forse dovremmo tenere la cosa tra noi due.
GIUSEPPE – Ma no, no, sciocca ragazza, questo è troppo importante ! Andiamo !



RABBINO - Cos'è questa storia, Giuseppe ? Spero vi sia una buona ragione per tutto questo clamore.
GIUSEPPE - Forza, Maria ! Di' anche al Rabbi quello che hai detto a me.
MARIA - Ehm...

GIUSEPPE – Su, coraggio.
MARIA - Dio mi ha resa incinta.

RABBINO - Giuseppe, Giuseppe, sai che non dovresti farlo prima…
GIUSEPPE - No, no, voi non capite !  È ancora vergine !  Dio l'ha resa incinta direttamente !

RABBINO - Quindi, quello che mi stai dicendo, praticamente, è che Maria è ancora una vergine ?
GIUSEPPE – Uh, uh !
 

RABBINO - E tu non hai fatto sesso con lei ? 
GIUSEPPE – Proprio no.
 

RABBINO - E che ora lei è incinta ?  
GIUSEPPE - Precisamente.
 

RABBINO - Quindi tu pensi che sia stato Dio a farlo ?  
GIUSEPPE - Quale altra spiegazione potrebbe esserci?
 

RABBINO - Giuseppe, questo è proprio... incredibilmente...
MARIA - … oddio ...

RABBINO – Fantastico !
GIUSEPPE – Appunto.

RABBINO - Un miracolo ! Un miracolo proprio qui a Nazareth !
GIUSEPPE – Che bello !

RABBINO - Pensavo che i miracoli accadessero solo a Gerusalemme !
GIUSEPPE – Anche io.

RABBINO – Forza ! Andiamo a diffondere la buona notizia ! 

GIUSEPPE – Andiamo !
 



ELISABETTA - È stato Dio ?
MARIA – Cioè… Mi sono fatta prendere dal panico ! È tutto ciò a cui sono riuscita a pensare !


ELISABETTA – Ma chi è il vero…
MARIA – Ehm. E’ quello a cui lo abbiamo raccontato.

ELISABETTA - Ah. Quindi è per questo che il Rabbi è stato al gioco.
MARIA - Beh, lui pensa di essere il padre, ad ogni modo. Perché, è importante ?

ELISABETTA - Da' una prospettiva differente a certe cose.
MARIA – Tipo ?

ELISABETTA – Adesso il Rabbi va dicendo in giro che tu, Maria, sei l'incarnazione definitiva della virtù femminile, che per questo Dio ha scelto proprio te come eletta tra le elette, e che tuo figlio diventerà la luce del nostro popolo.
MARIA - Mi sento così male per tutta questa confusione. Chissà che conseguenze potrà avere per la vita del mio bambino.

ELISABETTA - Devi guardare le cose in prospettiva, cara. Hai detto una piccola bugia innocente, ma la cosa finisce lì. Non è che tu abbia causato la caduta dell'Impero Romano.
MARIA – No certo. Ma se i Romani ne venissero a conoscenza ? Non voglio che il mio bambino, da grande, finisca crocifisso !

ELISABETTA – Certo che no.
MARIA – Lo credi davvero ?
 

ELISABETTA – Ma sì, dai. Nessuno continuerà a pensarci così a lungo. In un paio di mesi tutta questa faccenda si sgonfierà.
MARIA - Spero proprio che tu abbia ragione...

(Il dialogo è tratto, con alcune piccole modifiche, dal blog IL CENSORE, che, ovviamente, ringrazio. Lumen)

venerdì 20 novembre 2015

Bottino di guerra

La decrescita energetica che ci attende farà inevitabilmente aumentare la conflittualità tra i vari stati, che saranno costretti a scontrarsi per il controllo (il mantenimento o la conquista) delle fonti energetiche rimaste.
Ne deriverà, molto probabilmente, un aumento delle guerre, quanto meno di quelle locali. Però le guerre hanno un costo, e non solo a livello di perdite umana, ma proprio a livello energetico, e quindi anche loro soggiaciono alle ferree leggi dell’EROEI, ovvero del “guadagno energetico netto”.
Ce ne parla Antonio Turiel in questo post, tratto da Effetto Risorse.
LUMEN
 
 
 
<< Dal punto di vista etico, parlare del rendimento o beneficio della guerra sembra di un cinismo insopportabile, poiché innanzitutto la guerra è morte, feriti, distruzione, epidemie, fame, famiglie distrutte, illusioni perdute, caos, perdita di civiltà... Non c'è niente di eroico nella guerra per quanto la propaganda la glorifichi e pensare alla guerra in termini del proprio beneficio è deplorevole. Tuttavia, le guerre si fanno sempre per guadagnare qualcosa. (…)
 
D'altra parte, discutere del beneficio materiale della guerra può essere utile se si può dimostrare che tale beneficio materiale non si realizzerà, perché non è raggiungibile o perché semplicemente non esiste. Di fatto, nella misura in cui la nostra civiltà va consumando il suo prevedibile transito di decrescita energetica, le guerre successive saranno sempre meno interessanti dal punto di vista del beneficio. Addirittura, passato un certo punto (quello dei ritorni decrescenti), andare in guerra accelererà il nostro cammino verso il collasso, anziché ritardarlo.
 
La Storia mostra e dimostra, tuttavia, che riconoscere che ci si trova in un punto di ritorno negativo (in qualsiasi attività, non solo nella guerra) è molto difficile e generalmente si continua a fare la stessa cosa che si è sempre fatta (…) per inerzia, finché quella stessa inerzia è quella che accelera la nostra caduta. Quanti imperi aggressivamente espansionisti hanno collassato nella Storia ancora più rapidamente di quanto si siano espansi, proprio perché le nuove guerre finivano per porre un carico maggiore dei benefici che apportavano ? (…)
 
Comprendere e spiegare come mai la guerra sia materialmente onerosa può essere utile per far riflettere coloro che non vengono toccati dagli argomenti etici, ma che sono sensibili alle variazioni del loro portafoglio. Distinguerò [quindi] tre tipi di guerra, a seconda del loro rendimento energetico: le guerre di saccheggio, quelle di dominio e quelle egemoniche. (…)
 
 
Guerre di saccheggio
E' il tipo più semplice e di base di azione bellica, quello che ha l'EROEI più elevato. L'attaccante assalta un determinato territorio con l'intenzione più o meno dichiarata di prendere tutto ciò che può. Non si tratta di tenere una posizione, ma di prendersi il bottino e scappare di corsa. Questo tipo di conflitti di solito hanno dimensioni limitate, non essendo tipici di stati-nazione ma di bande mercenarie, pirati e simili.
 
Esempi storici di questo tipo di guerra sarebbero su piccola scala, quelle intraprese dai Vichinghi su tutta la costa del nord Europa o quella dei pirati nei sette mari, ma grandi nazioni lo hanno tenuto come forma di finanziamento. Per esempio, la Spagna del XVI e XVII secolo finanziava le proprie armate, praticamente mercenari, col saccheggio delle popolazioni conquistate (…).
 
Il costo di questo tipo di guerra è molto limitato: un uomo, un'arma e un sacco in cui mettere tutto ciò che si può saccheggiare. Al contrario, il rendimento è molto elevato, soprattutto in regioni dove da tempo non si verificava un saccheggio. Possiamo fare una stima del rendimento del saccheggio in funzione della sua frequenza: più tempo passa fra un saccheggio e l'altro, maggiore è il rendimento del saccheggio precedente. L'EROEI è sicuramente alto, anche se la quantità totale di energia ottenuta è relativamente piccola (…).
 
Le popolazioni di saccheggiatori non possono crescere in modo illimitato, visto che ci sono vari fattori che ne limitano l'espansione: la disponibilità di obbiettivi sufficientemente ricchi da garantire la sopravvivenza del gruppo stesso fino al saccheggio seguente, la necessità di lasciar passare un certo tempo prima di tornare a saccheggiare lo stesso luogo perché si possano riparare i danni e si torni a generare una ricchezza sufficiente (…), la difficoltà crescente a saccheggiare se la presenza dei saccheggiatori è molto nota, visto che le città rafforzano le proprie difese, ecc. (…)
 
Questo modello di guerra ha una certa somiglianza con le società dei cacciatori-raccoglitori (…), visto che si specializzano nel prendere le risorse dall'ambiente senza alterarlo, lasciandolo evolvere liberamente. Ma, al contrario dei cacciatori-raccoglitori, è molto difficile che i saccheggiatori raggiungano un equilibrio col proprio ecosistema e la cosa più probabile è che alla fine i saccheggiati si organizzino e finiscano per distruggerli, inseguendoli fino alle loro case se necessario.
 
 
Guerre di conquista
Questo tipo di guerra è quello preferito dagli stati-nazione. L'obbiettivo della guerra di conquista è mantenere il controllo permanente di un territorio e quindi delle sue risorse. Non basta, quindi, entrare in un territorio, bisogna occuparlo. Pertanto questo implica dispiegare un contingente militare ben addestrato e mantenerlo a tempo indeterminato su un territorio per garantire il flusso di risorse.
 
Anticamente, gli Stati occupanti rimanevano fisicamente al comando dei paesi occupati. Oggigiorno, approfittando del fatto che tutto il mondo è organizzato in Stati-nazione, gli Stati occupanti collocano un'amministrazione locale favorevole ai propri interessi e si rivolgono allo stesso esercito locale come garante della pace e dell'ordine, in favore dei suoi interessi. L'unica cosa che l'occupante mette in campo, a lungo termine, sono le imprese dedite all'estrazione delle risorse della nazione soggiogata.
 
Grazie a questo sotterfugio di esternalizzare l'occupazione con “subappaltatori locali” si è riusciti a diminuire di molto i costi di questo tipo di guerra, che in passato era molto onerosa (più di un impero ha ceduto a causa degli alti costi di una sola campagna militare fallita). Per questo motivo, le guerre di occupazione del passato avevano un EROEI molto basso e si occupavano soltanto paesi ricchi di risorse desiderate (…).
 
L'attuale sistema di esternalizzazione ha ridotto i costi per i paesi occupanti a quelli della prima campagna destinata ad annichilire la resistenza locale ed instaurare il governo amico, il che è molto più economico che incorrere in costi continui per anni, compreso quello di una opinione pubblica che, di solito, finisce per essere contraria, soprattutto quando si organizza una resistenza nel paese occupato, che comporta vittime umane per l'occupante che si accumulano (e senza contare gli arruolamenti forzati).
 
L'esternalizzazione ha funzionato molto bene per tutto il XX secolo, permettendo di dissimulare il motivo della nostra ricchezza. (…) Tuttavia, col crollo naturale, per ragioni fisiche e geologiche, dell'EROEI dei giacimenti di materie prime energetiche, le aziende occidentali si ritrovano in una situazione compromessa: per mantenere l'alto rendimento energetico delle sue fonti per l'occidente devono ridurre il beneficio netto per la popolazione locale. (…)
 
[Inoltre] i paesi occidentali si sono specializzati in eserciti di azione rapida e fulminante, che causano un grande danno iniziale con poco rischio per le proprie truppe, e non in occupazioni a lungo termine. Per questo le occupazioni a lungo termine, come quella dell'Afghanistan, sono tanto disastrose, perché hanno bisogno di un approccio militare diverso che implica un costo più alto che, semplicemente, non si vuole e non si può pagare.
 
Pertanto, l'EROEI delle moderne guerre di conquista sta diminuendo in perfetto parallelo con l'EROEI delle fonti energetiche che si vogliono controllare. Per questa ragione, imbarcarsi in guerre in paesi che hanno già superato il loro picco del petrolio non è solo eticamente disprezzabile, è anche economicamente ed energeticamente rovinoso. (…) 
 
Le guerre di conquista hanno alcune analogie con le società agricole: si vuol ottenere il controllo permanente di una risorsa, anche modificando l'ambiente per migliorarne il rendimento. Il problema delle guerre di conquista attuali è che le risorse desiderate non sono rinnovabili, pertanto il rendimento è obbligato a cadere, fino a rendere questo tipo di guerra un pozzo, anziché una sorgente, di risorse.
 
 
Guerre per l'egemonia
Questo tipo di guerra è quello proprio di un impero o, con una terminologia più moderna, di una super-potenza. L'obbiettivo della guerra per l'egemonia è mantenere lo status quo della “metropoli”. Queste guerre non hanno generalmente l'obbiettivo di ottenere il controllo di una risorsa, ma di mantenere un controllo che si ha già, e a volte non si fa neanche contro il paese che ha le risorse, ma contro uno dei paesi satellite, a loro volta controllati, che danno sostegno logistico alle operazioni.
 
Questo tipo di guerra è sempre un pozzo di risorse. Esempi di questo è il tipo di guerra che ha vissuto l'Afghanistan, sia con l'Unione Sovietica prima sia con gli Stati Uniti poi. Anche qui la tendenza è all'esternalizzazione: sono le guerre in prestito, (…) fatte da manovalanza appoggiata dalle super-potenze che si disputano l'egemonia sul territorio. Un esempio di questo tipo è la guerra civile che sta avvenendo in Ucraina, col controllo del flusso di gas naturale russo all'Europa sullo sfondo.
 
Le guerre per l'egemonia, come abbiamo detto, hanno per definizione un EROEI minore di 1 (cioè, si guadagna meno di quello che si consuma), quando non direttamente uguale a 0 (non si guadagna niente), perché l'obbiettivo molte volte non è tanto guadagnare, ma non perdere. Nella misura in cui una superpotenza è più globale e controlla più territori, deve combattere, direttamente o indirettamente, sempre più guerre per mantenere quello che ha già.
 
Essenzialmente sono guerre completamente territoriali, tipiche del maschio alfa, che hanno senso solo quando altri territori provvedono alle risorse necessarie per mantenerle. Sono anche, per il loro EROEI basso, il principale pozzo di risorse di molti imperi; siccome di solito sono ricorrenti nelle fasi di decadenza degli imperi, di solito sono anche la causa della loro perdizione.
 
Anche se queste guerre sono tipiche degli imperi, nella misura in cui questi si decompongono emergono paesi che si contendono lo spazio ora vacante, anche aspirando a diventare un impero che sostituisce un altro impero. Ma siccome a quel punto sono molti i paesi che si contendono quel luogo, su scala sempre più regionale, queste guerre sono sempre più complicate ed in realtà non si possono mai vincere in modo definitivo. Servono semplicemente a dissipare risorse più rapidamente. (…)
 
Come vedete, a lungo termine non tornano i conti per nessun tipo di guerra e in realtà la più redditizia è la più banale: il saccheggio. >>
 
ANTONIO TURIEL
 

venerdì 13 novembre 2015

L’interprete

La vittima del (breve) dialogo virtuale di questa settimana è Michael Gazzaniga, professore di psicologia all'Università della California a Santa Barbara e pioniere delle “neuroscienze cognitive”. Con lui parleremo dell’interazione tra mente e cervello, della funzione del c.d. “modulo interprete” e del sempre ingombrante concetto di “libero arbitrio”. Lumen


LUMEN - Secondo il trend oggi dominante nelle neuroscienze, gli esseri umani sarebbero macchine biologiche, soggette alle stesse leggi fisiche che governano il mondo.
GAZZANIGA – Sostanzialmente sì.

LUMEN - Questo approccio determinista ha implicazioni filosofiche e sociali importantissime: i neuro-scienziati ci stanno forse dicendo che il libero arbitrio e la responsabilità personale sono solo illusioni ?
GAZZANIGA - La questione non è così semplice: il cervello è sì una macchina di cui si conosce in buona parte il funzionamento, ma ciò non toglie che la persona sia convinta di essere libera, e soprattutto responsabile delle proprie azioni.

LUMEN – Questa, in effetti, è la nostra percezione.
GAZZANIGA – Siamo così convinti di essere padroni di ogni nostra azione, di poterla decidere e attuare a piacimento - in altre parole di poter contare sul libero arbitrio - che ci sembrerebbe folle solo mettere in dubbio tutto questo. Non ci passerebbe mai per la testa di dubitare del fatto che ci sentiamo degli agenti coscienti, con un senso unitario del sé, che agiscono con un fine personale.

LUMEN – Il buon vecchio “homunculus cartesiano”.
GAZZANIGA - Questa visione, però, attualmente è in crisi.

LUMEN – Lo immaginavo.
GAZZANIGA - Colpa, o merito se preferite, delle continue scoperte delle neuroscienze, grazie alle quali, negli ultimi decenni, abbiamo iniziato a capire come funziona il cervello e di riflesso abbiamo iniziato a diradare le nebbie che avvolgono l'emergere delle facoltà mentali, sulle quali poggia il nostri essere umani.

LUMEN – E le più recenti scoperte cosa ci dicono ?
GAZZANIGA – Ci dicono che il cervello è un insieme di moduli integrati fa loro, che lavorano in automatico e sono spazialmente localizzati, con buona pace delle ipotesi passate per cui le diverse funzioni cerebrali erano distribuite uniformemente in tutto l'organo.

LUMEN - Ma se il cervello è composto da moduli automatici, come emerge la coscienza del sé ?
GAZZANIGA - Tutto merito di quello che io chiamo il “modulo interprete” e che sembra una caratteristica unica della nostra specie.

LUMEN – E come funziona ?
GAZZANIGA - L’unità psicologica interna di cui facciamo esperienza emerge da un sistema specializzato, chiamato per l’appunto “interprete”, che dà spiegazioni a proposito delle nostre percezioni, dei nostri ricordi, delle nostre azioni e delle relazioni tra tutti questi. Ciò porta alla formazione di una narrazione personale, la storia che unisce i diversi aspetti della nostra esperienza cosciente in un insieme integrato.

LUMEN – Una sorta di ordine logico, che sorge dal caos delle percezioni.
GAZZANIGA – Esatto. Questa parte del cervello prende un effetto qualsiasi e crea, in modo rapido e immediato, una causa per spiegarlo. L'interprete, spiega continuamente il mondo usando gli input ricevuti dall'attuale stato cognitivo e gli indizi provenienti dall'ambiente circostante, senza considerare la fonte o la completezza dell'informazione.

LUMEN – Dove si trova, fisicamente, questo modulo ?
GAZZANIGA – Nell’emisfero sinistro.

LUMEN – L’emisfero della razionalità.
GAZZANIGA – Sì, ma fino ad un certo punto. L'interprete è attratto irresistibilmente dai rapporti di causa ed effetto, tanto da trovarli praticamente sempre, e non sa niente di casualità o fortuna.

LUMEN – Quindi può costruirsi anche delle narrazioni errate.
GAZZANIGA – Certamente, ma la sua utilità resta indiscutibile.

LUMEN – Il modulo interprete sarebbe, in sostanza, la sede della coscienza.
GAZZANIGA – Esatto. La coscienza, quindi, deve essere considerata una proprietà emergente. La nostra esperienza cosciente, infatti, si assembla continuamente “al volo”, mentre il cervello, utilizzando i suoi meccanismi, analizza i (mutevoli) segnali che gli pervengono dall’ambiente, e risponde rapidamente.

LUMEN – E qui entra in ballo anche il concetto di responsabilità sociale.
GAZZANIGA – Sì. Questa elaborazione a posteriori delle informazioni in entrata nel nostro cervello, unitamente alla considerazione che stiamo parlando del cervello di animali altamente sociali, quali noi siamo, ci portano ad affermare che la responsabilità è un contratto tra persone, una caratteristica della mente, non una proprietà del cervello.

LUMEN - E mente e cervello non sono la stessa cosa ?
GAZZANIGA – Non lo sono sicuramente. I ben noti esperimenti di Benjamin Libet, per esempio, hanno scoperto che in alcuni casi il cervello fa qualcosa prima che noi ce ne rendiamo conto.

LUMEN - Ma tutto ciò non ci solleva dal libero arbitrio e dalle responsabilità che ne conseguono ?
GAZZANIGA – Direi proprio di no. Altri esperimenti, infatti, hanno mostrato che in ognuno di noi c'è un'area della corteccia deputata all'auto-controllo. Inoltre, nei gruppi umani più diversi il sistema delle punizioni funziona, inibendo comportamenti contro le regole.

LUMEN – Quindi ?
GAZZANIGA – Quindi possiamo e dobbiamo essere considerati responsabili delle nostre azioni.

LUMEN – Grazie professore. Direi che il mio “modulo interprete” è rimasto pienamente soddisfatto.
GAZZANIGA – Mi fa piacere.