mercoledì 27 settembre 2017

Specchio delle mie brame

La scoperta dei Neuroni Specchio è stato uno dei grandi successi delle neuro-scienze, ed ha portato notevoli conseguenze nell’interpretazione dei rapporti sociali. Quelle che seguono sono le considerazioni sull’argomento di Cristina Cecchi, tratte da un più lungo articolo di MIcroMega. 
LUMEN
 

<< Con la scoperta dei neuroni specchio, le neuro-scienze hanno penetrato il tempio delle scienze sociali, rivoluzionando il modo in cui pensiamo i rapporti interpersonali.

All’inizio degli anni novanta, Giacomo Rizzolatti è stato protagonista delle ricerche che hanno condotto alla scoperta dei neuroni specchio in alcune aree della corteccia cerebrale – una scoperta ampiamente discussa e infine accettata dalla comunità scientifica, per portata rivoluzionaria paragonata da alcuni a quella del Dna.
 
Individuati nell’uomo nelle aree pre-motorie, inclusa l’area di Broca (quella che presiede all’attività del linguaggio), hanno la funzione di attivare le relazioni intersoggettive; per la precisione, hanno la caratteristica di attivarsi sia quando compiamo un’azione sia quando osserviamo altri compierla: sono i neuroni dell’empatia, e ci dicono che siamo neuro-biologicamente costruiti per provare le emozioni degli altri.
 
Si può immaginare che alle origini del percorso evolutivo siano sorte pratiche da cui l’uomo, procedendo per imitazione dell’azione altrui, ha iniziato l’apprendimento; tali processi imitativi sono regolati da neuroni particolari e hanno garantito lo sviluppo cognitivo della specie umana: grazie all’imitazione si sono diffusi gli strumenti, le tecniche, i rituali, le strategie di difesa, il linguaggio, divenendo parte della cultura del gruppo.
 
La trasmissione della cultura, con la possibilità di migliorare quel che il proprio predecessore ha trovato, è alla base dell’avanzamento della nostra specie. Senza l’imitazione la creatività serve a poco; e l’imitazione comporta la comprensione dell’agire dell’altro da sé. La comprensione biologicamente certificata, tuttavia, di per sé non è sufficiente a rivoluzionare l’idea di socialità.
 
L’uomo è neurofisiologicamente predisposto per imparare a compiere certe azioni (a questo ci si riferisce quando si parla di «neuroni pre-motori»); sta poi anche agli stimoli esterni far sì che tale sviluppo avvenga, che l’apprendimento si verifichi, e che quelle azioni entrino dunque nel patrimonio delle capacità di un individuo. Il che avviene per l’apprendimento delle funzioni motorie, ma si può considerare che avvenga anche per le funzioni empatiche.
 
Attraverso lo studio del sistema motorio della scimmia in situazioni di interazione sociale, Rizzolatti e la sua équipe hanno scoperto dei neuroni che si attivavano sia quando la scimmia compiva un’azione sia quando osservava lo sperimentatore compierla. «Abbiamo chiamato questi neuroni mirror, in italiano “neuroni specchio”», accertandoli poi anche per l’uomo: capiamo l’azione dell’altro proprio come se l’avessimo agita in prima persona.
 
Dopo la scoperta dei neuroni specchio Rizzolatti e colleghi si sono chiesti se ci siano neuroni specchio anche per le emozioni e hanno scoperto che nelle mappe di risonanza magnetica funzionale gli stessi punti si attivavano sia quando un’emozione era evocata da stimoli naturali (per esempio l’odore di uova marce) sia quando il soggetto vedeva – o meglio leggeva – la stessa emozione (il disgusto) in un altro.
 
In sostanza, l’uomo fa esperienza mentale delle stesse emozioni che prova un altro; le emozioni dell’altro non vengono capite cognitivamente, con l’intelligenza, ma sentite direttamente, come se fossero proprie: non si tratta solo di imitazione e comprensione, ma proprio di sentire se stessi come se si fosse l’altro.
 
In questo modo i neuroni specchio ci danno la facoltà dell’immedesimazione, della partecipazione, dell’empatia – il cui deficit sarebbe invece alla base di patologie come autismo, narcisismo, disturbo borderline della personalità.
 
L’evoluzione ha selezionato l’empatia come risorsa biologica indispensabile per la sopravvivenza della specie e degli individui che la compongono. L’empatia non è il vagheggiamento di un animo contemplativo e fiducioso: è una componente fondamentale inscritta nel tessuto cognitivo umano. Sta poi alla società esaltarla o deprimerla.  

Quando Hobbes descrive l’uomo dei primordi che cerca di accaparrarsi le risorse naturali per la propria sopravvivenza coglie senz’altro una verità antropologica: nessuno vuole negarlo. Tuttavia, se esiste un egoismo originario e ineliminabile nella natura umana, senza dubbio esiste un altro egoismo, un prodotto storico dell’organizzazione sociale individualistico-possessiva, la quale accentua l’egoismo naturale, fa leva su di esso e lo esaspera.  

Ma storia non è “fato”: il suo corso è in parte plasmabile. Scommettere sull’empatia anziché sull’egoismo significa pensare una società solidale anziché antagonistica, dare fiducia alla fratellanza che precede la legge, alla cooperazione che precede l’utile. Decidere una diversa evoluzione della specie. Modellare un’umanità nuova. >>

CRISTINA CECCHI

mercoledì 20 settembre 2017

Brocardo, chi era costui ?

Con il termine “brocardo” – molto amato da giudici ed avvocati – si indica una massima in lingua latina, che esprime un principio giuridico generale. 
La parola deriva, molto probabilmente, dall’alterazione del nome Burchardus, un vescovo di Worms (Germania) vissuto intorno all’anno 1000, che fu autore di un ponderoso trattato intitolato "Regualae Ecclesiasticae". 
I brocardi sono stati un pilastro della cultura giuridica europea per molti secoli, e siccome gran parte del diritto moderno è figlio del diritto romano, vengono citati ed utilizzati ancora oggi. Ecco qui di seguito alcuni dei brocardi più famosi.
LUMEN  


Absurda sunt vitanda. 
Le assurdità (di interpretazione della legge) sono da evitare.
 

A communi observantia non est recedendum. 
Non bisogna discostarsi dall'uso comune.
 

Acta simulata, veritatis substantiam mutare non possunt. 
I negozi giuridici simulati non possono mutare l'essenza della verità.
 

Caveat emptor. 
Stia in guardia il compratore. Ovvero, chi paga non si accontenti della protezione della legge, ma cerchi di tutelarsi da sé, ponendo una particolare attenzione a ciò che compra.
 

Coactus voluit, sed voluit. 
L'ha voluto per obbligo, ma l'ha voluto. La costrizione ad agire non significa sempre assenza di volontà da parte di chi viene costretto. Da ciò l'annullabilità (su richiesta dell’interessato), e non la nullità automatica dell'atto compiuto.
 

Consensus, non amor, facit nuptias. 
Il consenso, non l'amore, fa le nozze (massima del diritto canonico).
 

De minimis non curat praetor. 
I giudici più importanti (quali erano, all’epoca, i Pretori) non si curano delle piccole controversie.
 

Dormientibus iura non succurrunt. 
La legge non soccorre chi trascura i propri doveri (i dormienti).
 

Dura lex, sed lex. 
La legge è dura, ma è la legge.
 

Ei incumbit probatio qui dicit, non qui negat. 
L'onere della prova incombe a chi afferma (a colui che vuole far valere un diritto in giudizio), non a chi nega.  

Excusatio non petita, accusatio manifesta. 
Scusa non richiesta, accusa manifesta (ovvero: chi avanza delle scuse non richieste, si autoaccusa).
 

Fiat iustitia et pereat mundus. 
Sia fatta giustizia e perisca pure il mondo. Ovvero, il giudice decida secondo la legge, senza tenere conto dalle conseguenze. 

Ignorantia legis non excusat. 
Non si può perdonare l'ignoranza della legge. Cioè, la non conoscenza della legge non è accettabile come scusa per il mancato rispetto.
 

In claris non fit interpretatio. 
Nella chiarezza non si dànno interpretazioni. Se una norma è bene intelligibile, non è necessario darne una interpretazione.
 

In dubio pro reo. 
Nel dubbio, si giudica in favore dell'imputato.
 

Inadimplenti non est adimplendum. 
Non è necessario adempiere al proprio dovere con il negligente. Nessuno deve rispettare un'obbligazione, se la controparte non adempie la propria.
 

Ne bis in idem. 
Non si può andare due volte in giudizio per la medesima controversia. 

Nemo iudex in re sua. 
Nessuno sia al contempo giudice e parte in giudizio. 

Nemo potest alicui laedere. 
Nessuno può recare danno (ingiustamente) al prossimo. Stabilisce il principio generale della responsabilità e del conseguente risarcimento del danno.
 

Nullum crimen sine lege. 
Nessun reato senza legge. Nessun fatto può essere considerato come reato se ciò non è previsto da una legge dello Stato. 

Pacta sunt servanda..
I patti sono legge tra le parti (letteralmente, "i patti vanno rispettati"). 

Quae singula non probant, coniuncta probant. 
Quelle che da sole non provano, congiunte provano. Ovvero: molte argomentazioni sommate possono riuscire dove una sola non basta.
 

Reformatio in peius. 
Quando la sentenza di appello riforma in peggio quella di primo grado, comminando una pena più severa. 

Roma locuta, causa soluta. 
Roma ha parlato: la questione è chiusa. Ovvero, la decisione dell’autorità suprema rende inutile qualsiasi ulteriore discussione. 

Solve et repete. 
Prima adempi alla tua obbligazione, poi, se pensi davvero di avere ragione, chiedi il rimborso (principio tipico delle obbligazioni tributarie). 

Ubi lex voluit dixit, ubi noluit tacuit.
Dove la legge ha voluto ha detto, dove non ha voluto ha taciuto. 

Ratio legis. 
Lo spirito, la motivazione, della legge. E’ un elemento deve essere sempre tenuto presente quando in sede id applicazione o di interpretazione. 

Tempus regit actum. 
 Il tempo regola l’atto. Ovvero ogni atto o situazione giuridica deve essere valutata in base alla normativa vigente in quel momento. 

Tertium non datur. 
Una terza possibilità non è data. Quando la legge prevede solo due opzioni, non è possibile applicare un’altra.
 

Verba volant scripta manent. 
Le parole possono essere dimenticate, ma le cose scritte rimangono indelebili. Da qui, la particolare rilevanza in giudizio delle prove documentali rispetto a quelle testimoniali.

mercoledì 13 settembre 2017

Italians

Considerazioni varie, lette qua e là, sul carattere, le virtù ed i vizi degli italiani (vizi che, ovviamente, sono sempre gli altri, e quindi esclusi i presenti). Lumen


 
BIANCO, NERO E GRIGIO 
<< Gli italiani litigano volentieri. Come tutte le persone intelligenti hanno gusto a discutere, a schierarsi, a contrapporsi, e sono anche graziosamente civili nell'ascoltare ragioni e motivazioni altrui. 
Solo che di queste opinioni non tengono conto, e capita raramente che qualcuno, alla fine di una discussione, cambi idea, convinto dalle ragioni dell'avversario. 
Ciò è tanto più vero quando - ed è un caso frequentissimo - il dibattito avviene fra una metà degli italiani e un'altra metà. 
Se c'è un processo clamoroso, agli «innocentisti» si contrappongono subito i «colpevolisti», se c'è uno stormo di colombe subito verrà aggredito da una schiera di falchi, e se qualcuno grida «bianco!», dall'altra sponda gli verrà sicuramente risposto «nero!». 
Però c'è un tacito trucco che permette agli italiani di tirare avanti senza scannarsi davvero: in teoria il grigio non c'è, ma nella pratica sì. 
Alla fine «tutto si aggiusta»: è un modo di dire molto caro agli italiani e perennemente applicato.
Quando i contrasti arrivano a un punto tale da portare a rotture definitive, si trova sempre una soluzione conciliante, di cui tutti sono contenti fingendo di essere scontenti. 
Una volta prodotto - senza parere - questo grigio, ci si ridivide in bianchi e neri e la rissa può continuare fino al prossimo grigio. 
Tutto si aggiusta perché quasi mai si arriva a rompere qualcosa, a cambiare davvero. (…) 
Queste soluzioni mediane sono il segreto (incomprensibile agli stranieri) del perché un paese così litigioso, diviso in partiti inconciliabili fra loro, continua ad andare avanti, spesso bene, senza essere cosparso del sangue dei propri cittadini. 
Non potrebbe essere altrimenti per un popolo costretto, per oltre mille anni, a sopravvivere fra un Dio e un Cesare, perennemente nemici quanto saldamente legati fra di loro.>> 
GIORDANO BRUNO GUERRI


GENIO ITALICO 
<< Quando Mussolini gettò l’Italia in una guerra per la quale non era per nulla preparata, non si comportò forse da perfetto italiano, sentendosi furbo e capace di vincere una guerra senza combatterla ? 
Il Duce non fece nulla di diverso di ciò che fanno i nostri connazionali quando copiano agli esami, barano negli appalti, si fanno raccomandare, evadono le tasse e, in ogni campo, confermano l’infame costume nazionale di bassa moralità. 
Fra l’altro non ce lo nascondiamo: se Mussolini avesse vinto la guerra, sarebbe stato osannato nei secoli come una sorta di genio machiavellico. 
Perché dopo tutto aveva seguito il “genio” italico. 
Quando invece, in contrasto col carattere nazionale, volle risvegliare lo spirito combattivo degli antichi romani, ottenne soltanto di rendere ridicolo sé stesso e la nazione intera. >> 
GIANNI PARDO


POLITICA E MORALE 
<< In Italia si affaccia precocemente, proprio in questo periodo [il Rinascimento], un orientamento dell'opinione pubblica che resterà poi fondamentale nella vita nazionale: la politica è forza e astuzia; ogni tensione morale ne è esclusa, e portarvela è da ingenui. 
Coloro che fanno la politica e ruotano intorno al potere, ad ogni livello di esso, esercitano un'attività che si traduce in arbitrio, prepotenza e occasione di illecita fortuna; tenersene lontani è prudente e opportuno. 
I mutamenti di signoria frequentissimi, non accompagnati da nessun vero sussulto dell'opinione pubblica; la scettica speranza (se così si può dire) che il nuovo signore sia migliore del precedente; la desolata rassegnazione espressa nell'adagio «Franza o Spagna - purché se magna». 
Questi, ed altri tratti consimili della storia italiana sono paralleli, nel loro determinarsi, all'apparizione assai tempestiva di quello che Burckhardt definiva «l'uomo privato, indifferente alla politica e dedito tutto alle sue occupazioni in parte professionali, in parte accessorie. >> 
GIUSEPPE GALASSO


DIFFAMAZIONE CATTOLICA 
<< C’è [qui da noi] l'abitudine - che è solo italiana - dell'auto-diffamazione nazionale. (…) 
Ma la polemica antitaliana è in realtà polemica anti-cattolica, nasce con Lutero e diventa poi - dilagando alla grande sino ai nostri giorni - uno dei capisaldi della propaganda protestante. 
E, al suo seguito e sul suo esempio, di ogni propaganda anticlericale, illuminista, massonica; e chi più ne ha più ne metta. 
Il cattolico è, con sprezzo, il «papista»; ma il papa - che è l'Anticristo per la teologia dei «riformatori» ed è l'Oscurantista, il Repressore per ogni «progressista» -, il papa è quasi sempre italiano, sta comunque a Roma. 
E l'Italia, di cui è Primate, è la sua super-diocesi, da cui viene la maggioranza dei santi, dei fondatori, dei teologi. 
Denigrare cultura e costumi italiani, così profondamente forgiati dal cattolicesimo, diffamare questo Paese che da sempre dà il nerbo della classe dirigente della Chiesa, vuol dire polemizzare con il cattolicesimo. (…) 
Sino ai primi decenni del Cinquecento, il nostro prestigio è altissimo e senza discussioni, in Europa. «Italiano» è sinonimo di colto, di civile, di ammirevole. (…)  
Sino all'esplodere della furibonda propaganda di quel tedesco (Lutero) e degli altri riformatori contro «la Bestia romana», in nessuna lingua troverete mai espressioni come «all'italiana» in senso negativo; al contrario ! 
[Purtroppo] è una diffamazione che ha fatto fortuna, sino al punto di convincere gli stessi diffamati. >> 
VITTORIO MESSORI

mercoledì 6 settembre 2017

Consenso Popolare

Qualunque regime, anche il più tirannico e dittatoriale, ha bisogno di un certo consenso popolare, ma la democrazia, sicuramente, ne ha bisogno più di tutti. 
Quelle che seguono sono le considerazione di Aldo Giannuli (tratte dal suo sito) sullo stato attuale dei rapporti tra popolo ed élite nell’occidente democratico.  
LUMEN


<< Tutto lascia pensare che [in Europa] si aprirà una stagione di forti conflitti sociali e politici sia fra i ceti dominanti e quelli popolari, sia all’interno delle classi dominanti per la redistribuzione delle quote di potere.
 
La prima linea di frattura, in ordine di importanza, è certamente quella fra classi dominanti e classi subalterne. Per quanto un regime possa essere elitario, per quanto una democrazia possa celare un contenuto oligarchico dietro una maschera, tuttavia le classi popolari hanno pur sempre una quota di potere che le consocia e ne giustifica il consenso. Se questo non ci fosse, il sistema crollerebbe (che è poi quello che sta accadendo un po’ dappertutto in occidente) perché non esiste sistema politico (fosse anche dittatoriale) che può reggersi a lungo senza il consenso popolare.
 
Magari può trattarsi di un consenso meramente passivo di un popolo che si comporta secondo le norme del sistema, influenzato da inganni ideologico-propagandistici, ma pur sempre deve esserci una forma di consenso, senza della quale la disapplicazione delle regole diverrebbe automatica e con essa la fine del regime. E, da questo punto di vista, la democrazia è più fragile degli altri sistemi, perché basata ideologicamente sul fondamento del consenso popolare.
 
Costruendo lo spettro magnetico che tiene unita una compagine sociale, occorre concedere alle classi “dominate” una quota di ricchezza attraverso forme di redistribuzione di essa ed una quota di potere attraverso i meccanismi rappresentativi. Nelle democrazie europee questo è stato il compromesso social-democratico (e negli Usa il compromesso new-dealista) che ha concesso il welfare-state e la contrattazione collettiva e una quota di potere sociale attraverso il suffragio universale, integrato da specifici strumenti di trasmissione della domanda politica, quali i partiti di massa ed i sindacati.
 
Questa formula è stata distrutta dall’ondata neo-liberista, che ha demolito, in tutto o in parte, il welfare e la contrattazione collettiva ed ha emarginato o distrutto i partiti di massa ed i sindacati. La nuova formula di compromesso sociale – che ha sostituito quella del compromesso social-democratico - prevedeva concessioni come l’offerta low-cost di beni e servizi (basata sui bassi salari e la precarizzazione, sia all’interno interno sia, molto di più, nei paesi dove la produzione era delocalizzata), quote residue di assistenza sociale e, soprattutto, la creazione di denaro bancario generosamente dispensato.
 
Il “denaro bancario” ha creato per un certo periodo una liquidità aggiuntiva attraverso la concessione di carte di credito (che, di fatto, hanno procurato un mese in più di retribuzione), di più facili mutui (negli Usa soprattutto per l’acquisto della casa, e dappertutto per l’acquisto auto).
 
In Italia, peraltro, ha sopperito, alla falcidia dei posti di lavoro ed al crollo dei salari, il “welfare familiare” basato sulle retribuzioni dei quaranta-cinquantenni che ancora godevano dei frutti dell’avanzata salariale degli anni settanta, sulla “pensione del nonno” e sui risparmi consentiti dall’epoca d’oro della contrattazione salariale.
 
Sul piano politico si è accentuata la nota video-cratica a tutto danno della partecipazione politica reale e si è data l’ingannevole sensazione di un maggiore potere decisionale attraverso la scelta dell’uomo al comando, che, in realtà blindava il ceto politico attraverso il meccanismo del “voto utile” e mascherava la marginalizzazione del Parlamento, a vantaggio dell’esecutivo e del suo capo. L’Italia è stata un importante laboratorio in questo senso.
 
Con la crisi finanziaria il meccanismo si è rotto: il denaro bancario si è rivelato un meccanismo ingannevole, che “mangiava” le risorse delle generazioni future. In concreto ha rimandato il problema dei bassi redditi di una dozzina di anni, ma solo a costo di una crisi finanziaria devastante e non ancora risolta; i margini assicurati dai resti del welfare e della contrattazione collettiva si vanno consumando e le nuove generazioni sono del tutto scoperte.
 
Di conseguenza anche la truffa della “democrazia plebiscitaria” dove il popolo sceglie solo il semi-dittatore temporaneo, si è dissolta ed i ceti popolari hanno rivolto la loro rabbia contro i rispettivi ceti politici, avidi, incapaci, corrotti.
 
Sin qui la rivolta popolare ha avuto tre aspetti centrali: una rivolta fiscale contro una pressione ormai poco sostenibile, che sta condannando molti paesi ad una recessione permanente, una rivolta contro l’Europa identificata con la cupola “tecnocratico-bancaria” che sta dissanguando le economie nazionali, la richiesta di nuove forme di democrazia (come dappertutto accade con la richiesta di referendum).
 
Su tutto questo si è sovrapposta la reazione anti immigrazione, determinata da un insieme di cause: la sensazione che questa gente sottragga risorse ed occasioni di lavoro ai nativi, il timore per la sicurezza che indica negli immigrati una massa di criminali, ma soprattutto una reazione identitaria che teme di vedere sopraffatta la propria cultura. (…)
 
La globalizzazione, al contrario delle aspettative che immaginavano una crescente convergenza delle diverse identità culturali verso un modello unico, ha avuto, per ora, l’effetto opposto di una generale rivolta identitaria di ciascuno dei soggetti coinvolti. (…) E’ difficile dire che evoluzioni avrà il fenomeno, ma è evidente che è uno dei principali terreni di scontro nel prossimo futuro.
 
La proposta dei poteri finanziari per spegnere la protesta è quella del “reddito di cittadinanza” o, se si preferisce ”di sussistenza”, in cambio dell’accettazione dell’attuale ordinamento da parte delle classi subalterne. Si concede qualche briciola dei profitti della de-localizzazione, della speculazione finanziaria, del sotto salario generalizzato, in cambio della rinuncia a mettere in discussione gli aspetti di potere esistenti, ma si sbaglia chi pensa che si tratti del classico “piatto di lenticchie”, questo è meno di un piatto di lenticchie.
 
E’ interessante notare come questa proposta sia tanto popolare anche a sinistra (e parlo della sinistra radicale): trenta anni di diseducazione politica e di svalutazione culturale del lavoro hanno generosamente posto le premesse di questo naufragio politico ed ideale della sinistra.
 
Realisticamente, il cuore dello scontro sarà un altro e riguarderà la qualità del sistema democratico. Sbaglia chi pensa che gli equilibri istituzionali attuali di democrazia più o meno basata sullo Stato di diritto, sulla rappresentanza e sulle libertà di espressione, sciopero ecc. possa restare come è. Dopo i brividi procurati dalla Brexit, dall’elezione di Trump, eccetera, non è realistico pensare che le classi dominanti accettino di mantenere questi margini di partecipazione popolare: la prima misura da mettere in conto è la limitazione crescente dell’istituto referendario.
 
Dopo verranno, in un modo o nell’altro, misure di ridimensionamento del suffragio universale: c’è chi propone una ulteriore riduzione di potere dei parlamenti a tutto vantaggio delle élite tecnocratiche, (…) chi vorrebbe una seconda camera tutta di nomina dall’alto, chi progetta riforme del sistema elettorale pensate per blindare il blocco tecnocratico di centro. (…)
 
Dall’altro lato, la protesta popolare ormai chiede maggiore potere decisionale e, soprattutto, di controllo. Non si tratta solo della rabbia contro la cupola tecno-finanziaria della Ue, ma dell’esigenza di garantire la domanda politica dei ceti subalterni attraverso meccanismi che vadano oltre la democrazia rappresentativa.
 
Si tratta di innestare sul tronco delle nostre democrazie forti elementi di democrazia diretta che lo rivitalizzino, si tratta di estendere la democrazia oltre la sfera politica, facendola penetrare anche nella produzione, nella cultura, nella ricerca, nell’informazione.
 
E si tratta anche di “mettere al guinzaglio” i poteri extrapolitici, a cominciare dai poteri finanziari che godono oggi di una libertà inconciliabile con il bene comune, di una impunità penale e di una franchigia fiscale ormai intollerabili. Ed insieme ai poteri finanziari occorre mettere “sotto controllo” anche la classe politica troppo spesso incline ad entrare il rotta di collusione con i poteri finanziari e con la borghesia mafiosa, e troppo facile a corrompersi.  

Dunque, delle due l’una: o i nostri regimi prenderanno la strada di una trasformazione in senso partecipativo e democratico, oppure l’involuzione elitaria, finanziaria e para-criminale del sistema finirà per compiersi. >>
 
ALDO GIANNULI