sabato 29 novembre 2014

Come volevasi dimostrare

Tutti facciamo errori di previsione e tutti, quando ci accade, sentiamo vacillare la nostra autostima. Ma possiamo facilmente consolarci guardando dietro di noi, visto che la storia è lastricata di frasi sfortunate. Buon divertimento.
LUMEN



SECOLI ANTIQUI

1492 - Oggi è in pratica impossibile trovare terre ancora sconosciute. (Corte di Isabella di Spagna)

1592 - Questo Papa [Clemente VIII] è un galant'huomo perché favorisce i filosofi e posso ancora io sperare d'essere favorito. (Giordano Bruno)

1616 - Il Sole non gira attorno alla Terra ? Folle, eretico, assurdo e falso. (Tribunale dell'inquisizione)

1792 - Non c'è mai stato un momento come questo nella storia del nostro Paese [Francia], in cui, data la situazione in Europa, ci si sia mai potuti attendere ragionevolmente altri quindici anni di pace. (William Pitt, il Giovane)


OTTOCENTO

1805 - Una nave che va controvento? E' una sciocchezza. (Napoleone Bonaparte)

1829 - La fotografia durerà poco, per l'evidente superiorità della pittura. (Le Journal des Savantes)

1838 - Pensare di attraversare l'Atlantico con una nave a vapore è come pensare di andare sulla Luna: una follia. (Dyonisus Lardner)

1858 - Il canale di Suez ? Assolutamente impossibile da realizzare. (Benjamin Disraeli)

1859 - Scavare sotto terra per cercare petrolio ? Siete pazzi ? (Compagnia mineraria)

1864 - Pierre-Auguste Renoir è un ragazzo senza alcun talento. Ditegli, per favore di smettere di dipingere. (Edouard Manet)

1870 - L'esercito americano è il miglior amico degli indiani. (George A. Custer)

1872 - Dopo la creazione del regno d'Italia, Roma non ospiterà più il Papa. (Ernest Renan)

1879 - Questa invenzione dell'energia elettrica è un fallimento totale. (Erasmus Wilson)

1895 - Il cinema è un'invenzione senza futuro. (Louis Lumiere)

1895 - E' impossibile che qualcosa più pesante dell'aria possa volare. (Lord Kelvin)

1899 - L'auto rimarrà sempre un lusso per pochi. (The Literary Digest)


NOVECENTO – PARTE PRIMA

1900 - Nella fisica non c’è niente di nuovo da scoprire: rimane solo da fare misure sempre più precise. (Lord Kelvin)

1901 - Veicoli per andare sott'acqua? Servirebbero solo ad annegare gli equipaggi. (H.G. Wells)

1901 - Per almeno altri 50 anni l'uomo non volerà. (Wilbur Wright)

1908 - Gli aerei non andranno mai veloci come i treni. (William H. Pickering)

1909 - Che l'automobile abbia raggiunto il limite del suo sviluppo è dimostrato dal fatto che nel corso dell'ultimo anno non è stata introdotta nessuna miglioria davvero radicale. (Scientific American)

1916 - La cavalleria rimpiazzata da questi affari metallici [carri armati] ? E' assurdo. (Esercito britannico)

1922 - Grazie alla radio, i Giapponesi non potranno mai attaccarci di sorpresa. (Josephus Daniels)

1926 - Le televisione è tecnicamente possibile. Ma commercialmente è una perdita di tempo. (Lee De Forest)

1927 - Chi diavolo vuole sentire gli attori parlare ? (Harry Warner)

1928 - Prevedo che il '29 sarà un anno di prosperità. (Roger Babson)

1929 - L'abolizione del commercio degli alcolici è definitiva come l'abolizione della schiavitù. (Henry Ford)

1931 - Hitler è un tipo un po' strambo e non sarà mai cancelliere: diventerà, al massimo, ministro delle poste. (Paul von Hindenburg)

1934 - Credetemi, la Germania non può entrare in guerra. (David Lloyd Gorge)

1934 - Il prestigio di Picasso sta calando con grande rapidità. I sostenitori della sua fama e della sua pittura avranno il loro da fare per trovargli un posto tra i grandi. (Thomas Craven)

1936 - Lasciamo perdere: con un film così [Via col vento] non si incassa neppure un cent. (Irving Thalberg)

1939 - La famiglia americana media non ha tempo per guardare la televisione. (New York Times)

1943 - Penso che nel mondo ci sia mercato forse per 4 o 5 computer. (Thomas Watson),

1945 - La bomba atomica non esploderà mai. Parlo come esperto di esplosivi.  (William D. Lehay)


NOVECENTO – PARTE SECONDA

1956 - L'ipotesi di viaggi nello spazio è una totale assurdità. (Richard Van der Riel Wooley)

1963 - Alla maggior parte della gente il tabacco fa bene. (Ian Mac Donald)

1964 - Gli USA non sono in grado di inviare un uomo sulla Luna entro il 1970. (New Scientist)

1973 - Non vorrò mai diventare presidente degli Usa. (Ronald Reagan)

1974 - Non lascerò la Casa Bianca. (Richard Nixon)

1977 - Che bisogno ha una persona di tenersi un computer in casa ? (Kenneth Olsen)

1984 - E' ormai chiaro che non ci sarà in questo secolo alcuna riunificazione della Germania. (Flora Lewis)

1987 - Berlusconi ha straordinarie qualità di imprenditore – coraggio, fantasia, forza di lavoro – che gli hanno valso il successo in tutti i campi in cui si è cimentato. Una sola cosa non gli riesce di fare, il presidente di una società di calcio. (Indro Montanelli)

1993 - La clonazione di un mammifero è impossibile: sia oggi, sia in futuro. (Michael A. Froham)

1993 - È impensabile che il dottor Berlusconi entri in politica. Deve occuparsi dei suoi debiti. Stia fermo, tanto prenderebbe pochi voti. Non siamo mica in Brasile ! (Massimo D’Alema)


sabato 22 novembre 2014

Una finestra sul passato

L’intervista virtuale di questa settimana ha come interlocutore il bravissimo bio-geografo americano Jared Diamond, autore di libri fondamentali sulle nascita e la caduta delle civiltà umane come "Armi, acciaio e malattie" e "Collasso: come le società scelgono di fallire o di avere successo", Una finestra sul passato che deve servirci da guida anche per il futuro. LUMEN

  
LUMEN – Mister Diamond, Si dice che i collassi delle società, in genere, siano connessi ai danni ambientali.
DIAMOND – Sì, ma non solo. In realtà, non c'è nessun caso di collasso interamente dovuto all'ambiente. L'isola di Pasqua è forse il caso più vicino, ma bisogna ancora domandarsi perché gli abitanti dell'isola di Pasqua facevano queste cose folli, come abbattere tutti gli alberi sino all’ultimo.  Quindi c'è comunque un elemento umano. Poi ci può essere il cambiamento generale del clima, ed altre questioni.

LUMEN - Per esempio ?
DIAMOND - C’è la questione dei nemici che cercano di entrare in una società nel momento in cui quella società si è indebolita per qualche ragione. Ci sono anche episodi di amici o partner di mercato che possono indebolirsi e collassare essi stessi, così che, anche se stai amministrando bene le tue risorse, potresti essere travolto dai problemi del tuo vicino. E poi c'è l'intero elemento umano di come le persone rispondono o non riescono a rispondere a questi problemi. Quindi, per farla breve, la cornice è sempre più complicata di quanto sembra.

LUMEN – Quello dell'isola di Pasqua resta sicuramente il caso più affascinante. Perché?
DIAMOND - Perché la metafora è ovvia. L'isola di Pasqua è il più isolato e inabitabile pezzo di terra nel mondo. È un'isola del Pacifico a più di 2300 miglia dalla costa del Cile e a 1300 miglia dalla più vicina isola polinesiana. Quindi quando l'isola di Pasqua si è trovata in grossi problemi, non c'era alcun posto dove potessero rifugiarsi, e non c'era nessuno a cui potessero rivolgersi per chiedere aiuto. La gente vede la metafora: l'isola di Pasqua isolata nell'oceano Pacifico è come il pianeta Terra isolato nello spazio. Se avremo dei problemi, non potremmo rifugiarci in un altro pianeta, e di certo non ci sono extraterrestri verdi là fuori ai quali possiamo chiedere aiuto.

LUMEN – Un altro caso interessante è quello degli insediamenti degli “Uomini del Nord” in Groenlandia, insediamenti che durarono per circa 450 anni, ma che alla fine scomparvero, mentre la vicina società Inuit, fu capace di sopravvivere.
DIAMOND - Gli uomini del Nord scomparvero anche perché rifiutarono di abbandonare alcuni dei  loro "valori profondi", e finirono per morire di fame anche se le acque attorno a loro erano piene di pesce.

LUMEN - Com’è possibile ? Come si può spiegare una decisione come questa ?
DIAMOND - E’ una cosa affascinante e spaventosa: pensare a persone che muoiono di fame in mezzo ad abbondante cibo, solo perché  riguardo al esso hanno dei tabù. Ma gli uomini del Nord indicano anche che il collasso, perfino in un ambiente difficile come la Groenlandia, non è inevitabile perché un altro popolo, gli Inuit, o Eschimesi, sopravvivevano mentre gli uomini del Nord morivano, e si rifiutavano di imparare dagli Inuit. La tragedia dovuta al fatto che i valori che erano stati per loro giusti e vantaggiosi per secoli, e che avevano consentito loro di sopravvivere in isolamento ad una settimana di navigazione pericolosa dall'Europa, che avevano cementato la coesione del gruppo e l’orgoglio nella loro identità europea, ecco questi stessi valori furono proprio quelli che alla fine si rivelarono fatali.

LUMEN - Una lezione che può valere anche oggi.
DIAMOND - Certamente. Prendiamo gli Stati Uniti: gli stessi valori che hanno funzionato bene per noi americani per secoli, e in particolare il nostro isolazionismo, il nostro senso di protezione dal resto del mondo, la nostra persuasione di essere fortunati perché viviamo in una terra di abbondanti risorse, oggi non sono più veri. Ed è terribile dover riaggiornare i valori profondi che sono diventati obsoleti.

LUMEN - Quindi il processo decisionale degli uomini del Nord non era più suicida del nostro di oggi ?
DIAMOND – Beh, sembra folle, a noi, che gli uomini del Nord non mangiassero pesce perfino mentre stavano morendo di fame. Ma poi ti chiedi, supponiamo che gli Stati Uniti non riescano a risolvere tutti i noti problemi che ci circondano adesso: problemi di energia, di petrolio, di acqua, di erosione del suolo. Che cosa pensi che dirà la gente (se ci saranno persone fra ottant'anni) quando guarderà indietro agli Stati Uniti che consumano il doppio del petrolio a testa rispetto alla Germania? La Germania ha uno standard di vita alto, come il nostro, ma ce la fanno con metà del petrolio che consumiamo noi. Non è assurdo che buttiamo via tutto questo petrolio?

LUMEN  – Sembra assurdo, sì.
DIAMOND - O non è assurdo che noi a Los Angeles, in un'area virtualmente deserta e quindi con problemi di acqua, abbiamo corsi di golf, giardini innaffiati, e sprechiamo la nostra acqua come se non fossimo dipendenti dal fiume Arizona o dal fiume Colorado, per i quali stiamo litigando con l'Arizona, o per la neve della Sierra, per la quale stiamo litigando con la California del nord? Quindi ci sono cose che noi americani stiamo facendo e che prendiamo per garantite adesso, ma che, credo, fra ottant'anni sembreranno folli.

LUMEN - Come conseguenza, si è creata una notevole tensione fra i paesi del primo mondo e i paesi del terzo mondo che aspirano agli standard di vita del primo mondo.
DIAMOND - Certamente, il pianeta non può sostenere la Cina e le altre nazioni del ”terzo mondo” e il “primo mondo” attuale se operano tutti ai livelli del “primo mondo". E d’altra parte è comprensibile che le persone che vivono nel terzo mondo cerchino di rialzare lo standard della loro vita, mentre, dal  lato opposto, sembra improbabile che quelle che vivono nel primo mondo siano disponibili ad abbassare il loro standard di vita.

LUMEN - Ma c'è una soluzione per questo conflitto?
DIAMOND - Probabilmente le cose peggioreranno di molto, prima ancora di migliorare. Parliamo con i numeri: il consumo di petrolio negli Stati Uniti è di circa 10 volte quello della Cina per ogni abitante. La Cina vuole raggiungere gli standard del primo mondo. Quindi supponiamo che la Cina arrivi allo stesso consumo di petrolio pro capite degli Stati Uniti: questo aumenterebbe il consumo di petrolio mondiale del 106%.

LUMEN – Un aumento spaventoso..
DIAMOND - Siamo già preoccupati del fatto che in pochi decenni finirà il petrolio abbastanza economico e abbastanza pulito, quindi se la Cina raggiunge i nostri standard lo finiremo in 15 anni invece che in 30. Quanto al fatto se il primo mondo può continuare con standard di vita del primo mondo, di primo acchito sembra che no, per definizione, dovremo rinunciare a qualche cosa. Però poi viene fuori che ci sono aree nelle quali possiamo preservare i nostri standard semplicemente imparando a gestire in modo efficiente le risorse.

LUMEN - Il che mi sembra una scelta intelligente a prescindere.
DIAMOND - Per esempio potremmo estrarre e consumare lo stesso ammontare di legna e di carta nel mondo che consumiamo oggi con foreste ben amministrate e con solo una frazione delle attuali estensioni delle foreste. Ma al presente noi ricaviamo il legno da molte foreste, molte delle quali non sono gestite in modo sostenibile, e la maggior parte delle quali sono gestite male. Il punto è che potremmo continuare ad operare con lo stesso consumo di libri di carta se solo riuscissimo ad amministrare meglio le nostre foreste.

LUMEN – Altri esempi ?
DIAMOND - La stessa cosa vale per il pesce. Potremmo avere tanto pesce, o anche più pesce di oggi, dagli oceani se riuscissimo ad amministrare in modo sostenibile le nostre riserve. Ma al momento la maggior parte delle riserve di pesca nel mondo sono gestite male, in modo non sostenibile. E così una dopo l'altra sono andate distrutte, come i Grandi Banchi di merluzzo o di sardine in California.

LUMEN - Per fortuna vi sono anche le storie di successo, come l'Islanda e la riforestazione di Giappone e Germania. Vi sono dei tratti in comune, che ci possano essere di esempio  ?
DIAMOND - Sì, c'è un insieme di tratti che accomunano queste storie di successo. Le storie di successo tendono ad essere quelle di paesi che hanno problemi più semplici da risolvere rispetto agli altri. Aiuta trovarsi in un ambiente robusto come quello del Giappone della Germania, che sono ambienti piovosi con un suolo stabile. Ma d'altra parte, l'Islanda ha un ambiente molto fragile, ha avuto momenti difficili, però è una storia di successo visto che ora è la settima nazione più ricca del mondo. In generale, si può dire che aiuta avere problemi più semplici.

LUMEN - Altri fattori ?
DIAMOND - Altri fattori sono quelli sociali: quello che la gente fa. Aiuta ridurre al minimo l'isolamento delle élite, di coloro che sono al potere, rispetto al resto della società. Se i leader politici riescono a trincerarsi rispetto al resto della società - per esempio qui nella California del sud se vivi in una comunità protetta da cancelli, bevi acqua in bottiglia, hai la tua polizia privata, mandi i figli alle scuole private, hai una pensione privata e hai un'assicurazione medica privata, e quindi certamente non hai un interesse personale in Medicare, Social Security, scuole pubbliche, forze di polizia e acqua pubblica - ecco, questo è un segno negativo, a livello sociale.

LUMEN – Un concetto molto interessante...
DIAMOND – Poi ci sono i conflitti di interesse, che sono un altro grosso problema quando una piccola frazione della società riesce ad arricchirsi facendo cose che rappresentano un danno per il resto la società. E’ la sindrome di Enron, o quello che le compagnie minerarie hanno fatto, arricchendosi semplicemente col gettare i rifiuti in un fiume. Farlo è più economico per loro, ma costa miliardi di dollari per tutti gli altri. Questo dunque è uno dei modi per raggiungere il successo: minimizzare i conflitti di interesse e diminuire l'isolamento delle élite.

LUMEN - Ma alla fin fine, voi oggi siete più ottimista o pessimista sul modo in cui siamo orientati ?
DIAMOND - Rimango cautamente ottimista e direi che il mondo attuale non è senza speranza. Abbiamo gravi problemi, ma se ce ne occupiamo, abbiamo la possibilità di risolverli. Ecco perché è importante che se ne parti.

martedì 18 novembre 2014

Il Dawkins egoista - 4

(da IL GENE EGOISTA di Richard  Dawkins – quarta parte)

<< Così sembra che siamo giunti ad una situazione di stallo, con una grande popolazione di repliche identiche. Ma adesso dobbiamo menzionare un’importante proprietà di qualunque processo di copiatura: non è perfetto. Avvengono degli errori. Spero che non ci siano errori di stampa in questo libro, ma se cercate attentamente potreste trovarne un paio. Probabilmente gli errori non distorceranno seriamente il significato delle frasi, perché saranno errori di “prima generazione”.

Ma immaginate quando la stampa non era stata inventata, e i libri come i Vangeli venivano copiati a mano. Tutti gli scrivani, per quanto attenti, faranno irrimediabilmente qualche errore, e alcuni di essi cederanno alla tentazione di fare qualche “miglioramento” a fin di bene.
Se copiassero tutti da una singola matrice originale, il significato non sarebbe pervertito granché. Ma se le copie sono fatte da altre copie, che a loro volta furono fatte da altre copie, gli errori cominceranno a diventare cumulativi e seri.

Man mano che gli errori di copiatura avvenivano e si propagavano, il brodo primordiale si riempiva di una popolazione non di repliche identiche, ma di molte varietà di molecole replicanti, tutte “discendenti” dallo stesso antenato. Potrebbero alcune varietà essere state più numerose di altre? Quasi certamente sì. Alcune varietà dovevano essere intrinsecamente più stabili di altre. Certe molecole, una volta formate, avevano meno probabilità di altre di dividersi di nuovo.

Questi tipi diventavano relativamente numerosi nel brodo, non solo come diretta conseguenza della loro “longevità”, ma anche perché avevano molto tempo per produrre copie di se stessi. I replicatori ad alta longevità tendevano quindi a diventare più numerosi e, a parità di altri fattori, ci fu nella popolazione di molecole una tendenza evolutiva verso una maggiore longevità.

Ma gli altri fattori probabilmente non erano uguali, e un’altra proprietà dei replicatori, che deve aver giocato un ruolo ancora più importante nel diffondere alcuni replicatori nella popolazione, fu la velocità di replicazione, o “fecondità”.
Se le molecole replicatori di tipo A fanno copie di se stesse in media una volta alla settimana, mentre quelle di tipo B fanno copie di se stesse ogni ora, non è difficile capire che molto presto le molecole del tipo A saranno presto numericamente sovrastate, anche se “vivono” molto più a lungo delle molecole di tipo B. Ci sarebbe quindi probabilmente una “tendenza evolutiva” verso una “fecondità” più alta delle molecole nel brodo.

Una terza caratteristica dei replicatori che sarebbe stata sicuramente selezionata è l’accuratezza di replicazione. Se le molecole di tipo X e di tipo Y durano lo stesso tempo e si replicano alla stessa frequenza, ma X fa in media un errore ogni 10 replicazioni, mentre Y fa un errore ogni 100 replicazioni, Y diverrà ovviamente più numeroso.
Il contingente X della popolazione perderà non solo quei “figli” che commettono errori “personalmente”, ma anche tutti i loro discendenti, veri o potenziali.

Se sapete già qualcosa dell’evoluzione, potreste trovare qualcosa di leggermente paradossale nell’ultimo punto. Possiamo riconciliare l’idea che gli errori di copiatura siano un prerequisito essenziale per l’evoluzione, con l’affermazione che la selezione naturale favorisce un’alta fedeltà di copiatura?
La risposta è che sebbene l’evoluzione possa sembrare, in un certo senso, una “cosa buona”, specialmente poiché noi ne siamo il prodotto, niente “desidera” davvero evolversi. 

L’evoluzione è un effetto collaterale, qualcosa che succede nonostante gli sforzi dei replicatori (e oggigiorno dei geni) di impedire che succeda.  (…)
Per tornare al brodo primordiale, esso dovette divenire popolato di varietà stabili di molecole; stabili nel senso che le molecole duravano a lungo singolarmente, oppure si replicavano rapidamente, oppure si replicavano accuratamente.
La tendenza evolutiva verso questi tre tipi di stabilità va intesa in questo senso: se tu avessi prelevato dei campioni dal brodo in due momenti diversi, il secondo campione avrebbe contenuto una frazione più alta di varietà dotate di alta longevità/fecondità/fedeltà di copiatura.

Questo è essenzialmente ciò che i biologi intendono per evoluzione quando parlano di creature viventi, e il meccanismo è lo stesso — la selezione naturale.
Allora dovremmo chiamare “viventi” le originali molecole replicatori? Chi se ne importa? Io potrei dire a voi “Darwin fu l’uomo più grande mai vissuto” e voi potreste rispondere “No, fu Newton”, ma spero che questo diverbio non durerebbe a lungo.
Il punto è che il modo in cui risolviamo il nostro diverbio non influenza la realtà delle cose. I fatti della vita e delle imprese di Newton e di Darwin rimangono totalmente immutati, non importa se li etichettiamo come “grandi” o meno.

Similmente, la storia delle molecole replicanti avvenne probabilmente in modo simile a come la sto raccontando, non importa se decidiamo di chiamarli “viventi”.
Troppa sofferenza umana è stata causata per l’incapacità di capire che le parole sono solo strumenti al nostro servizio, e che la semplice presenza nel dizionario di una parola come “vivo” non significa che si riferisca necessariamente a qualcosa di preciso nel mondo reale. Non importa se chiamiamo “vivi” i primi replicatori, essi furono gli antenati della vita; furono i nostri padri fondatori.

Il prossimo passaggio importante nell’argomento, passaggio che lo stesso Darwin enfatizzò molto (sebbene lui stesse parlando di animali e piante, non di molecole) è la competizione. Il brodo primordiale non era capace di dare sostentamento a un numero infinito di molecole replicanti.
Tanto per cominciare, la terra ha dimensioni finite, ma anche altri fattori di limitazione devono aver giocato un ruolo importante. Nella nostra immagine dei replicatori che agiscono come stampini, abbiamo ipotizzato che essi fossero immersi in un brodo ricco di piccoli blocchi costitutivi molecolari necessari per produrre copie.

Ma quando i replicatori divennero numerosi, i blocchi costitutivi dovevano venire usati a una frequenza tale da divenire una risorsa preziosa e scarsa. Le differenti varietà, o linee, di replicatori devono essere stati in competizione per queste risorse. Finora abbiamo considerato i fattori che potevano aumentare il numero di tipi favoriti di replicatori.
Ora possiamo vedere che alcuni tipi meno favoriti devono essere diventati meno numerosi a causa della competizione, e alla fine molte delle loro varietà devono essersi estinte.

Ci fu una lotta per l’esistenza tra le varietà di replicatori. Non sapevano che stavano combattendo, né se ne preoccupavano; la lotta si conduceva senza alcun sentimento di rancore, anzi senza sentimenti di alcun tipo.
Ma stavano combattendo, nel senso che qualunque errore di copiatura che producesse un livello più alto di stabilità, o un nuovo modo di ridurre la stabilità dei rivali, veniva automaticamente preservato e moltiplicato.

Il processo di miglioramento era cumulativo. I modi di aumentare la stabilità e di diminunire la stabilità dei “rivali” divennero sempre più elaborati ed efficienti.
Alcuni replicatori potrebbero persino avere “scoperto” come distruggere chimicamente le molecole delle varietà rivali, e utilizzare i blocchi costitutivi così rilasciati per produrre le loro proprie copie. Questi proto-carnivori ottenevano cibo e allo stesso tempo eliminavano i rivali.
Altri replicatori forse scoprirono come proteggersi, o chimicamente, o costruendo un muro fisico di proteine attorno a sé. Potrebbe essere stato così che apparvero le prime cellule viventi.

I replicatori cominciarono non soltanto ad esistere e basta, ma a costruire per sé stessi dei contenitori, dei veicoli per assicurare la loro esistenza continuata. I replicatori che riuscivano a sopravvivere erano quelli che costruivano delle macchine di sopravvivenza per abitarci dentro.
Le prime macchine di sopravvivenza non erano probabilmente niente più che strati protettivi. Ma sopravvivere diventava sempre più difficile, man mano che i rivali producevano macchine di sopravvivenza migliori e più efficaci. Le macchine di sopravvivenza divennero sempre più grandi e più elaborate, ed il processo era cumulativo e progressivo.

Questo miglioramento graduale, nelle tecniche e negli artifici usati dai replicatori per assicurare la loro stessa sopravvivenza nel mondo, era forse destinato ad avere fine? Avevano molto tempo a disposizione per migliorare. Quali strani meccanismi di auto-preservazione sono stati prodotti nei millenni?
Quattromila milioni di anni dopo, quale è stata la sorte degli antichi replicatori? Essi non sono morti, perché sono campioni assoluti nell’arte della sopravvivenza. Ma non cercateli ancora mentre galleggiano nel mare; da molto tempo hanno rinunciato a quel genere di libertà.

Adesso vivono in enormi colonie, al sicuro all’interno di enormi robot torreggianti, completamente sigillati dalle insidie del mondo esterno, e comunicano con esso per vie tortuose ed indirette, manipolandolo con dei comandi a distanza.
Si trovano dentro di voi e dentro di me; ci hanno creati, sia i nostri corpi sia le nostre menti; e la loro preservazione è il motivo ultimo della nostra esistenza. Hanno fatto una lunga strada, questi replicatori. Adesso hanno il nome di geni, e noi siamo le loro macchine di sopravvivenza. >>

RICHARD DAWKINS
 

sabato 15 novembre 2014

Il Dawkins egoista - 3

Continuo con la pubblicazione di alcuni passi del fondamentale libro di Richard  Dawkins intitolato IL GENE EGOISTA. Le pagine che seguono, sempre tratte dalla parte iniziale del libro, parlano della comparsa, sulla scena del mondo, del mitico  “replicatore”. Dopo di lui, nulla sarà più come prima.
LUMEN


<< In principio era la semplicità. È già abbastanza difficile spiegare come sia cominciato un universo semplice. Do per scontato che sarebbe ancora più difficile spiegare l’improvviso spuntare di un ordine complesso — come la vita, oppure un essere capace di crearla.
La teoria di Darwin dell’evoluzione per selezione naturale è soddisfacente perché ci svela come la semplicità può trasformarsi in complessità; come degli atomi disordinati possono raggrupparsi in strutture sempre più complicate fino a produrre delle persone.

Darwin fornisce una soluzione, l’unica sostenibile finora proposta, al profondo problema della nostra esistenza. Cercherò di spiegare questa grande teoria in un modo più generale di quanto si faccia di solito, cominciando dal tempo precedente l’inizio dell’evoluzione stessa. La darwiniana “sopravvivenza del più adatto” è in realtà un caso particolare di una legge più generale: la sopravvivenza di ciò che è stabile.

L’universo è popolato da cose stabili. Una cosa stabile è una collezione di atomi abbastanza permanente o abbastanza comune da meritare un nome. Potrebbe trattarsi di una collezione unica di atomi, come il monte Cervino, che dura abbastanza a lungo da meritare un nome.
O potrebbe essere una classe di entità, come le gocce di pioggia, che nascono abbastanza frequentemente da meritare un nome collettivo, anche se ciascuna di loro singolarmente ha una vita molto breve.

Le cose che vediamo intorno a noi, e che pensiamo necessitino di una spiegazione — le rocce, le galassie, le onde dell’oceano — sono tutte, in modo maggiore o minore, strutture stabili di atomi. Le bolle di sapone tendono ad essere sferiche perché questa è una configurazione stabile per delle sottili pellicole piene di gas.
Dentro un’astronave, l’acqua è stabile anche in globuli sferici, ma qui sulla terra, dove c’è la gravità, la superficie stabile per l’acqua in quiete è piatta e orizzontale. I cristalli di sale tendono ad essere cubici perché questo è un modo stabile di impacchettare insieme ioni di sodio e di cloro.

Nel sole, gli atomi più semplici di tutti, gli atomi di idrogeno, si fondono per formare atomi di elio perché, nelle condizioni che prevalgono lì, la configurazione di elio è più stabile. Altri atomi ancora più complessi si formano nelle stelle in tutto l’universo, sin dal tempo del “Big Bang” che, secondo la teoria prevalente, diede inizio all’universo. È da qui che si generarono gli elementi del nostro mondo.
A volte, quando gli atomi si incontrano, si legano insieme in reazioni chimiche per formare molecole, che possono essere più o meno stabili. Tali molecole possono essere molto grandi.

Un cristallo come un diamante può essere considerato una molecola singola, eccezionalmente stabile in questo caso, ma è anche una molecola molto semplice, poiché la sua struttura atomica interna si ripete all’infinito. Nei moderni organismi viventi ci sono altre grandi molecole che sono molto complesse, e la loro complessità si rivela su vari livelli.
L’emoglobina del nostro sangue è una tipica molecola di proteina. È fatta da catene di molecole più piccole, gli aminoacidi, ognuna delle quali contiene qualche decina di atomi organizzati secondo una struttura precisa. Nella molecola di emoglobina ci sono 574 molecole di aminoacidi.

Queste sono organizzate in quattro catene, che si avvolgono l’una attorno all’altra per formare una struttura globulare tridimensionale di stupefacente complessità. Un modello di molecola di emoglobina assomiglia a un denso cespuglio di rovi.
Ma, diversamente da un vero cespuglio, non è una struttura improvvisata, ma una precisa struttura invariante, ripetuta in modo identico, senza neanche un pezzettino o una curva fuori posto, più di seimila milioni di milioni di milioni di volte in un corpo umano medio.

La precisa forma a cespuglio di una molecola di proteina come l’emoglobina è stabile nel senso che due catene che consistono delle stesse sequenze di aminoacidi tenderanno, come due molle, ad assestarsi esattamente nella stessa struttura di spirale tridimensionale. Nel vostro corpo, dei cespugli di emoglobina si stanno assestando nella loro forma “preferita” ad una velocità di circa 4000 milioni di milioni al secondo, ed altre vengono distrutte alla stessa frequenza.

L’emoglobina è una molecola moderna, che uso solo per illustrare il principio che gli atomi tendono ad assestarsi in strutture stabili. La cosa importante è che, prima della nascita della vita sulla terra, potrebbe essere avvenuta qualche rudimentale evoluzione di molecole, grazie a normali processi di fisica e chimica.
Non c’è bisogno di pensare ad una progettazione, ad uno scopo, o a una direzione di qualche tipo. Se un gruppo di atomi in presenza di energia si assesta in una struttura stabile, tenderà a restare in quel modo. La prima forma di selezione naturale fu semplicemente una selezione delle forme stabili e una scomparsa di quelle instabili. Non c’è niente di misterioso in tutto questo. Doveva succedere per definizione.

Da questo, naturalmente, non segue che si possa spiegare l’esistenza di entità complesse come le persone esattamente con gli stessi principi e niente più.
È inutile prendere la quantità giusta di atomi e shakerarli insieme con l’aiuto di qualche energia interna, sperando che da soli si assestino nella struttura giusta, e che venga fuori Adamo! Con questa tecnica potreste produrre una molecola di qualche decina di atomi, ma una persona è fatta di più di 1000 milioni di milioni di milioni di milioni di atomi.
Per creare una persona, dovreste scuotere il vostro cocktail-shaker biochimico per un tempo così lungo che l’intera età dell’universo sembrerebbe al confronto un battito di ciglia, ed anche allora non ci riuscireste.

È qui che la teoria di Darwin, nella sua forma più generale, viene alla riscossa. La teoria di Darwin entra in gioco dove la storia della lenta costruzione delle molecole esce di scena.
Il racconto dell’origine della vita che sto per dare è necessariamente speculativo; per definizione, nessuno si trovava in quei paraggi ad assistere.
Esiste un certo numero di teorie rivali, ma hanno tutte certe caratteristiche in comune. 

L’esposizione semplificata che darò non è probabilmente molto lontana dalla verità.
Non sappiamo quali materie chimiche prime fossero abbondanti sulla terra prima che comparisse la vita, ma tra le possibilità plausibili abbiamo l’acqua, il biossido di carbonio, il metano e l’ammoniaca: tutti composti semplici che sono presenti su altri pianeti del nostro sistema solare.
I chimici hanno cercato di imitare le condizioni chimiche della terra giovane. Hanno messo queste semplici sostanze in una provetta ed hanno fornito una fonte di energia come la luce ultravioletta o una scintilla elettrica — una simulazione artificiale dell’illuminazione primordiale.

Dopo qualche settimana di tutto ciò, nella provetta trovarono qualcosa di interessante: un lento brodo marrone contenente un gran numero di molecole più complesse di quelle inserite all’inizio. In particolare, sono stati trovati degli aminoacidi — i blocchi costituenti delle proteine, una delle due grandi classi di molecole biologiche.
Prima di questi esperimenti, degli aminoacidi che si formano da soli sarebbero stati considerati una diagnosi della presenza della vita. Se fossero stati scoperti, diciamo, su Marte, la vita su quel pianeta sarebbe sembrata quasi una certezza.

Nel nostro caso, però, la loro esistenza implica soltanto la presenza di qualche semplice gas nell’atmosfera e di qualche vulcano, o raggio di sole, o tempesta.
 Più di recente, simulazioni in laboratorio delle condizioni chimiche della terra prima dell’avvento della vita hanno prodotto sostanze organiche chiamate purine e pirimidine. Questi sono i blocchi costitutivi della molecola genetica, il DNA.

Processi analoghi a questi devono aver dato luce al “brodo primordiale” che i biologi e i chimici credono abbia costituito il mare di 3 o 4 mila milioni di anni fa.
Le sostanze organiche si concentrarono localmente, forse in una poltiglia che si asciugava lungo le spiagge, o in piccole gocce sospese. Sotto l’ulteriore influenza di energia come la luce ultravioletta dal sole, si combinarono in molecole più grandi.

Oggigiorno, delle grandi molecole organiche non durerebbero abbastanza a lungo da essere notate: sarebbero rapidamente assorbite e decomposte da batteri o da altre creature viventi. Ma i batteri e il resto di noi siamo arrivati tardi nella storia, e a quel tempo le grandi molecole organiche riuscivano a fluttuare indisturbate attraverso il brodo che si addensava.
A un certo punto, per caso, si formò una molecola particolarmente notevole. La chiameremo il replicatore. Il replicatore potrebbe non essere stata la molecola più grande o la più complessa di tutte, ma aveva la straordinaria proprietà di riuscire a creare copie di se stessa. Questo potrebbe sembrare un avvenimento molto improbabile. E lo era. Era straordinariamente improbabile.

Nella vita di un uomo, cose così improbabili si possono trattare come impossibili, per tutti gli scopi pratici. Ecco perché non farai mai 13 al Totocalcio. Ma nelle nostre stime umane di cosa è probabile e cosa no, non siamo abituati ad avere a che fare con centinaia di milioni di anni. Se riempissi schedine ogni settimana per 100 milioni di anni, vinceresti molto probabilmente varie volte.

In realtà una molecola che fa copie di se stessa non è così difficile da immaginare come sembra sulle prime, ed è dovuta nascere una volta sola. Pensate al replicatore come a una formina o uno stampino. Immaginatela come una grande molecola fatta di complesse catene di vari tipi di blocchi costitutivi. I piccoli blocchi costitutivi erano abbondantemente disponibili nel brodo che circondava il replicatore.
Ora supponete che ogni blocco costitutivo abbia un’affinità verso il suo stesso genere. 

Allora, ogni volta che un blocco costitutivo dal brodo viene a contatto con quella parte del replicatore con cui ha affinità, tenderà a restare attaccato lì. I blocchi che si attaccano in questo modo saranno automaticamente disposti in una sequenza che ricopia quella del replicatore stesso.
Allora è facile pensare che essi si uniscano per formare una catena stabile proprio come il replicatore originale. Questo processo potrebbe continuare per accatastamento successivo, dove ogni strato è costruito sopra l’altro. È così che si formano i cristalli.

D’altra parte, le due catene potrebbero dividersi, nel qual caso abbiamo due replicatori, ognuno dei quali può continuare e produrre ulteriori copie.
Una possibilità più complessa è che ogni blocco costitutivo abbia affinità non verso il suo stesso tipo, ma verso un altro tipo ben preciso, e questo reciprocamente. Allora i replicatori agirebbero come uno stampo che produce non una copia identica, ma una specie di “negativo”, il quale a sua volta riprodurrebbe una copia esatta dell’originale positivo.

Per i nostri scopi non importa se il processo di replicazione originale sia stato positivo-negativo oppure positivo-positivo, sebbene valga la pena di notare che gli equivalenti moderni del primo replicatore, le molecole di DNA, usano la replicazione positivo-negativo. Ciò che conta è che improvvisamente era nata nel mondo un nuovo tipo di “stabilità”.
In precedenza, è probabile che nessuna molecola in particolare fosse molto abbondante nel brodo, perché ognuna di esse dipendeva da blocchi costitutivi che si dovevano assestare per caso in una ben precisa configurazione stabile.

Ma appena nacque il replicatore, deve aver diffuso rapidamente le sue copie per tutto il mare, fino a che i piccoli blocchi costituenti divennero una risorsa scarsa, ed altre grandi molecole si formavano sempre più raramente. >>

RICHARD DAWKINS

(continua)

sabato 8 novembre 2014

Eppur si muove !

Il dialogo che segue, che si svolge tra lo scienziato pisano Galileo Galilei e l’inquisitore spagnolo Tomas de Torquemada, è liberamente tratto dal capitolo XXIII dei “Promessi Sposi”, in cui Alessandro Manzoni mette di fronte il Cardinale Borromeo e l'Innominato. LUMEN

 
GALILEO – Cos’è questo trapestio ? Chi è qui ? Che vedo ?
TORQUEMADA – Messer Galileo…

GALILEO – Oh, che preziosa visita è questa !
TORQUEMADA – Ma che dite…

GALILEO - E quanto vi devo esser grato d’una sì buona risoluzione; quantunque per me abbia un po’ del rimprovero !
TORQUEMADA – Rimprovero ?

GALILEO - Certo, m’è un rimprovero, ch’io mi sia lasciato prevenir da voi; quando, da tanto tempo, tante volte, avrei dovuto venir da voi io.
TORQUEMADA - Da me, voi ! Sapete chi sono ? V’hanno detto bene il mio nome ?

GALILEO - E questa consolazione ch’io sento, e che, certo, vi si manifesta nel mio aspetto, vi par egli ch’io dovessi provarla all’annunzio, alla vista d’uno sconosciuto ? Siete voi che me la fate provare; voi, dico, che avrei dovuto cercare; voi che almeno ho tanto amato e pianto, per cui ho tanto sospirato; voi, de’ miei fratelli umani, che pure amo tutti e di cuore, quello che avrei più desiderato d’accogliere e d’abbracciare, se avessi creduto di poterlo sperare. Ma la Ragione sa fare Ella solo le maraviglie, e supplisce alla debolezza, alla lentezza de’ suoi poveri servi.
TORQUEMADA – Sono commosso, sbalordito; non so che dire.

GALILEO - E che ? Voi avete una buona nuova da darmi, e me la fate tanto sospirare ?
TORQUEMADA - Una buona nuova, io ? Ho l’inferno nel cuore; e vi darò una buona nuova ? Ditemi voi, se lo sapete, qual è questa buona nuova che aspettate da un par mio.

GALILEO - Che la Ragione v’ha toccato il cuore, e vuol farvi sua.
TORQUEMADA – Ragione, Ragione ! Se la vedessi ! Se la sentissi ! Dov’è questa Ragione?

GALILEO - Voi me lo domandate ? Voi ? E chi più di voi l’ha vicino ? Non ve lo sentite in cuore, che v’opprime, che v’agita, che non vi lascia stare, e nello stesso tempo v’attira, vi fa presentire una speranza di quiete, di consolazione, d’una consolazione che sarà piena, immensa, subito che voi lo riconosciate, lo confessiate, l’imploriate ?
TORQUEMADA - Oh, certo ! Ho qui qualche cosa che m’opprime, che mi rode ! Ma la Ragione ! Se c’è questa Ragione, se è quello che dicono, cosa volete che faccia con me ?

GALILEO - Cosa può far la Ragione di voi ? Cosa può farne ? Un segno della sua potenza e della sua lungimiranza: vuol cavar da voi una gloria che nessun altro gli potrebbe dare. Che il mondo gridi da tanto tempo contro di voi, che mille e mille voci detestino le vostre opere, che gloria ne viene alla Ragione ?
TORQUEMADA - Son voci di terrore.

GALILEO – Sì, Son voci di terrore, son voci d’interesse; voci forse anche di giustizia, ma d’una giustizia così facile, così naturale ! Alcune forse, pur troppo, d’invidia di codesta vostra sciagurata potenza, di codesta, fino ad oggi, deplorabile sicurezza d’animo. Ma quando voi stesso sorgerete a condannare la vostra vita, ad accusar voi stesso, allora…
TORQUEMADA – Allora ?

GALILEO - Allora la Ragione sarà glorificata ! E voi domandate cosa la Ragione possa far di voi ? Chi son io pover’uomo, che sappia dirvi fin d’ora che profitto possa ricavar da voi una tale potenza quale la Ragione ? Cosa possa fare di codesta volontà impetuosa, di codesta imperturbata costanza, quando l’abbia animata, infiammata d’amore, di speranza, di pentimento ? Chi siete voi, pover’uomo, che vi pensiate d’aver saputo da voi immaginare e fare cose più grandi nel male, che la Ragione non possa farvene volere e operare nel bene ? Cosa può la Ragione far di voi ? E perdonarvi ?
TORQUEMADA – Perdonarmi ?

GALILEO – Sì, perdonarvi. E farvi salvo. E compire in voi l’opera della redenzione. Non son cose magnifiche e degne di Lei ? Oh pensate ! Se io omiciattolo, io miserabile, e pur così pieno di me stesso, io qual mi sono, mi struggo ora tanto della vostra sorte, che per essa darei con gaudio (Ella m’è testimonio) questi pochi giorni che mi rimangono: oh pensate quanta, quale debba essere la lungimiranza di colei, la Ragione, che m’infonde questa così imperfetta, ma così viva scienza; come vi ami, come vi voglia quella che mi comanda e m’ispira una fratellanza per voi che mi divora !
TORQUEMADA – Oh sì. Lasciate ch’io pianga.

GALILEO – Ragione grande e buona ! Che ho mai fatto io, servo inutile, pensatore sonnolento, perchè Voi mi chiamaste a questo convito di gioia, perché mi faceste degno d’assistere a un sì giocondo prodigio !
TORQUEMADA – No ! Non tenetemi la mano. Lontano, lontano da me voi: non lordate quella mano innocente e benefica. Non sapete tutto ciò che ha fatto questa che volete stringere.

GALILEO - Lasciate, lasciate ch’io stringa codesta mano che riparerà tanti torti, che spargerà tante beneficenze, che solleverà tanti afflitti, che si stenderà disarmata, pacifica, umile a tanti nemici.
TORQUEMADA – E’ troppo ! Lasciatemi, signore; buon Galileo, lasciatemi. Un popolo affollato v’aspetta; tante persone buone, tanti onesti e sinceri, tanti venuti da lontano, per vedervi una volta, per sentirvi: e voi vi trattenete... con chi !

GALILEO - Lasciamo le novantanove pecorelle, sono in sicuro sul monte della Ragione: io voglio ora stare con quella ch’era smarrita. Quelle persone son forse ora ben più contente, che di vedere questo povero scienziato. Forse la Ragione, che ha operato in voi il prodigio della misericordia, diffonde in esse una gioia di cui non sentono ancora la cagione.
TORQUEMADA – Che dite ?

GALILEO - Quel popolo è forse unito a noi senza saperlo: forse lo spirito della scienza mette ne’ loro cuori un ardore indistinto di solidarietà, una richiesta ch’esaudisce per voi, un rendimento di gioia di cui voi siete l’oggetto non ancor conosciuto. Lasciatevi abbracciare.
TORQUEMADA – Oh, Ragione veramente grande ! Ragione veramente buona ! io mi conosco ora, comprendo chi sono; le mie iniquità mi stanno davanti; ho ribrezzo di me stesso; eppure..., eppure provo un refrigerio, una gioia, sì una gioia, quale non ho provata mai in tutta questa mia orribile vita !

GALILEO - È un saggio, che la Ragione vi dà per cattivarvi al suo servizio, per animarvi ad entrar risolutamente nella nuova vita in cui avrete tanto da disfare, tanto da riparare, tanto da piangere!”
TORQUEMADA - Me sventurato ! Quante, quante cose, le quali non potrò se non piangere ! Ma almeno ne ho d’intraprese, d’appena avviate, che posso, se non altro, rompere a mezzo: una ne ho, che posso romper subito, disfare, riparare.

GALILEO - Ah, non perdiam tempo ! Beato voi ! Questo è pegno della forza della Ragione ! Far sì che possiate diventare strumento di salvezza a chi volevate esser di rovina. La Ragione v’ha illuminato !
TORQUEMADA – Allora andiamo.

GALILEO – Sì, orsù, andiamo.

sabato 1 novembre 2014

New look

Ho parlato spesso, in questo blog, dell’importanza della cultura scientifica, e della necessità che sia sempre più diffusa, per poter gestire al meglio i gravi problemi che il mondo di oggi deve affrontare.
Questo, ovviamente, non significa che la cultura umanistica sia diventato un inutile ferrovecchio da buttare, anzi, ma solo che deve sapersi aggiornare e rinnovare.
Ce ne parla il saggista e politologo Aldo Giannuli, in questo provocatorio post, tratto dal suo sito. 
LUMEN


<< La crisi del sapere umanistico è ormai conclamata. (…) Questo collasso è uno dei fenomeni culturali più inquietanti del tempo presente, contro il quale non servono a nulla le solite geremiadi. Esso è determinato da due cause principali fra loro connesse: le caratteristiche proprie del neo-liberismo e il rifiuto degli umanisti di reinventarsi le loro discipline e ridefinire la loro figura sociale.

Il neo-liberismo ha prodotto una vistosa regressione culturale: la visione pan economicista e la riduzione della stessa economia al solo filone walrasiano e derivati [teoria dell’equilibrio economico generale – ndr] sono stati il brodo di coltura del maggior arretramento intellettuale mai registrato in epoca moderna. (…)

Da questo discendono i tagli alle spese culturali e per l’istruzione, di cui oggi gli intellettuali umanisti si risentono, ma dopo anni di acquiescenza. L’ondata neo-liberista si è accompagnata ai cori festanti degli economisti massicciamente convertitisi a questo verbo, ma non ha trovato resistenze neppure fra i giuristi, gli storici, i sociologi, i politologi, ecc, che non hanno manifestato che rare ed occasionali obiezioni spesso improprie o più arretrate del fenomeno che avrebbero voluto criticare. (…)

La produzione storica, sociologica, politologica, giuridica, filosofica ecc. dell’ultimo quarto di secolo è, nella maggior parte dei casi, paccottiglia di nessun valore intellettuale. E’ tutto molto ripetitivo, stantio, privo di originalità e le opere di valore, per ciascuna disciplina, si contano sulle dita di un paio di mani. Diciamocelo sinceramente: se si trattasse di questo attuale assetto delle scienze umane, la loro scomparsa non sarebbe un gran danno.

Il punto è che le discipline umanistiche non si sono adeguatamente confrontate con le vastissime conseguenze culturali della globalizzazione. Non che manchino studi sul fenomeno in sé (ad esempio quelli, peraltro non sempre soddisfacenti, di Zygmunt Bauman, Manuel Castells, Ulrich Beck Alain Touraine, ecc.), ma si tratta di punte individuali, che non si innestano su un solido reticolo di opere minori indispensabili a determinare una svolta complessiva di questa area di studi.

E, infatti, si tratta in larga parte di opere che non si sottraggono ad un’ottica eurocentrica e non sfuggono ad un taglio specialistico disciplinare, che precludono molti sviluppi alla ricerca.

La globalizzazione implica sia la mondializzazione dei rapporti sia una stretta interdipendenza fra le sfere politica, economico finanziaria, sociale, culturale, militare e, se il primo aspetto richiede imperiosamente un punto di vista più “centrale” e meno sbilanciato verso occidente, il secondo impone una capacità di analisi transdisciplinare, che allo stato si intravede solo in pochissime opere.

Occorre un cambio di passo complessivo nei metodi, ripensare, soprattutto, la storica frattura fra scienze umane e scienze logiche, matematiche e naturali: i fisici, i biologi, i neurologi, ecc. lo hanno capito e fanno sempre più frequenti incursioni nel mondo delle scienze umane, mentre gli umanisti (con l’eccezione di quei filosofi e psicologi che partecipano a progetti di scienze cognitive) tardano a comprenderlo e si tengono ancora troppo al di qua della linea di demarcazione che li separa dall’ “altra metà del cielo”.

Quanti storici, sociologi, politologi immaginano di poter lavorare usando un modello di simulazione? E quanti di loro sono in grado di misurarsi con il campo delle scienze cognitive? Nelle nostre università si respira un’aria viziata perché da troppo tempo non si aprono le finestre.

Certo che occorre continuare a studiare la letteratura greca e la guerra dei sette anni, Leopardi e Weber, la secessione austriaca e la riforma protestante, ma occorrerà ripensarli comparativamente agli sviluppi delle altre civiltà che, naturalmente, bisognerà studiare.

Da due secoli e mezzo l’Europa (e tutto l’Occidente) ha costruito la sua identità intorno all’idea di modernità: l’Occidente è moderno per definizione e la modernità è occidentale allo stesso modo. E la globalizzazione è stata pensata come “modernizzazione del Mondo” cioè come progetto di omologare tutto il Mondo al modello occidentale. Ma le cose non stanno andando così: quello che le nostre scienze sociali pensavano fosse un modello universale si è rivelato solo il racconto di “come è andata in Europa”.

La modernità è stata pensata come l’intreccio organico di sviluppo economico ed urbanizzazione, di specificazione individuale e di secolarizzazione, di affermazione dello stato di diritto e di disincanto del mondo, di nazione e di acculturazione di massa, un insieme in cui ogni aspetto presuppone e rafforza l’altro. Ed abbiamo pensato che tutto questo avesse regole precise, che permettessero di replicarlo in ogni contesto, salvo trascurabili varianti locali.

Ebbene, non sta andando affatto così: lo sviluppo economico non trascina dietro di sé quei processi di democratizzazione, secolarizzazione, ecc. di cui si diceva ed ogni contesto sta avendo un suo sviluppo particolare.

Questo obbliga a ripensare anche molte delle nostre convinzioni sulla nostra storia e sul modo con cui l’abbiamo interpretata ma, più ancora, ci obbliga ad una opera di mediazione e di traduzione culturale: sia noi che i cinesi, gli indiani o gli egiziani abbiamo il concetto di nazione, ma siamo sicuri di dire tutti la stessa cosa? E lo stesso potremmo dire per concetti come classe, popolo, potere, secolarizzazione ecc. ecc.

E questo lavoro di riesame non riguarda solo storici, politologi e sociologi, ma anche giuristi, filosofi, letterati ecc.

Questo è il piano su cui le scienze umanistiche devono impegnarsi trasformandosi ed è quello che ci dà la misura esatta del ritardo accumulato in questi anni, in gran parte dovuto allo statuto sociale dei nostri intellettuali umanisti che da troppo tempo non hanno stimoli verso l’innovazione.

Dopo gli anni ottanta, cessate le passioni politiche, che costituivano l’unico vero stimolo alla ricerca, gli umanisti si sono seduti sulla rendita di posizione di intellettuali burocratici retribuiti dallo Stato. Tutto oggi si riduce alla stucchevole rivendicazione del ruolo del “sapere inutile che ci renderà liberi”.

Questa emerita sciocchezza, in realtà, vorrebbe dire che ci sono altre utilità oltre quelle economiche, il che è giusto, ma questo non implica che non debba esserci un calcolo dei costi e dei benefici dell’investimento e, se anche è accettabile l’idea che non sempre i benefici di un investimento culturale siano misurabili in termini monetari, non ce la si può cavare con i luoghi comuni sul “sapere critico” e simili.

Un po’ di rapporto con il mercato non guasterebbe, per dare una scossa ai nostri intellettuali sedentarizzati. Non sto pensando all’università privata, che è un disastro anche peggiore. (…) Sto pensando ad imprese autogestite degli intellettuali umanisti che si misurino con il mercato. Servirebbero anche cose minime, come ad esempio retribuire i docenti in base al numero di studenti che hanno, lasciando ovviamente gli studenti liberi di scegliere. Vediamo quante aule restano disperatamente vuote?

Concludendo: certo che occorre difendere le materie umanistiche, ma questo sarà possibile solo cambiandole profondamente e mutando altrettanto radicalmente lo stato sociale dei suoi operatori, da “intellettuali” in “lavoratori della cultura”. La cultura non serve per i salotti. >>

ALDO GIANNULI