giovedì 30 settembre 2021

Il consumatore globale – 1

Anche se la produzione di massa degli ultimi decenni ha fornito alla popolazione notevoli vantaggi materiali, è innegabile che abbia cambiato (in peggio) la nostra vita civile, trasformandoci da cittadini, titolari di diritti, in semplici consumatori, appena tutelati da qualche garanzia.

Il testo che segue è opera dell'amico Agobit ed è tratto dal suo blog 'Un pianeta non basta' (prima parte).

LUMEN


<< L' economia mondiale si basa su un modello sviluppato per primi dagli Usa negli anni 50 del secolo scorso: l'economia basata sulla produzione e sul suo costante aumento.

Tale economia fu descritta lucidamente in quegli anni da un testo rimasto centrale per comprendere i cambiamenti dell'economia e della societa che avrebbe portato alla globalizzazione dei mercati (…): 'La Società opulenta' di John Kenneth Galbraith (titolo originale The Affluent Society - 1958).

Quando nel finire 1954, fa notare Galbraith, i repubblicani dichiararono al Congresso americano, che quello era stato il secondo miglior anno della storia, essi non si riferivano ad un reale cambiamento della qualita della vita o ad un miglioramento spirituale: si riferivano invece alla produzione materiale dei beni, quello era infatti l'anno della seconda piu alta produzione nella storia americana. (...)

Sull'importanza della produzione industriale non c'erano divergenze tra democratici e repubblicani, di destra e di sinistra, bianchi o di colore, cattolici e protestanti.La produzione diveniva cosi il paradigma, la regola aurea del progresso della societa moderna intorno a cui tutto il resto gira, compresa la cultura e i valori etici.

Un concetto centrale introdotto dall'autore è quello di mentalità convenzionale. La mentalita' convenzionale da' piu' importanza alla produzione di beni di consumo (industria privata) e meno importanza ai servizi: strade, pubblica sicurezza, sanita', istruzione, difesa, ecc.

Attraverso la mentalità convenzionale si crea uno degli elementi che assicurano l'implementazione costante della produzione: la produzione crea bisogni attivamente attraverso la pubblicita', e passivamente attraverso l'emulazione. Non e' possibile affermare che un piu' elevato livello di produzione assicuri il benessere meglio di quanto possa fare un livello di produzione piu' modesto: l'effetto della dipendenza e' il rapporto intercorrente fra i bisogni ed il processo di produzione destinato a soddisfarli.

I bisogni, secondo Keynes, possono essere assoluti o relativi: i primi sono bisogni di sopravvivenza, possono essere soddisfatti e per essi il problema economico puo' essere risolto; i secondi, invece, sono insaziabili: piu' elevato e' il livello generale, piu' essi sono intensi. Ne deriva che i bisogni dell'uomo non cessano di essere urgenti; la capacita' di produzione dipende dalla capacita' di persuasione.

L'istruzione e' un'arma a doppio taglio; la stimolazione della domanda con la pubblicita' e l'emulazione e' decrescente al crescere dell'istruzione, mentre e' crescente la stimolazione di desideri piu' esoterici: musica, arti figurative, interessi scientifici e letterari, in parte anche i viaggi.

La manipolazione delle coscienze ai fini del mercato e la creazione della mentalità convenzionale non deve essere coercitiva secondo i vecchi canoni repressivi, in quanto la coercizione non può coesistere con la libertà di mercato. La manipolazione deve essere formativa, permeante, in questo senso la società opulenta deve controllare la scuola e i mezzi di informazione, il tempo libero, gli spettacoli, e, oggi, la rete.

Di fronte al nuovo totem della produzione, e al nuovo mito della merce come misura della società umana, finiscono tutti gli ismi della storia, le grandi idee sul progresso, la costruzione di nuove realtà spirituali o l'idea che una società di eguali avrebbe assicurato la pace e la prosperità. Banalmente il futuro sarebbe stato l'epoca in cui la produzione avrebbe toccato vette più elevate.

In un passaggio che ai tempi del libro poteva definirsi profetico, Galbraith dice che il nuovo indirizzo economico tende ad aumentare la disponibilita' di lavoro, grazie a natalita' ed immigrazioni. La sovrappopolazione è dunque un elemento essenziale al funzionamento della società moderna basata sulla produzione di beni. Funzionale alla società opulenta è lo sviluppo delle megalopoli come nuova forma di convivenza di grandi masse nel segno del consumo.

Secondo la nuova economia nulla sta al di sopra della produzione, neanche la scienza. Gli scienziati godono di un discreto prestigio, dice l'autore di The Affluent society, ma per essere veramente utili noi pretendiamo che essi siano al servizio del miglioramento della produzione. La scienza non deve essere al servizio del progresso umano, ma al servizio della produzione dei beni.

Sono gli anni in cui tutto diviene produzione in serie. (…) Chi si oppone alla produzione dei beni e al suo corollario: il mercato globale che assicura la crescita costante del prodotto, e' fuori del paradiso terrestre e subisce metaforicamente la condanna al rogo dell'eresia. C'erano le basi del pensiero unico mercatista che si sarebbe definitivamente imposto del XXI secolo, la mentalita' convenzionale come la definisce Galbraith.

Gli anni in cui esce il libro sono anche gli anni in cui si comincia a comprendere che l'importanza della produzione supera il vecchio concetto dello stato nazionale: sentiamo continuamente dire che il livello di vita a cui sono giunti gli americani e' la "meraviglia del mondo", e nella mentalita convenzionale questa e' la giustificazione della nostra civilta' e anche della nostra esistenza. Comincia la globalizzazione dei mercati e della produzione.

Ora, fa notare Galbrahit, i beni sono abbondanti. Negli Stati Uniti sono piu le persone che muoiono per aver troppo cibo di quelle che muoiono per averne troppo poco. Mentre una volta si pensava che la popolazione premesse sulla disponibilita' delle risorse alimentari e di consumo, ora e' l'abbondanza di queste che pesa sulla popolazione.

Tutti gli umani del pianeta debbono essere liberi di accedere al prodotto: la produzione non si puo interrompere per nessun motivo, il paradigma ne prevede la crescita costante insieme al numero dei consumatori. le persone stesse divengono così, da soggetti quale erano, oggetti della moltiplicazione produttiva in quanto funzionali all'aumento del prodotto complessivo. >>

AGOBIT

(continua)

giovedì 23 settembre 2021

Imparare a distanza

Secondo Ugo Bardi, scienziato, docente universitario e blogger, la pandemia in corso ha cambiato profondamente l'insegnamento delle università italiane. 

<< Il 'coronavirus' ci ha costretto ad abbandonare le aule e passare alla didattica virtuale e, se volete la mia opinione, è stato un bel disastro.

Per gli studenti, diciamo che c’è solo una cosa più noiosa che sentire una lezione universitaria: sentirla senza nemmeno vedere la faccia di quello che parla! Per il docente, la lezione virtuale in diretta ti consente ancora di vedere le facce dei tuoi studenti, ma non sai se stanno vedendo te sul loro schermo oppure un videogioco o un filmino di YouTube.

Ancora peggio sono le lezioni registrate: parli senza avere la minima possibilità di dialogare con gli studenti. Insomma, è stato il trionfo della didattica erogativa: uno parla, gli altri ascoltano. >>

Quelle che seguono sono alcune riflessioni del professor Bardi sul'argomento, tratte dal suo blog (Effetto Seneca).

LUMEN


<< Si avvia a concludersi il secondo anno accademico dell’era post-Covid [il pezzo è stato scritto nello scorso mese di giugno - NdL].

È stato ancora un anno in didattica a distanza (Dad) ma stavolta in modalità “duale.” Per via del distanziamento, non tutti gli studenti potevano entrare nelle aule e quindi avevano l’opzione di seguire i corsi a distanza per mezzo di una telecamera. In pratica il duale è stato alternato a periodi di completa didattica a distanza, ma in ogni caso ha confermato i problemi (…) precedenti.

Uno dei problemi principali è che nell’università si fa ancora lezione con il docente che parla e gli studenti che ascoltano: è la didattica cosiddetta “erogativa” che vede gli studenti come dei secchi da riempire. Potrebbe anche andar bene per certe cose, ma il problema è che la tecnologia cambia completamente il modo di fare le cose, anche se non lo vorremmo.

Per esempio, potete benissimo dire che la vostra macchina è una “berlina,” ma questo non vuol dire che sia tirata da cavalli e abbia un cocchiere, come avevano le berline di due secoli fa. Allo stesso modo, quello che si fa in Dad viene chiamato “lezione” ma non è la stessa cosa che si faceva prima.

Una lezione universitaria tradizionale “frontale” di un paio d’ore è pesante. Però si regge abbastanza bene se il docente ha una capacità che si acquisisce con l’esperienza: capire se gli studenti lo stanno seguendo oppure no.

Gli studenti ti possono mandare dei messaggi chiarissimi anche senza dire una parola: lo si vede dal linguaggio del corpo: sguardo, posizione, movimenti, eccetera. E se vedi che non ce la fanno più, puoi rallentare, fare una pausa, fermarti a spiegare, tornare indietro, e altre cose. Insomma, la lezione in presenza è sempre interattiva.

Ovviamente, non è detto che funzioni sempre bene ma, comunque vada, docenti e studenti sono esseri umani che si ritrovano faccia a faccia per due ore. Non si possono ignorare reciprocamente per tutto il tempo.

Trasportate la stessa lezione in Dad ed è un disastro. Ti trovi di fronte gli studenti in forma di immagini grandi come francobolli. E nemmeno tutti mostrano la loro faccia, invocando una cattiva connessione. Forse è una scusa, forse no, comunque non li puoi obbligare.

Così ti ritrovi a “parlare al nulla” senza avere la minima idea se quello che stai dicendo viene recepito. Le cose non cambiano in modalità duale. Più della metà degli studenti rimangono in virtuale e i professori sono bloccati nel campo visivo della telecamera senza poter veramente interagire con i coraggiosi in aula.

Ne consegue che la Dad segna un cambiamento profondo nella struttura e nei metodi delle lezioni. La lezione “frontale” (chiamatela “cattedratica”, se volete) è altrettanto obsoleta delle carrozze a cavalli.

Il futuro è probabilmente qualcosa di simile ai seminari TED che trovate sul Web. Presentazioni brevi ed efficaci, fatte dagli esperti più rinomati nei vari settori, gestite da professionisti della comunicazione. Cose ben diverse da quello che un docente può fare da solo, arrangiandosi il meglio che può fra le mille incombenze che si ritrova addosso.

Se si va verso qualcosa del genere, come sembra inevitabile, un gran numero di docenti dell’università italiana risulterà ridondante, più o meno come i cocchieri delle carrozze di una volta.

Non è detto che non sia una cosa buona, ma il problema non è quello. È che l’università – come tutta la scuola – è uno dei pochi luoghi dove i giovani possono ancora socializzare e crescere come persone.

Se restano chiusi in casa, davanti allo schermo di un computer, il risultato lo potete ancora chiamare scuola, ma non lo è più, allo stesso modo in cui la potenza di un’automobile si può ancora misurare in cavalli vapore, ma i cavalli non ci sono più.

Ed è una cosa a cui dobbiamo pensare se non vogliamo tirar su una generazione di disadattati. >>

UGO BARDI

giovedì 16 settembre 2021

Confessioni di un povero Diavolo

Pochi personaggi dell'immaginario umano hanno avuto un successo paragonabile a quello del Diavolo, altrimenti noto come Demonio, Satana, Lucifero, Principe del Male o quel che volete voi. Ma cosa sappiamo veramente di lui ? 
Quelle che seguono sono le ipotetiche confessioni del personaggio in questione, immaginate dalla penna acuta ed ironica di Enrica Rota (dal sito UAAR). Una lettura divertente, ma anche molto profonda. 
LUMEN 
 
 
<< Ebbene, Signori, eccomi qua. Mi avete evocato e quindi adesso statemi a sentire: non è vero tutto quello che vi hanno sempre raccontato su di me, perciò ora vi esporrò la mia versione dei fatti che, come potrete notare, molto si discosta da quella che vi è stata fino ad oggi propinata da tutti i preti, teologi e lecchini vari di cui il buon Dio dispone sulla terra. Ecco dunque come stanno veramente le cose.

Una volta ero un angelo bellissimo, il più bello di tutti a dire il vero, e un giorno ho deciso di ribellarmi a Dio. Ma il motivo non era la superbia, come vi hanno sempre fatto credere, tutt’altro! Il motivo era che io, Dio, non lo sopportavo proprio: era prepotente, irascibile, volubile, violento e vendicativo; faceva e disfaceva le cose a suo piacimento, e guai a criticarlo; si comportava da padrone e da tiranno e bistrattava le sue povere creature: certo così non si poteva più andare avanti!

E poi, a dire il vero, a me non piaceva neanche troppo la creazione: era del tutto ovvio che Dio l’aveva fatta con i piedi, senza concentrarsi più di tanto: ma come si fa, dico io, a creare la luce il primo giorno e il sole e le stelle che la producono soltanto al quarto? E, d’altro canto, come avranno fatto a passare i primi quattro giorni se il sole, per l’appunto, non era ancora stato creato? Cosucce così.

Non c’era affatto da stupirsi, quindi, se la creazione risultava difettosa, bislacca e piena di magagne. Io ero convinto che, potendo metterci mano, sarei riuscito a migliorare un po’ le cose: ad esempio, prima di tutto avrei abolito questa ridicola catena alimentare ed eliminato gli animali carnivori (oltre a certi animaletti antipatici come le vespe icneumonidi), inoltre anche le malattie, le sofferenze inutili eccetera eccetera, e soprattutto avrei revocato all’uomo il permesso di assoggettare tutta la natura, che guardate un po’ da allora in poi quanti casini ha combinato …

E quindi, in poche parole, per questi motivi di cui sopra avevo provato a ribellarmi a Dio ma, ahimè, non ce l’ho fatta e la storia, come tutti sanno, viene poi sempre scritta dai vincitori.

Riguardo invece a quell’altra faccenda, quella della mela, anche lì non ve l’hanno mica contata giusta! La verità è che io non c’entravo proprio niente, stavo semplicemente passando da quelle parti nella mia veste di animale strisciante e quella str***a mi ha visto e ha pensato bene di dare a me tutta la colpa, ma io, ripeto, sono innocente, ve lo potrei giurare anche su Dio, se volete, ahahah! (risatina diabolica).

E comunque, insomma, in seguito al fattaccio della mela sia Dio che gli uomini hanno cominciato a dare sempre a me la colpa di tutti i pasticci che combinano, e così la figura del cattivo alla fine la faccio sempre io.

E hanno anche deciso di chiamarmi “il Maligno”, quello che è sempre lì pronto a sporcare la creazione, oppure “il Tentatore”, quello che passa le sue giornate a cercare di far peccare le persone, e quindi io sarei il responsabile di tutti i mali del mondo, niente meno, delle guerre, delle carestie, dei terremoti, degli tsunami, delle malattie, dei virus e finanche delle zanzare, e se al mondo ci sono dei bimbi che muoiono di tumore e degli adulti bloccati per anni a letto con la SLA il colpevole sono sempre e soltanto io, e se gli uomini sono violenti, se si uccidono a vicenda o se uccidono le loro donne e i loro figli il colpevole sono sempre e soltanto — indovinate un po’! — io, naturalmente!

E lo sono pure di tutte le atrocità che commettono certi ministri di Dio sulla terra, perché loro in quanto tali non peccherebbero sicuramente mai, se non ci fossi io sempre lì dietro, in agguato, pronto ad indurli in tentazione!

Molto comodo, Signori miei, davvero molto, ma mooolto comodo! Pensateci un po’, se io non esistessi Dio non godrebbe certo di tutta questa grande fama di benevolenza e bontà che si porta sempre dietro, e voi dovreste assumervi la responsabilità delle vostre malefatte invece di sbolognarle tutte su di me.

Sono io, Signori, mica Cristo, quello che lava i peccati del mondo, il capro espiatorio di tutti i vostri misfatti. E sono sempre io, Signori miei, quello che vi permette di convivere con le vostre coscienze sporche, con la vostra carne “debole”, con la vostra volontà vacillante, con le vostre pulsioni malvagie, con i vostri deplorevoli comportamenti e con tutte le vostre ipocrisie senza farvi troppi scrupoli di coscienza; quello che vi lava i panni sporchi nell’acquasantiera dell’auto-indulgenza e che fa sì che possiate auto-assolvervi di tutte le vostre manchevolezze, insomma.

E sono ancora sempre io quello che libera Dio dalla sua grave responsabilità per l’esistenza del male nel mondo; sì, è proprio così, sono il capro espiatorio anche di Dio! Se Lui non mi volesse io non ci sarei, e se voi non lo voleste non mi permettereste certo di indurvi in tentazione, ma io torno comodo un po’ a tutti e quindi nessuno mai mi caccerà.

Sono Lucifero, “colui che porta la luce”, e ho voluto illuminarvi un po’ sul mio ruolo nel mondo. Avrei voluto fare le cose meglio di Dio ma non ce l’ho fatta, ed accetto di buon grado la sconfitta. Dopo tutto, il mio è un ruolo indispensabile, e se io non esistessi sia voi uomini che il vostro Dio dovreste fare i conti con la vostra vera natura, quella più oscura e più recondita, e non credo che vi piacerebbe molto quello che potreste scoprire.

Fortuna dunque che ci sono io, il diavolo, “il Maligno”, “il Tentatore”, quello che si porta sulle spalle tutte le vostre colpe e che rende la vita più semplice per tutti. Sono Lucifero e vi porto il sollievo. Se io non esistessi dovreste proprio inventarmi. >>

ENRICA ROTA

giovedì 9 settembre 2021

Che cos'è la vita – 2

Si concludono qui le riflessioni di Giovanni Occhipinti sulle differenze tra la materia vivente e quella inanimata. (seconda e ultima parte). LUMEN.


<< Riassumendo: La vita è uno stato della materia che si regge su tre proprietà fondamentali: deve possedere un sistema metabolico ed essere un prodotto della riproduzione e dell’evoluzione. (...)

La cellula batterica è capace di metabolismo, è un prodotto della riproduzione e dell’evoluzione, essa è l’entità minima vitale, il primo stadio della vita su cui può agire la selezione naturale ed è quindi soggetta ad evoluzione. Esistono però degli organismi che sono più piccoli dei batteri: i Virus. Si apre spesso il dibattito se i Virus siano da considerare organismi viventi o non viventi.

Luis P. Villareal esperto di virologia in “I Virus sono vivi?”, Le Scienze 2005, paragona i Virus ai semi in quanto a potenziale da cui può sgorgare la vita.

Dorothy Crawford microbiologa tra i massimi esperti di virus è di parere opposto e nel suo saggio, “Il nemico invisibile. Storia naturale dei virus” 2002, scrive: «Diversamente dai batteri i virus non possono fare niente da soli. Non sono cellule ma particelle, e non hanno una fonte di energia né alcuno degli apparati cellulari necessari a produrre le proteine. Ciascuno di essi è composto semplicemente da materiale genetico circondato da un guscio proteico protettivo denominato “capside”. […] Ma per riuscire ad utilizzarlo devono penetrare in una cellula vivente e assumerne il controllo. […] Non appena un virus riesce a introdursi in una cellula, questa legge il codice genetico del virus che ordina “riproducimi”, e si mette al lavoro. In questo modo i virus invadono gli esseri viventi, ne requisiscono le cellule, e le trasforma in fabbriche per la produzione di virus».

Inoltre, come ci informa ancora Crawford, fuori dalla cellula ospite i Virus non possono sopravvivere a lungo perché non dispongono dei processi metabolici di una cellula e quindi non sono capaci di nutrirsi.

La definizione di vita sopra esposta chiude definitivamente questo dibattito. I Virus non sono organismi viventi perché non presentano uno dei fattori che definisce la vita: il metabolismo.

Ma se i Virus non sono viventi ma particelle, sono simili ai sassi? Come scrisse il virologo Norman Pirie già nel 1934, sono sistemi che non sono né chiaramente viventi né chiaramente inanimati. Se per indicare tali sistemi il termine Virus non è soddisfacente bisogna coniare un altro termine.

Abbiamo dato una definizione macroscopica della vita e individuato nella cellula batterica l’entità minima vitale, ma all’interno della cellula a livello molecolare, che cosa è la vita?

Nessuno scienziato ha mai avuto la pretesa di poter dare una risposta a questa domanda. La vita non si può identificare con una o con un gruppo di molecole. La vita è “emergenza” [nel senso: “che emerge” - NdL].

Il termine emergenza si deve intendere nel significato dato da Ernst Mayr (opera citata): «La comparsa di caratteristiche impreviste in sistemi complessi». «Essa non racchiude nessuna implicazione di tipo metafisica». «Spesso nei sistemi complessi compaiono proprietà che non sono evidenti (né si possono prevedere) neppure conoscendo le singole componenti di questi sistemi».

Quindi, la vita emerge da sistemi complessi, ma già a livello di sistemi semplici il mondo inanimato presenta delle analogie con il comportamento dei viventi.

La miosina è una delle proteine che partecipa al trasporto di materiali nella cellula. Vedere la miosina muoversi lungo i filamenti di actina, all’interno della cellula, sembra una piccola creatura a due gambe. Se la miosina viene portata fuori dalla cellula è immobile, ma se gli si fornisce il combustibile inizia a muoversi. La miosina non è vivente e non ha nessuno scopo, è una macchina molecolare, svolge solo funzioni come la catalasi che decompone l’acqua ossigenata e come migliaia di altre proteine.

Pier Luigi Luisi nel suo saggio “Origine della vita e della biodiversità” 2013, ha messo in evidenza come vescicole prodotte da acidi grassi possono riprodursi con meccanismi tipici degli organismi viventi. (...)

Ma già dalla metà del secolo scorso Oparin aveva messo in evidenza come vescicole di polimeri (coacervato) divenute troppe grosse tendevano a dividersi. Anche Sydney Fox ha prodotto coacervati di proteinoidi termici e osservato che questi ingrossando si dividono in modo simile ai batteri. I coacervati proteinoidi di Fox hanno inoltre deboli capacità enzimatiche. (...)

Concludendo, non esiste un “Èlan Vital”, uno spirito vitale, il comportamento di tipo vitale, l’origine dei processi vitali è radicato nella chimica fisica. Esistono però dei fatti inspiegabili, veri misteri, che sono al di fuori di possibili spiegazioni chimico-fisiche.

A livello molecolare metabolismo vuol dire migliaia di reazioni chimiche, che provvedono alla trasformazione del nutrimento in energia e componenti necessari al mantenimento e alla crescita. Ma metabolismo vuol dire fondamentalmente proteine enzimatiche. (…)

Le proteine enzimatiche costituiscono catene di montaggio, guide, controllo qualità e riciclo, trasporto materiali pompe proteiche ed elettromotori. Queste macchine molecolari sono il motore della vita, controllano anche il genoma e sicuramente sono esistite da sempre. Esse erano certamente molto più rudimentali, ma dovevano sicuramente far parte di un “proto organismo”.

Chi c’è dietro queste macchine, di che cosa sono costituiti queste macromolecole eccezionali? Di costituenti eccezionali, unici e universali: gli amminoacidi. (...) Ma chi ha dato origine agli amminoacidi? La materia inanimata.

Insomma, la materia inanimata ha fornito il materiale, gli amminoacidi, con tutte le proprietà giuste per la vita. Essa tutt’intorno ha creato un vuoto chimico in modo che la vita in formazione non abbia da sbagliare. Ed è da qui, dagli amminoacidi che inizia un particolare tipo di materia: la materia organica, la materia della vita. (...)

Rimane allora la domanda: ma come ha fatto la materia inanimata a dare origine ad amminoacidi con tutte queste proprietà, giusto quelle proprietà necessarie alla vita, mentre la vita è ancora in divenire? A questa domanda la scienza non ha nessuna risposta perché esula dal suo dominio. >>

GIOVANNI OCCHIPINTI

venerdì 3 settembre 2021

Che cos'è la vita – 1

Uno degli argomenti più affascinanti della scienza è lo studio delle differenze fondamentali tra la materia vivente e quella inanimata e proprio ad esso è dedicato il post di oggi, scritto da Giovanni Occhipinti.  
Il testo, tratto dal suo blog 'Origine della Vita e Chimica pre-biotica', è stato diviso in 2 parti per comodità di lettura.  
LUMEN.


<< La definizione del concetto di vita e di vivente è naturalmente una impresa molto ardua e sono sempre possibili imprecisioni e fraintendimenti. A volte, nell'intento - magari lodevole di essere precisi e rigorosi - si finisce per correre il rischio di essere dogmatici e di cadere in conclusioni paradossali, quali quelli che portano a dubitare della qualifica di vivente del mulo soltanto perché è sterile e non può riprodursi.

Quelle che seguono sono dunque considerazione che hanno un fine prevalentemente terminologico (quello di evitare che nella discussione si faccia uso di termini uguali, attribuendo loro significati diversi) e metodologico (quello di circoscrivere la trattazione dell'argomento all'ambito strettamente scientifico-sperimentale).

Se si osservano un cane che abbaia e un sasso sappiamo subito riconoscere cosa è vivo e cosa inanimato. Dare però una definizione scientifica conclusiva che distingua i viventi dal mondo inanimato cioè come definire la vita, per mezzo di osservazioni macroscopiche e di senso comune, è un’impresa difficile. Intorno agli anni settanta del secolo scorso, si inizia a fare una lista delle caratteristiche del vivente.

Così, organismo vivente era considerato un sistema capace di nutrirsi, crescere, riprodursi e reagire agli stimoli. La questione è che queste funzioni si riscontrano, singolarmente, anche nel mondo inanimato. Il granulo di un cristallo si “nutre” delle particelle in soluzione e cresce, può spezzarsi e riprodurre un altro cristallo. Si conoscono anche diversi sistemi meccanici che reagiscono ad uno stimolo termico o elettrico.

Si è pensato allora di mettere come condizione, per definire un vivente, la presenza simultanea di tutte le caratteristiche sopra elencate. Ma poi, se il cane è gravemente malato e non riesce più a nutrirsi? E gli ibridi, come il mulo che non si riproducono?

La questione fu quindi spostata sulle popolazioni e infatti Maynard Smith in “La teoria dell’evoluzione” 1975, scrive: «Una lista così arbitraria ci serve a poco. Per fortuna la teoria della selezione naturale di Darwin ci dà, invece, una definizione soddisfacente. Noi consideriamo vivente una popolazione formata da entità che hanno la proprietà di moltiplicazione, di ereditarietà e di variabilità».

Rimane ancora il problema degli ibridi che non si riproducono. Agli inizi degli anni `80, come scrive Alessandro Minelli in “Gli albori della vita” Le Scienze”1984, si preferisce lasciare da parte la tentazione di definire il fenomeno “vita”.

Verso la fine dello stesso decennio Manfred Eigen, in “Gradini verso la vita” 1987, dedica tutto il primo capitolo a questo argomento e infine conclude: «La domanda: “Che cos’è la vita?” ha molte risposte possibili, nessuna delle quali è soddisfacente […]. Troppo grande è la massa dei fenomeni complessi, troppo diversificati sono i caratteri e i comportamenti dei viventi perché una definizione generale possa avere senso».

Nel 2000, in “Da dove viene la vita”, Paul Davies tenta di dare una chiara idea di che cosa sia la vita e ritorna a proporre una lista. Egli elenca dieci caratteristiche essenziali per definire un vivente e conclude: «Posso riassumere questo elenco di qualità affermando che, in senso lato, la vita sembra coinvolgere due fattori cruciali: il metabolismo e la riproduzione». E gli ibridi? (...)

Ernst Mayr, in riferimento alla ricerca della vita nello spazio, in “L’unicità della biologia”2004, ritorna sulla necessità di dare una definizione di “vita” e scrive: «Personalmente accetto una definizione ampia: la vita deve essere capace di replicarsi e di usare l’energia ricavata dal sole o da alcune molecole disponibili, come i composti solforati presenti nelle fumarole oceaniche». Rimane ancora il problema del seme e degli ibridi. (...)

In conclusione, lista o non lista, da un punto di vista scientifico non esiste una chiara e condivisa definizione di che cosa è la vita. (...) Ma perché non si riesce a dare una definizione alla vita?

Perché ogni volta che in una lista compaiono metabolismo, riproduzione ed evoluzione, esse vengono proiettate sempre verso il futuro, ma la selezione naturale non conosce il futuro. Non ha senso una definizione di vita che guarda al futuro se il futuro non si conosce. (...)

La vita è uno stato della materia. Poiché esistono solo due stati, vita e morte, la vita è vita fino a quando non passa allo stato di morte, cioè fino a quando non si riconosce il “nuovo” stato, lo stato di materia inanimata.

Lo stato della materia che noi chiamiamo “vita” si regge su tre proprietà fondamentali: deve possedere un sistema metabolico ed essere un prodotto della riproduzione e un prodotto dell’evoluzione. La materia che non presenta simultaneamente queste tre proprietà fondamentali è materia inerte.

Nessuno in un automobile o in un cristallo riconosce un sistema metabolico ed essere il prodotto della riproduzione e dell’evoluzione. I cristalli di sale che si formano sugli scogli dopo l’evaporazione dell’acqua sono identici a quelli che si formavano miliardi di anni fa, nessuna differenza, nessuna evoluzione.

Il cane ammalato è temporaneamente impedito, ma possiede un sistema metabolico. È un prodotto della riproduzione e dell’evoluzione. Il cane ammalato è un vivente. Il mulo sopravvive per mezzo del metabolismo. È ininfluente se si riproduce o no, è però un prodotto della riproduzione e dell’evoluzione dei suoi antenati, la cavalla e l’asino. Il mulo è un vivente.

E i semi cui possiamo aggiungere anche le spore? (...) Semi e spore protetti all’interno dei loro gusci aspettano pazientemente il loro momento per sopravvivere. Semi e spore hanno un sistema metabolico sono prodotti della riproduzione e dell’evoluzione delle piante, e di funghi e batteri. Semi e spore sono viventi. >>

GIOVANNI OCCHIPINTI

(continua)