sabato 27 ottobre 2012

Lentamente Pablo

LUMEN: Senor Neruda, come state ?

NERUDA: Bene, benissimo; non mi sono mai sentito meglio.
LUMEN: Mi fa molto piacere.

NERUDA: Non sono certo come quei poveretti che muoiono lentamente, giorno dopo giorno.
LUMEN: E chi sono costoro ?

NERUDA: Lentamente muore chi diventa schiavo dell'abitudine, ripetendo ogni giorno gli stessi percorsi.
LUMEN: Voi dite ? Non ci vedo nulla di male nelle abitudini. Sono compagne fedeli delle nostre giornate e ci aiutano a vivere più tranquilli e più sereni.

NERUDA: Lentamente muore chi non cambia la marca e il colore dei vestiti.
LUMEN: Questa poi ! La marca dei vestiti mi pare del tutto irrilevante e se uno ha dei colori preferiti, che male c’è ?

NERUDA: Lentamente muore chi non parla a chi non conosce.
LUMEN: Su questo siamo d’accordissimo. Bisogna parlare e socializzare con tutti.

NERUDA: Muore lentamente chi evita una passione, chi preferisce il nero su bianco ed i puntini sulle "i" piuttosto che un insieme di emozioni, proprio quelle che fanno brillare gli occhi, quelle che fanno di uno sbadiglio un sorriso,
quelle che fanno battere il cuore davanti all'errore ed ai sentimenti.
LUMEN: Caro senor Neruda, le emozioni sono importanti, nessuno lo nega, ma nella vita servono anche i puntini sulle “i”, magari solo per evitare di prendere delle fregature.

NERUDA: Lentamente muore chi non capovolge il tavolo,
LUMEN: Mah, spero che intendiate la cosa solo come gesto metaforico….

NERUDA: Lentamente muore chi è infelice sul lavoro,
LUMEN: Ah, questo è verissimo. Non c’è nulla di più triste che fare un lavoro che rende infelici. Però dipende anche dalla prospettiva: non si vive per il lavoro, ma si lavora per poter vivere con i soldi guadagnati.

NERUDA: Lentamente muore chi non rischia la certezza per l'incertezza per inseguire un sogno,
LUMEN: Buttarsi nell’incertezza per un sogno ? No grazie. E chi l’ha detto che i sogni non possano inseguire anche con passo tranquillo, seguendo le proprie certezze ?

NERUDA: Lentamente muore chi non si permette almeno una volta nella vita di fuggire ai consigli sensati.
LUMEN: Se i consigli sono sensati, non vedo proprio perché li si debba ignorare, anche solo per una volta.

NERUDA: Lentamente muore chi non viaggia.
LUMEN: Viaggiare è bello, ma non certo nel modo sciocco e frenetico di oggi, saltando da un aereo ad un supertreno ad un’autostrada inquinante. Bisogna farlo in modo intelligente e non è necessario andare troppo lontano.

NERUDA: Lentamente muore chi non legge, chi non ascolta musica, chi non trova grazia in se stesso.
LUMEN: Su questo siamo d’accordissimo. Leggere, ascoltare musica e restare con se stessi a pensare. Questa è la vera serenità.

NERUDA: Muore lentamente chi distrugge l’amor proprio.
LUMEN: Mah, l’amor proprio si trasforma troppo spesso in una prigione; saperlo distruggere non mi sembra poi un gran male.

NERUDA: Muore lentamente chi non si lascia aiutare;
LUMEN: Verissimo. Ma per fare questo occorre, appunto, saper oscurare l’amor proprio.

NERUDA: Muore lentamente chi passa i giorni a lamentarsi della propria sfortuna e della pioggia incessante.
LUMEN: Parole sante. Ognuno di noi è “faber fortunae suae” e dobbiamo lasciare i piagnistei e le lamentazioni a chi non ha alcuna stima di se stesso.

NERUDA: Lentamente muore chi abbandona un progetto prima di iniziarlo, chi non fa domande sugli argomenti che non conosce, chi non risponde quando gli chiedono qualcosa che conosce.
LUMEN: Ben detto, la curiosità intellettuale è quello che ci tiene più vivi, anche in tarda età.

NERUDA. Evitiamo la morte a piccole dosi, ricordando sempre che essere vivo richiede uno sforzo di gran lunga maggiore del semplice fatto di respirare.
LUMEN: Grazie senor Neruda. Terrò in buon conto molte delle vostre parole.


(POSCRITTO - Pare che la poesia "Lentamente muore", su cui è basato questo dialogo immaginario, sia "falsamente" attribuita a Pablo Neruda, ma sia opera, in realtà, di una poetessa brasiliana. Spero che il buon Neruda, dall'alto della sua saggezza, mi possa perdonare.)

venerdì 19 ottobre 2012

Abbasso la Squola

Dicevano gli antichi romani che “non scholae, sed vitae discimus” ma, se si guarda in modo disincantato al nostro attuale sistema scolastico, si ha la netta sensazione che di cose utili per la vita, e quindi per il lavoro, a scuola se ne imparano davvero poche.
Sull’inefficienza di un sistema scolastico “istituzionale” ha scritto molto anche Ivan Illich, un saggista austriaco “fuori dagli schemi”, che nei suoi libri si è dedicato a demolire i principali pilastri della società occidentale.
Una critica che, in molti punti, appare decisamente eccessiva, ma che resta stimolante e ricca di idee nuove su cui riflettere.
Quelle che seguono sono alcune delle sue riflessioni sulla scuola (anzi, la "squola").
LUMEN


<< L’istruzione forzosa spegne nella maggioranza delle persone la voglia di imparare per proprio conto.
 
Molti studenti, specie se poveri, sanno per istinto che cosa fa per loro la scuola: gli insegna a confondere processo e sostanza. Una volta confusi questi due momenti, acquista validità una nuova logica; quanto maggiore è l'applicazione, tanto migliori sono i risultati; in altre parole, l'escalation porta al successo. In questo modo si “secolarizza” l'allievo a confondere insegnamento e apprendimento, promozione e istruzione, diploma e competenza, facilità di parola e capacità di dire qualcosa di nuovo. Si “secolarizza” la sua immaginazione ad accettare il servizio al posto del valore.
 
Le scuole creano posti di lavoro per gli insegnanti, indipendentemente da ciò che gli allievi imparano.
 
Due secoli fa gli Stati Uniti guidarono il mondo in un movimento inteso a respingere il monopolio di un'unica chiesa. Oggi occorre il disconoscimento costituzionale del monopolio della scuola, cioè di un sistema che associa legalmente il pregiudizio alla discriminazione.
 
La scuola è l'agenzia pubblicitaria che ti fa credere di avere bisogno della società così com'è.
 
Gli scritti di Karl Marx ci hanno reso familiare l'alienazione dell'operaio dal proprio lavoro nella società divisa in classi; è ormai tempo di riconoscere quello che è lo straniamento dell'uomo dal proprio sapere, quando quest'ultimo diventa il prodotto di un servizio professionale e l'uomo il suo consumatore.
 
La scolarizzazione e l'educazione sono correlate tra loro come la Chiesa e la religione o, in termini più generali, come il rito e il mito.
 
Decenni di fede nella scolarizzazione hanno tramutato il sapere in una merce, un prodotto commerciabile di tipo speciale. Oggi lo si considera un bene di prima necessità e, contemporaneamente, la moneta più preziosa di una società.
 
La scuola definisce l'educazione come oggetto di competizione.
 
Il consumatore-utente ha bisogno della sua dose di sapere garantito, accuratamente preconfezionato. Trova la propria sicurezza nella certezza di leggere lo stesso giornale del vicino, di guardare la stessa trasmissione televisiva del suo padrone. Si accontenta di avere accesso allo stesso rubinetto di sapere del suo superiore, anziché perseguire l'uguaglianza di condizioni che darebbe alla sua parola lo stesso peso di quella del suo padrone.
 
La scuola sottrae le cose all'uso quotidiano appiccicando ad esse l'etichetta di sussidi didattici.
 
La dipendenza, che tutti accettano come ovvia, nei confronti del sapere altamente qualificato prodotto dalla scienza, dalla tecnica e dalla politica, erode la fiducia tradizionale nella veracità del testimone e svuota di senso i modi con cui gli uomini possono scambiarsi le proprie certezze. >>
 
 IVAN ILLICH

sabato 13 ottobre 2012

Io Tarzan, tu Jane - 2

Da “L’ORIGINE DELLA DONNA” di ELAINE MORGAN

 (seconda parte)
 
<< Tanto tempo fa, dunque, indietro nel tempo fino al mite miocene, esisteva una scimmia pelosa, generalizzata, vegetariana, pre-ominide. In essa non si era ancora sviluppato il cervello efficientissimo che distingue oggi la donna da tutte le altre specie. (…)
 
Come i gorilla attuali, essa si procurava il cibo sugli alberi e dormiva tra i rami, ma trascorreva parte del proprio tempo al suolo. Tuttavia era più piccola e più leggera di un gorilla; e non era fiduciosamente persuasa come il gorilla che la sua specie potesse sconfiggere qualsiasi altra creature in quella parte delle foreste.
 
Dopo un paio di milioni di anni di questa pacifica esistenza le prime ondate di calura torrida del pliocene cominciarono a inaridire il continente africano. Tutto intorno alla foresta gli alberi cominciarono a disseccarsi nella siccità e furono sostituiti da boscaglia e prateria. (…)
 
Si rese subito conto che là non si sarebbe trovata a suo agio. Disponeva di quattro mani più adatte ad afferrare che a camminare e al suolo non era molto veloce (…) Nella foresta aveva variato spesso la propria dieta a base di frutta cibandosi di piccoli insetti e di bruchi, e per molto tempo questo fu il solo cibo che le riuscisse di trovare e che le sembrasse remotamente edibile. (…) Divenne orrendamente magra e malconcia. (…)
 
I suoi fratelli maschi erano probabilmente più forti e meglio equipaggiati. (…) Il “proconsole”, ci si dice, aveva “grossi canini fatti per battersi”. Ardrey li paragona ai “magnifici pugnali sfoggiati dalle scimmie antropomorfe e dai babbuini”. Ma non è esattamente vero che tutti i babbuini sfoggiano magnifici pugnali. Soltanto i babbuini maschi li hanno. (…)
 
In breve la femmina si trovava in una situazione impossibile. Il solo cibo esistente in abbondanza era l’erba, che il suo stomaco non era in grado di digerire.  Tutto in quell’ambiente (tranne gli insetti) era o più grosso, o più feroce, o più veloce di lei. Molti degli animali erano più grossi, più feroci e più veloci. (…) Tenuto conto delle circostanze, essa poteva diventare una cosa sola, e lo divenne subito. Finì col diventare il pranzo del leopardo. (…)
 
L’obiezione del lettore in genere è più sentita. Se questo primate disceso dagli alberi si estinse, che ne fu del lieto fine ? E noi ? Farò adesso una completa confessione e ammetterò che quella scimmia femmina non fu effettivamente la nostra nonna, ma una pro-prozia dal lato materno, così sfortunata da vivere al centro di un continente.
 
Centinaia e centinaia di chilometri più lontano, nei pressi della costa, viveva una sua cugina della stessa specie. (…) Essa constatò con gioia che ogni creatura sulle spiagge o nell’acqua era o più piccola, o più lenta, o più pavida di quanto lo fosse lei.
 
Passò con disinvoltura, quasi senza rendersene conto, dall’abitudine di cibarsi di piccoli insetti striscianti a quella di nutrirsi con piccoli striscianti gamberetti e granchiolini. C’erano migliaia di uccelli marini che nidificavano sulle scogliere, e poiché essa possedeva mani capaci di una salda presa e non soffriva di capogiri, colmò un’altra nicchia ecologica vuota andando in cerca di uova.
 
Oltre ai gamberetti, esistevano grosse creature dai gusci più duri, che assomigliavano ai mitili, ostriche e aragoste. Il suo compagno era solito stritolare i gusci o aprirli a forza con i denti simili a pugnali; essa invidiava ciò perché, non possedendo canini così lunghi, non sempre riusciva a sfamarsi. In un ozioso pomeriggio, dopo parecchi tentativi ed errori prese un ciottolo (…), colpì con esso uno dei gusci, e il guscio si spaccò. Provò ancora e ogni volta il risultato fu lo stesso. Così la femmina cominciò a servirsi di strumenti e il maschio la osservò e la imitò. (…)
 
Ogni volta che accadeva qualcosa di allarmante dalla parte dell’entroterra – o talora soltanto perché stava facendo così caldo – essa tornava ad addentrarsi nell’acqua fino alla vita, o addirittura fino al collo. Ciò significava, naturalmente, che era costretta a camminare eretta sugli arti posteriori. Si trattava di un’andatura lenta e goffa, specie all’inizio, ma era assolutamente essenziale se la scimmia voleva mantenere la testa sopra la superficie dell’acqua. (…)
 
La scimmia trascorreva tanto di quel tempo nell’acqua che la pelliccia finì con il diventare per essa soltanto un fastidio. (…)  La pelliccia bagnata a terra non serve a nessuno, e la pelliccia nell’acqua tende a rallentare il nuoto. Essa cominciò a trasformarsi in una scimmia nuda per la stessa ragione in seguito alla quale la focena si trasformò in un cetaceo nudo, l’ippopotamo in un nudo ungulato, il tricheco in un nudo pinnipede, e il lamantino in un nudo sirenide. (…)
 
Questa teoria acquatica dell’evoluzione umana venne proposta per la prima volta dal professore di biologia marina Sir Alister Hardy, in un articolo pubblicato da “The New Scientist” nel 1960. (…)
 
Ricapitoliamo alcune altre tesi di Sir Alister. Non era stata soltanto l’assenza di peli degli uomini a indurlo a suggerire l’idea (…) Sul corpo umano i peli residui seguono esattamente le linee che verrebbero seguite dallo scorrere dell’acqua su un corpo il quale notasse. Se i peli, a scopi idrodinamici, si fossero adattati alla direzione della corrente prima di venire in ultimo eliminati, questo è per l’appunto quanto dovremmo aspettarci di osservare. (…)
 
Fece rilevare che il modo migliore di mantenersi caldi in acqua consiste nel disporre di uno strato di grasso sottocutaneo, analogo al grasso della balena, (…) e che nell’Homo sapiens, unico esempio tra i primati, si è effettivamente sviluppato tale strato, la cui esistenza non ha mai potuto essere spiegata altrimenti. (…)
 
[Esiste poi il fatto della calvizie, che è molto diffusa solo nei maschi]. Si sarebbe trattato di un vantaggio formidabile per il piccolo se i capelli della madre fossero stati lunghi abbastanza per avvolgervi le dita [nell’acqua] (…) quando avesse voluto riposarsi. Ciò spiegherebbe questo dimorfismo [sessuale] che nessuno ha mai chiarito in modo plausibile (…) A junior non sarebbe importato che la testa di “papà” fosse stata liscia e scivolosa, perché nell’acqua, come in precedenza sugli alberi, la madre era quella a cui si avvinghiava. (…)
 
Poiché stiamo parlando di piccoli, diamo ancora un’occhiata ai seni. La femmina di scimpanzé allatta perfettamente il piccolo mediante un paio di striminziti piccoli capezzoli situati su una superficie pettorale alquanto piatta, e non esiste nessuna ragione immediata e apparente per cui la scimmia nuda non avrebbe potuto fare altrettanto.
 
Ma le donne sono diverse; e la teoria andro-centrica decisamente prediletta vuole che la differenza costituisca un miglioramento estetico e che si sia evoluta come una sorta di stimolo sessuale.
 
Questo è essenzialmente un ragionamento circolare: “trovo questo attributo sexy: per conseguenza deve essersi evoluto affinché io potessi trovarlo sexy”. E’ come dire che la donna cammina ancheggiando perché ciò attrae il maschio. In effetti, essa cammina ancheggiando soltanto perché i suoi figli sono così intelligenti.
 
La necessità di far passare la testa di un bambino dal cranio voluminoso attraverso l’apertura pelvica ha impedito al suo scheletro di adattarsi alla deambulazione bipede con la stessa grazia dei suoi fratelli; e i maschi trovano questo difetto attraente soltanto perché lo associano alla femminilità. (…)
 
[Se però siete un piccolo da allattare] vi occorrono in realtà due cose: avete bisogno che il capezzolo si abbassi parecchio di più, e vi serve una massa di qualcosa di meno ossuto, qualcosa di duttile che abbia le dimensioni giuste affinché, con le piccole mani, riusciate a mantenere la presa mentre le giacete in grembo e a guidare le labbra verso il punto giusto. O, se volete, a guidare il punto giusto verso le vostre labbra.
 
E poiché siete il centro dell’evoluzione, quello che vi occorre in ultimo lo ottenete. Ottenete due bei seni penduli e soffici, facili a tenersi quanto un biberon e ridete. >>

ELAINE MORGAN

sabato 6 ottobre 2012

Io Tarzan, tu Jane - 1

Tra i tanti libri che parlano dell’origine dell’uomo, tutti inevitabilmente in bilico tra certezze (poche) ed ipotesi (molte) si staglia nettamente il libro dell’antropologa britannica ELAINE MORGAN dal titolo L’ORIGINE DELLA DONNA. 
Nel suo libro, la Morgan, provvede, in modo molto anti-conformista, a rovesciare la prospettiva tradizionale della narrazione storica (anzi preistorica) dal maschile al femminile.
L’evoluzione della nostra specie, in altre parole, sarebbe guidata dalle esigenze biologiche e comportamentali della donna e della sua prole, ben più importanti, in senso evoluzionistico, di quelle dell’uomo cacciatore.
Inoltre l’autrice avanza l’ipotesi, molto affascinante, che la nostra sia in qualche modo una “specie acquatica”, in quanto, nel corso della sua evoluzione, l’uomo sarebbe vissuto per un certo periodo a stretto contatto con l’acqua, sulle rive di un mare o di un lago
La riprova sarebbe data da alcune nostre caratteristiche peculiari, che sono tipiche dei mammiferi marini o acquatici, ma che sarebbero molto difficile da spiegare in un mammifero esclusivamente terrestre: assenza di pelliccia, abbondanza di grasso sottocutaneo, lacrimazione salina, forma e struttura del naso, labbra carnose, seni gonfi e sporgenti.
Quindi è altamente probabile che anche i nostri antenati pre-umani abbiano trascorso un periodo abbastanza lungo sulle rive di un mare o di un lago, passando in acqua molto del loro tempo. Il tal modo potrebbero aver acquisito, per selezione naturale, le caratteristiche sopra citate, così tipiche della nostra specie.
Quello della Morgan è un libro estremamente piacevole ed interessante, in quanto molto ben scritto e documentato. Purtroppo, per uno dei soliti misteri insondabili dell’editoria italiana, risulta anche molto difficile da trovare.
Riporto pertanto qui di seguito alcuni passaggi delle prime pagine, in cui l’autrice, in modo molto spiritoso ed ironico, demolisce il mito preistorico di Tarzan, il grande cacciatore.
LUMEN



<< Stando al libro della Genesi, Dio creò per primo l’uomo. La donna fu non soltanto un ripensamento, ma un’amenità.
Per quasi duemila anni si ritenne che questo sacro testo giustificasse la sua subordinazione e ne spiegasse l’inferiorità; poiché, anche in quanto copia, ella non era una copia molto ben riuscita. Esistevano differenze. La donna non costituiva una delle più belle opere di Dio. (…)

Ci si sarebbe potuti aspettare che quando Darwin si fece avanti e scrisse una versione completamente diversa dell’origine dell’uomo questa tesi venisse sradicata, poiché Darwin non riteneva che la donna fosse un ripensamento: egli pensava che l’origine di lei fosse come minimo contemporanea a quella dell’uomo.

Ciò avrebbe dovuto portare a una sorta di sfondamento nei rapporti tra sessi. Invece non fu così. Quasi subito gli uomini si dedicarono al compito per essi congeniale e affascinante di elaborare tutta una serie completamente nuova di ragioni in seguito alle quali la donna era manifestamente un essere inferiore e irreversibilmente subordinato.
Da allora hanno continuato a dedicarvisi allegramente. Anziché alla teologia, ricorrono alla biologia e all’etologia e allo studio dei primati, ma vi ricorrono per pervenire alle stesse conclusioni.

La leggenda del retaggio della giungla e dell’evoluzione dell’uomo in quanto carnivoro cacciatore ha affondato nella mente del maschio radici salde quanto quelle della genesi. (…) Si ritiene che quasi ogni nostra caratteristica sia derivata da ciò.
 
Se la nostra andatura è eretta, ciò è dovuto al fatto che il Potente Cacciatore dovette erigersi allo scopo di scrutare l’orizzonte per cercare la preda. Se viviamo nelle caverne, fu perché i cacciatori avevano bisogno di una base cui fare ritorno. Se imparammo a parlare, fu perché i cacciatori dovevano progettare il safari successivo e vantarsi dell’ultimo.
 
Desmond Morris, cogitando sulla forma del seno femminile dedusse all’istante che le mammelle si erano evolute in quanto il compagno della donna era diventato un potente cacciatore, e difese questa tesi assurda con la più grande ingegnosità. C’è un qualcosa nella figura di Tarzan che li ha ipnotizzati tutti. (…)

Perché [gli australopitechi] camminavano eretti ? Dovette esservi una ragione davvero potente in seguito alla quale fummo costretti per un lungo periodo di tempo a camminare sugli arti posteriori, sebbene quell’andatura fosse più lenta. Dobbiamo scoprire tale ragione. (…)
 
Altro interrogativo: Perché la scimmia nuda divenne nuda ?  Desmond Morris sostiene che, a differenza di carnivori più specializzati, come i leoni e gli sciacalli, la scimmia ex vegetariana non era fisicamente attrezzata “per lanciarsi fulmineamente verso la preda”. Avrebbe sofferto “un caldo eccessivo durante la caccia, e la perdita del pelo sarebbe stata di grande importanza nei momenti supremi della caccia stessa”.
 
Ecco un esempio di perfetto modo di pensare androcentrico. Esistevano due sessi anche allora ed io non credo che sia mai stato così semplice privare una femmina della pelliccia, soltanto per evitare al buon maschio di coprirsi di sudore durante i suoi momenti supremi. (…)  Questo problema sarebbe potuto essere risolto dal dimorfismo: la perdita del pelo più accentuata in un sesso che in un altro. E fu così, naturalmente, ma sfortunatamente per i tarzaniani, fu la femmina che restava in casa a diventare più nuda, e fu il surriscaldato cacciatore a conservare i peli sul petto.
 
Domanda successiva: Perché la nostra vita sessuale è diventata così complessa e sconcertante ? La risposta che si da, non ho quasi bisogno di dirlo è la seguente: tutto cominciò quando l’uomo divenne un cacciatore. Egli doveva percorrere lunghi tragitti per inseguire la preda e cominciò a preoccuparsi di quello che avrebbe potuto combinare la sua piccola donna. (…)
 
Divenne necessario, così si racconta, stabilire un sistema di “legame di coppie”. (…) “il metodo più semplice e più diretto per riuscirvi consisteva nel rendere più complcate e più ricche di compensi le attività condivise dalla coppia. In altri termini nel rendere il sesso più sexy”.
 
A tale scopo, alle nude scimmie spuntarono i lobi delle orecchie, narici carnose e labbra che sporgevano in fuori, tutto ciò, si sostiene, affinché gli individui si stimolassero vicendevolmente fino alla frenesia (…) e la femmina imparò a reagire sessualmente in ogni momento. (…)
 
Inoltre le scimmie decisero di passare al sesso faccia a faccia, in luogo del maschio che montava la femmina da tergo, come in precedenza, perché questo nuovo metodo portava ad un “sesso personalizzato”. (…)
 
Ciò mise alquanto in imbarazzo la signora Scimmia Nuda. Fino a quel momento, la cosa elegante da esibire negli approcci sessuali era consistita in “un paio di natiche carnose, emisferiche”. Ora, di colpo, le natiche non la facevano approdare a niente.
 
Si avvicinava al compagno facendo a più non posso segnali di identità soltanto frontali con i suoi bei nuovi lobi delle orecchie e con le narici, ma, per una ragione o per l’altra, il maschio non voleva semplicemente saperne. Sentiva la mancanza degli emisferi carnosi, capite.
 
La situazione era critica, insiste il dottor Morris. “Se la femmina della nostra specie voleva spostare con successo l’interessamento del maschio verso la parte anteriore, l’evoluzione avrebbe dovuto fare qualcosa per rendere più stimolante la regione frontale”. Indovinate che cosa ? Di primo acchito la femmina puntò su un secondo paio di emisferi carnosi nella regione toracica e noi fummo salvati una volta di più per un pelo.
 
Queste sono tutte ipotesi appassionanti, ma non possono di certo essere prese sul serio. I branchi di lupi riescono a collaborare senza tutto questo armamentario erotico. (…)
 
E soprattutto, da quando in qua una intensificata sessualità ha garantito un’accresciuta fedeltà ? Se il maschio della scimmia nuda poteva vedere tutto questo aggiunto potenziale sessuale nella propria compagna, come avrebbe potuto non accorgersi che la stessa cosa accadeva a tutte le altre femmine intorno a lui ? (…)
 
Non abbiamo ancora incominciato con gli interrogativi non posti. (…)
Primo: se l’orgasmo femminile si determinò nella nostra specie per la prima volta allo scopo di fornire alla femmina “una ricompensa di comportamento” dell’accresciuta attività sessuale, perché in nome di Darwin, la faccenda è stata così abborracciata che si sono avute intere tribù e intere generazioni di donne quasi inconsapevoli della sua esistenza ? (…)

Secondo: perché nella nostra specie il sesso è divenuto così strettamente legato all’aggressività ? (…) In quale modo il sesso e l’aggressività, i due inconciliabili del regno animale, divengono soltanto nella nostra specie così strettamente connessi che i termini relativi all’attività sessuale li si ringhia come insulti e imprecazioni ? In quali termini evolutivi dobbiamo spiegare il marchese De Sade ? (…)
 
Non, ritengo, nei termini di Tarzan. E’ tempo di affrontare nuovamente l’intero problema dall’inizio: questa volta dal lato femminile e seguendo una strada completamente nuova. >>

ELAINE MORGAN

(continua)