martedì 31 gennaio 2023

Punti di vista – 31

ENERGIA E DEMOGRAFIA
Le conseguenze del [possibile] salto tecnologico della Fusione Nucleare [energia cosiderata più semplice e sicura - NdL] non sarebbero solo economiche.
Lo sviluppo porterebbe, come accaduto in occidente, ad una riduzione spontanea dei tassi di natalita' anche nelle aree dove, per la mancanza di risorse, l'unica risorsa e' la prole. Non sarebbero piu necessarie le migrazioni epocali per cause economiche, e si ridurrebbero anche quelle generate da guerre e carestie.
Lo sviluppo tecnologico sarebbe diffuso a tutte le aree del pianeta, anche a quelle oggi arretrate economicamente e socialmente: si aprirebbero nuove opportunità in cui il numero di popolazione non servirebbe più per dare sostegno economico in economie arretrate, ma diverrebbe un problema per gli alti costi della crescita dei figli, come accade in occidente. (...)
Le tradizioni delle famiglie numerose, come in certe zone dell'Africa e dell'India verrebbero meno spontaneamente, per banali motivi economici, e non per imposizioni di legge che, nella maggior parte dei casi, hanno dimostrato di non funzionare.
Le politiche di potenza e le guerre basate sulla competizione per le risorse, avrebbero meno influenza sulla geopolitica globale e potrebbero essere meglio controllate da istituzioni sovranazionali. Le grandi distorsioni geopolitiche generate dalla diversa disponibilità di gas e petrolio delle varie nazioni, (...) scomparirebbero o perderebbero di importanza.
AGOBIT


ARMI ALL'UCRAINA
Un punto da far notare e’ che gli USA e i britannici stanno dando armi e aiuti agli Ukraini secondo la formula Lend-Lease.
La formula Lend-Lease ha un piccolo dettaglio che viene poco menzionato, ovvero che alla fine della guerra l’ Ukraina sara’ invitata a restituire le armi e le munizioni, oppure avranno contratto un debito (del valore del materiale NON restituito) con gli USA. E non e’ una cosa ignota, visto che gli stessi UK hanno finito di pagare, nel 2008, il Land-Lease della seconda guerra mondiale. (...)
Di conseguenza, gli USA stanno semplicemente ipotecando l’Ukraina del dopoguerra, e potete star certi che per praticare condizioni di rientro migliori, gli Ukraini dovranno cedere ai soliti di Wall street un bel po’ di cose. Il problema e’ che le nazioni europee non dispongono di questo processo giuridico, per cui gli aiuti sono dati “gratis et amore dei”.
In definitiva, cioe’, mentre UK e USA stanno facendo indebitare gli Ukraini, gli europei non hanno la figura giuridica del Lend-Lease, motivo per il quale gli Ukraini fanno tanta pressione sui paesi UE: le armi europee sono gratis, quelle americane le stanno comprando facendo ipoteche.
URIEL FANELLI


SPIRITO DI DAVOS
Fondato nel 1971 da Klaus Schwab, il WEF [World Economic Forum] è “impegnato a migliorare lo stato del mondo attraverso la cooperazione pubblico-privata”, nota anche come “multistakeholder governance” [“gestione con una pluralità di portatori d’interessi”].
L’idea è che il processo decisionale globale non dovrebbe essere lasciato ai governi e agli stati-nazione — come nel quadro multilateralista del dopoguerra sancito dalle Nazioni Unite — ma dovrebbe coinvolgere un’intera gamma di parti interessate non governative: organismi della società civile, accademici esperti, personaggi dei media e, soprattutto, multinazionali.
Nelle sue stesse parole il progetto del WEF è «ridefinire il sistema internazionale come costitutivo di un sistema più ampio e sfaccettato di cooperazione globale in cui i quadri giuridici e le istituzioni intergovernative sono inseriti come una componente centrale, ma non l’unica e talvolta non la più cruciale».
Anche se tutto questo può suonare ancora piuttosto benigno, incapsula perfettamente la filosofia di base del globalismo: isolare la politica dalla democrazia trasferendo il processo decisionale dal livello nazionale e internazionale, dove i cittadini sono teoricamente in grado di esercitare un certo grado di influenza sulla politica, al livello sovranazionale, affidando a un gruppo autoselezionato di “stakeholder” non eletti e irresponsabili – principalmente aziende – il compito di decisioni globali riguardanti tutto, dalla produzione di energia e cibo ai media e alla salute pubblica.
THOMAS FAZI


MODULI DI COMPORTAMENTO
Il declino dell'occidente è semplicemente il declino della civilizzazione nata con l'affermazione del capitalismo e che ormai ha raggiunto i confini del pianeta. Una civilizzazione di grande successo, ma estremamente espansiva. Il capitalismo infatti non ammette lo stato stazionario, deve necessariamente crescere. (...)
Si tratta della crisi ecologica di una specie [quella umana], che ha superato la propria capacità di carico (overshoot) globale, ma che è evoluzionisticamente strutturata per affrontare il problema di questo superamento o con una ulteriore espansione o con l'emigrazione.
Comportamenti che, quando il problema dell'overshoot ecologico era locale, nella media, ha funzionato abbastanza bene. Ora che il problema è globale la specie manca dei moduli comportamentali per affrontarlo.
LUCA PARDI

mercoledì 25 gennaio 2023

Area benessere

Le rifessioni di Marco Pierfranceschi (tratte dal suo blog 'Mammifero Bipede') sul concetto di benessere umano, un concetto che risulta – purtroppo – molto complesso e sfuggente, in quanto i 'bisogni' della nostra specie coincidono solo in parte con quelli degli altri esseri viventi.
LUMEN



<< Nel regno animale il 'benessere' coincide con la realizzazione di tre condizioni: un adeguato accesso al cibo, uno stato di buona salute fisica e la soddisfazione degli impulsi riproduttivi.

Gli animali non hanno bisogno di altro, e normalmente non necessitano di altro. Gli istinti migratori, presenti in moltissime specie, possono essere fatti rientrare nel primo o nel terzo punto, essendo pulsioni che si sono modellate nei millenni per massimizzare la sopravvivenza e la riproduzione.

Lo sviluppo del cervello umano ha però introdotto, in questo meccanismo di soddisfazione relativamente semplice, ulteriori gradi di articolazione e complessità, che le dinamiche sociali hanno finito con l’espandere ulteriormente.

Il primo ambito da indagare riguarda le patologie psichiche. Essendo il cervello umano un organo estremamente complesso, squilibri di natura elettrochimica, o dovuti ad uno sviluppo irregolare delle singole aree, o delle relazioni tra esse, sono sufficienti a produrre l’emergere di personalità dall’equilibrio precario, se non del tutto assente.

La dimensione sociale e solidale protegge gli individui portatori di queste peculiarità dalle conseguenze dei normali processi di selezione naturale, finendo col farle divenire endemiche.

Per inciso, lo stesso sviluppo della dimensione sociale discende dallo stabilizzarsi di qualcosa di molto simile ad una patologia psichica: [ovvero] la sofferenza che si produce nello star lontani dai nostri simili. Questa caratteristica, tuttavia, ha finito col produrre entità collettive (gruppi, branchi, tribù) caratterizzate da un’efficienza, in termini di sopravvivenza e riproduzione, superiore a quella dei singoli individui isolati.

Le diverse forme di squilibrio psichico generano un ventaglio di 'bisogni’ molto ampio, che possono, nei casi più gravi, essere percepiti come prioritari rispetto alle esigenze naturali di sopravvivenza e riproduzione.

Senza scendere troppo nei dettagli, un caso su tutti è quello dell’anoressia, condizione psichica caratterizzata dall’incapacità, da parte del cervello, di riconoscere correttamente uno stato di benessere fisiologico e dalla conseguente ricerca di una condizione fisica patologica, che nei casi più gravi può condurre alla morte.

Altra caratteristica dei cervelli umani (ma non solo) è l’insorgere di dipendenze. L’organismo dipendente sviluppa un bisogno patologico nei confronti di determinate sostanze, o di determinate abitudini, che finisce col diventare prioritario rispetto alla salute ed al benessere individuale.

Sempre a titolo di esempio, sostanze stordenti come l’alcol e la maggior parte delle droghe psicotrope ottengono di generare un sollievo psichico quando l’individuo si trova in condizioni di stress.

Questo non rappresenta un portato negativo immediato, ma, se le condizioni di stress non vengono rimosse e l’assunzione di sostanze viene ripetuta con regolarità, l’organismo sviluppa una dipendenza di natura metabolica, rendendone difficile l’eradicazione. (...)

[Ne deriva] una intrinseca indeterminazione del concetto di 'benessere', che ogni individuo declina in modi e forme differenti e può variare nelle diverse fasi della vita o in risposta a condizioni esterne, come la disponibilità di cibo e risorse.

Per capirci, una persona abituata a disporre di nutrimento scarso e scadente proverà una sensazione di benessere, di fronte ad un buon pasto, molto superiore a quella provata da chi quello stesso 'buon pasto' lo consuma abitualmente.

Questo introduce un ulteriore elemento, quello dell’assuefazione: un 'bisogno' è tale finché non viene soddisfatto, ma la regolare soddisfazione dei bisogni non implica necessariamente uno stato di benessere, perché il cervello tende ad abituarsi e sviluppare ulteriori bisogni di grado più elevato.

Possiamo osservare questo processo, a livello di singoli e civiltà, fin dalle epoche più remote. I nostri antenati condividevano gli stessi bisogni e necessità del resto del regno animale, ma ad ogni singolo avanzamento tecnologico, una volta soddisfatti i bisogni primari, abbiamo finito con l’elaborarne di nuovi e più energivori. (…)

L’indeterminazione in cosa sia 'bisogno' e in che modo esso debba essere soddisfatto, dà conto del sorprendente ventaglio di ideologie, piccole e grandi, diffuse e di nicchia, che l’umanità, nella sua storia millenaria, ha finito con lo sviluppare. >>

MARCO PIERFRANCESCHI

mercoledì 18 gennaio 2023

Solo una Penisola

Il post di oggi tratta di un argomento che mi sta particolarmente a cuore, ovvero il futuro socio-politico dell'Europa in conseguenza del flusso migratorio in corso, che appare incontrollato e di cui non si vede la fine.
L'intervista - tratta, con minime variazioni, dal sito di 'Italia Oggi' - ha come protagonista lo scrittore e saggista Raffaele Simone, mentre le domande sono della giornalista Alessandra Ricciardi.
LUMEN



A.R. – Professor Simone, il vostro ultimo saggio, edito da Garzanti, si intitola “L'Ospite e il Nemico. La Grande migrazione e l'Europa”. Perché i migranti sono ospiti e nemici?
SIMONE - Ospite e nemico sono i due estremi di una scala: l'ospite è quello che abbiamo invitato e che attendiamo di poter accogliere a casa nostra, il nemico è colui che non vorremmo nei nostri paraggi, che non abbiamo invitato e di cui attendiamo di liberarci, due rappresentazioni estreme di come si può vedere e vivere l'immigrato.

A.R. - Perché quella in atto è una grande migrazione?
SIMONE - Il fenomeno della migrazione di massa verso l'Europa è iniziato da almeno 30 anni, con le navi albanesi che arrivavano sulle coste pugliesi. Negli ultimi anni ha cambiato entità e provenienza, ora arrivano dal Medioriente e soprattutto dall'Africa. Ma il fenomeno era già evidente e accentuato negli anni 80. Malgrado ciò, né l'Europa né l'Italia non hanno fatto nulla per attrezzarsi a gestirlo.

A.R. - Quali sono le ragioni di questa politica passiva?
SIMONE - L'emigrazione è stata vissuta sullo sfondo di un grande enorme senso di colpa storico: l'Europa si sentiva colpevole per l'imperialismo, lo schiavismo, lo sfruttamento degli altri continenti, la seconda guerra mondiale. Si scoprì così buona, mite, e si mostrò generosissima verso gli immigrati. Quando il fenomeno è esploso nel 2015, la risposta italiana ed europea è stata: lasciamoli venire tutti, è quello che ci meritiamo. Un errore clamoroso.

A.R. - Perché un errore?
SIMONE - Per diversi motivi. Anzitutto, si era davanti a un'immigrazione di tipo assolutamente nuovo, costituita da gente che proveniva da storie e culture molto diverse dalla nostra; ma questa diversità è stata coperta sotto una coltre di ipocrisia, essendo convinti, i sostenitori dell'idea dell'Europa come colpevole dei mali della storia, che per rimediare alle proprie colpe si dovesse accettare l'ingresso di tutti. si tratta di un'immigrazione di carattere ultraproletario, non portatrice di alcuna capacità tecnica e professionale, che così com'è non può affatto contribuire allo sviluppo economico dell'Europa, anzi.

A.R. - Gli immigrati non sono una forza lavoro indispensabile per l'economia? Vi ricordo che il precedente presidente dell'Inps, Tito Boeri, ha rivendicato anche il contributo che danno al pagamento delle pensioni degli italiani.
SIMONE - Una narrazione elaborata ad arte, supportata da argomentazioni che se analizzate cadono una dopo l'altra. Quando parliamo dei migranti come fattore indispensabile di ricchezza, dovremmo ricordarci che moltissimi di loro restano anche per due o tre anni in attesa di conoscere la loro destinazione, e che durante quel tempo sono senza impiego, non producono alcuna ricchezza, oltre a creare risentimento presso i residenti; al contrario, consumano ricchezza visto che sono a carico dello stato.

A.R. - Poi però ci sono quelli che si trovano un lavoro, ma anche quelli che entrano con regolari permessi e hanno un reddito.
SIMONE - L'esperienza dimostra che anche quando l'immigrazione è regolare o legale servono in media 20 anni prima che possa produrre Pil e gettito fiscale per il Paese che li ospita. Tra l'altro si tratta di lavoratori dalle ridotte capacità professionali. L'ipocrisia dominante vuole invece che siano tutti giovani preparati e pronti al lavoro, come è sostenuto a proposito dei siriani... ma non è così. Anche i più generosi teorici dell'accoglienza finiscono per ammettere che le occupazioni a cui possono aspirare sono l'assistenza agli anziani, i lavori domestici, l'edilizia, la bassa manovalanza nelle cucine... In pratica quasi come i cinesi chiamati negli Usa a fine Ottocento per costruire le ferrovie spezzandosi la schiena. Altro che contributo al nostro sviluppo.

A.R. - Però con le loro posizioni previdenziali contribuiranno a pagare una parte delle nostre pensioni o no?
SIMONE - Il loro è un contributo irrilevante. Se ne potrà parlare tra trent'anni se ne potrà parlare, quando anche i lavoratori immigrati invecchieranno nei nostri paesi e sarà necessario richiamare altri immigrati a lavorare da noi per pagare le loro pensioni. Le loro, non le nostre.

A.R. - Voi demolite anche la retorica dell'integrazione.
​SIMONE - È un altro degli equivoci dei teorici dell'Europa «colpevole». Basterebbe guardare anche a quanto succede in altri paesi, come la Francia, per vedere come le comunità che si ricreano nei paesi di insediamento tendono a chiudersi in loro stesse, a rifiutare l'integrazione con il paese ospitante. Questo fenomeno, che i francesi chiamano communitaurisme, è segnalato in diversi paesi d'Europa.

A.R. - Che relazione c'è tra forza della migrazione e fenomeno demografico?
SIMONE - Faccio un esempio. In Niger ogni donna ha circa sette figli contro la media di poco meno di due figli nella vecchia Europa. Il che significa che la popolazione nigeriana è destinata a raddoppiare nei prossimi vent'anni, passando dagli attuali 200 a 400 milioni di abitanti. Sarà il quarto paese più popoloso al mondo. E ritmi di crescita demografica intensa sono in genere di tutti i paesi africani. Questo porterà inevitabilmente a un'intensificazione dei processi migratori, sia intracontinentali che extra continentali. Questi ultimi saranno diretti in particolare verso l'Europa e soprattutto l'Italia, che insieme alla Spagna è il paese di maggiore prossimità all'Africa.

A.R. - Che fine faranno l'Europa e l'Italia?
SIMONE - Se non si governano i flussi migratori, nel giro di 50 anni saremo demograficamente africanizzati. Credo che su questo ci sia poco da discutere. Non c'è scampo. Ma c'è un altro fattore che i governanti dovrebbero tenere presente se vogliono capire il fenomeno di cui l'Europa è investita e che rischia di segnare il nostro tramonto: da circa 30 anni il continente africano è passato sotto un pesante protettorato cinese. La Cina fa ingenti investimenti e prestiti ai paesi africani, che nessuno di questi potrà mai ripagare. Dona infrastrutture gigantesche, come la ferrovia transafricana in costruzione, e compra porti sulle coste dell'Oceano Indiano. Questo porterà a una cinesizzazione dell'Africa corrispondente all'africanizzazione dell'Europa.

A.R. - La Cina prova a penetrare anche in Europa attraverso la cosiddetta Nuova via della seta.
SIMONE - Ha già comprato il porto del Pireo, costruisce una gigantesca ferrovia che da Pechino raggiunge Rotterdam attraversando tutta l'Asia centrale. Sulla base di questi fatti, si può prevedere che nel giro di qualche decennio l'Europa sarà stretta in una tenaglia, il cui dente superiore è la Cina, quello inferiore l'Africa. A quel punto l'Europa diventerà politicamente quello che è sempre stata geograficamente: un promontorio, una penisola dell'Asia. Un disastro frutto della nostra leggerezza e inconsapevolezza.

A.R. - La politica della chiusura dei porti può essere una prima risposta?
SIMONE - Ma no! I flussi migratori sono eventi fatali, uno di quelli che cambiano la storia. Ci vuol ben altro che la chiusura dei porti.

A.R. - Ovvero ?
SIMONE - Vanno gestiti con una politica generale dell'intera Europa che fissi le quote di ingresso, selezioni i migranti di cui i diversi paesi possono avere bisogno, respinga gli indesiderati e soprattutto crei formule di cooperazione che permettano ai paesi di origine di svilupparsi e offrire ai propri ragazzi le opportunità di cui hanno bisogno. Molti dei giovani che giungono da noi potrebbero pur nella loro povertà essere una risorsa per il loro paese. Ma non vedo in giro nessuna consapevolezza di quanto sta accadendo e di quale sarà l'esito finale per l'Europa. Si preferisce continuare con il politicamente corretto, con le solite retoriche del siamo tutti emigranti e tutti meticci, dell'Europa che sarà salvata dall'immigrazione.

giovedì 12 gennaio 2023

Pensierini - LIII

TROPPA LIBERTA'
I cattolici tradizionalisti accusano Papa Francesco di essersi appiattito sulle istanze moderniste della globalizzazione, abbandonando uno dopo l'altro i valori, i dogmi ed i vincoli della tradizione.
L'accusa è senza dubbio fondata, anche se non possiamo sapere se Bergoglio ha scelto questa strada volontariamente (per salvare la visibilità del Vaticano) o se è in qualche modo ricattato dalle elites globali.
Resta però il fatto che, con le sue parole, il Papa sta concedendo ai fedeli sempre nuove libertà e cancellando sempre nuovi divieti.
Ma non sarà proprio questa libertà a mettere in crisi i fedeli 'duri e puri', a dare loro 'fastidio' ?
Non sarà che i veri credenti, dalla religione, preferiscono ricevere dei limiti, degli obblighi e dei divieti, facili da capire e semplici da seguire, che non delle scomode libertà ?
LUMEN


CANDIDATI
La prima domanda che un elettore dovrebbe farsi, quando scorre la lista dei candidati da votare, è la seguente: perchè mai una persona che non conosco dovrebbe fare i miei interessi ?
E, dopo essersi dato una risposta sincera, può andare a votare più serenamente.
LUMEN


REDISTRIBUZIONE
Gli elettori di sinistra sono fieri sostenitori dell'uguaglianza sociale e sono convinti che, per ottenerla, occorra una maggiore redistribuzione della ricchezza da parte dello Stato.
Molti di essi, pertanto, ritengono necessario che le persone più ricche, al di sopra di una certa soglia, siano obbligate a condividere una parte della loro ricchezza con quelle più svantaggiate.
Tutto molto bello, in teoria, ma come deve essere stabilita questa soglia ? Non c'è il rischio che anche loro (che spesso sono benestanti) ne vengano coinvolti ?
Niente paura: il livello da considerare a questo scopo sarà sempre superiore al loro reddito personale. Buonisti ed ugualitari sì, ma non proprio fessi.
LUMEN


DIALOGO IMPOSSIBILE
Non credo che ci possa essere un dialogo serio e costruttivo tra credenti e non credenti. Cosa potrebbero mai dirsi ?
I credenti hanno già tutte le risposte, non hanno nulla da imparare, e l'unica cosa che possono fare è l'apostolato, cioè tentare di convincere gli altri.
I non credenti, da parte loro, non possono accettare nulla che derivi dalla fede, perchè sanno benissimo che è tutto falso.
Quindi se si parlano tra loro (cosa che in effetti avviene) è solo perchè ENTRAMBI ne hanno una convenienza pratica, cioè 'politica'.
Ma questo, anche se può essere apprezzabile, è un altro tipo di dialogo.
LUMEN


SCIENZA CONTRO-INTUITIVA
Molti scienziati si lamentano della difficoltà di fare divulgazione, in quanto la scienza risulta spesso contro-intuitiva.
Hanno ragione: dalla terra che gira intorno al sole, all'uomo che discende dalla scimmia, sino alle stranezze della fisica quantistica, sono tutti concetti che sembrano contraddire il senso comune.
Ma sono veri, perchè sono coerenti con la natura.
Sempre meglio, quindi, delle affermazioni e dei precetti della religione, che saranno anche intuitivi, ma sono tutti, irrimediabilmente, fuori dalla realtà naturale.
LUMEN


BIOGRAFIE
Le biografie dei personaggi famosi hanno sempre avuto un ottimo successo editoriale.
Molti sostengono che conoscere bene la vita e le vicende personali di scrittori, pensatori e scienziati sia fondamentale, anzi imprescindibile, per comprendere il loro pensiero e le loro scoperte, e quindi per valutarle.
Io, invece, penso l'esatto contrario e cioè che il contributo intellettuale di questi personaggi deve essere valutato solo e soltanto per il suo contenuto oggettivo.
Altrimenti si può essere condizionati da un giudizio soggettivo sulla persona, che non è solo inutile, ma può essere addirittura fuorviante.
Certo, di Giacomo Leopardi sappiamo tutto, ma magari della vita di Shakespeare, di Nietzsche, di Freud o di tanti altri, non sappiamo nulla.
Se però il loro pensiero ci affascina e le loro opere ci emozionano, questo è tutto quello che ci basta sapere per apprezzarli.
LUMEN

giovedì 5 gennaio 2023

L'età dell'oro

La fine dell'era economica dell'abbondanza, secondo l'analisi lucida ed impietosa dell'ambientalista Igor Giussani (dal sito 'Apocalottimismo').
LUMEN

 

 << “Viviamo alla fine di quella che potrebbe sembrare un’era di abbondanza, di flussi di cassa infiniti, per i quali ora dobbiamo affrontare le conseguenze in termini di finanze statali, di un’abbondanza di prodotti e tecnologie che sembravano essere perennemente disponibili e che ora non ci sono più”.

L'intervento di Emanuel Macron del 24 agosto 2022 non ha ottenuto la risonanza che avrebbe meritato. Capita di rado, infatti, che gli attuali politici si comportino alla maniera del presidente francese, affermando cioé pubblicamente cose molto poco popolari, per quanto condite all’interno della melassa retorica per edulcorarle e renderle meno indigeste. (…)

Le repliche alle esternazioni di Macron sono state per lo più sparute e superficiali, forse perché la “fine dell’abbondanza” è qualcosa che neppure si riesce a immaginare. (…) Semmai, avrebbe più senso obiettare a Macron di non aver osato infrangere fino in fondo i tabù parlando apertamente di ‘fine della crescita economica’, una dichiarazione che in questa forma avrebbe forse ottenuto maggiore risonanza e, c’è da scommetterci, avrebbe scatenato reazioni ancora più stizzite.

[Questa] infatti implica conseguenze di grandissima portata, tali da investire prepotentemente tutta la vita sociale. Sintetizzando brevemente:

Sconvolgimenti sociali: come fa notare Luca Ricolfi ne L’enigma della crescita, senza crescita economica non è più garantita alcuna forma di ascensore sociale e l’unica redistribuzione possibile è quella in stile Robin Hood, togliendo ai ricchi per dare ai più poveri, fomentando quindi tensioni inevitabili se non addirittura sentimenti rivoluzionari.

Sconvolgimenti economici: senza crescita, non solo si contraggono i consumi ma diventa alquanto problematico implementare strategie ispirate al deficit spending; si riduce pertanto la possibilità di erogare incentivi, sussidi, ecc, mentre la piaga del debito diventa definitivamente insanabile. Faccio notare che, mentre sono state teorizzate misure ad esempio per affrontare la cosiddetta ‘fine del lavoro’ da automazione totale (come il reddito di base incondizionato), poco o nulla è stato concepito in previsione della fine della crescita.

Sconvolgimenti tecnologici
: la società globale si regge su infrastrutture tecnologiche tanto sofisticate quanto delicate (vedi la rete Internet) che, oltre a un consistente dispendio energetico, richiedono costanti e costose opere di aggiornamento e manutenzione, inevitabilmente sempre più difficili da sostenere.

Sconvolgimenti ecologici: se non altro, si potrebbe auspicare che al declino economico corrisponda un risanamento almeno parziale degli ecosistemi, come avvenuto temporaneamente con i lockdown generalizzati all’inizio della pandemia da coronavirus. E’ assai probabile, però, che la carenza di risorse e materie prime possa indurre a provvedimenti molto pericolosi per l’ambiente, come abbattere indiscriminatamente boschi e foreste bruciando il legname per produrre elettricità e calore, tentando di compensare il minor apporto di fonti fossili.
Di sicuro, sarà alquanto complicato realizzare la transizione ecologica (almeno nelle forme auspicate) e sostenere le opere di tutela del territorio necessarie per far fronte agli sconvolgimenti climatici, tentando di prevenire situazioni catastrofiche come quella recentemente accaduta nelle Marche.

Sconvolgimenti politici: quelli meno considerati anche dai cultori dei limiti dello sviluppo, sui quali invece occorre concentrare l’attenzione. Fino al recente passato, nonostante le contese elettorali condotte in un clima spesso molto bellicoso (talvolta nel vero senso del termine, basti pensare a DC vs PCI durante la guerra fredda), tutte le formazioni politiche erano accomunate dall’intento di promuovere la crescita economica per lo sviluppo nazionale, divergendo solo sulle ricette per centrare l’obiettivo.
Venuto a mancare questo terreno comune a tutto l’elettorato, si perde un importante elemento di coesione per la tenuta della democrazia liberale. Senza un nuovo obiettivo trasversalmente condiviso che legittimi la posizione dell’avversario politico, si fa sempre più concreto il rischio di concepirlo come nemico nazionale o traditore, con tutte le tentazioni autoritarie che ciò può ingenerare.

Partendo da questo quadro a tinte fosche, mi sento di proporre delle modeste linee guida forse di qualche utilità nella drammatica fase storica che stiamo vivendo.

Innanzitutto, rifuggiamo da qualsiasi scappatoia mentale. Mi riferisco al negazionismo tipico anche di tanti ‘alternativi’, secondo cui le preoccupazioni esternate dai membri della super élite sarebbero solo menzogne per ordire chissà quale complotto contro i popoli. Mettere la testa sotto la sabbia oggi è il modo migliore per prenderlo in quel posto domani, per opera di Macron o altri membri delle alte sfere che il problema se lo sono posti e intendono risolverlo alla loro maniera.

In secondo luogo, gli ambientalisti devono comprendere che, nel nuovo contesto storico, dove si ripresentano spettri angoscianti come la guerra nucleare, non si possono riproporre le strategie di persuasione forse efficaci ancora al tramonto dell’era della crescita. (…) Esorto quindi Friday For Future ed i movimenti analoghi ad abbandonare le campagne incentrate quasi solo sul “basta emissioni” in favore di una linea inevitabilmente più politica e ‘concreta’. (...)

Infine, l’ammonimento che ritengo più importante. Uno dei maggiori successi dell’egemonia culturale capitalista è consistito nel creare una sensazione artificiosa di scarsità, malgrado il capitalismo abbia instaurato il periodo di maggior ricchezza materiale (e sperequazione) della storia umana. Come hanno rimarcato grandi intellettuali, viviamo invece in un’era potenzialmente di post scarsità, dove, grazie a tecnologie adeguate e a pratiche sociali opportune, pur non potendo ripetere i fasti del recente passato in termini di punti di PIL, si può garantire un benessere generalizzato largamente superiore a quello goduto dalla civiltà umana per gran parte della sua storia.

Ecco quindi la grande sfida: riconoscere l’imbroglio, evitare di inseguire vanamente il fantasma della crescita (in favore di una abbondanza vera, per quanto ‘frugale’, come direbbe Latouche), sforzarsi per arginare e superare la triplice crisi ecologica, politica e sociale. >>


IGOR GIUSSANI