mercoledì 28 dicembre 2016

Absit iniuria verbis

Libertà di satira e sentimento religioso in un articolo scritto da Paolo Flores d'Arcais nel 2015, dopo l’attentato contro Charlie Hebdo (traduzione dal francese dell’amico Sergio, che ringrazio). Lumen

 
<< La libertà deve essere fra uguali, altrimenti è un privilegio. La libertà deve trovare un limite insormontabile nella libertà uguale dell’altro. Una libertà assoluta è contraddittoria, essa esiste soltanto per colui che considera gli altri a lui soggetti. Ma dove porre i limiti di questa libertà uguale? Perché all’interno di questi limiti la libertà di ciascuno non potrebbe ammettere la minima restrizione senza essere interamente rimessa in gioco.

Papa Francesco (…) ha dichiarato: “Non si può provocare, non si può insultare la fede degli altri, non la si può ridicolizzare.” Parimenti Slimane Chikh, ex rettore dell’Università di Algeri e oggi rappresentante dell’OCI (Organizzazione della cooperazione islamica) a Ginevra: “Qualsiasi libertà deve fermarsi dove comincia la libertà di religione. Gli attacchi ripetuti di Charlie Hebdo contro l’islam sono delle provocazioni.”

Tariq Ramadam, considerato un islamico aperto e riformista, ha parlato di “umorismo dei vigliacchi” con i cadaveri ancora caldi (…). Infine, Tony Barber, redattore capo del Financial Times dichiara il giorno stesso dell’attentato: (…) non si può ammettere la libertà di farsi beffe di ciò che per altrui è sacro. Libertà di critica, d’accordo, libertà di offendere no.

Questa formula sta per diventare egemonica nelle nostre democrazie contemporanee nonostante (e contro) la volontà di milioni di francesi che sono sfilati al motto di “Je suis Charlie”. Questo apparente sillogismo cela un ragionamento fallace che calpesta la logica e mette in pericolo la democrazia. Perché è chiaro: chi deciderà se un’affermazione è semplicemente una critica e non un’offesa?

Wojtyla e Ratzinger si sono spinti più volte fino a rendere i Lumi responsabili dei totalitarismi del XX secolo in quanto volevano rendere l’uomo autonomo da Dio. C’è qualcosa di più fanatico che imputare la responsabilità dei lager e dei gulag a Voltaire e a Hume? Non è questo un insulto per noi tutti ? Si può concepire un oltraggio più grande di questo per la democrazia?

Per Tariq Ramadan “noi non possiamo immaginarci un progresso contro ciò che è stato rivelato”, la stessa cosa afferma Hani Ramadan. Inoltre molti credenti delle tre religioni del Libro (e di più ancora i loro preti, rabbini e imam) considerano gli atei come dei malati mentali o degli invalidi poiché senza fede: sono esistenzialmente atrofizzati perché incapaci di elevarsi al trascendente.

Io potrei essere indignato per le affermazioni dei papi e dei fratelli musulmani. Potrei sentirmi offeso per essere considerato un handicappato spirituale, esattamente come un credente potrebbe sentirsi offeso dalla mia sicura e incrollabile convinzione che tutte le religioni non sono nient’altro che un’accozzaglia di superstizioni.

Prendiamo l’eucaristia: che alcuni immaginino che un profeta ebreo giustiziato sotto l’imperatore Tiberio sia presente in carne e ossa in alcune cialde di pane distribuite ogni domenica durante la messa mi appare come un insulto alla ragione, più allucinante che credere agli oroscopi, alle congiunzioni astrali e alla stregoneria. E spesso ancora più pericoloso, come testimoniano i roghi degli eretici o le numerose notti di San Bartolomeo.

Se il criterio dell’offesa diventa il paradigma della libertà sarà allora la suscettibilità a dirimere. Ma la tua libertà ha un limite nella mia libertà, non nella mia suscettibilità che è per definizione soggettiva e varia da una persona all’altra. Sono libero di farmi beffe della tua religione perché le mie beffe non ti impediranno mai di praticarla, e tu sei libero di ridere delle mie convinzioni atee, ma non puoi impedirmi di dichiararle ad alta voce pretendendo che esse sono un’offesa alla tua sensibilità. Questa è la simmetria della libertà.

Se non fosse così ogni credente sarebbe titolare di un diritto di censura; di conseguenza i fondamentalismi di ogni confessione fisserebbero i limiti della libertà. Sembra un paradosso, ma non lo è affatto. Ragioniamo con calma. Se tu accetti che è proibito farsi beffe di ciò che ciascuno considera sacro allora ne consegue come corollario: quanto più grande è la sua fede, tanto più numerose saranno le espressioni e le azioni che per lui costituiscono non solo un’offesa, ma un sacrilegio.

Quanto più grande è la suscettibilità di un credente (che tocca il suo acme nel fanatismo), tanto più grande sarà il suo diritto di far tacere gli altri: è il risultato logico delle parole di papa Francesco che a tutta prima sembrano ragionevoli, ma anche grondanti tolleranza ecumenica (sono riprese continuamente da tutti i rabbini e gli imam).

Ma c’è di peggio: il criterio della suscettibilità, inerente alla categoria dell’offesa, crea un meccanismo sociale che incoraggia il rilancio: quanto più sono intollerante, tanto più ho diritto di farti tacere, per cui acquisisco sempre più potere allorché allento le redini della mia allergia alle offese, allergia che si trasformerà in risentimento, poi in rabbia, infine fanatismo. Le pulsioni di onnipotenza che sonnecchiano in ciascuno di noi rischiano così di risvegliarsi selvaggiamente.

Aggiungiamo ancora questo: se è giusto censurare ciò che offende le religioni, allora dovremo legiferare in funzione dell’ipersensibilità degli ebrei, dei cristiani, dei musulmani, ma anche dell’idiosincrasia dei testimoni di Geova, dei mormoni, degli adoratori di Manitù (sembra che gli Amerindi desiderino tornare alle origini), senza dimenticare gli scientologi ed altri ancora. Tutto ciò che agli occhi di questa o quella religione, di questa o quella credenza è considerato oggetto di fede sarà colpito da ostracismo.

Che cosa resterà della libertà di critica quando avremo abolito la libertà di offendere? Ogni pretesa di Verità avrà diritto di mettere la museruola a ciò che considera ingiuria. Ma per centinaia di milioni di persone furono sacri Stalin e Mao o anche la “supremazia della razza bianca” secondo il Ku Klux Klan: guai a criticarli ! La logica secondo cui “non si può offendere” è feroce. Una volta affermatasi non potremo premere il pulsante «on-off» a nostro piacere.

E infine: per le religioni non solo la satira è una provocazione, ma anche certe leggi democratiche. Infatti per centinaia di musulmani la legge francese che vieta il velo integrale in pubblico è risentita come offensiva, e milioni di cristiani in Occidente s’indignano delle leggi che permettono alle donne di abortire.

Negli Stati Uniti medici e infermieri che hanno applicato queste leggi sono stati assassinati (e molto probabilmente ne saranno uccisi altri). Dei fanatici? Senza dubbio. Ma erano cristiani che si sentivano mortalmente offesi dalla legge sull’aborto. In sintonia con i monarchi vaticani, Ratzinger e San Giovanni Paolo, che hanno condannato l’aborto come «genocidio dei nostri tempi» paragonando logicamente medici e infermieri che applicano la legge alle SS.

Ma Francesco non si è solo allineato a quanti vogliono proibire l’offesa alla religione degli altri. Ha meglio chiarito il suo pensiero aggiungendo: “Se qualcuno parla male di mia madre deve aspettarsi un pugno in faccia, è normale.” Normale, certo, per un mascalzone o uno di quei machos di una volta. Ma il pugno di Francesco si trasforma facilmente in un revolver in mano a un militante di Pro-Life o in un kalashnikov nelle mani di un islamico. Perché se è la suscettibilità a fissare i limiti della libertà, sarà ancora la suscettibilità a decidere della punizione.

Questa logica oscurantista rimette dunque alla discrezione del fanatico di decidere se il bestemmiatore si prenderà un pugno in faccia o subirà una migliaio di frustate, come il blogger saudita Raif Badawi o magari una mitragliata. In ogni caso il bestemmiatore se la sarà andata a cercare. Del resto questa è l’opinione maggioritaria in non poche scuole di periferia, come riportano degli insegnanti giustamente allarmati.

Ma torniamo alla libertà di espressione che – per essere libertà tra uguali – non può essere assoluta, come abbiamo visto. Ora poiché il razzismo rende impossibile concepire l’uguale dignità degli altri membri della specie «homo sapiens» non può essere ammesso nello spazio pubblico. Ma non dimentichiamo mai questa distinzione: l’antisemitismo è espressione di razzismo e deve essere vietato, la critica dell’ebraismo in quanto religione e l’antisionismo, critica di una politica, devono avere diritto di cittadinanza.

In secondo luogo: i fascismi, cioè quei regimi che in perfetta coerenza con la loro ideologia hanno fatto strame di tutte le libertà democratiche, non possono essere tollerati. Sarebbe assurdo – e persino masochistico - che, dopo aver vissuto la prova tragica del fascismo, corressimo il rischio che altre generazioni siano costrette a “dissotterrare dalla paglia fucili e mitraglie” per riconquistare la libertà al prezzo di sangue e sofferenze.

Conosciamo l’obiezione: e allora i comunisti ? Non sono contro la libertà ? Nell’URSS, in Cina ecc. è così: contraddicono con le loro azioni ciò che proclamano in teoria. Ma io non proclamo in generale “nessuna libertà per i nemici della libertà” (l’espressione è di Saint-Just!): su questa strada c’incammineremmo verso l’arbitrarietà.

Ma dico che è dovere dell’Europa di non dimenticare i morti e i calpestati dai fascismi, di impedire i brodi di cultura in cui possano svilupparsi di nuovo i virus dei fascismi. Ciò si può ottenere con leggi ad hoc e/o con un tabù morale e sociale molto più esteso e dunque più efficace.

Oltre questi interdetti ci sono le leggi ordinarie che puniscono la diffamazione personale (di cittadini reali, non di idee e articoli di fede) e l’incitazione all’assassinio, dunque il terrorismo omicida. Dire “Je suis Colibaly” il giorno dopo che un Coulibaly ha ucciso, è un’incitazione all’assassinio, non libertà d’espressione. È così difficile notare l’abisso di differenza?

Dunque diciamolo senza sfumature e in breve: tra la libertà dei Lumi proclamata dalla folla che gridava «Je suis Charlie» e la laicità «castrata» del papa, dei fratelli Ramadan e del Financial Times, l’Europa deve scegliere perché queste libertà sono inconciliabili. È uno choc delle culture che dobbiamo affrontare, unitamente alla lotta per l’uguaglianza materiale e sociale, con lo stesso impegno: una libertà che non si fondi sull’uguaglianza e la fraternità, non è una libertà repubblicana. > >

PAOLO FLORES D’ARCAIS


mercoledì 21 dicembre 2016

Pensierini – XXIX

SOTTOMISSIONE – 1
Nel suo famoso e discusso romanzo “Sottomissione”, Michel Houellebecq ipotizza che un partito musulmano riesca a raggiungere pacificamente il potere in una nazione occidentale, la Francia.
Si tratta di una conquista inizialmente ‘soft’, ottenuta grazie ad un leader molto moderato ed al raggiungimento della semplice maggioranza relativa.
Il ‘partito islamico’, però, sfruttando i punti di contatto e smussando quelli più controversi, riesce a costituire un governo di coalizione con la sinistra tradizionale ed ottiene non solo la carica di Presidente, ma anche alcuni ministeri chiave dal punto di vista culturale, come quello dell'istruzione e dell'università.
E questo gli consente, passo dopo passo, di estendere la propria influenza sull’intera società.
Ora, passando dalla fanta-politica alla realtà, mi pare che, al momento, in nessun paese occidentale esista un partito politico dichiaratamente islamico.
Forse, in futuro, potrebbe accadere, ma in tal caso mi viene difficile immaginare un suo ingresso al governo come partito di coalizione; anche se, quando si tratta di politica, non si può mai escludere nulla.
LUMEN


SOTTOMISSIONE – 2
Il romanzo di Houellebecq, pur avendo molte sfaccettature, è principalmente una metafora dell'adattamento delle elites ad una realtà ingiusta, ma conveniente.
Il protagonista, che è un professore universitario di letteratura, inizia infatti con un netto rifiuto del nuovo ordine sociale, per motivi genericamente ideologici, ma giunge poi lentamente ad una sostanziale accettazione, dopo aver compreso, dialogando con amici e colleghi, i notevoli vantaggi che il nuovo status può dargli.
Si accorge infatti che se è vero che la ‘sottomissione’ dei fedeli ad Allah si trasforma facilmente in ‘sottomissione sociale’, questo non vale per tutti.
Restano socialmente sottomessi i poveracci (a cui spetta al massimo un po' di carità) e soprattutto le donne (che hanno l'unico scopo di procreare), perchè quello è il loro ruolo prestabilito.
Le elites maschili, invece, dopo aver compiuto i loro doveri religiosi verso Allah, si possono godere i privilegi sociali in tutte le loro forme, compresa quella sessuale.
E questo dà alla società islamica una grande solidità.
LUMEN


AMICIZIA
Nel linguaggio comune siamo abituati ad usare i termini ‘amico’ e ‘conoscente’ come se fossero interscambiabili, ma ovviamente non è così.
Il vero amico, infatti, deve avere un rapporto speciale con noi, di sincera e profonda empatia.
Così, tanto per fare un esempio, se ci capita un evento positivo o fortunato, l’amico ne sarà sinceramente felice e farà festa con noi, mentre il semplice conoscente ne sarà indifferente, o addirittura invidioso e cercherà, magari, di sminuirla.
LUMEN


HUMOR NERO
E’ importante mantenere sempre la nostra freddezza, anche nei momenti più tristi della vita, e questa storiella lo dimostra.
Un ricco industriale, ormai in età avanzata, decise di lasciare tutto il suo patrimonio ai 3 nipoti, ma ad una condizione: prima della sepoltura, a conferma del proprio affetto, avrebbero dovuto depositare nella bara, una quota di 10.000 Euro ciascuno.
Giunto il triste giorno, il notaio si recò al funerale per accertarsi che venissero rispettate le disposizioni del defunto.
Arrivò il primo nipote il quale, dopo un momento di raccoglimento, depositò all'interno della bara un blocco di banconote per l'importo di 10.000 Euro.
Arrivò poi il secondo nipote che, dopo una breve preghiera, posò anch’esso nella bara una analogo pacchetto di 10.000 Euro.
Giunse infine il terzo nipote, il quale, dopo aver riflettuto per qualche minuto, infilò la mano nel taschino e ne tirò fuori il blocchetto degli assegni.
Quindi ne compilò uno per un importo di 30.000 Euro, lo depositò all'interno della bara, prelevò i 20.000 Euro lasciati dai 2 cugini e se ne andò tranquillamente.
LUMEN

 
GEOPOLITICA
L’ideologia, la parentela etnica, la lingua e la cultura sono i pilastri più importanti che sostengono una nazione, ma la sua vera base resta ancora la geografia.
Senza un certo grado di coerenza geografica, di risorse e di isolamento, è improbabile che un gruppo etnico abbia il tempo e lo spazio per forgiare una comune identità e darsi la forma organica di una nazione.
Così, dice Reva Goujon: << È per questa ragione che il nocciolo Han della Cina sopravvivrà al Partito Comunista, e che l’Iran dominato dalla Persia, protetto da una fortezza di montagne, resisterà e prevarrà sulla Repubblica Islamica. È per questa stessa ragione che una collezione di distinte nazioni europee non può essere infilata a forza, col calzascarpe, negli Stati Uniti d’Europa. >>
LUMEN


PRINCIPIO DI MAGGIORANZA
Dice il giornalista Alessandro Gilioli a proposito della 'Democrazia': << La questione non è di misurare gli errori dei popoli, (per vedere) se siano più o meno gravi rispetto a quelli delle loro élite, ma di accettare o respingere il principio filosofico su cui è nato l'Occidente moderno. >>
Ovvero, il principio secondo cui, conclude Gilioli  << non esiste più alcun criterio ontologico o religioso per la definizione di giusto o sbagliato, sicché l'unico criterio resta quello - relativista e altrettanto fallibile - del 50 per cento più uno, con tutte le garanzie possibili per il restante 49,9. >> 
Ed è questa, in fondo, la vera, grande rivoluzione della Democrazia.
LUMEN
 

mercoledì 14 dicembre 2016

L’altro Gesù – 6

Il Gesù alternativo di Baigent, Leigh e Lincoln, così come ricostruito nel famoso e controverso saggio “Il Santo Graal”. (Sesta parte). Lumen


Chi era Barabba?

<< Nei Vangeli c'è qualche indizio che Gesù avesse avuto figli? Non vi è nulla di esplicito. Ma era normale e doveroso che i rabbi avessero figli; e se Gesù era un rabbi, sarebbe stata una cosa molto insolita se non ne avesse avuti. Anzi, sarebbe stato insolito che non avesse figli, fosse un rabbi o no.

Certo, da soli questi argomenti non costituiscono una prova positiva. Ma c'è una prova più concreta e specifica. Consiste nello sfuggente personaggio che nei Vangeli figura come Barabba o, per essere più precisi, come Gesù Barabba. In una prima versione del Vangelo di Matteo viene identificato infatti con questo nome. Se non altro, la coincidenza è sorprendente.

I filologi moderni sono incerti circa la derivazione e il significato di « Barabba ». « Gesù Barabba » può essere una forma corrotta di « Gesù Berabbi ». « Berabbi » era un titolo riservato ai rabbi più stimati, e seguiva il loro nome proprio. « Gesù Berabbi » potrebbe perciò riferirsi allo stesso Gesù.

Alternativamente, « Gesù Barabba » poteva essere stato in origine « Gesù bar Rabbi »: « Gesù figlio del Rabbi ». Nei Vangeli nulla indica che il padre di Gesù fosse un rabbi. Ma se Gesù aveva un figlio che portava il suo stesso nome, quel figlio poteva essere « Gesù bar Rabbi ».

E c'è anche un'altra possibilità. « Gesù Barabba » potrebbe derivare da « Gesù bar Abba », e poiché in ebraico « Abba » significa « padre », « Barabba » significherebbe allora « figlio del padre »: una designazione priva di senso, a meno che il « padre » fosse qualcosa di eccezionale. Se il « padre » era veramente il « Padre Celeste », allora « Barabba » potrebbe ancora una volta riferirsi allo stesso Gesù. Invece, se il « padre » è Gesù, « Barabba » indicherebbe ancora una  volta suo figlio.

Quale che sia il significato e la derivazione del nome, il personaggio Barabba è estremamente curioso. E più si considera l'episodio che lo riguarda, e più diviene evidente che sta succedendo qualcosa di irregolare e che qualcuno sta cercando di nascondere una realtà. Innanzitutto il nome di Barabba, come quello della Maddalena, sembra aver subito una sistematica campagna diffamatoria.

Come la tradizione popolare fa della Maddalena una prostituta, così dipinge Barabba come un « ladrone ». Ma se Barabba era ciò che fa pensare il suo nome, non è molto probabile che fosse un comune ladro. Allora, perché insudiciare il suo nome? A meno che in realtà fosse qualcosa d'altro, qualcosa che i revisori dei Vangeli non volevano far sapere ai posteri.

A stretto rigore, i Vangeli non descrivono Barabba come un ladro. Secondo Marco e Luca, è un prigioniero politico, un ribelle accusato d'omicidio e di insurrezione. Nel Vangelo di Matteo, tuttavia, Barabba è descritto come « un prigioniero famoso ». E nel Quarto Vangelo, Barabba è chiamato (nell'originale greco) un lestes (Giovanni 18:40). La parola può essere tradotta come « ladro » o « bandito ».

Nel suo contesto storico, però, significava qualcosa di ben diverso. Lestes era infatti il termine abitualmente usato dai Romani per indicare gli zeloti, i rivoluzionari nazionalisti che da tempo fomentavano disordini. Poiché Marco e Luca dicono concordemente che Barabba è colpevole d'insurrezione, e poiché Matteo non contraddice questa affermazione, si può concludere con sicurezza che Barabba era uno zelota.

Ma queste non sono le sole notizie esistenti su Barabba. Secondo Luca, era stato coinvolto recentemente in « disordini » o in una « sedizione » avvenuta in città. La storia non parla di disordini accaduti a Gerusalemme in quel tempo. Ma i Vangeli sì.

Secondo i Vangeli, a Gerusalemme c'erano stati disordini solo pochi giorni prima: quando Gesù e i suoi seguaci avevano rovesciato i tavoli degli usurai nel Tempio. Barabba aveva partecipato all'episodio, e per questo era stato imprigionato? Senza dubbio sembra probabile. E in tal caso, la conclusione ovvia è una sola: Barabba faceva parte del seguito di Gesù.

Secondo gli studiosi moderni, l'usanza di liberare un prigioniero in occasione della Pasqua non esisteva. Ma, anche se fosse esistita, la preferenza accordata a Barabba rispetto a Gesù non avrebbe senso. Se Barabba era davvero un delinquente comune, colpevole di omicidio, perché il popolo decise di salvargli la vita? E se invece era uno zelota, un rivoluzionario, è poco verosimile che Pilato rilasciasse un personaggio potenzialmente tanto pericoloso, anziché un innocuo visionario che era dispostissimo, come dicono i Vangeli, a « dare a Cesare ciò che è di Cesare ».

Tra tutte le discrepanze, le improbabilità e le incongruenze contenute nei Vangeli, la scelta di Barabba è la più sorprendente e inspiegabile. Sembra evidente che debba esserci qualcosa, dietro a questa invenzione tanto goffa e sconcertante. Un autore moderno ha proposto una spiegazione affascinante e plausibile. Ipotizza che Barabba fosse il figlio di Gesù, e che Gesù fosse un re legittimo. In questo caso, la scelta di Barabba assumerebbe subito un senso.

Si immagini una popolazione oppressa, di fronte all'imminente eliminazione del suo capo spirituale e politico, quel Messia il cui avvento aveva destato tante speranze. In una situazione del genere, la dinastia non sarebbe stata più importante dell'individuo? La conservazione della stirpe non sarebbe stata l'aspirazione suprema, non avrebbe avuto precedenza su tutto? Un popolo, di fronte alla scelta terribile, non avrebbe preferito veder sacrificato il re perché suo figlio e la sua schiatta potessero sopravvivere? Se la schiatta fosse sopravvissuta, vi sarebbe stata almeno una speranza per il futuro.

Non è certo impossibile che Barabba fosse figlio di Gesù. In genere, si ritiene che Gesù fosse nato intorno all'anno 6 a.C. La Crocifissione avvenne non più tardi del 36 d.C, quando Gesù aveva, al massimo, quarantadue anni. Ma anche se ne avesse avuto soltanto trentatrè quando morì, poteva comunque aver generato un figlio.
 
Secondo le consuetudini del suo tempo, poteva essersi sposato a sedici o diciassette anni. Ma anche se si fosse sposato soltanto verso i vent'anni, avrebbe potuto comunque avere un figlio tredicenne che, secondo le usanze giudaiche, sarebbe stato considerato un uomo. E naturalmente, poteva avere anche altri figli. Questi figli potevano essere stati concepiti fino a pochi giorni prima della Crocifissione. > >

BAIGENT, LEIGH E LINCOLN

mercoledì 7 dicembre 2016

L’altro Gesù – 5

Il Gesù alternativo di Baigent, Leigh e Lincoln, così come ricostruito nel famoso e controverso saggio “Il Santo Graal”. (Quinta parte). Lumen


La Crocifissione 


  << Un capo spirituale, se ha un appoggio popolare sufficiente, può costituire una minaccia per un regime esistente. Ma un uomo sposato, con legittime pretese al trono, e figli destinati a formare una dinastia, rappresenta una minaccia decisamente ancora più grave.

C'è qualcosa, nei Vangeli, che indichi che Gesù venisse considerato dai Romani un pericolo di questo genere? Durante l'incontro con Pilato, Gesù viene chiamato più volte « Re dei Giudei ». Per ordine dello stesso Pilato, sulla croce viene affissa un'iscrizione con questo titolo.

Come sostiene S.G.F. Brandon dell'Università di Manchester, l'iscrizione affissa alla croce deve essere considerata autentica: uno dei particolari più autentici dell'intero Nuovo Testamento. Innanzitutto figura, virtualmente senza variazioni, in tutti i quattro Vangeli. In secondo luogo è un episodio troppo compromettente e imbarazzante perché l'abbiano inventato i revisori più tardi.

Nel Vangelo di Marco, Pilato, dopo aver interrogato Gesù, chiede ai dignitari: « Che farò dunque di quello che voi chiamate Re dei Giudei? » (Marco 15:12). Questo parrebbe indicare che almeno alcuni Giudei considerano veramente Gesù come il loro re.

Nel contempo, però, in tutti i quattro Vangeli anche Pilato accorda questo titolo a Gesù. Non c'è ragione di supporre che lo faccia per ironizzare o per deriderlo. Nel Quarto Vangelo insiste a farlo in tono serio, nonostante il coro di proteste.

Nei tre Vangeli Sinottici, inoltre, lo stesso Gesù ammette di rivendicare il titolo: « Allora Pilato prese a interrogarlo: "Sei tu il Re dei Giudei?" Ed egli rispose: "Tu lo dici" » (Marco 15:2). Nella traduzione, la risposta può suonare ambivalente - forse di proposito. Nel testo originale greco, però, il suo significato è inequivocabile. Può essere interpretata solo come « Tu hai parlato giustamente ». E la frase è interpretata nello stesso modo ogni volta che appare altrove nella Bibbia.

I Vangeli furono composti durante e dopo l'insurrezione del 68-74 d.C, quando il giudaismo aveva finito di esistere come una forza sociale, politica e militare organizzata. E soprattutto, i Vangeli furono composti per un pubblico greco-romano, e dovevano risultare accettabili. Roma aveva appena finito di combattere contro gli Ebrei una guerra feroce e dispendiosa. Quindi era del tutto naturale presentare i Giudei come malvagi.

Inoltre, dopo la rivolta giudaica, Gesù non poteva venire dipinto come un personaggio politico, legato in un modo o nell'altro alle inquietudini che sfociarono nella guerra.

Infine, la parte avuta dai Romani nel processo e nell'esecuzione di Gesù doveva essere riveduta e corretta e presentata nel miglior modo possibile. Perciò nei Vangeli Pilato figura come un uomo onesto, serio e tollerante, che consente con grande riluttanza alla Crocifissione.

Ma nonostante questa libertà che gli evangelisti si presero con la storia, si può ricostruire quale fu la vera posizione di Roma nella vicenda. Secondo i Vangeli, Gesù viene inizialmente condannato dal sinedrio, il consiglio degli anziani giudei, i quali lo portano davanti a Pilato e chiedono al governatore di pronunciarsi contro di lui. Da un punto di vista storico, questo non ha senso.

Nei tre Vangeli Sinottici, Gesù viene arrestato e condannato dal sinedrio la notte di Pasqua. Ma secondo la legge giudaica, il sinedrio non poteva riunirsi per Pasqua. Nei Vangeli l'arresto di Gesù e il suo processo davanti al sinedrio hanno luogo di notte. Secondo la legge giudaica, il sinedrio non poteva riunirsi di notte, in case private o in qualunque luogo che non fosse all'interno del recinto del Tempio.

Nei Vangeli, il sinedrio sembra non avere l'autorità di pronunciare una condanna a morte e sarebbe per questa ragione che Gesù viene condotto davanti a Pilato. Ma il sinedrio aveva l'autorità di emettere condanne a morte: per lapidazione, se non per crocifissione. Perciò, se il sinedrio avesse voluto eliminare Gesù, avrebbe avuto l'autorità di condannarlo alla lapidazione. L'intervento di Pilato non sarebbe stato necessario.

Gli autori dei Vangeli compiono altri numerosi tentativi per scagionare Roma da ogni responsabilità.

Uno è rappresentato dall'offerta di grazia fatta da Pilato, il quale si dichiara disposto a liberare un prigioniero a scelta della folla. Secondo i Vangeli di Marco e Matteo, questa era « un'usanza della festa di Pasqua ». In realtà, tale consuetudine non esisteva. Gli autori moderni concordano che i Romani non adottarono mai tale politica, e che l'offerta di liberare Gesù o Barabba è un'invenzione.

Anche la riluttanza di Pilato di fronte alla prospettiva di condannare Gesù, e la sua irritata rassegnazione alla pressione della folla sembrano altrettanto fittizie. In realtà, sarebbe stato impensabile che un governatore romano, per giunta implacabile come Pilato, si piegasse al volere della folla. 

 Lo scopo di queste alterazioni è piuttosto chiaro: scagionare i Romani, attribuire tutta la colpa agli Ebrei e rendere così Gesù accettabile a un pubblico romano.

È possibile, naturalmente, che non tutti i Giudei fossero innocenti [in questa vicenda]. Anche se l'amministrazione romana aveva paura di un re-sacerdote pretendente al trono, non poteva compiere apertamente atti provocatori che avrebbero portato torse a una rivolta. Senza dubbio, a Roma avrebbe fatto comodo che il re-sacerdote venisse tradito ufficialmente dal suo popolo. È quindi concepibile che i Romani si servissero di certi Sadducei come agenti provocatori.

Ma anche così, rimane il fatto incontrovertibile che Gesù fu vittima di un'amministrazione romana, di un tribunale romano, di una condanna romana, dei militari romani e di un'esecuzione romana: un'esecuzione la cui forma era riservata esclusivamente ai nemici di Roma. Gesù non fu crocifìsso per le sue colpe nei confronti del giudaismo, ma per le colpe nei confronti dell'impero. >>

BAIGENT, LEIGH E LINCOLN

mercoledì 30 novembre 2016

Viaggio al centro della Terra

Poche cose sono importanti, nel mondo di oggi, come il petrolio, di cui sappiamo (o crediamo di sapere) tutto.
Esiste però una teoria “eretica” secondo cui il petrolio sarebbe una sostanza “a-biotica”, cioè NON derivante dalla decomposizione di materia organica.
A questa strana teoria è dedicato il breve articolo che segue dello scrittore e saggista Roberto Vacca, pubblicato nel 2007 dal Sole 24 Ore.
Personalmente, dal basso della mia ignoranza scientifica, sono piuttosto dubbioso, ma l’ipotesi resta intrigante.
LUMEN


<< L'origine del petrolio e del gas naturale non è biologica: risale alla formazione del mantello e della crosta terrestre. I giacimenti a profondità di alcuni chilometri, si formarono da petrolio e da gas che da masse profonde filtrarono in alto. Ora le riforniscono dopo l'esaurimento. Le prospettive per l'avvenire sono epocali. Dovremo effettuare ricerche e indagini raggiungendo livelli profondi in molte aree per ottenere dati sicuri.

Il processo per cui giacimenti esauriti sono riforniti da fonti profonde avviene a velocità diverse. Variano la pressione nei depositi profondi e l'impedenza degli strati di roccia che li coprono. Il rapporto costi/benefici si minimizzerà perforando a profondità minori per ridurre quell'impedenza, senza accedere ai profondi filoni principali.

Da 50 anni si dice che petrolio e gas naturale stanno per finire. Si crede di conoscere le riserve con precisione e di poter calcolare il tasso di svuotamento concludendo che fra pochi decenni il petrolio finirà: però la teoria ha basi incerte.

Il primo a sostenere (senza prove) che petrolio e metano sono prodotti della trasformazione di materiale biologico in decomposizione in molecole di idrocarburi fu Lomonosov nel XVIII secolo, ma l'ipotesi fu già confutata nel 1877 da Mendeleev, lo scopritore della tavola periodica degli elementi.

Nel 1992 il professor Thomas Gold pubblicò la teoria della profonda biosfera calda, spiegando il meccanismo dell'accumulo di idrocarburi nei giacimenti profondi. La fusione della Terra è stata sempre parziale e gli idrocarburi erano presenti nella materia originaria che costituì il pianeta.

Gli idrocarburi forniscono sostanze nutrienti a forme di vita esistenti a grandi profondità nel mare. Ci sono batteri iper-termofili che vivono a 110° C negli sfiati caldi sul fondo marino. Estraggono ossigeno (con cui bruciano idrocarburi e ottengono energia) riducendo ossido ferrico a formare ossido ferroso. È probabile che la vita abbia avuto origine dalla biosfera profonda, senza sfruttare la fotosintesi.

Gli argomenti di Gold a favore dell'origine non biogenica di petrolio e gas sono i seguenti:

1. I giacimenti si estendono per chilometri senza relazione con depositi sedimentari minori.

2. I giacimenti sono presenti a livelli differenti corrispondenti a epoche diverse e non sono correlati a sedimenti biologici.

3. I depositi biologici non giustificano le enormi quantità di metano esistenti.

4. I depositi d'idrocarburi in vaste aree contengono le stesse firme chimiche, mentre le formazioni circostanti hanno età geologiche differenti.

5. Gli idrocarburi contengono Elio: gas chimicamente inerte, non associato con alcuna forma biologica.

Nel 2001 J. Kenney dimostrò che le leggi della termodinamica proibiscono la trasformazione a basse pressioni di carboidrati o altro materiale biologico in catene di idrocarburi. Infatti il potenziale chimico dei carboidrati varia da meno 380 a meno 200 kcal/mole: quello degli idrocarburi è positivo. Dunque la trasformazione citata non può avvenire. Il metano non si polimerizza a pressione bassa ad alcuna temperatura.

Accade, poi, che giacimenti di gas e petrolio esauriti si riempiano di nuovo. Questo processo può essere alimentato solo da depositi profondi ripetendo la sequenza dei fenomeni che portò alla loro formazione iniziale. Queste situazioni spiegano l'incremento delle riserve mondiali di petrolio del 72% tra il 1976 e il 1996.

Invece non possiamo dedurre conclusioni generali dalle statistiche della produzione globale, che dipendono da considerazioni finanziarie e politiche, non da valutazioni di situazioni fisiche. La produzione mondiale di petrolio crebbe del 19% dal 1995 al 2005, e la produzione Usa nello stesso periodo calò del 18% (cioè dal 12.2 all' 8,4% della produzione mondiale).

Negli anni 80, Gold convinse il Governo Svedese a fare una trivellazione profonda nella Svezia centrale in un'area granitica di lava cristallizzata. Era priva di sedimenti e non plausibile come fonte di idrocarburi. Presentava, però, infiltrazioni di metano, catrame e petrolio attribuite a sedimenti organici sovrapposti al granito e poi spariti. Si usò per le trivelle un fluido a base di acqua onde evitare di contaminare il pozzo con oli esterni.

A profondità di 5 km si trovarono idrogeno, elio, metano e altri idrocarburi. A 6 km si trovò una pasta nera maleodorante (segno di forte presenza batterica) contenente molte molecole oleose. A 6,7 km si ottennero 12 tonnellate di petrolio grezzo. Le teorie di Gold erano confermate. La Svezia interruppe l'impresa, ma i vantaggi conseguibili sono enormi e giustificheranno gli investimenti necessari: nuovi tentativi sono imminenti.

Gli equilibri internazionali cambieranno profondamente. I timori dell'esaurimento futuro saranno fugati. Certo saranno sollevati tragici allarmi ecologici: (aumento della CO2, riscaldamento globale). Però, se la naturale evoluzione ciclica della temperatura dovesse annunciare l'inizio della prossima era glaciale, si spera che l'aumento della CO2 nell'aria renda più mite il raffreddamento globale. > >

ROBERTO VACCA

mercoledì 23 novembre 2016

Lucro cessante

Un post di Jacopo Simonetta sulla trappola dei ritorni decrescenti: ovvero, quando si continua a produrre anche in perdita, perché non si riesce a fermare il meccanismo. Ci siamo entrati perché siamo diventati troppi. Come possiamo uscirne ? Facendo esattamente il contrario. Lumen

 
<< [Secondo] un modello economico proposto da Herman Daly, l’incremento della produzione di beni e servizi non necessariamente giova all'economia; anzi può diventare la macchina che la distrugge. Sembra un paradosso, ma non lo è, come molti dei fenomeni che stanno condizionando il nostro presente ed il nostro futuro. (…)
 
Ad ogni attività commerciale, come ai processi biologici, si applica l’implacabile legge dei ritorni decrescenti. Qualunque cosa cresca, da un certo momento in poi, comincia ad incontrare una resistenza sempre maggiore al suo sviluppo, finché questo necessariamente si arresta. In termini termodinamici la faccenda si spiega col fatto che, man mano che qualcosa cresce, aumentano le sue necessità e, dunque, le sue difficoltà a reperire abbastanza energia per continuare a crescere.
 
Contemporaneamente, ogni accrescimento comporta anche un aumento dei costi, siano questi energetici, monetari o d’altro genere. (…) Per reperire più cibo è necessario camminare di più. Per catturare più luce occorre mantenere tronchi e rami sempre più grandi e pesanti. Per pompare più petrolio è necessario perforare pozzi sempre più profondi eccetera. Fino a che le uscite equivalgono alle entrate e la crescita si ferma. (…)
 
Quello che di solito non si dice è che, col tempo, le strutture realizzate per catturare energia si usurano ed aumenta quindi il bisogno di energia per la loro manutenzione. Man mano che il tempo passa, il fabbisogno di energia aumenta, aumentano le difficoltà a reperirne abbastanza ed i sistemi cominciano a diventare fatiscenti, finché collassano.
 
Tutte le strutture dissipative, di qualunque natura e dimensione, invecchiano e muoiono; dalle cellule alle galassie. Ed è un bene, perché è proprio questo che consente l’evoluzione. “La Morte è l’artificio mediante cui si mantiene la Vita” diceva Goethe.
 
Tornando alle nostre preoccupazioni economiche, se è assodato che i vantaggi marginali non possono che diminuire ed i costi marginali non possono che aumentare, come è possibile pensare che la crescita economica possa proseguire all'infinito? Sostanzialmente per due motivi:
 
Il primo è che, comunemente, si ritiene che i ritorni decrescenti si applichino alle singole attività, ma non alle economie complessive. Si presume infatti che ci sia sempre la possibilità di inventare nuovi prodotti o servizi, man mano che quelli già disponibili raggiungono il fatidico livello d’arresto. Un’idea che era perfettamente ragionevole quando fu concepita, un paio di secoli or sono.
 
All'epoca, sulla Terra c’era meno di un miliardo di persone, abbondanza di risorse e spazi apparentemente illimitati in cui disperdere i nostri rifiuti. Pensare la stessa cosa oggi - in un mondo in cui ogni giorno ci sono 300.000 persone in più a grattare il fondo del barile di risorse come l’acqua, il suolo, la biodiversità e l’aria; un mondo in cui le caratteristiche chimiche e fisiche dell’atmosfera e degli oceani sono state gravemente alterate dall'accumulo di rifiuti - è semplicemente una stupidaggine.
 
Il secondo motivo è (…) che disponiamo di potenti mezzi in grado di spostare il famoso punto di equilibrio del “quando fermarsi” sia a livello di singole attività che di intere economie: la crescita demografica, la pubblicità (e tutti gli altri trucchi del consumismo), il progresso tecnologico. (…)
 
[Però] all'aumentare dei consumi, il vantaggio marginale diminuisce ed i costi salgono, fino a che si equivalgono. Oltrepassare questo punto di equilibrio significa investire per distruggere ricchezza, anziché costruirne. Chi potrebbe fare una cosa simile? Eppure succede.

Vediamo i tre punti di possibile crisi. 

1 - Il “ Limite economico” si raggiunge quando la curva dei benefici calanti incrocia quella dei costi montanti. E’ questo il famoso punto “quando fermarsi”. Qui è fondamentale tener presente che, parlando di intere economie e non di singole attività, la curva dei costi include necessariamente anche tutte le esternalità che, invece, non figurano nei bilanci delle imprese. Questo è uno dei motivi per cui spesso le imprese trovano vantaggioso spingere l’economia generale in territorio collettivamente negativo.

2 – Il “limite di saturazione” (…) corrisponde a quando la gente ne ha fin troppo di qualcosa. Smette di comprare, la curva dei vantaggi precipita e finisce il gioco. L’economia neoclassica nega formalmente l’esistenza di questo limite con il postulato di “non sazietà”, la cui validità è però smentita dai fatti, oltre che dallo sviluppo iperbolico dell’industria pubblicitaria e, più in generale, tutto l’armamentario del consumismo.
 
Ma anche altre forzanti, in particolare la crescita demografica, possono facilmente spostare il limite economico ben addentro al territorio della crescita anti-economica. Cioè in posizioni in cui la somma dei costi, comprese le esternalità, supera i ricavi. Parlando di economie, il fatto di aver raggiunto od anche superato il punto di equilibrio non significa infatti che tutte le attività siano negative. Anzi, di solito alcune vanno meglio di prima ed altre nuove nascono, anche se si sviluppano a spese di altre che chiudono.
 
In pratica, l’economia diventa un gioco a somma negativa, ma ciò non impedisce che vi siano dei vincitori, e poiché sono proprio questi che assurgono al potere vi sono ben poche possibilità che fermino la macchina. Ma quel che è più importante, è che in questo modo ci si avvicina al terzo limite.
 
3 – Il “Limite della catastrofe ecologica”. Sappiamo, o dovremmo sapere, che qualunque attività umana modifica l’ecosistema da cui preleva le risorse necessarie e scarica i rifiuti risultanti. Entro certi limiti, l’ecosistema si adatta, mantenendo comunque una sua funzionalità. Oltre questo limite, l’ecosistema collassa in un sistema quasi privo di vita, completamente incapace di sostenere qualsivoglia attività umana.
 
L’esempio classico è quello della messa a coltura di territori vergini, che può portare allo sviluppo di agro-ecosistemi molto complessi e vitali, così come a lande desolate a seconda dell’intensità con cui si sfruttano i suoli, l’acqua e la biodiversità.
 
Anche l’esistenza di questo limite viene esplicitamente negata, o perlomeno ridotta ad una possibilità del tutto teorica, dalla scuola economica corrente, in base al presupposto che lo sviluppo economico sia in grado di produrre anche i mezzi per riparare i danni che produce. Il fatto che un’infinità di attività e di economie siano già collassate, assieme agli ecosistemi di cui vivevano, non sembra interessare i grandi guru del denaro.
 
Ma ciò che qui ci interessa è il ruolo chiave rivestito dalla tecnologia. L’effetto principale del progresso tecnico è infatti quello di rendere più efficienti i processi produttivi. L’intera élite mondiale, ed anche buona parte della risicata nicchia ambientalista, conta proprio sull'aumento dell’efficienza produttiva per togliere dal fuoco le castagne dell’umanità senza che nessuno si faccia troppo male.
 
Ma se i processi produttivi diventano più efficienti, i costi di produzione diminuiscono, la curva dei costi marginali si sposta verso il basso ed il punto di equilibrio verso il punto di rottura che scatena la catastrofe. (…) Parlando di economia globale, non sappiamo esattamente dove questo “punto” si trovi, anzi potremmo addirittura averlo già superato. Non possiamo saperlo, ma possiamo essere certi che c’è.
 
In altre parole, l’aumento di efficienza produttiva e commerciale porta benefici a chi se ne serve, ma a costo di avvicinare progressivamente il sistema alla soglia di collasso. Finché vi sono ampi margini di manovra, rappresentati da risorse e possibilità di smaltimento prive di forti controindicazioni, i vantaggi superano certamente gli svantaggi. 

Non per nulla, in ogni società che è collassata, i successi del passato hanno indotto la gente a tenersi stretto il suo progresso. (…) D'altronde, per una società umana mollare la presa significherebbe avviare volontariamente il proprio declino politico ed economico. Cioè restare a pancia vuota o essere invasi (…) Ma continuare ad alzare la posta ha sempre avuto il risultato di rimandare la resa dei conti, finché non sopraggiunge il cacciatore, nelle vesti di una raffica di catastrofi tanto più devastanti, quanto più a lungo è stato possibile rimandare.
 
Sono pochissimi e parziali gli esempi storici di società che sono state capaci di fermarsi ad un livello a cui era ancora possibile stabilizzare il sistema per periodi relativamente lunghi. Dunque il rilancio economico, ed ancor più il progresso tecnologico da cui ci attendiamo salvezza, sono esattamente quelle cose che hanno già condannato a morte molti di noi e forse l’umanità intera, se non la Biosfera.
 
Dovremmo allora considerare “cattiva” la tecnologia ? Sarebbe come se un gatto considerasse cattivi i propri artigli perché gli hanno permesso di catturare tutti i topi del quartiere. Non ha senso. (…) Il fatto è semplicemente che abbiamo elaborato una forma di evoluzione troppo efficiente e questo ci ha permesso di distruggere una buona fetta del Pianeta.
 
Per chi ne ha assaporato i frutti, è stato bello non sentire più la fame, poter guarire da tante malattie, andare in vacanza ed in pensione, viaggiare in automobile o in aereo, eccetera. Niente di strano che più sentiamo sfuggirci tutto ciò, più forte stringiamo la presa. E chi è vissuto sperando di realizzare lo stesso sogno, ucciderà e morirà prima di rinunciarvi. La tecnologia ci ha spacciati non già perché sia cattiva, bensì perché funziona troppo bene ! > >

 JACOPO SIMONETTA

mercoledì 16 novembre 2016

Pensierini – XXVIII

ZONE PERICOLOSE
Vi sono parecchie regioni del mondo che sono oggettivamente inospitali e pericolose per l’uomo. Sono troppo aride o troppo gelide, oppure sono a rischio di terremoto o di tsunami o di terribili tempeste, eccetera eccetera.
Se l’uomo fosse dotato di un minimo di buon senso, una volta accertato il pericolo, si limiterebbe a lasciare queste zone disabitate, riducendo la popolazione in funzione delle terre utili.
Ma l’uomo non ci riesce: dovendosi riprodurre con la massima potenzialità, finisce per occupare ogni minimo angolo della terra, cercando di ovviare, con la sua ingegnosità, alle difficoltà più evidenti.
Accade però che, prima o poi, si verifichi il tanto temuto terremoto (o tsunami, o carestia, ecc.) e che gran parte della popolazione di quella inospitale regione muoia o resti gravemente menomata.
E allora tutti giù a piangere e disperarsi. Quando invece basterebbe, ex ante, un po’ di semplice buon senso.
LUMEN


ATEI ED AGNOSTICI
Nonostante la distinzione semantica, sono convinto che, nel modo di vivere e di pensare, non c'è una vera differenza tra un agnostico ed un ateo.
La posizione delle persone nei confronti della divinità, infatti, si può ridurre a 3 grandi categorie:
1 - quelli che credono nel dio di una specifica religione
2 - quelli che credono in un dio personale
3 - quelli che non credono in nessun dio.
Ora, è evidente che atei ed agnostici sono tutti nella terza categoria.
Al massimo un agnostico può essere meglio accettato a livello sociale, ma si tratta di una differenza puramente esteriore.
LUMEN


PRESCRIZIONE
Vi sono reati che non cadono mai in prescrizione: sono quelli più efferati per i quali è previsto il massimo della pena.
Ancora in questo decennio, per conseguenza, si è avuta notizia di procedimenti penali in corso contro ex nazisti per crimini commessi durante l’ultima guerra mondiale.
Gli accusati, ovviamente, erano vecchissimi, perché il tempo trascorso dai fatti è notevole, ma la legge è stata applicata ugualmente: per questo, anche se tecnicamente è tutto in regola, la cosa mi appare abbastanza grottesca.
Sono convinto infatti che l’oblio della prescrizione dovrebbe sempre coprire tutti i reati, anche i più terribili e odiosi: perché, passato un certo numero di decenni, il diritto è inutile e deve lasciare il campo alla storia.
Questo, ovviamente, solo per amore di discussione, e non per giustificare, in alcun modo, l’orrore dell’olocausto.
LUMEN


SOFFERENZE
Spesso, per giustificare in qualche modo le sofferenze subite da tante persone innocenti, gli uomini di Chiesa non trovano di meglio che appellarsi agli imperscrutabili disegni divini, nelle certezza (?) che tutto è stato comunque da Lui voluto “a fin di bene”.
Noi atei, ovviamente, non possiamo accettare questa pseudo-spiegazione, ma non per questo dobbiamo disperarci e rinunciare ad essere positivi, visto che dalla vita si può sempre imparare qualcosa.
Pertanto mi trovo d’accordo con Alessandro Gilioli, quando afferma che << Non sono convinto che nella vita le sofferenze "facciano bene". Neanche un po'. Però dalle sofferenze si può imparare. Almeno gli si dà un senso. A posteriori, non richiesto, ma meglio che niente. >>
LUMEN


MIRACOLI
Gianni Pardo fa notare che la Chiesa, quando si parla di miracoli, è tendenzialmente scettica.
<< Non perché - dice Pardo - sia veramente sicura che essi siano impossibili, quanto perché reputa molto più probabile che siano frutto d’imbrogli. E non vuole correre il rischio di essere ridicolizzata. Per prudenza, i miracoli preferisce non riconoscerli o li riconosce molti anni dopo, quando nessuno avrà la possibilità di verificarli. Semplice buon senso. >>
I fedeli più dotati di spirito critico rimangono stupiti del realismo del Vaticano, ma non dovrebbero farlo.
<< Le folle - conclude Pardo - sono capaci di acclamare Padre Pio come santo, mentre il Papa, a sentir parlare di qualcuno che dice d’avere le stimmate, è più che allarmato. I saggi reggitori di quella antica organizzazione hanno più fede nel buon senso che nel magico e nel divino. >>
LUMEN


RETE DI SICUREZZA
E' diffusa l'opinione tra gli ambientalisti che ci troviamo in una situazione di crisi senza precedenti e che, come già sottolineato da Joseph Tainter, nessuna civiltà precedente è mai riuscita a sopravvivere a questo tipo di situazione.
<< Inoltre - fa notare l'esperto Louis Arnoux - le persone che vivevano in quelle civiltà erano prevalentemente rurali ed avevano una rete di salvataggio nel fatto che la loro fonte energetica era per il 100% solare, fotosintesi per il cibo, le fibre e il legname; potevano sempre continuare ad andare avanti, anche se questo poteva avvenire in condizioni dure. >>
E aggiunge: << Noi, invece, non abbiamo più questa rete di sicurezza, perchè tutti i nostri sistemi alimentari dipendono completamente da quella rete energetica proveniente dal petrolio che sta per scendere a terra, e i nostri sistemi di fornitura alimentare non possono funzionare senza di essa. >>
Proprio una bella prospettiva.
LUMEN

mercoledì 9 novembre 2016

L’altro Gesù – 4

Il Gesù alternativo di Baigent, Leigh e Lincoln, così come ricostruito nel famoso e controverso saggio “Il Santo Graal”. (Quarta parte). Lumen


La dinastia di Gesù
 
<< Se Gesù aveva veramente sposato Maddalena, questo matrimonio poteva avere uno scopo specifico ? In altre parole, poteva essere qualcosa di più di un matrimonio convenzionale ? Poteva essere un'alleanza dinastica, con significati e ripercussioni di carattere politico ? (…)

Il Vangelo di Matteo dichiara esplicitamente che Gesù era di sangue reale: un re autentico, discendente diretto di Salomone e di Davide. Se questo è vero, avrebbe avuto un diritto legittimo sul trono della Palestina unita: forse l'unico diritto legittimo. E l'iscrizione affissa sulla croce sarebbe stata qualcosa di più di una beffa sadica, perché Gesù sarebbe stato veramente il « Re dei Giudei ». (…)

E quindi avrebbe suscitato l'opposizione che suscitò, appunto a causa del suo ruolo: il ruolo di un re-sacerdote che forse avrebbe potuto unificare il suo paese e il popolo ebreo, e che quindi costituiva una grave minaccia per Erode e per Roma.

Certi studiosi biblici moderni hanno sostenuto che la famosa «strage degli innocenti» perpetrata da Erode non avvenne mai. E anche se avvenne, non ebbe probabilmente le dimensioni sensazionali e spaventose che le attribuiscono i Vangeli e la tradizione più tarda. Tuttavia, il fatto stesso che l'episodio sia stato tramandato sembra attestare qualcosa: un timore autentico da parte di Erode, la paura di venire spodestato.

Certo, Erode era un sovrano estremamente insicuro, odiato dai sudditi e tenuto al potere soltanto dalle coorti romane. Ma per quanto fosse precaria la sua posizione, non poteva essere realisticamente minacciata dalle voci sull'avvento di un salvatore mistico o spirituale: voci che del resto a quel tempo circolavano già in Terrasanta.

Se Erode era veramente preoccupato, poteva solo esserlo a causa di una minaccia politica concreta: la minaccia rappresentata da un uomo che aveva pretese al trono più legittime delle sue, e che poteva assicurarsi un vasto appoggio popolare. Forse la «strage degli innocenti» non avvenne, ma le tradizioni che ne parlano rispecchiano una preoccupazione da parte di Erode, un timore nei confronti di una pretesa, una rivendicazione e con ogni probabilità anche un'azione che mirava a prevenirla o a precluderla. La pretesa poteva avere soltanto un carattere politico. E in tal caso doveva essere presa sul serio.

Suggerire che Gesù avesse questa pretesa legittima, naturalmente, significa contrastare l'immagine popolare del « povero falegname di Nazareth ». Ma vi sono motivi convincenti per farlo. Innanzitutto, non è sicuramente certo che Gesù fosse di Nazareth. «Gesù di Nazareth» è infatti una forma corrotta o una traduzione errata di «Gesù il Nazorita», «Gesù il Nazireo» o forse «Gesù di Genesareth».

In secondo luogo, è molto dubbio che il villaggio di Nazareth esistesse ai tempi di Gesù. Non figura nelle mappe e nei documenti romani. Non è menzionato nel Talmud. Non è menzionato, e tanto meno è associato a Gesù, negli scritti di San Paolo che dopotutto furono composti prima dei Vangeli. E Giuseppe Flavio, il più importante cronista di quel periodo, che comandò contingenti di truppe in Galilea ed elencò ì centri della provincia, non parla di Nazareth.

Sembra, quindi, che Nazareth abbia incominciato a esistere dopo l'insurrezione del 68-74 d.C., e che il nome di Gesù vi sia stato associato in seguito alla confusione semantica, casuale o voluta, che caratterizza gran parte del Nuovo Testamento.

Indipendentemente dal fatto che fosse o no «di Nazareth», niente indica che Gesù fosse « un povero falegname ». Non è certo così che ce lo presentano i Vangeli. Anzi, la loro testimonianza fa pensare il contrario. Gesù ci appare istruito; si direbbe che abbia studiato per diventare rabbi, e che abbia frequentato personaggi ricchi e influenti non meno della povera gente: basta ricordare ad esempio Giuseppe d'Arimatea e Nicodemo.

E le nozze di Cana sembrano confermare la posizione sociale di Gesù. Le nozze non appaiono affatto come una festa umile e modesta di «gente comune». Al contrario, presentano tutte le caratteristiche di un sontuoso matrimonio aristocratico in grande stile, al quale sono invitati ospiti a centinaia. Ad esempio, vi sono molti servitori che si affrettano ad obbedire a Maria e a Gesù. C'è un «maestro di tavola» o «maestro di cerimonia», che nel contesto sarebbe stato una specie di sovrintendente o capo maggiordomo o forse addirittura un aristocratico.

Chiaramente, il vino scorre a fiumi. Quando Gesù «trasmuta» l'acqua in vino, produce - secondo la «Bibbia della Buona Novella» - non meno di seicento litri, più di ottocento bottiglie! E questo va ad aggiungersi a tutto il vino che è già stato bevuto. Tutto considerato, le nozze di Cana appaiono come una sontuosa cerimonia della piccola nobiltà o dell'aristocrazia.

Se Gesù era aristocratico e se era sposato con la Maddalena, è probabile che anche lei fosse di elevata estrazione sociale. E infatti sembra esserlo. Come abbiamo visto, tra le sue amiche figurava la moglie di un alto funzionario della corte di Erode. Ma è possibile che la Maddalena fosse ancora più importante. (…)

Gerusalemme, Città Santa e capitale della Giudea, in origine era appartenuta alla tribù di Beniamino. In seguito i Beniaminiti erano stati decimati nella guerra con le altre tribù d'Israele, e molti di loro andarono in esilio, anche se (…) alcuni di loro rimasero. Un discendente di coloro che rimasero fu san Paolo, che dichiara esplicitamente di essere Beniaminita (Romani 11:1).

Nonostante il conflitto con le altre tribù d'Israele, quella di Beniamino sembrava godere di una posizione speciale. Tra l'altro, diede a Israele il primo re, Saul, unto dal profeta Samuele, e la prima casa reale. Ma Saul fu deposto da Davide, della tribù di Giuda. E Davide non si limitò a togliere ai Beniaminiti il trono. Scegliendo come capitale Gerusalemme, tolse loro anche la legittima eredità.

Secondo tutte le genealogie del Nuovo Testamento, Gesù era discendente di Davide, e quindi apparteneva anch'egli alla tribù di Giuda. Agli occhi dei Beniaminiti ciò poteva fare di lui, almeno in un certo senso, un usurpatore. Ma queste obiezioni sarebbero state superate se avesse sposato una donna beniaminita. Il matrimonio sarebbe stato un'importante alleanza dinastica, ricca di conseguenze politiche.

Non avrebbe soltanto dato a Israele un potente re-sacerdote; avrebbe avuto anche la funzione simbolica di restituire Gerusalemme ai legittimi proprietari. Quindi avrebbe contribuito a incoraggiare l'unità e l'appoggio del popolo, e a consolidare le pretese al trono di Gesù. Il Nuovo Testamento non dice a quale tribù appartenesse la Maddalena. Nelle leggende più tarde, però, viene detto che è di stirpe reale. E altre tradizioni affermano che apparteneva alla tribù di Beniamino.

A questo punto incominciava a diventare visibile l'abbozzo di uno «scenario» storico coerente. (…) Gesù sarebbe stato un re-sacerdote della stirpe di Davide, legittimo pretendente al trono.

Avrebbe consolidato la sua posizione con un matrimonio dinastico simbolicamente importante. Poi si sarebbe accinto a unificare il suo paese, mobilitare la popolazione, scacciare gli oppressori, deporre l'abbietto sovrano fantoccio e restaurare la gloria della monarchia, com'era stata al tempo di Salomone. E un tale uomo sarebbe stato veramente «Re dei Giudei». >>

BAIGENT, LEIGH E LINCOLN