venerdì 1 maggio 2015

Anche l’occhio vuole la sua parte

Abbiamo un ospite davvero eccezionale per questa intervista virtuale, nientemeno che il grande biologo evoluzionista Richard Dawkins. Con lui affronteremo uno dei principali cavalli di battaglia dei creazionisti, ovvero l’apparente difficoltà di spiegare in termini evolutivi la nascita e lo sviluppo degli organi complessi, come, ad esempio, l’occhio. LUMEN

LUMEN – Professor Dawkins, voi citate spesso, nei vostri libri, il teologo anglicano William Paley, fervente creazionista. Come mai ?
DAWKINS – Paley aveva pubblicato alla fine del Settecento un'opera dal titolo “Teologia naturale o sia prove della esistenza e degli attributi della divinità ricavate dalle apparenze della natura”. In quest'opera Paley passava in rassegna alcune delle più sorprendenti forme di teleonomia presenti nel mondo naturale, quali erano conosciute dalla scienza del suo tempo, e mostrava come non fosse razionalmente possibile postulare che il puro caso stesse all'origine di strutture di tale perfezione e complessità, ma si dovesse necessariamente risalire alla volontà di un Creatore intelligente.
 
LUMEN – Per “teleonomia” si intende una attività biologica tendente ad un fine.
DAWKINS – Esattamente. Organi come l'occhio umano, argomentava Paley, superano per complessità e organizzazione delle parti i più perfetti orologi meccanici, perciò, come noi affermiamo che un meccanismo complesso come un orologio non può esistere senza un orologiaio che lo abbia progettato e realizzato, così non possiamo pensare che gli organismi viventi esistano indipendentemente dal piano di un artefice.
 
LUMEN – Un ragionamento che, in effetti, ha un certo fascino.
DAWKINS – Ed infatti io ammiro molto il testo di Paley. Il reverendo inglese ha saputo mettere in luce molti aspetti meravigliosi del mondo naturale, sottolineando così l'esigenza, da parte della ragione umana, di cercare una spiegazione di fenomeni tanto sorprendenti. Paley cercò tale spiegazione in quella che era, ai suoi tempi, la sola prospettiva ragionevole, ossia l'esistenza di un "orologiaio" che, con intelligenza e sapienza, ha progettato l'universo; oggi però la scienza ha aperto i nostri occhi, mostrandoci che tale orologiaio è cieco, non agisce in vista di alcun fine, e si chiama selezione naturale.
 
LUMEN – L’intuizione geniale di Darwin.
DAWKINS - Di tutti i trilioni e trilioni di modi di cui le parti di un corpo dispongono per potersi mettere insieme, soltanto un'infinitesima minoranza dà la possibilità di vivere, di procacciarsi il cibo, di nutrirsi e di riprodursi. E' vero, vi sono molti esseri viventi diversi - almeno dieci milioni, se contiamo il numero delle singole specie oggi viventi - ma per quanto numerosi essi possano essere, vi saranno pur sempre molti più infiniti modi di non-essere! Possiamo pertanto concludere con ragionevole certezza che gli esseri viventi sono miliardi di volte troppo complessi - troppo statisticamente improbabili - per aver iniziato a vivere per mera casualità.
 
LUMEN – E l’ipotesi del “creatore” ?
DAWKINS – E’ una ipotesi priva di senso. E’ del tutto improbabile che gli esseri viventi siano stati "creati", poiché l'esistenza del Creatore sarebbe ancora più inverosimile, trattandosi di un essere che, per forza di cose, dovrebbe essere ancora più complesso.
 
LUMEN - In che modo, dunque, hanno iniziato a esistere gli esseri viventi?
DAWKINS - La risposta esatta - la risposta di Darwin - è che sia entrato in gioco il caso, ma non un caso unico, un distinto episodio casuale. Ciò che si è verificato è piuttosto tutta una serie di piccoli episodi casuali, ciascuno di essi talmente piccolo da essere un plausibile prodotto di quello che lo aveva preceduto, episodi occorsi l'uno dopo l'altro, in sequenza. Questi minuscoli avvenimenti casuali furono prodotti da mutazioni genetiche - errori occasionali - occorse nel materiale genico.
 
LUMEN – Ovviamente, molti dei cambiamenti furono deleteri e condussero alla morte del fenotipo.
DAWKINS – Una minoranza di essi, però, risultò rappresentare un piccolo progresso, che portò a migliorare la sopravvivenza e la riproduzione. Così questo processo di selezione naturale, questi cambiamenti che risultarono essere vantaggiosi, alla fine si diffusero in tutte le specie diventando la norma. Il quadro complessivo era quindi pronto per la piccola trasformazione successiva del processo evolutivo. Dopo un migliaio circa - supponiamo - di questi piccoli cambiamenti in serie, in cui ciascuna trasformazione costituiva la premessa di quella successiva, il risultato finale divenne, grazie a un processo di accumulo, ben più complesso per potersi dire il prodotto di un unico episodio casuale.
 
LUMEN – E questo può spiegare anche un organo molto complesso come – per fare l’esempio preferito dai creazionisti – l’occhio.
DAWKINS – Certamente. Sebbene teoricamente sia possibile che un occhio si sviluppi dal nulla, con una singola evoluzione molto fortunata, in pratica ciò è inconcepibile. Occorrerebbe una fortuna smisurata, che implichi simultaneamente delle trasformazioni in un gran numero di geni. Possiamo dunque escludere una simile coincidenza pressoché miracolosa.
 
LUMEN – Sarebbe davvero troppo improbabile.
DAWKINS - E' invece perfettamente plausibile che l'occhio, così come esso è oggi, si sia evoluto a partire da qualcosa di molto simile ad esso ma non del tutto, un occhio per così dire appena un po' meno sofisticato. Con lo stesso ragionamento, questo occhio appena un po' meno sofisticato si è evoluto a partire da un occhio leggermente meno sofisticato ancora, e così via. Se si tiene conto di un numero sufficientemente grande di differenze sufficientemente piccole tra una fase evolutiva e la precedente, si dovrebbe essere in grado di delineare l'evoluzione di un occhio intero, complesso e funzionante, a partire dalla nuda pelle.
 
LUMEN - Quante fasi intermedie è lecito postulare?
DAWKINS - Ciò dipende dal tempo con il quale abbiamo a che fare. E' dunque esistito un tempo sufficientemente lungo affinché dal nulla si sviluppasse in piccole fasi successive un occhio? I fossili ci dicono che la vita è andata evolvendosi sulla Terra per più di 3.000 milioni di anni.
 
LUMEN – Un tempo quasi inconcepibile.
DAWKINS – Appunto. E' del tutto inconcepibile per la mente umana abbracciare una simile immensità di tempo. Per nostra natura - e per nostra fortuna - noi consideriamo la nostra aspettativa di vita come un periodo di tempo sufficientemente lungo, ma non possiamo ragionevolmente sperare di vivere neppure un secolo. Sono trascorsi 2.000 anni da quando visse Gesù, un periodo di tempo sufficientemente lungo per rendere indistinta la differenza che intercorre tra storia e mito. Riusciamo a immaginare un milione di simili archi di tempo, che si susseguono snodandosi all'infinito?
 
LUMEN – Praticamente impossibile. 
DAWKINS - Si pensi alla moltitudine di trasformazioni evolutive che possono essersi compiute. Le razze canine domestiche - i pechinesi, i barboncini, gli spaniel, i San Bernardo e i chihuahua - derivano tutte dai lupi, in un arco di tempo misurabile in centinaia, al massimo migliaia di anni. Si pensi alla moltitudine di trasformazioni necessarie a passare da un lupo a un pechinese. E ora si moltiplichi questa moltitudine di trasformazioni per un milione: così facendo, diventa agevole ritenere che un occhio possa essere nato da un non-occhio attraverso fasi impercettibili.
 
LUMEN – I creazionisti però non demordono.
DAWKINS - Si sostiene spesso che affinché possa esservi un occhio è necessario che esistano tutte le parti di un occhio, oppure l'occhio non sarà funzionante. Metà occhio, così si ritiene, non è molto meglio che non avere l'occhio tout court. Non si vola con mezza ala. Non si può udire con mezzo orecchio. Pertanto non può esservi stata una serie di evoluzioni intermedie successive che hanno portato all'occhio, all'ala o all'orecchio moderno.
 
LUMEN – Mi sembra un ragionamento un po’ semplicistico.
DAWKINS – Molto, direi. Questo tipo di ragionamento è così superficiale che ci si può soltanto chiedere quali siano le ragioni inconsce per volerci credere. E' ovviamente falso che un mezzo occhio sia inutile. Chi soffre di cataratta e si è sottoposto alla rimozione chirurgica del cristallino non può vedere molto bene senza occhiali, ma vedrà comunque molto meglio di chi non ha del tutto gli occhi. Senza un cristallino non si mette a fuoco un'immagine precisa, ma si può tuttavia evitare di inciampare in un ostacolo e si può identificare la sagoma di un predatore in agguato.
 
LUMEN – Senza dubbio.
DAWKINS – Il ragionamento analogo - che non si possa volare con una mezza ala - è smentito anch'esso, da un vasto numero di animali che riesce con successo a effettuare dei voli o dei movimenti più o meno planati, e tra essi mammiferi di taglie diverse, lucertole, rane, serpenti e calamari. Molti diversi tipi di animali che vivono sugli alberi hanno tra i loro arti dei lembi di pelle che costituiscono quasi delle porzioni di ala. Se si cade da un albero, qualsiasi lembo di pelle, qualsiasi ulteriore superficie del corpo che aumenti l'area di impatto può salvare la vita.
 
LUMEN – Anche una differenza minima.
DAWKINS - Per quanto piccolo o grande sia questo lembo di pelle, deve pur sempre esserci una soglia critica in corrispondenza della quale, se si cade da un albero di quella altezza, la vita sarebbe stata salva proprio ed esclusivamente in virtù di una superficie di pelle lievemente maggiore. Quindi, quando i discendenti di questo esemplare avranno evoluto un lembo di pelle appena più grande, le loro vite saranno salve grazie a una superficie appena maggiore di quella necessaria a salvarli se fossero caduti da un albero appena più alto.
 
LUMEN – E così via, per fasi impercettibilmente graduali, per centinaia e centinaia di anni, si è arrivati all'ala nella sua completezza.
DAWKINS – Ed all’occhio, all’orecchio, e a tutti quegli altri organi che ci appaiono così incredibilmente complessi.
 
LUMEN – Grazie professore, è stato un piacere.
DAWKINS – Grazie a voi.

19 commenti:

  1. Eppure ...

    Ricordo la delusione suscitata in me da "Il caso e la necessità" di Monod. Già solo sulla nostra piccola Terra gli eventi casuali sono incalcolabili: ogni giorno, ad ogni momento trilioni, quintilioni, sestilioni di elementi cozzano tra di loro dando luogo però a catene di eventi necessari in basi alle leggi fisiche. Se poi moltiplichiamo questi fenomeni terrestri per i 300 - 400 miliardi di stelle della Via lattea - stelle che hanno a loro volta un codazzo di pianeti - e poi per i cento miliardi di galassie attualmente stimati - be', sprofondiamo in un abisso vertiginoso di combinazioni possibili. Difficile, anzi impossibile affermare onestamente che "c'è dietro un piano". La complessità dell'occhio che sembra tanto affascinare i creazionisti è niente rispetto ai numeri del cosmo. C'è una continua oscillazione tra caso e necessità: da un evento necessario in base alle leggi fisiche saltano fuori schegge, scintille di materia a miliardi di miliardi che danno poi luogo ad altri eventi necessari e così via.
    Eppure questa constatazione non soddisfa (non mi soddisfa). Margherita Hack sosteneva che la domanda relativa a cosa ci fosse prima del big bang è priva di senso. Eppure la nostra esperienza quotidiana e primordiale è che ogni fenomeno ha un inizio e una fine. All'inizio abbiamo un punto ovvero tutta la materia concentrata in una sfera delle dimensioni di una palla da tennis (dicono) da cui è o sarebbe nato il nostro universo col big bang. Ma che cosa ha innescato il big bang? Non credo in un Dio che giochi a biliardo con le tante palle da tennis che costituirebbero tanti e diversi universi. Forse le palle da tennis hanno in sé la potenzialità di esplodere e formare universi - ma è concepibile prescindere da un inizio assoluto? Per noi è difficile fare astrazione dai cocetti di inizio e di fine, ma sarebbe concepibile un'assenza di liebeiuauaiisiuuuü







    155=--------------π§





    πøπ4474.

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    1. Immagino saprete che il postulatore del big bang e' stato un gesuita, Lamaitre.

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    2. No, non lo sapevo.
      Ma per un credente religioso mi pare un concetto piuttosto ovvio (fiat lux).
      Molto meno, per chi arriva a questa ipotesi per via puramente scientifica.

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    3. http://it.wikipedia.org/wiki/Georges_Lema%C3%AEtre

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  2. << Eppure la nostra esperienza quotidiana e primordiale è che ogni fenomeno ha un inizio e una fine. >>

    E' proprio questo il punto, caro Sergio.
    Noi siamo fatti in un certo modo, e ci siamo evoluti così al solo scopo di sopravvivere al meglio anche in circostanze mutevoli (siamo probabilmente la più adattabile tra tutte le specie animali).
    Ma il modo in cui siamo fatti determina, e quindi limita, la nostra capacità di comprensione del mondo.
    Essere arrivati a concepire l'esistenza di un big bang è già un'impresa enorme.
    Chiederci cosa ci fosse prima è inevitabile ma, probabilmente, è anche un po' futile.
    Accontentiamoci di quello che abbiamo scoperto, che per dei "primati" (curiosi, ingegnosi ed intelligenti, ma pur sempre primati) mi sembra già moltissimo.

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    1. << Accontentiamoci di quello che abbiamo scoperto >>

      Mi riferisco ovviamente alla cosmologia; perchè negli altri campi (a cominciare dall'antropologia) la Scienza può ancora indagare e scoprire moltissimo.

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  3. Eppure N. 2

    Non so cosa sia successo al mio messaggio precedente. Avevo aggiunto ancora qualcosa, ma non so più cosa.
    Aggiungo comunque ancora questo. Elsa Morante, ex moglie di Moravia, voleva scrivere un romanzo o un'opera con un titolo per me suggestivo: "Senza i conforti della religione", ma questo titolo nella lista delle sue opere manca. Sembra che la Morante fosse religiosa, persino molto religiosa (a detta di Moravia). Ma quel titolo cosa significava allora? A me piaceva perché penso che dobbiamo vedercela proprio senza quei conforti. E penso che la cosa sia possibile, anzi per molti è già realtà: si può vivere bene anche senza il mito cristiano. Ma che significa vivere bene? Mi disse una volta uno psicologo: avere la sensazione che le cose stiano bene così come sono, che tutto abbia dunque un senso. Un paria indiano vive nella consapevolezza di essere un essere infimo, servo degli altri. Certamente la sua vita non sarà degna dal nostro punto di vista, certamente sarà sfruttato, ma lo stesso per lui è giusto che sia così (così gli hanno detto, questa è la sua esperienza concreta: siamo la feccia dell'umanità). Non sto naturalmente dicendo che ognuno resti al posto assegnatogli dalla sorte e se ne faccia una ragione, non tenti di cambiare qualcosa. Ma senza ordine non si può vivere. Persino Socrate accettò una sentenza ingiusta perché non crollasse l'ordine stabilito, ciò che sarebbe equivalso al caos, alla fine del mondo.
    Senza i conforti della religione (per noi cristiana) significherebbe appunto vivere nella consapevolezza della nostra finitudine senza disperarsi. Siamo formiche eppure riusciamo a indagare l'universo, talvolta esaltandoci per ciò che scopriamo e che ci riempie di meraviglia e di gioia.
    "Facciamo adesso l'uomo a nostra immagine e somiglianza". Be', se Dio è simile a noi deve essere proprio un babbeo o un primate eccellente. Ma ciò che chiamiamo Dio è in realtà la Legge, il principio dell'universo presente in ogni atomo e quindi anche in noi. Sì, ma ... sono tutte belle parole, anzi nemmeno tanto belle, vacui balbettii ... Sì, ma ...

    "Come dinanzi alla temuta solennità del Mistero, dovunque diffuso, colui che scrive piega qui il capo e, trepido, raccomanda sé e la patria al dio ignoto."
    Giustino Fortunato

    Carlo Carena, contemporaneo, ha tradotto su richiesta di Guido Ceronetti queste parole in latino:
    "Tamquam si ante sacram arcanorum, quae omnia pervadunt, maiestatem nunc sit qui scribit, caput flectit et trepidans seque patriamque DEO IGNOTO commendat."
    temporaneo, ta



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    1. "Facciamo adesso l'uomo a nostra immagine e somiglianza". Be', se Dio è simile a noi deve essere proprio un babbeo o un primate eccellente.

      Infatti, la sensazione e' che e' Dio che l'abbiamo fatto a nostra immagine e somiglianza... Dio in realta' e' lo specchio inconfessato dell'uomo. Chissa'...

      "Ma ciò che chiamiamo Dio è in realtà la Legge, il principio dell'universo presente in ogni atomo e quindi anche in noi."

      Condivido. Pero' direi piu' che "la Legge", il bisogno innato che abbiamo in una Legge che renda sensata la nostra continua ricerca di rapporti causali. Del resto un cervello che non cerchi delle relazioni causa-effetto non serve a nulla, dobbiamo convenire. In questo senso e' interessante lo Zen, che a quel che ho (o meglio avevo) capito cerca di tirarci fuori sia dalla concatenazione causale, che addirittura dalla gabbia della cognizione attraverso il linguaggio.

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    2. << In questo senso e' interessante lo Zen, che a quel che ho (o meglio avevo) capito cerca di tirarci fuori sia dalla concatenazione causale, che addirittura dalla gabbia della cognizione attraverso il linguaggio. >>

      Caro Diaz, questo è un argomento che, lo confesso, non conosco per nulla.
      Potresti darci qualche chiarimento in più ?
      E soprattutto, perchè uscire dallo schema causale dovrebbe essere un passo positivo ?

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    3. "E soprattutto, perchè uscire dallo schema causale dovrebbe essere un passo positivo ?"

      Immagino perché è una gabbia di ferro dalla quale si vorrebbe evadere, un limite insuperabile in cui si cozza sempre la testa e procura bernoccoli.
      La verginità di Maria spezza per esempio questa insopportabile catena di causa-effetto (a detta di un teologo che io peraltro apprezzo). Finalmente un nuovo inizio assoluto che non dipende da nient'altro. In genere ci muoviamo a nostro agio nel mondo accettando il principio di causa-effetto (senza nemmeno pensarci). Ma ogni tanto battiamo la testa in quel principio e allora ci rendiamo conto che siamo in una catena che non si spezza, sentiamo il peso del limite. Ma il fatto è che anche il famoso Dio è limitato dalla sua natura, anche se gli attribuiamo onniscienza e onnipotenza. Allah è comunque superiore al Dio cristiano perché ha persino il diritto di contraddirsi (e di comportarsi da diavolo!). Il logos greco-cristiano è più cogente e razionale.
      Interessante sarebbe indagare in quale misura anche il linguaggio ci limita. L'animale "pensa" senza linguaggio (almeno a partire da un certo livello evolutivo): connette infatti certe situazioni e reagisce conseguentemente (istinto a parte). Dispone dunque di segnali di orientamento. Questi segnali e simboli non sono costituiti da parole come nell'uomo. Ma il linguaggio matematico è altamente simbolico e universale (non dipende da credenze e culture locali).
      Credo però che si sovrastimi l'importanza del linguaggio. Si dice che la scomparsa di una lingua significhi anche la scomparsa, la perdita irreparabile di esperienze. Sì, in parte, ma non si deve nemmeno esagerare. Non è che la ricchezza e varietà delle forse 6000 lingue che ancora si parlano siano fondamentali per la sopravvivenza dell'umanità.
      Conosciamo il momento esatto della scomparsa del vegliottino (l'ultima persona che parlava questa lingua dalmata saltò su una mina). Be', non è che l'umanità abbia molto sofferto della morte di questa lingua: sono convinto che il 99,99 degli italiani non ha mai sentito parlare del vegliottino (io solo perché ho studiato glottologia).

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    4. << Credo però che si sovrastimi l'importanza del linguaggio. (...) Non è che la ricchezza e varietà delle forse 6000 lingue che ancora si parlano siano fondamentali per la sopravvivenza dell'umanità. >>

      Sono d'accordo.
      Quello che conta è la capacità della specie umana di elaborare ed utilizzare linguaggi, capacità che, essendo innata, non può essere perduta.

      La varietà delle lingue è importante ma senza esagerare, ed anche ipotizzando un'unica lingua franca mondiale, questa varietà non verrebbe comunque mai meno, data la tendenza inesauribile dei gruppi umani a creare sotto-idiomi e sotto-dialetti (tendenza ben rappresentata dal famoso mito di Babele).

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    5. "... la tendenza inesauribile dei gruppi umani a creare sotto-idiomi e sotto-dialetti ..."

      Ovvero a sviluppare nuove mode, stili, credenze, miti, insomma: a differenziarsi su un substrato comune, universale. Conta più il sostrato o la differenziazione? Il sostrato è la struttura fondamentale e necessaria (sistema osseo, sanguigno, immunitario ecc.). Ma la sovrastruttura (differenziazione individuale e di gruppo) non è meno importante. Le persone non s'innamorano del sistema osseo o sanguigno di un'altra persona, ma di cose apparentemente secondarie: il timbro di voce, il colore dei capelli e degli occhi, il modo di esprimersi, l'intelligenza, magari qualche tic.
      C'è però da chiedersi se non stia forse nascendo una cultura umana universale dovuta ai numeri e all'abolizione delle distanze. D'altra parte persino in una città si sviluppano spontaneamente nuove culture o subculture. Ci sono due tendenze fondamentali: l'assimilazione e la dissimilazione che fra parentesi hanno un ruole importante anche nello sviluppo fonetico della lingua (peregrino diventa pellegrino per evitare lo sgradevo ripetersi di due erre; peregrino con una nuova accezione è voce dotta).

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    6. George Bernard Shaw ebbe a dire una volta che l'Inghilterra e l'America sono due paesi divisi dalla stessa lingua.

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    7. L'identificazione e' inestricabilmente connessa alla differenziazione.

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    8. Nel senso che cosi' come e' impossibile identificare senza differenziare, e' impossibile indentificarsi senza differenziarsi (poi a seconda dei gusti si pone l'ìdentita' a livello di gruppo (fascismo:nazione/nazismo:razza/comunismo:classe/boh:religione) o di individuo-persona (liberismo) con tutte le variazioni-combinazioni intermedie.Un modo o l'altro va bene lo stesso purche' si raggiunga l'obiettivo dell'identita', dello sviluppo del se', che e' la fase due dell'obiettivo fenotipico, quella software per cosi' dire, dopo quella hardware, l'accozzaglia ordinata di cellule per un fine comune.

      E' interessante come fra i primati forse solo nell'uomo si fa notare, nel caso dell'identita' di gruppo, la similitudine per molti aspetti con l'organizzazione sociale degli insetti gregari: un percorso evolutivo che si chiude ad anello col ritorno alle origini.

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    9. << E' interessante come fra i primati forse solo nell'uomo si fa notare, nel caso dell'identita' di gruppo, la similitudine per molti aspetti con l'organizzazione sociale degli insetti gregari >>

      Una similitudine certamente interessante, ma che si riferisce ovviamente solo agli aspetti più esteriori - diciamo di inquadramento gregario - viste le notevoli differenze che vi sono nel meccanismo di trasmissione del pool genico (noi non abbiamo l'equivalente di un'unica regina fertile).

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    10. L'interessante e' che l'evoluzione del cervello alla fine e' servita a simulare (peraltro a fatica) il comportamento degli insetti sociali. Il resto dei primati vive libera, di caccia e raccolta. Noi no da quando abbiamo scoperto l'agricoltura e l'industria, e' solo da allora che viviamo come gli insetti sociali, come le formiche, le termiti e le api.
      Quanto sotto tutto sommato non e' assolutamente vero, e puo' essere visto come aberrazione memica degli ultimi 10 millenni:
      http://www.filosofico.net/Antologia_file/AntologiaM/Marx_14.htm

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  4. << Facciamo adesso l'uomo a nostra immagine e somiglianza >>

    E' una frase che mi ha sempre colpito molto, perchè mi appare importantissima e fondamentale (per chi crede, ovviamente).
    Eppure mi sembra che ben pochi fedeli la prendono alla lettera, men che meno i teologi, che sono ancora qui, dopo millenni, a interrogarsi sugli attributi di Dio.

    E' proprio vero che nei testi sacri non è importante quello che c'è scritto, ma quello che la gente ci vuole leggere.

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