mercoledì 30 novembre 2016

Viaggio al centro della Terra

Poche cose sono importanti, nel mondo di oggi, come il petrolio, di cui sappiamo (o crediamo di sapere) tutto.
Esiste però una teoria “eretica” secondo cui il petrolio sarebbe una sostanza “a-biotica”, cioè NON derivante dalla decomposizione di materia organica.
A questa strana teoria è dedicato il breve articolo che segue dello scrittore e saggista Roberto Vacca, pubblicato nel 2007 dal Sole 24 Ore.
Personalmente, dal basso della mia ignoranza scientifica, sono piuttosto dubbioso, ma l’ipotesi resta intrigante.
LUMEN


<< L'origine del petrolio e del gas naturale non è biologica: risale alla formazione del mantello e della crosta terrestre. I giacimenti a profondità di alcuni chilometri, si formarono da petrolio e da gas che da masse profonde filtrarono in alto. Ora le riforniscono dopo l'esaurimento. Le prospettive per l'avvenire sono epocali. Dovremo effettuare ricerche e indagini raggiungendo livelli profondi in molte aree per ottenere dati sicuri.

Il processo per cui giacimenti esauriti sono riforniti da fonti profonde avviene a velocità diverse. Variano la pressione nei depositi profondi e l'impedenza degli strati di roccia che li coprono. Il rapporto costi/benefici si minimizzerà perforando a profondità minori per ridurre quell'impedenza, senza accedere ai profondi filoni principali.

Da 50 anni si dice che petrolio e gas naturale stanno per finire. Si crede di conoscere le riserve con precisione e di poter calcolare il tasso di svuotamento concludendo che fra pochi decenni il petrolio finirà: però la teoria ha basi incerte.

Il primo a sostenere (senza prove) che petrolio e metano sono prodotti della trasformazione di materiale biologico in decomposizione in molecole di idrocarburi fu Lomonosov nel XVIII secolo, ma l'ipotesi fu già confutata nel 1877 da Mendeleev, lo scopritore della tavola periodica degli elementi.

Nel 1992 il professor Thomas Gold pubblicò la teoria della profonda biosfera calda, spiegando il meccanismo dell'accumulo di idrocarburi nei giacimenti profondi. La fusione della Terra è stata sempre parziale e gli idrocarburi erano presenti nella materia originaria che costituì il pianeta.

Gli idrocarburi forniscono sostanze nutrienti a forme di vita esistenti a grandi profondità nel mare. Ci sono batteri iper-termofili che vivono a 110° C negli sfiati caldi sul fondo marino. Estraggono ossigeno (con cui bruciano idrocarburi e ottengono energia) riducendo ossido ferrico a formare ossido ferroso. È probabile che la vita abbia avuto origine dalla biosfera profonda, senza sfruttare la fotosintesi.

Gli argomenti di Gold a favore dell'origine non biogenica di petrolio e gas sono i seguenti:

1. I giacimenti si estendono per chilometri senza relazione con depositi sedimentari minori.

2. I giacimenti sono presenti a livelli differenti corrispondenti a epoche diverse e non sono correlati a sedimenti biologici.

3. I depositi biologici non giustificano le enormi quantità di metano esistenti.

4. I depositi d'idrocarburi in vaste aree contengono le stesse firme chimiche, mentre le formazioni circostanti hanno età geologiche differenti.

5. Gli idrocarburi contengono Elio: gas chimicamente inerte, non associato con alcuna forma biologica.

Nel 2001 J. Kenney dimostrò che le leggi della termodinamica proibiscono la trasformazione a basse pressioni di carboidrati o altro materiale biologico in catene di idrocarburi. Infatti il potenziale chimico dei carboidrati varia da meno 380 a meno 200 kcal/mole: quello degli idrocarburi è positivo. Dunque la trasformazione citata non può avvenire. Il metano non si polimerizza a pressione bassa ad alcuna temperatura.

Accade, poi, che giacimenti di gas e petrolio esauriti si riempiano di nuovo. Questo processo può essere alimentato solo da depositi profondi ripetendo la sequenza dei fenomeni che portò alla loro formazione iniziale. Queste situazioni spiegano l'incremento delle riserve mondiali di petrolio del 72% tra il 1976 e il 1996.

Invece non possiamo dedurre conclusioni generali dalle statistiche della produzione globale, che dipendono da considerazioni finanziarie e politiche, non da valutazioni di situazioni fisiche. La produzione mondiale di petrolio crebbe del 19% dal 1995 al 2005, e la produzione Usa nello stesso periodo calò del 18% (cioè dal 12.2 all' 8,4% della produzione mondiale).

Negli anni 80, Gold convinse il Governo Svedese a fare una trivellazione profonda nella Svezia centrale in un'area granitica di lava cristallizzata. Era priva di sedimenti e non plausibile come fonte di idrocarburi. Presentava, però, infiltrazioni di metano, catrame e petrolio attribuite a sedimenti organici sovrapposti al granito e poi spariti. Si usò per le trivelle un fluido a base di acqua onde evitare di contaminare il pozzo con oli esterni.

A profondità di 5 km si trovarono idrogeno, elio, metano e altri idrocarburi. A 6 km si trovò una pasta nera maleodorante (segno di forte presenza batterica) contenente molte molecole oleose. A 6,7 km si ottennero 12 tonnellate di petrolio grezzo. Le teorie di Gold erano confermate. La Svezia interruppe l'impresa, ma i vantaggi conseguibili sono enormi e giustificheranno gli investimenti necessari: nuovi tentativi sono imminenti.

Gli equilibri internazionali cambieranno profondamente. I timori dell'esaurimento futuro saranno fugati. Certo saranno sollevati tragici allarmi ecologici: (aumento della CO2, riscaldamento globale). Però, se la naturale evoluzione ciclica della temperatura dovesse annunciare l'inizio della prossima era glaciale, si spera che l'aumento della CO2 nell'aria renda più mite il raffreddamento globale. > >

ROBERTO VACCA

mercoledì 23 novembre 2016

Lucro cessante

Un post di Jacopo Simonetta sulla trappola dei ritorni decrescenti: ovvero, quando si continua a produrre anche in perdita, perché non si riesce a fermare il meccanismo. Ci siamo entrati perché siamo diventati troppi. Come possiamo uscirne ? Facendo esattamente il contrario. Lumen

 
<< [Secondo] un modello economico proposto da Herman Daly, l’incremento della produzione di beni e servizi non necessariamente giova all'economia; anzi può diventare la macchina che la distrugge. Sembra un paradosso, ma non lo è, come molti dei fenomeni che stanno condizionando il nostro presente ed il nostro futuro. (…)
 
Ad ogni attività commerciale, come ai processi biologici, si applica l’implacabile legge dei ritorni decrescenti. Qualunque cosa cresca, da un certo momento in poi, comincia ad incontrare una resistenza sempre maggiore al suo sviluppo, finché questo necessariamente si arresta. In termini termodinamici la faccenda si spiega col fatto che, man mano che qualcosa cresce, aumentano le sue necessità e, dunque, le sue difficoltà a reperire abbastanza energia per continuare a crescere.
 
Contemporaneamente, ogni accrescimento comporta anche un aumento dei costi, siano questi energetici, monetari o d’altro genere. (…) Per reperire più cibo è necessario camminare di più. Per catturare più luce occorre mantenere tronchi e rami sempre più grandi e pesanti. Per pompare più petrolio è necessario perforare pozzi sempre più profondi eccetera. Fino a che le uscite equivalgono alle entrate e la crescita si ferma. (…)
 
Quello che di solito non si dice è che, col tempo, le strutture realizzate per catturare energia si usurano ed aumenta quindi il bisogno di energia per la loro manutenzione. Man mano che il tempo passa, il fabbisogno di energia aumenta, aumentano le difficoltà a reperirne abbastanza ed i sistemi cominciano a diventare fatiscenti, finché collassano.
 
Tutte le strutture dissipative, di qualunque natura e dimensione, invecchiano e muoiono; dalle cellule alle galassie. Ed è un bene, perché è proprio questo che consente l’evoluzione. “La Morte è l’artificio mediante cui si mantiene la Vita” diceva Goethe.
 
Tornando alle nostre preoccupazioni economiche, se è assodato che i vantaggi marginali non possono che diminuire ed i costi marginali non possono che aumentare, come è possibile pensare che la crescita economica possa proseguire all'infinito? Sostanzialmente per due motivi:
 
Il primo è che, comunemente, si ritiene che i ritorni decrescenti si applichino alle singole attività, ma non alle economie complessive. Si presume infatti che ci sia sempre la possibilità di inventare nuovi prodotti o servizi, man mano che quelli già disponibili raggiungono il fatidico livello d’arresto. Un’idea che era perfettamente ragionevole quando fu concepita, un paio di secoli or sono.
 
All'epoca, sulla Terra c’era meno di un miliardo di persone, abbondanza di risorse e spazi apparentemente illimitati in cui disperdere i nostri rifiuti. Pensare la stessa cosa oggi - in un mondo in cui ogni giorno ci sono 300.000 persone in più a grattare il fondo del barile di risorse come l’acqua, il suolo, la biodiversità e l’aria; un mondo in cui le caratteristiche chimiche e fisiche dell’atmosfera e degli oceani sono state gravemente alterate dall'accumulo di rifiuti - è semplicemente una stupidaggine.
 
Il secondo motivo è (…) che disponiamo di potenti mezzi in grado di spostare il famoso punto di equilibrio del “quando fermarsi” sia a livello di singole attività che di intere economie: la crescita demografica, la pubblicità (e tutti gli altri trucchi del consumismo), il progresso tecnologico. (…)
 
[Però] all'aumentare dei consumi, il vantaggio marginale diminuisce ed i costi salgono, fino a che si equivalgono. Oltrepassare questo punto di equilibrio significa investire per distruggere ricchezza, anziché costruirne. Chi potrebbe fare una cosa simile? Eppure succede.

Vediamo i tre punti di possibile crisi. 

1 - Il “ Limite economico” si raggiunge quando la curva dei benefici calanti incrocia quella dei costi montanti. E’ questo il famoso punto “quando fermarsi”. Qui è fondamentale tener presente che, parlando di intere economie e non di singole attività, la curva dei costi include necessariamente anche tutte le esternalità che, invece, non figurano nei bilanci delle imprese. Questo è uno dei motivi per cui spesso le imprese trovano vantaggioso spingere l’economia generale in territorio collettivamente negativo.

2 – Il “limite di saturazione” (…) corrisponde a quando la gente ne ha fin troppo di qualcosa. Smette di comprare, la curva dei vantaggi precipita e finisce il gioco. L’economia neoclassica nega formalmente l’esistenza di questo limite con il postulato di “non sazietà”, la cui validità è però smentita dai fatti, oltre che dallo sviluppo iperbolico dell’industria pubblicitaria e, più in generale, tutto l’armamentario del consumismo.
 
Ma anche altre forzanti, in particolare la crescita demografica, possono facilmente spostare il limite economico ben addentro al territorio della crescita anti-economica. Cioè in posizioni in cui la somma dei costi, comprese le esternalità, supera i ricavi. Parlando di economie, il fatto di aver raggiunto od anche superato il punto di equilibrio non significa infatti che tutte le attività siano negative. Anzi, di solito alcune vanno meglio di prima ed altre nuove nascono, anche se si sviluppano a spese di altre che chiudono.
 
In pratica, l’economia diventa un gioco a somma negativa, ma ciò non impedisce che vi siano dei vincitori, e poiché sono proprio questi che assurgono al potere vi sono ben poche possibilità che fermino la macchina. Ma quel che è più importante, è che in questo modo ci si avvicina al terzo limite.
 
3 – Il “Limite della catastrofe ecologica”. Sappiamo, o dovremmo sapere, che qualunque attività umana modifica l’ecosistema da cui preleva le risorse necessarie e scarica i rifiuti risultanti. Entro certi limiti, l’ecosistema si adatta, mantenendo comunque una sua funzionalità. Oltre questo limite, l’ecosistema collassa in un sistema quasi privo di vita, completamente incapace di sostenere qualsivoglia attività umana.
 
L’esempio classico è quello della messa a coltura di territori vergini, che può portare allo sviluppo di agro-ecosistemi molto complessi e vitali, così come a lande desolate a seconda dell’intensità con cui si sfruttano i suoli, l’acqua e la biodiversità.
 
Anche l’esistenza di questo limite viene esplicitamente negata, o perlomeno ridotta ad una possibilità del tutto teorica, dalla scuola economica corrente, in base al presupposto che lo sviluppo economico sia in grado di produrre anche i mezzi per riparare i danni che produce. Il fatto che un’infinità di attività e di economie siano già collassate, assieme agli ecosistemi di cui vivevano, non sembra interessare i grandi guru del denaro.
 
Ma ciò che qui ci interessa è il ruolo chiave rivestito dalla tecnologia. L’effetto principale del progresso tecnico è infatti quello di rendere più efficienti i processi produttivi. L’intera élite mondiale, ed anche buona parte della risicata nicchia ambientalista, conta proprio sull'aumento dell’efficienza produttiva per togliere dal fuoco le castagne dell’umanità senza che nessuno si faccia troppo male.
 
Ma se i processi produttivi diventano più efficienti, i costi di produzione diminuiscono, la curva dei costi marginali si sposta verso il basso ed il punto di equilibrio verso il punto di rottura che scatena la catastrofe. (…) Parlando di economia globale, non sappiamo esattamente dove questo “punto” si trovi, anzi potremmo addirittura averlo già superato. Non possiamo saperlo, ma possiamo essere certi che c’è.
 
In altre parole, l’aumento di efficienza produttiva e commerciale porta benefici a chi se ne serve, ma a costo di avvicinare progressivamente il sistema alla soglia di collasso. Finché vi sono ampi margini di manovra, rappresentati da risorse e possibilità di smaltimento prive di forti controindicazioni, i vantaggi superano certamente gli svantaggi. 

Non per nulla, in ogni società che è collassata, i successi del passato hanno indotto la gente a tenersi stretto il suo progresso. (…) D'altronde, per una società umana mollare la presa significherebbe avviare volontariamente il proprio declino politico ed economico. Cioè restare a pancia vuota o essere invasi (…) Ma continuare ad alzare la posta ha sempre avuto il risultato di rimandare la resa dei conti, finché non sopraggiunge il cacciatore, nelle vesti di una raffica di catastrofi tanto più devastanti, quanto più a lungo è stato possibile rimandare.
 
Sono pochissimi e parziali gli esempi storici di società che sono state capaci di fermarsi ad un livello a cui era ancora possibile stabilizzare il sistema per periodi relativamente lunghi. Dunque il rilancio economico, ed ancor più il progresso tecnologico da cui ci attendiamo salvezza, sono esattamente quelle cose che hanno già condannato a morte molti di noi e forse l’umanità intera, se non la Biosfera.
 
Dovremmo allora considerare “cattiva” la tecnologia ? Sarebbe come se un gatto considerasse cattivi i propri artigli perché gli hanno permesso di catturare tutti i topi del quartiere. Non ha senso. (…) Il fatto è semplicemente che abbiamo elaborato una forma di evoluzione troppo efficiente e questo ci ha permesso di distruggere una buona fetta del Pianeta.
 
Per chi ne ha assaporato i frutti, è stato bello non sentire più la fame, poter guarire da tante malattie, andare in vacanza ed in pensione, viaggiare in automobile o in aereo, eccetera. Niente di strano che più sentiamo sfuggirci tutto ciò, più forte stringiamo la presa. E chi è vissuto sperando di realizzare lo stesso sogno, ucciderà e morirà prima di rinunciarvi. La tecnologia ci ha spacciati non già perché sia cattiva, bensì perché funziona troppo bene ! > >

 JACOPO SIMONETTA

mercoledì 16 novembre 2016

Pensierini – XXVIII

ZONE PERICOLOSE
Vi sono parecchie regioni del mondo che sono oggettivamente inospitali e pericolose per l’uomo. Sono troppo aride o troppo gelide, oppure sono a rischio di terremoto o di tsunami o di terribili tempeste, eccetera eccetera.
Se l’uomo fosse dotato di un minimo di buon senso, una volta accertato il pericolo, si limiterebbe a lasciare queste zone disabitate, riducendo la popolazione in funzione delle terre utili.
Ma l’uomo non ci riesce: dovendosi riprodurre con la massima potenzialità, finisce per occupare ogni minimo angolo della terra, cercando di ovviare, con la sua ingegnosità, alle difficoltà più evidenti.
Accade però che, prima o poi, si verifichi il tanto temuto terremoto (o tsunami, o carestia, ecc.) e che gran parte della popolazione di quella inospitale regione muoia o resti gravemente menomata.
E allora tutti giù a piangere e disperarsi. Quando invece basterebbe, ex ante, un po’ di semplice buon senso.
LUMEN


ATEI ED AGNOSTICI
Nonostante la distinzione semantica, sono convinto che, nel modo di vivere e di pensare, non c'è una vera differenza tra un agnostico ed un ateo.
La posizione delle persone nei confronti della divinità, infatti, si può ridurre a 3 grandi categorie:
1 - quelli che credono nel dio di una specifica religione
2 - quelli che credono in un dio personale
3 - quelli che non credono in nessun dio.
Ora, è evidente che atei ed agnostici sono tutti nella terza categoria.
Al massimo un agnostico può essere meglio accettato a livello sociale, ma si tratta di una differenza puramente esteriore.
LUMEN


PRESCRIZIONE
Vi sono reati che non cadono mai in prescrizione: sono quelli più efferati per i quali è previsto il massimo della pena.
Ancora in questo decennio, per conseguenza, si è avuta notizia di procedimenti penali in corso contro ex nazisti per crimini commessi durante l’ultima guerra mondiale.
Gli accusati, ovviamente, erano vecchissimi, perché il tempo trascorso dai fatti è notevole, ma la legge è stata applicata ugualmente: per questo, anche se tecnicamente è tutto in regola, la cosa mi appare abbastanza grottesca.
Sono convinto infatti che l’oblio della prescrizione dovrebbe sempre coprire tutti i reati, anche i più terribili e odiosi: perché, passato un certo numero di decenni, il diritto è inutile e deve lasciare il campo alla storia.
Questo, ovviamente, solo per amore di discussione, e non per giustificare, in alcun modo, l’orrore dell’olocausto.
LUMEN


SOFFERENZE
Spesso, per giustificare in qualche modo le sofferenze subite da tante persone innocenti, gli uomini di Chiesa non trovano di meglio che appellarsi agli imperscrutabili disegni divini, nelle certezza (?) che tutto è stato comunque da Lui voluto “a fin di bene”.
Noi atei, ovviamente, non possiamo accettare questa pseudo-spiegazione, ma non per questo dobbiamo disperarci e rinunciare ad essere positivi, visto che dalla vita si può sempre imparare qualcosa.
Pertanto mi trovo d’accordo con Alessandro Gilioli, quando afferma che << Non sono convinto che nella vita le sofferenze "facciano bene". Neanche un po'. Però dalle sofferenze si può imparare. Almeno gli si dà un senso. A posteriori, non richiesto, ma meglio che niente. >>
LUMEN


MIRACOLI
Gianni Pardo fa notare che la Chiesa, quando si parla di miracoli, è tendenzialmente scettica.
<< Non perché - dice Pardo - sia veramente sicura che essi siano impossibili, quanto perché reputa molto più probabile che siano frutto d’imbrogli. E non vuole correre il rischio di essere ridicolizzata. Per prudenza, i miracoli preferisce non riconoscerli o li riconosce molti anni dopo, quando nessuno avrà la possibilità di verificarli. Semplice buon senso. >>
I fedeli più dotati di spirito critico rimangono stupiti del realismo del Vaticano, ma non dovrebbero farlo.
<< Le folle - conclude Pardo - sono capaci di acclamare Padre Pio come santo, mentre il Papa, a sentir parlare di qualcuno che dice d’avere le stimmate, è più che allarmato. I saggi reggitori di quella antica organizzazione hanno più fede nel buon senso che nel magico e nel divino. >>
LUMEN


RETE DI SICUREZZA
E' diffusa l'opinione tra gli ambientalisti che ci troviamo in una situazione di crisi senza precedenti e che, come già sottolineato da Joseph Tainter, nessuna civiltà precedente è mai riuscita a sopravvivere a questo tipo di situazione.
<< Inoltre - fa notare l'esperto Louis Arnoux - le persone che vivevano in quelle civiltà erano prevalentemente rurali ed avevano una rete di salvataggio nel fatto che la loro fonte energetica era per il 100% solare, fotosintesi per il cibo, le fibre e il legname; potevano sempre continuare ad andare avanti, anche se questo poteva avvenire in condizioni dure. >>
E aggiunge: << Noi, invece, non abbiamo più questa rete di sicurezza, perchè tutti i nostri sistemi alimentari dipendono completamente da quella rete energetica proveniente dal petrolio che sta per scendere a terra, e i nostri sistemi di fornitura alimentare non possono funzionare senza di essa. >>
Proprio una bella prospettiva.
LUMEN

mercoledì 9 novembre 2016

L’altro Gesù – 4

Il Gesù alternativo di Baigent, Leigh e Lincoln, così come ricostruito nel famoso e controverso saggio “Il Santo Graal”. (Quarta parte). Lumen


La dinastia di Gesù
 
<< Se Gesù aveva veramente sposato Maddalena, questo matrimonio poteva avere uno scopo specifico ? In altre parole, poteva essere qualcosa di più di un matrimonio convenzionale ? Poteva essere un'alleanza dinastica, con significati e ripercussioni di carattere politico ? (…)

Il Vangelo di Matteo dichiara esplicitamente che Gesù era di sangue reale: un re autentico, discendente diretto di Salomone e di Davide. Se questo è vero, avrebbe avuto un diritto legittimo sul trono della Palestina unita: forse l'unico diritto legittimo. E l'iscrizione affissa sulla croce sarebbe stata qualcosa di più di una beffa sadica, perché Gesù sarebbe stato veramente il « Re dei Giudei ». (…)

E quindi avrebbe suscitato l'opposizione che suscitò, appunto a causa del suo ruolo: il ruolo di un re-sacerdote che forse avrebbe potuto unificare il suo paese e il popolo ebreo, e che quindi costituiva una grave minaccia per Erode e per Roma.

Certi studiosi biblici moderni hanno sostenuto che la famosa «strage degli innocenti» perpetrata da Erode non avvenne mai. E anche se avvenne, non ebbe probabilmente le dimensioni sensazionali e spaventose che le attribuiscono i Vangeli e la tradizione più tarda. Tuttavia, il fatto stesso che l'episodio sia stato tramandato sembra attestare qualcosa: un timore autentico da parte di Erode, la paura di venire spodestato.

Certo, Erode era un sovrano estremamente insicuro, odiato dai sudditi e tenuto al potere soltanto dalle coorti romane. Ma per quanto fosse precaria la sua posizione, non poteva essere realisticamente minacciata dalle voci sull'avvento di un salvatore mistico o spirituale: voci che del resto a quel tempo circolavano già in Terrasanta.

Se Erode era veramente preoccupato, poteva solo esserlo a causa di una minaccia politica concreta: la minaccia rappresentata da un uomo che aveva pretese al trono più legittime delle sue, e che poteva assicurarsi un vasto appoggio popolare. Forse la «strage degli innocenti» non avvenne, ma le tradizioni che ne parlano rispecchiano una preoccupazione da parte di Erode, un timore nei confronti di una pretesa, una rivendicazione e con ogni probabilità anche un'azione che mirava a prevenirla o a precluderla. La pretesa poteva avere soltanto un carattere politico. E in tal caso doveva essere presa sul serio.

Suggerire che Gesù avesse questa pretesa legittima, naturalmente, significa contrastare l'immagine popolare del « povero falegname di Nazareth ». Ma vi sono motivi convincenti per farlo. Innanzitutto, non è sicuramente certo che Gesù fosse di Nazareth. «Gesù di Nazareth» è infatti una forma corrotta o una traduzione errata di «Gesù il Nazorita», «Gesù il Nazireo» o forse «Gesù di Genesareth».

In secondo luogo, è molto dubbio che il villaggio di Nazareth esistesse ai tempi di Gesù. Non figura nelle mappe e nei documenti romani. Non è menzionato nel Talmud. Non è menzionato, e tanto meno è associato a Gesù, negli scritti di San Paolo che dopotutto furono composti prima dei Vangeli. E Giuseppe Flavio, il più importante cronista di quel periodo, che comandò contingenti di truppe in Galilea ed elencò ì centri della provincia, non parla di Nazareth.

Sembra, quindi, che Nazareth abbia incominciato a esistere dopo l'insurrezione del 68-74 d.C., e che il nome di Gesù vi sia stato associato in seguito alla confusione semantica, casuale o voluta, che caratterizza gran parte del Nuovo Testamento.

Indipendentemente dal fatto che fosse o no «di Nazareth», niente indica che Gesù fosse « un povero falegname ». Non è certo così che ce lo presentano i Vangeli. Anzi, la loro testimonianza fa pensare il contrario. Gesù ci appare istruito; si direbbe che abbia studiato per diventare rabbi, e che abbia frequentato personaggi ricchi e influenti non meno della povera gente: basta ricordare ad esempio Giuseppe d'Arimatea e Nicodemo.

E le nozze di Cana sembrano confermare la posizione sociale di Gesù. Le nozze non appaiono affatto come una festa umile e modesta di «gente comune». Al contrario, presentano tutte le caratteristiche di un sontuoso matrimonio aristocratico in grande stile, al quale sono invitati ospiti a centinaia. Ad esempio, vi sono molti servitori che si affrettano ad obbedire a Maria e a Gesù. C'è un «maestro di tavola» o «maestro di cerimonia», che nel contesto sarebbe stato una specie di sovrintendente o capo maggiordomo o forse addirittura un aristocratico.

Chiaramente, il vino scorre a fiumi. Quando Gesù «trasmuta» l'acqua in vino, produce - secondo la «Bibbia della Buona Novella» - non meno di seicento litri, più di ottocento bottiglie! E questo va ad aggiungersi a tutto il vino che è già stato bevuto. Tutto considerato, le nozze di Cana appaiono come una sontuosa cerimonia della piccola nobiltà o dell'aristocrazia.

Se Gesù era aristocratico e se era sposato con la Maddalena, è probabile che anche lei fosse di elevata estrazione sociale. E infatti sembra esserlo. Come abbiamo visto, tra le sue amiche figurava la moglie di un alto funzionario della corte di Erode. Ma è possibile che la Maddalena fosse ancora più importante. (…)

Gerusalemme, Città Santa e capitale della Giudea, in origine era appartenuta alla tribù di Beniamino. In seguito i Beniaminiti erano stati decimati nella guerra con le altre tribù d'Israele, e molti di loro andarono in esilio, anche se (…) alcuni di loro rimasero. Un discendente di coloro che rimasero fu san Paolo, che dichiara esplicitamente di essere Beniaminita (Romani 11:1).

Nonostante il conflitto con le altre tribù d'Israele, quella di Beniamino sembrava godere di una posizione speciale. Tra l'altro, diede a Israele il primo re, Saul, unto dal profeta Samuele, e la prima casa reale. Ma Saul fu deposto da Davide, della tribù di Giuda. E Davide non si limitò a togliere ai Beniaminiti il trono. Scegliendo come capitale Gerusalemme, tolse loro anche la legittima eredità.

Secondo tutte le genealogie del Nuovo Testamento, Gesù era discendente di Davide, e quindi apparteneva anch'egli alla tribù di Giuda. Agli occhi dei Beniaminiti ciò poteva fare di lui, almeno in un certo senso, un usurpatore. Ma queste obiezioni sarebbero state superate se avesse sposato una donna beniaminita. Il matrimonio sarebbe stato un'importante alleanza dinastica, ricca di conseguenze politiche.

Non avrebbe soltanto dato a Israele un potente re-sacerdote; avrebbe avuto anche la funzione simbolica di restituire Gerusalemme ai legittimi proprietari. Quindi avrebbe contribuito a incoraggiare l'unità e l'appoggio del popolo, e a consolidare le pretese al trono di Gesù. Il Nuovo Testamento non dice a quale tribù appartenesse la Maddalena. Nelle leggende più tarde, però, viene detto che è di stirpe reale. E altre tradizioni affermano che apparteneva alla tribù di Beniamino.

A questo punto incominciava a diventare visibile l'abbozzo di uno «scenario» storico coerente. (…) Gesù sarebbe stato un re-sacerdote della stirpe di Davide, legittimo pretendente al trono.

Avrebbe consolidato la sua posizione con un matrimonio dinastico simbolicamente importante. Poi si sarebbe accinto a unificare il suo paese, mobilitare la popolazione, scacciare gli oppressori, deporre l'abbietto sovrano fantoccio e restaurare la gloria della monarchia, com'era stata al tempo di Salomone. E un tale uomo sarebbe stato veramente «Re dei Giudei». >>

BAIGENT, LEIGH E LINCOLN

mercoledì 2 novembre 2016

L’altro Gesù – 3

Il Gesù alternativo di Baigent, Leigh e Lincoln, così come ricostruito nel famoso e controverso saggio “Il Santo Graal”. (Terza parte). Lumen


Il discepolo prediletto
 
<< Se la Maddalena e Maria di Betania sono la stessa donna, e se questa donna era la moglie di Gesù, Lazzaro sarebbe stato cognato di Gesù. Nei Vangeli c'è qualcosa che indica che Lazzaro avesse veramente questa posizione speciale?

Lazzaro non figura nei Vangeli di Luca, Matteo e Marco, anche se la sua «resurrezione dai morti » era contenuta in origine nel testo marciano, e fu espunta in seguito. Perciò Lazzaro è conosciuto dai posteri solo tramite il Quarto Vangelo, il Vangelo di Giovanni. Ma qui è chiaro che gode di un trattamento preferenziale, non circoscritto alla sua resurrezione. Sotto questo e molti altri aspetti, Lazzaro sembra, se mai, più vicino a Gesù degli stessi discepoli.

Eppure, piuttosto stranamente, i Vangeli non lo enumerano neppure tra questi discepoli. A differenza di costoro, Lazzaro viene minacciato. Secondo il Quarto Vangelo, i sommi sacerdoti, quando decidono di eliminare Gesù, decidono di uccidere anche Lazzaro (Giovanni 12:10). Quindi Lazzaro, a quanto sembra, avrebbe operato in qualche modo nell'interesse di Gesù, mentre non si può dire altrettanto di certi discepoli.

In teoria, questo dovrebbe qualificarlo come discepolo; tuttavia, non viene citato come tale. Non figura neppure presente alla Crocifissione: una dimostrazione d'ingratitudine apparentemente vergognosa, da parte di un uomo che doveva la vita a Gesù nel senso più completo della parola. Certo, è possibile che si fosse nascosto, dato il pericolo che lo minacciava. Ma è molto strano che nei Vangeli non si accenni più a lui. Sembra sparito, e non viene più nominato.

Ma è davvero così? Cercammo di esaminare più attentamente il problema. Dopo aver soggiornato a Betania per tre mesi, Gesù si ritira con i discepoli sulle rive del Giordano, a non più di un giorno di cammino da quella località. Un messaggero lo raggiunge portando la notizia che Lazzaro è malato. Ma il messaggero non allude a Lazzaro chiamandolo per nome. Al contrario, parla del malato come di un uomo che ha una speciale importanza: « Signore, ecco, colui che tu ami è malato » (Giovanni 11:3).

La reazione di Gesù alla notizia è decisamente strana. Anziché affrettarsi a tornare per soccorrere l'uomo che gli è caro, accantona con disinvoltura il problema: «All'udire questo, Gesù disse: "Questa malattia non è per la morte, ma per la gloria di Dio, perché per essa il Figlio di Dio verrà glorificato" » (11:4). E se le sue parole sono sconcertanti, le sue azioni lo sono ancora di più: « Quand'ebbe dunque sentito che era malato, si trattenne due giorni nel luogo dove si trovava » (11:6).

Insomma, Gesù continua a indugiare sulle rive del Giordano, nonostante la notizia allarmante che ha ricevuto. Alla fine, decide di ritornare a Betania. Poi contraddice in modo clamoroso la sua affermazione precedente, dicendo ai discepoli che Lazzaro è morto. Tuttavia, rimane imperturbato. Anzi, afferma con chiarezza che la « morte » di Lazzaro è servita a qualche scopo: « II nostro amico Lazzaro s'è addormentato; ma io vado a svegliarlo » (11:11).

E quattro versetti più avanti ammette che l'intero episodio è stato meticolosamente preparato e disposto in anticipo: « E io sono contento per voi di non essere stato là, perché voi crediate. Orsù, andiamo da lui » (11:15). Se questo comportamento è sconcertante, la reazione dei discepoli non lo è meno: « Allora Tommaso, chiamato Didimo, disse ai condiscepoli: "Andiamo anche noi a morire con lui!" » (11:16).

Che cosa significa? Se Lazzaro è letteralmente morto, senza dubbio i discepoli non intendono seguirlo con un suicidio collettivo! E come si può spiegare la noncuranza di Gesù, l'indifferenza con cui riceve l'annuncio della malattia di Lazzaro e il suo ritardo nel ritornare a Betania? La spiegazione sembra consistere, come suggerisce il professor Morton Smith, in una iniziazione più o meno tipica di una « scuola misterica ». (…)

Sembrerebbe quindi che Lazzaro, mentre Gesù soggiorna lungo il Giordano, abbia intrapreso un tipico rito di iniziazione, che come di consueto porta a una simbolica resurrezione. In questa luce, il desiderio di « morire con lui » espresso dai discepoli diviene perfettamente comprensibile, come diviene comprensibile il comportamento di Gesù. (…)

Se l'episodio di Lazzaro si riferisce a un'iniziazione rituale, è evidente che Lazzaro riceve un trattamento preferenziale. Tra l'altro, viene apparentemente iniziato prima di tutti gli altri discepoli che anzi sembrano invidiosi del suo privilegio. Ma perché l'uomo di Betania, fino a quel momento sconosciuto, dovrebbe ricevere un simile onore? Perché subisce un'esperienza che i discepoli sono tanto ansiosi di condividere? Perché in seguito tanti « eretici » dalle tendenze mistiche, cornei carpocraziani, avrebbero attribuito tanta importanza alla cosa? E perché l'intero episodio fu espunto dal Vangelo di Marco?

Forse perché Lazzaro era « colui che Gesù amava » più degli altri discepoli. Forse perché Lazzaro aveva un legame speciale con Gesù: era suo cognato. Forse per entrambe le ragioni. È possibile che Gesù conoscesse e amasse Lazzaro appunto perché era suo cognato. Comunque, questo affetto viene sottolineato più volte. Quando Gesù ritorna a Betania e piange, o finge di piangere, per la morte di Lazzaro, gli astanti riecheggiano le parole del messaggero: « Vedi come lo amava! » (Giovanni 11:36).

L'autore del Vangelo di Giovanni - il Vangelo che narra l'episodio di Lazzaro - non si identifica mai come « Giovanni ». Anzi, non dice mai il proprio nome. Tuttavia, allude a se stesso con un appellativo che lo distingue. Chiama costantemente se stesso « il discepolo prediletto », « colui che Gesù amava » e fa capire in modo chiaro che gode di una posizione eccezionale, privilegiata rispetto ai suoi compagni. (…) Sembrerebbe, quindi, che Lazzaro e il « discepolo prediletto » siano la stessa persona, e che Lazzaro sia la vera identità di « Giovanni ». (…)

Questo spiegherebbe parecchie anomalie. Spiegherebbe la misteriosa sparizione di Lazzaro dal racconto delle Scritture, e la sua apparente assenza durante la Crocifissione. Infatti, se Lazzaro e il « discepolo prediletto » erano la stessa persona, alla Crocifissione Lazzaro era presente. E sarebbe stato a Lazzaro che Gesù affidò la madre.

Le parole con cui lo fece potrebbero essere quelle di un uomo che si rivolge al cognato: Gesù allora, vedendo la madre e lì accanto a lei il discepolo che egli amava, disse alla madre: « Donna, ecco il tuo figlio! ». Poi disse al discepolo: « Ecco la tua madre! ». E da quel momento il discepolo la prese nella sua casa (Giovanni 19: 26-7). L'ultima parola del brano citato è particolarmente rivelatrice. Infatti gli altri discepoli hanno abbandonato le loro case in Galilea e, a tutti i fini pratici, non hanno casa. Lazzaro, invece, ce l'ha: la casa di Betania, dove lo stesso Gesù soggiornava. (…)

Se il « discepolo prediletto » è Lazzaro, questa collusione di cui gli altri discepoli non sanno nulla sembra avere un precedente. Durante la settimana che precede la Crocifissione, Gesù si accinge a compiere il suo trionfale ingresso in Gerusalemme; e per farlo in armonia con le profezie dell'Antico Testamento che parlano di un Messia, deve entrare nella città in groppa a un asino (Zaccaria 9:9-10). Perciò è necessario procurarsi un asino.

Nel Vangelo di Luca, Gesù manda due discepoli a Betania dove, dice loro, troveranno un asino. Hanno l'ordine di dire al padrone dell'asino che « il Maestro ne ha bisogno ». Quando tutto si svolge esattamente come Gesù ha preannunciato, la cosa viene considerata come una specie di miracolo. Ma c'è davvero qualcosa di straordinario? Non indica semplicemente l'esistenza di piani meticolosamente preparati? E l'uomo di Betania che fornisce l'asino al momento giusto non sembra Lazzaro?

Questa è certamente la conclusione del professor Hugh Schon-field.14 Egli sostiene in modo convincente che l'organizzazione dell'ingresso trionfale di Gesù in Gerusalemme fu affidata a Lazzaro, e che gli altri discepoli non ne sapevano nulla. Se era davvero così, questo attesta l'esistenza di una cerchia intima di seguaci di Gesù, un gruppo di collaboratori o di familiari, i soli che godevano della confidenza del maestro. >>

BAIGENT, LEIGH E LINCOLN