sabato 31 dicembre 2011

Gigante, pensaci Tu !

Un Post di Antonio Turiel sui cosiddetto tecno-Ottimisti (testo tratto dal blog The Oil Crash, con traduzione di Massimiliano Rupalti), ed, a seguire, una breve riflessione di Ugo Bardi sull'unicità geologica del Carbone.
LUMEN


<< L'essere umano è, intrinsecamente e necessariamente, limitato. Questo lo capiamo presto da bambini: non possiamo correre tanto quanto vorremmo, non possiamo sollevare cose molto pesanti, non possiamo volare... E nemmeno possiamo fare ciò che crediamo, nel contesto dei nostri limiti fisici, per via di altri limiti intangibili ma ugualmente inflessibili: la famiglia, la società, la scuola...

Tuttavia, questa evidenza si va disperdendo con l'età, nella misura in cui si insedia un'altra idea, non tanto naturale ed evidentemente fallace, che dice che è possibile ottenere qualsiasi cosa, con i giusti mezzi. La nostra società dei consumi ci sta permeando con l'idea che con sufficiente denaro si può ottenere tutto e dove la nostra capacità fisica non può arrivare,sarà capace di arrivare l'onnipotente tecnologia. Questa nuova realtà prefabbricata risulta essere molto comoda e conveniente; elimina l'incertezza del mondo reale, rende più rarefatta la più terribile di tutte le certezze, quella della propria morte, e spinge le persone a consumare senza riflettere.

Tuttavia, occasionalmente, la disgrazia arriva comunque, la gente muore in incidenti, terremoti, malattie.... L'economia ha problemi, la disoccupazione aumenta, l'insicurezza cresce... Per lottare contro questa realtà spigolosa, che intacca la nostra cortina di illusioni, abbiamo il tecno-ottimismo, vale a dire la rigida credenza nel fatto che la tecnologia possa risolvere qualsiasi problema, se solo siamo disposti ad investire a sufficienza nel suo sviluppo. Questo sta alla base di molte politiche che sono in corso di attuazione oggigiorno, man mano che si comincia a percepire il fatto che abbiamo un problema intrinseco col modello attuale: che, eventualmente, dobbiamo cercare energie alternative; che, eventualmente, l'auto elettrica ci potrà aiutare a superare la nostra dipendenza dal petrolio, ecc.

L'infantilismo nel quale ci ha gettati il consumismo ci porta a credere che tutti i problemi si possono risolvere e che Papà-Stato-Autorità-Tecnologia-Scienza-Chiperloro, in ogni caso l'autorità superiore e responsabile, non solo può, ma addirittura ha l'obbligo di risolvere i problemi. Trovo frustrante che, in tutti gli incontri che vado proponendo sull'Oil Crash, quando arriva il momento delle domande ci sia sempre qualcuno che ci chiede, quasi esige da noi – noi che siamo scienziati e che pertanto siamo parte di questo establishment onnipotente – che risolviamo un problema tanto complesso come quello di adattare una società autistica ed egoista ad uno scenario di diminuzione dell'energia; fuori le soluzioni, forza!

Il problema veramente grave è che le diverse amministrazioni accettano questo ruolo di fornitori di soluzioni che, in realtà, non possono ricoprire. Non si vendono più automobili? “Non vi preoccupate, metteremo sovvenzioni per fare in modo che si continuino a vendere”, anche se entro tre anni non si sa da dove estrarremo il petrolio, non tanto a buon mercato, ma a qualsiasi prezzo.

La gente si preoccupa perché il prezzo del petrolio sale? “Non vi preoccupate che con l'auto elettrica il problema del petrolio scompare”, ignorando il fatto che il petrolio non si usa solo per le auto, ma per quasi tutto e che in ogni caso non abbiamo idea da dove verrà l'energia per ricaricare queste auto e per la costruzione delle quali non abbiamo, in ogni caso, sufficienti materiali (per esempio le terre rare, ndT).

La domanda di petrolio per gli altri usi energetici, oltre alle auto, continua? “Non vi preoccupate, che possiamo moltiplicare per due o per tre la produzione di energia rinnovabile attuale”, ma ignorando che questo è molto lontano dal moltiplicare il suo potenziale per 20, che è quello di cui avremmo bisogno per eguagliare il consumo attuale. Fra l'altro perché è impossibile, perché l'energia rinnovabile non ha un tale potenziale e questo senza parlare della mancanza di materiali per le installazioni e della loro scarsità associata all'aumento del prezzo del petrolio (perché serve petrolio, ed in quantità ingenti, per estrarre, raffinare e processare tutti i materiali).

La gente ha paura della disoccupazione? “Non vi preoccupate e consumate, consumate, maledetti, che dobbiamo far crescere il PIL fino al magico 2,6% che farà in modo che la disoccupazione torni a scendere”, anche se questo non è possibile, visto che il nostro consumo di petrolio scende ad un ritmo medio del 3% ogni anno.

Essere tecno-ottimisti, credere che la tecnologia risolverà tutto, è un modo socialmente accettabile di essere suicidi. Io, se permettete, scelgo la vita. Sono uno scienziato, ma non un idiota e non voglio credere ai benefici della tecnologia come se fosse un atto di fede; proprio perché sono uno scienziato so che ci sono dei limiti nella natura (le leggi della termodinamica, per esempio) e che non possiamo fare miracoli, anche se possiamo e dobbiamo migliorare le condizioni di vita degli umani. Ma cerchiamo di essere razionali. >>

ANTONIO TURIEL



L'UNICITA' DEL CARBONE

<< Il carbone si è formato come il risultato di condizioni ambientali particolari del periodo Paleozoico ed è possibile che non vedremo mai più nei prossimi milioni, o anche miliardi, di anni.
Senza carbone, è molto costoso raffinare i metalli; senza metalli a basso costo è difficile pensare a una società industriale. (...) Può darsi che la rivoluzione industriale degli ultimi secoli sia stata l'unica di tutta la storia del pianeta. >>  

UGO BARDI


sabato 24 dicembre 2011

Orto Botanico

Alcune considerazioni di Luca Pardi su pubblicità, propaganda e consapevolezza dei consumatori - dal sito di Rientrodolce. Lumen 

<< I grandi filantropi dei secoli scorsi, che si sono battuti per l'alfabetizzazione universale e per la libera stampa, “prospettavano solo due possibilità: la propaganda è vera o è falsa. Non previdero quello che di fatto è accaduto [parla Huxley nel 1958 - NdA], soprattutto nelle nostre democrazie capitaliste occidentali: il sorgere di una grossa industria della comunicazione di massa che non dà al pubblico né il vero né il falso, ma semmai l'irreale, ciò che , più o meno, non significa nulla.”
 
Il panem et circenses dei romani è nulla rispetto al flusso continuo di nulla mediatico a base di cronaca, sport, vacuità cinematografica, e narrativa.
Tutto infallibilmente divenuto il marxiano oppio dei popoli che ha perduto però anche quel “singhiozzo di una creatura oppressa, il sentimento di un mondo senza cuore, lo spirito di una condizione priva di spirito” che nobilitava la religione giudicata dal Marx nel secolo XIX, per diventare pura e semplice felicità acrilica.
 
Siamo esattamente al golf elettromagnetico, al cinema odoroso e al sesso tanto promiscuo e paritario quanto meccanico in cui la femmina desiderabile, la Lenina del Mondo Nuovo, è giudicata stupendamente pneumatica. Non ci vedete le labbra e le tette rifatte secondo l'ideale di femmina palestrata e androgina propagandato dalla lobby della moda contemporanea ? (…)
 
Modello che oltre ad essere in se disumano è fonte di alienazione sia per i modelli che per le donne che ne subiscono l'influsso, come testimonia la vera e propria epidemia di Anoressia fra le giovani donne.
L'insieme di questi risultati sono ottenuti attraverso il condizionamento della pubblicità e dell'applicazione della scienza allo studio del comportamento umano. (…)
 
Ricordo lo splendido monologo teatrale di Gabriele Porrati (…), quando descrive l'organizzazione della distribuzione delle merci sugli scaffali in un grande supermercato. Quando spiegava la ragione per cui frutta e verdura vengono prima di ogni altra cosa.
 
Anche io mi ero chiesto la ragione senza darmi una spiegazione. Pensavo che la scelta fosse sbagliata perché generalmente frutta e verdura sono tendenzialmente più fragili delle merci che si mettono successivamente nel carrello e rischiano di essere schiacciate e quindi sciupate.
 
Nulla di tutto questo: frutta e verdura vengono messe prima di tutto il resto perché sono divenute (anche questo attraverso la persuasione occulta) sinonimo di cibi sani e perciò dopo aver preso quelli il consumatore inconsapevole è più disposto a comprare altro, anche le cose meno salubri perché si sente l'animo in pace.
 
I bambini da carne da cannone sono diventati carne da televisione, e di nuovo, anche per questo, ce ne vogliono molti, sempre di più, domani saranno contribuenti e consumatori acritici (ma c'è bisogno di aggiungere questo attributo?). 
Lo sono diventati grazie alle scoperte della propaganda nazista goebbelsiana applicate alla vendita delle merci. >>

LUCA PARDI

sabato 17 dicembre 2011

Pensierini - VIII

MANGIARE DIO
Molte persone, a proposito dell’Eucarestia, si domandano perché mai i teologi Cristiani abbiano deciso di sancire il “cannibalismo” come un dogma, come mistero e verità di fede.
In realtà non si tratta di una novità del Cristianesimo, in quanto la “Teofagia” ha una lunga storia ed anche una spiegazione antropologica abbastanza chiara.
Il ragionamento (ancestrale) sarebbe il seguente:
- L'uomo, sconvolto dal pensiero di dover morire, vorrebbe ottenere l'immortalità.
- Ma l'immortalità è un attributo di Dio e non dell'uomo.
- D'altra parte l'uomo è convinto che mangiando il nemico ucciso in battaglia può assorbire il suo coraggio e il suo valore.
- Ergo, se l'uomo riesce a mangiare Dio può acquisire la dote suprema di Dio, ovvero l'immortalità.
LUMEN


AMARE IL PROSSIMO
Dice il Vangelo: AMA IL PROSSIMO TUO COME TE STESSO, e sembra difficile poter contestare una esortazione simile.
Eppure bisogna farlo, perchè resta aperta la questione del "come".
Va bene amare i prossimo, ma un precetto così formulato fa correre il rischio (assai concreto nella pratica religiosa) di proiettare sull'altro il "proprio" concetto di bene, senza il necessario rispetto per l'opinione del beneficiario.
E allora, pur con le migliori intenzioni, si cade facilmente nella prevaricazione del prossimo. E questo non va bene..
LUMEN


TERRA PROMESSA
Anche se la Chiesa continua a dare un grande rilievo alla Bibbia, direi che di ebraico, nel Cristianesimo, c'è davvero ben poco, quasi nulla: giusto lo sfondo storico e la "location", con Gerusalemme e la Palestina.
Non per nulla il Cristianesimo, dopo un inizio difficile e culturalmente quasi ininfluente, si è affermato quando si è liberato delle vecchie regole ebraiche (prima fra tutte la circoncisione, ma non solo), passando da una religione di nicchia ad una religione ecumenica.
Ed infatti il dio dei Cristiani è il dio di tutti, di tutti i popoli e di tutti gli uomini, mentre il dio degli Ebrei era il dio del loro popolo, e basta.
C'è una bella differenza.
LUMEN


LIBRI SACRI
Le principali religioni si basano su un libro fondamentale, definito Sacro. Ma non risulta che nessun Dio abbia mai scritto libri.
Ogni libro sacro è sempre stato invariabilmente scritto da un uomo
LUMEN
 

sabato 10 dicembre 2011

Consumare meno, consumare meglio

Un post di LUCA PARDI sulla necessità di gestire nel modo più intelligente, utile e futuribile la progressiva riduzione di energia che ci attende -  da COMMENTI SULLA COLLINA.  Lumen


<< Come è noto, il risparmio energetico è uno dei tre obiettivi 20-20-20 indicati dalla Commissione Europea. La confindustria ha proposto, in un voluminoso documento un piano nazionale di risparmio energetico nel quale, in premessa, si afferma che gli investimenti saranno compensati da un risparmio in combustibili superiore a 100 miliardi annui. 
Nessuna stima dei costi totali viene data, anche perché il miglioramento dell'efficienza è un processo asintotico, ma si può presumere che essi saranno accettabili fino al limite superiore del risparmio previsto. 

Sulla base di questa “scoperta” dell'efficienza, ancora una volta gli Amici della Terra organizzano una conferenza nazionale sull'efficienza energetica, in collaborazione con Radicali Italiani e con parlamentari dell'area. 
Un'altra kermesse dei produttori di Fonti Rinnovabili non elettriche che sembrano diventate il nuovo cavallo di battaglia della sezione italiana di Friends of Earth, spesso in strumentale opposizione alle Rinnovabili Elettriche.
 

Ma numeri di questa grandezza inducono ad una riflessione più approfondita sul tema, anche perché è intuitivo che un miglioramento dell'esistente, a costi di tale dimensione, implica una rinuncia ad alternative diverse, tra la quali la transizione ad un mondo totalmente privo di fonti energetiche fossili. 
Tale alternativa radicale è stata in passato riassunta da noi di Rientrodolce nello slogan di "fine dell'era del fuoco", che potrebbe essere una possibile versione italiana dello slogan delle post-carbon cities.

E' indubbio, e l'interesse di Confindustria potrebbe costituire un indizio, che l'insistenza sull'efficienza energetica rappresenta la continuità di un pensiero conservatore, tendente a non cambiare paradigma e a insistere a rabberciare l'esistente. 

Tale insistenza è coerente con il riflesso conservatore che si manifesta, ad esempio, nella resistenza a riconoscere nel riscaldamento globale un fenomeno di origine antropica o anche nel rifiuto di rivedere le astratte teorie economiche imperanti e il mito della crescita materiale (da cui conseguono grandi affari e falso progresso, come quelli connessi con TAV, inceneritori, rigassificatori, grattacieli, ferro, cemento e macchine ovunque, in un insostenibile processo di complessificazione).
 

"Efficienza energetica" significa continuare ad utilizzare le fonti fossili, dedicando enormi capitali per ottimizzarne l'uso, pur di non cambiare nulla della sostanza mentale che ci ha portati a questo punto.
"Efficienza energetica" significa dedicare risorse finanziarie e naturali sempre più scarse a prolungare l'esistente, sottraendo risorse all'affermazione delle energie rinnovabili e mettendo le basi per una caduta più rovinosa nel futuro.

 

L'efficienza energetica non richiede apposite politiche. Il sistema economico vigente già contiene al proprio interno la logica funzionale al raggiungimento delle riduzioni di costo, per semplici ragioni di mercato. Infatti l' efficienza è sempre stata promossa, in tutti i campi, ovviamente in proporzione all'utile marginale ricavabile: non per nulla l'intensità energetica per ogni punto di PIL è stata, almeno fino al 2005 (prima del picco del petrolio convenzionale), in diminuzione. 

Il criterio di massima utilità implica che si ottimizzino prima i processi energetici più dispersivi e meno costosi da modificare e poi, man mano, gli altri, secondo la legge dell'utilità marginale decrescente a fronte di costi crescenti. 
Se alcuni processi non sono ancora stati ottimizzati, ciò significa che l'utilità marginale ricavabile è minore e non si vedono motivi di intervento statale per rendere artificiosamente conveniente ciò che il mercato farebbe da sé o, se non lo fa, è perché lo considera svantaggioso.

Poiché l'efficienza energetica, così come concepita, all'interno della logica del sistema economico vigente, non tiene conto né del Life Cycle Assessment né dei costi delle esternalità, essa spesso si traduce in rottamazioni e grandi interventi energeticamente e ambientalmente controproducenti, che finiscono per accentuare l'azione dell'obsolescenza programmata, che è già, purtroppo, il motore dell'economia, della crescita e del consumismo che sono alla base della presente fase del capitalismo. 
Se almeno questi interventi non fossero mascherati di ecologismo, l'indignazione potrebbe forse essere minore.

L'efficienza energetica produce spesso effetti paradossali, come un maggior consumo di energia (,,,). Ad esempio capita normalmente che si isoli meglio l'abitazione, ma poi ci si conceda qualche grado in più, che si compri una macchina che consuma meno per percorrere più chilometri o che si cambino le vecchie lampade a incandescenza con quelle a basso consumo per poi lasciarle accese anche quando non serve.  
Ciò indica che, in realtà, il fattore che incide di più nelle scelte di consumo è (ancora) il costo dell'energia, più che il risparmio energetico.
L'efficienza energetica in pratica si presenta come il deus ex machina dei conservatori che sulla base del mito del decoupling intendono letteralmente raschiare il fondo del barile in cerca degli ultimi profitti ottenibili dal modello fossile.

Il decoupling, letteralmente disaccoppiamento, invoca l'innovazione di processo e di prodotto in modo da ottenere lo stesso risultato economico,con un decrescente flusso materiale di energia e risorse. Il fatto che il decoupling sia un mito è stato dimostrato in varie sedi (...). 
Qui si vuole solo rimarcare che, se pure tale disaccoppiamento ha funzionato in senso relativo, cioè, ad esempio, nella già citata riduzione dell'intensità energetica dei prodotti, esso ha totalmente fallito in senso assoluto, visto che le emissioni di CO2 (che, è bene ricordarlo, sono solo uno dei molti indicatori della pressione antropica) sono aumentate dell'80% dal 1970. 
D'altra parte tale fallimento non dovrebbe sorprendere, dato che il disaccoppiamento è essenzialmente determinato dall'applicazione di tecnologia e la tecnologia è, come ogni fattore di produzione, soggetta alla legge dei ritorni marginali decrescenti.

Sia chiaro non siamo contrari alle azioni che i cittadini hanno già iniziato a mettere in atto per proprio conto per difendersi dalla crescita delle bollette. Siamo contrari all'efficienza assunta a strategia generale sotto l'egida dello stato con il benevolo assenso di esperti e industriali.
Invece della costosa efficienza energetica di stato, se un provvedimento immediato, e a costo zero, fosse auspicabile, esso potrebbe essere l'introduzione (almeno a livello europeo) di una forte CARBON TAX, che, attraverso l'aumento del costo dell'energia, desse un contributo sia all'efficienza energetica che all'affermazione delle energie rinnovabili, senza necessità di una selva di incentivazioni burocratiche e dirigistiche, sulla via ipocrita dello "sviluppo sostenibile". Qualche effetto, anche se, purtroppo, assolutamente insufficiente, ne potrebbe anche conseguire sul contenimento delle emissioni dei gas climalteranti.
 

Nel fissare gli obiettivi dell'economia è necessario collocarli all'interno di un sistema più vasto, che ne riconosca il fine ultimo nel benessere spirituale e materiale dell'umanità, all'interno dell'ambiente che ne consente la vita. 
Se è vero che il pianeta è finito e che il metabolismo sociale ed economico umano sta portando alcune risorse essenziali verso un rapido esaurimento, è necessario che le residue risorse naturali ed economiche, ivi inclusi i ricavi di una eventuale carbon tax, siano diretti ad accelerare l'introduzione delle energie rinnovabili di massa, attraverso macchine (a energia solare ed eolica), già ampiamente conosciute e in costante perfezionamento, in grado di produrre grandi quantità di energia a costi ridotti e basso impatto.
 

Tale processo, sebbene, nel medio termine, risolutivo sul fronte energetico (esistono comunque fattori limitanti anche per la produzione di energia rinnovabile), non dovrebbe tuttavia essere considerato a se stante, ma essere visto come un intervento di mitigazione della transizione del pianeta verso uno stato stazionario che, inevitabilmente, potrà essere raggiunto solo nel lungo termine, governando le prevedibili catastrofi umanitarie che nel frattempo interverranno, a causa del ritardo con cui si interviene. 
Del resto economia ed energia, come anche disponibilità delle risorse naturali e popolazione, sono aspetti inestricabilmente interconnessi in un'unica realtà, come appare evidente a chi si sforzi di raggiungere una visione olistica del mondo e di includervi le leggi fisiche, come quelle della termodinamica e dell'ecologia.
 

Dai tempi in cui, grazie allo studio della dinamica dei sistemi, si iniziò a capire il legame fra ecosistemi terrestri ed economia sono passati, quasi invano, quaranta anni e le opere del Club di Roma e di altri autori come Paul Ehrlich con il suo libro “la Bomba Demografica”, e Ivan Illich con la sua ispirata critica agli eccessi del mercato capitalistico, che furono all'origine dell'ecologismo politico, sono state quasi dimenticatenell'orgia di una crescita che sembrava destinata a non interrompersi più.
 

Oggi è quanto mai necessario riprendere e approfondire il lavoro di questi antesignani che per tempo indicarono l'insieme di problemi in cui stiamo regolarmente inciampando senza peraltro essere in grado di dar loro il nome che hanno e cioè quello di crisi da overshoot ecologico della specie umana, guidata da due fattori essenziali: la dimensione dell'economia industriale e la dimensione della popolazione. 
Per questo motivo accanto ai menzionati interventi sull'energia, da considerarsi come una misura transitoria, è necessario che le scarse risorse naturali ed economiche residue siano utilizzate per avviare, immediatamente e con la massima energia, i processi a lungo termine necessari a instaurare una vera sostenibilità della vita sul pianeta, senza rinunciare totalmente agli aspetti positivi della modernità. 

Tali processi comprendono la riduzione della popolazione e dei consumi materiali globali, con il conseguente cambiamento degli attuali paradigmi economici e monetari, basati sull'indebitamento, ormai già in fase avanzata di auto-distruzione.>>
 
LUCA PARDI

sabato 3 dicembre 2011

Ritorno al futuro

Dal libro I PROSSIMI QUARANT'ANNI di Herman Daly.


<< Quaranta anni fa, quando lessi The Limits to Growth, pensavo già che la crescita dell’uso totale delle risorse (popolazione x uso pro capite delle risorse) si sarebbe fermata entro i successivi quarant’anni. L’analisi modellistica del gruppo di Meadows era la conferma certa della convinzione diffusa basata su principi risalenti per lo meno a Malthus e ai primi economisti di scuola classica.

Bene, a distanza di quarant’anni, la crescita economica è ancora l’obiettivo politico praticamente di tutte le nazioni – è innegabile. Gli economisti della crescita dicono che i “neo Malthusiani” hanno semplicemente sbagliato e che continueremo a crescere. Ma io penso che la crescita economica sia già finita, nel senso che la continuazione della crescita è attualmente antieconomica – costa più di quanto vale al margine e ci rende più poveri che ricchi. 
La chiamiamo ancora crescita economica, o semplicemente ”crescita” nella confusa convinzione che crescita debba sempre intendersi in senso economico. Io sostengo che noi - specialmente coloro che vivono nei paesi ricchi - abbiamo raggiunto il limite economico della crescita, ma non lo sappiamo e disperatamente neghiamo l’evidenza di una contabilità nazionale imperfetta, perché la crescita è il nostro idolo e smettere di adorarlo è un anatema.

E’ incontestabile che se ci chiedessimo se preferiremmo vivere in una grotta congelando al buio invece di accettare i benefici che abbiamo tratto dallo sviluppo, la risposta sarebbe, ovviamente, no. I benefici complessivi dello sviluppo sono, a mio avviso, maggiori dei costi complessivi, sebbene taluni studiosi di economia dibattano questa questione.

In ogni caso non possiamo distruggere il passato e bisogna essere grati a coloro che hanno pagato i costi della creazione del benessere di cui oggi noi godiamo. Ma come ogni economista che si rispetti dovrebbe sapere, sono i costi e i benefici marginali (non totali) che sono rilevanti per determinare quando la crescita diventa antieconomica. 
I benefici marginali sono in declino, perché ormai soddisfiamo i nostri più pressanti bisogni primari; i costi marginali crescono, perché usiamo innanzitutto le risorse più accessibili e sacrifichiamo alla crescita gli ultimi servizi ecosistemici vitali (trasformiamo la natura in artefatti). 
I benefici marginali del possesso di una terza autovettura valgono il costo marginale dello sconvolgimento climatico e l'innalzamento del livello del mare? Il calo dei benefici marginali uguaglierà l’aumento dei costi marginali mentre i benefici netti sono positivi - proprio quando i benefici netti cumulativi di crescita del passato sono al massimo! Nessuno è contro l'essere più ricco, almeno fino a un sufficiente livello di ricchezza. 
Che essere ricco sia meglio di essere poveri è una verità lapalissiana. Che la crescita ci renda sempre più ricchi è un errore elementare anche all'interno della logica di base di un’ economia standard.

Quanto detto prima, ci suggerisce che non vogliamo veramente sapere quando la crescita diventa antieconomica, perché allora dovremmo smettere di crescere in quel punto - e non sappiamo come gestire un stato stazionario dell'economia, e che siamo religiosamente impegnati in un'ideologia dell’assenza di limiti. 
Noi vogliamo credere che la crescita può "curare la povertà" senza distribuzione e senza limitare la dimensione produttiva della nicchia umana. Per mantenere questo stato di illusione si confondono due distinti significati del termine "crescita economica". 
A volte ci si riferisce alla crescita di quella cosa che chiamiamo economia (il sottosistema fisico del nostro mondo costituito dalle scorte di popolazione e ricchezza, e dai flussi di produzione e consumo). Quando l'economia diventa fisicamente più grande, noi la chiamiamo "crescita economica". Ma il termine ha anche un secondo significato molto diverso - se la crescita di tutto ciò che produce dei benefici aumenta più rapidamente dei costi, anche quella noi la chiamiamo "crescita economica" - la crescita è economica nel senso che produce un beneficio netto o un profitto.
 Ora, "crescita economica" nel primo senso comporta "crescita economica" nel secondo senso? No, assolutamente no. L'idea che una economia più grande debba sempre renderci più ricchi è pura confusione.

Che gli economisti debbano contribuire a questa confusione è sconcertante perché tutti i microeconomisti si dedicano a trovare la scala ottimale di una determinata attività - il punto oltre il quale i costi marginali superano i benefici marginali e un'ulteriore crescita sarebbe antieconomica. 
La formula Ricavo marginale = costo marginale è anche chiamata "quando si ferma la legge" di crescita per un'impresa. Perché questa semplice logica di ottimizzazione scompare nella macroeconomia? Perché la crescita della macro-economia non è soggetta ad una analoga "quando fermare la legge"?

Ci rendiamo conto che tutte le attività microeconomiche fanno parte del sistema più grande macroeconomico, e la loro crescita provoca lo spostamento e il sacrificio di altre parti del sistema. Ma la macro-economia è concepita come il tutto, e quando si espande, presumibilmente nel vuoto, non sposta nulla, e non comporta, quindi, alcun effetto costi-benefici. Ma questo è falso, naturalmente. 
Anche la macro-economia è una parte, un sottosistema della biosfera, una parte della Più Grande Economia degli ecosistemi naturali. Anche la crescita della macro-economia impone un “costo opportunità” crescente della riduzione di capitale naturale che ad un certo punto limiterà l'ulteriore crescita.

Ma alcuni dicono che se la nostra misura empirica della crescita è il PIL, basato sull’acquisto e la vendita volontarie di beni e servizi finali in libero mercato, allora, ciò garantisce che la crescita sia sempre costituita da beni e non da "mali". Questo accade perché la gente volontariamente acquista solo beni. Se essi, infatti, comprassero “mali” allora dovremmo ridefinirlo come un bene! Vero abbastanza, ma fino ad un certo punto. 
 Il libero mercato non stabilisce un prezzo per i mali – i mali, tuttavia, sono inevitabilmente prodotti indivisi dai beni. Da quando i mali sono senza prezzo, la contabilità del PIL non può sottrarli – invece registra la produzione aggiuntiva di anti-mali (che invece hanno un prezzo), e li conta come merci. Per esempio, non sottraiamo il costo dell'inquinamento come un male, ma si aggiunge il valore della pulizia dell’inquinamento come un bene.
 
Questa è la contabilità asimmetrica. Inoltre calcoliamo il consumo del capitale naturale (l'esaurimento di miniere, pozzi, falde acquifere, foreste, pesca, terriccio, ecc) come se si trattasse di reddito, piuttosto che riduzione del capitale- un colossale errore contabile. Paradossalmente, quindi, il PIL, qualunque cosa misuri, è anche il miglior indice statistico che abbiamo dell'aggregato di inquinamento, esaurimento, congestione e perdita di biodiversità. L’economista Kenneth Boulding ha suggerito, un po’ ironicamente, di ridefinirlo Costo Interno Lordo. 
Almeno dovremmo mettere costi e benefici in una contabilità separata per il confronto. Economisti e psicologi stanno scoprendo che, al di là di una soglia di sufficienza, la correlazione positiva tra PIL e felicità soggettiva scompare. Questo non è sorprendente perché il PIL non è mai stato inteso come misura di felicità o di benessere - solo di attività, alcune delle quali sono gioiose, benefiche, altre purtroppo necessarie, correttive, banali, dannose, e, talora, stupide.

In sintesi, la crescita economica in senso 1 (scala) può essere, e negli Stati Uniti è diventata, crescita antieconomica in senso 2 (benefici netti). Ed è il senso 2 che conta di più. Penso che I limiti dello sviluppo in senso 2 siano stati raggiunti negli ultimi quaranta anni, ma che li abbiamo volontariamente negati, con grande danno della maggior parte di noi, ma a beneficio di una élite minoritaria che continua a spingere per una ideologia della crescita , perché ha trovato il modo di privatizzare i benefici della crescita e socializzare i costi sempre maggiori. 
Ora la questione che mi pongo è: è possibile che la negazione, l’ illusione e l’offuscamento durino altri quarant'anni? E, se continuiamo a negare il limite alla crescita economica, quanto tempo abbiamo prima di schiantarci contro i più discontinui e catastrofici limiti biofisici? Sono fiducioso che nei prossimi quarant’ anni potremo finalmente riconoscere e adattarci al più clemente possibile limite economico. 
L'adattamento significa passare dalla crescita ad un stato stazionario dell'economia, quasi certamente di scala più piccola di quello attuale. Con scala intendo dimensioni fisiche dell'economia rispetto all’ecosistema, probabilmente meglio commisurato con il rendimento delle risorse. E, ironia della sorte, il miglior indice esistente che abbiamo è probabilmente il PIL reale!

Devo confessarlo, sono sorpreso che la negazione abbia resistito per quarant’anni. Penso che risvegliarci dal nostro stato di confusione e illusione richiederà una specie di pentimento e conversione, per dirla in termini religiosi. È inutile "prevedere" se avremo la forza spirituale e la chiarezza razionale per una tale conversione. La previsione della direzione della storia si fonda su un determinismo che nega scopo e sforzo come cause indipendenti.
 Nessuno ottiene un premio per aver predetto il suo comportamento. La previsione del comportamento altrui è problematica, perché gli altri sono così troppo se stessi. E, se siamo davvero deterministi, allora non importa ciò che prevediamo - anche le nostre previsioni sono determinate. Come non-determinista spero e lavoro per porre fine alla crescita-mania entro i prossimi quarant’anni. Questa è la mia personale scommessa sul futuro a medio termine. Quanta fiducia ho di vincere questa scommessa? Circa il 30%, forse. 
È del tutto plausibile che avremo il totale esaurimento delle risorse della terra e dei sistemi di supporto vitale nel tentativo rovinosamente dissipativo di crescere all’infinito: forse con la conquista militare delle risorse di altre nazioni 'e dei rimanenti beni comuni globali, forse con il tentativo di conquistare la "frontiera alta" dello spazio. 
Molti pensano che sol perché abbiamo gestito un paio di spedizioni spaziali dal costo enorme, la fantascientifica colonizzazione dello spazio siderale sia tecnicamente, economicamente, politicamente, ed eticamente praticabile. E queste sono le stesse persone che ci dicono che mantenere l’economia sulla terra in uno stato stazionario è un compito troppo difficile da realizzare. >>

HERMAN DALY

sabato 26 novembre 2011

Pensierini - VII

VACCHE MAGRE 
Le vacche grasse stanno finendo, in occidente, e dobbiamo abituarci a convivere con quelle magre.
Molta gente non lo sa, anche perché i grandi media ne parlano poco, ed anche coloro che se ne rendono conto (in modo più o meno consapevole) non sanno bene di chi fidarsi, a chi rivolgersi per avere un punto di riferimento politico o ideologico, a chi affidare la leadership di questo cambio epocale. 
Un cambio (di paradigma) che avrebbe tanto bisogno di una guida politica lungimirante, cosa di cui invece – soprattutto in Italia - siamo tragicamente sprovvisti.
LUMEN


SINISTRA
Il pensiero della “sinistra” occidentale sulla pace e sull'ordine sociale, mi sembra un po' troppo disinvolto, per non dire ingenuo.
La “sinistra” si concentra - giustamente per carità - sulla tutela dei diritti e la lotta alle disuguaglianze, ma da un po' troppo per scontato che la società sia comunque in pace e funzioni ordinatamente.
Purtroppo non è così semplice: la pace e l'ordine sociale sono una conquista faticosa e fondamentale, che viene prima di tutto il resto e può andare in frantumi facilmente.
E quando succede, il pensiero di sinistra si trova in difficoltà, perchè non è abituato a preoccuparsi di queste cose.

LUMEN


COMUNITA'
Una Nazione non è semplicemente una entità giuridica, ma una comunità culturalmente coesa che, tramite lo Stato, dà una struttura legale ai propri valori, mediante le leggi.
Con l'estendersi del multiculturalismo questo diventa via via più difficile, sino a diventare impossibile.

LUMEN 


MALTHUS
Com’è noto, il famoso demografo Thomas Malthus criticava aspramente il programma sociale di aiuti ai poveri, praticato ai suoi tempi dal governo Inglese, in quanto lo considerava controproducente.
E se avesse ragione lui ? E se davvero, parafrasando Voltaire, “i poveri cesseranno di esistere quando noi cesseremo di aiutarli nel modo sbagliato” ?
LUMEN


MODELLO DI HUBBERT
In campo energetico è fondamentale il 'modello di Hubbert', il quale afferma che la produzione di energia di una risorsa non rinnovabile è assolutamente non lineare e segue una curva “a campana”.
Dice Ugo Bardi: << Il modello è basato sul concetto che la crescita della produzione di energia dipende dal rendimento energetico della risorsa (EROEI, energy returned on energy invested). Più l'EROEI è alto, più rapidamente la risorsa è sfruttata. Siccome le migliori risorse (con l'EROEI più alto) sono sfruttate per prime, l'EROEI declinano ed alla fine condizionano la capacità di estrarre ulteriori risorse. La produzione raggiunge un picco e poi declina. >>
Inoltre, il picco del petrolio, sta condizionando anche l'agricoltura.
Dice ancora Bardi: << Il problema non è ancora percepito dalla maggioranza delle persone che hanno a che fare con la sostenibilità, ma è chiaro che è enorme. L'agricoltura, per com'è strutturata oggi, non può sopravvivere senza combustibili fossili ed il danno causato dai cambiamenti climatici potrebbe essere devastante..>>
E l'agricoltura, anche se oggi può sembrare una attività secondaria, resta alla base di tutta la nostra esistenza.
LUMEN


SVILUPPO
E' ormai evidente che la società di tipo occidentale, fondata sullo sviluppo illimitato ad oltranza, è arrivata al capolinea. In particolare, il debito pubblico degli Stati è stato alimentato per decenni, allo scopo di finanziare attività che altrimenti sarebbero fallite, per saturazione di mercato. 
<< In Italia - afferma il sito 'La Voce Info' - oltre a sostenere con costi spaventosi l'industria del cemento in nome del progresso e devastando il territorio con opere faraoniche inutili, si sono allegramente sprecate cifre senza senso per mantenere privilegi di alcune categorie rispetto ad altre. >>
E i privilegi, prima o poi, si pagano.
LUMEN


PETROLIO 
Secondo Luca Pardi, presidente di Aspo Italia, il recente incidente del pozzo petrolifero Macondo (nel quale è esplosa e poi naufragata la piattaforma petrolifera della BP, causando il più grande incidente ecologico della storia dell'estrazione del petrolio), dovrebbe servire per riesaminare il tema della complessità dei sistemi sociali e della loro vulnerabilità. 
Dice Pardi: << La prima conclusione, forse prevedibile, è che sistemi così straordinariamente complessi, cioè strutturalmente differenziati e gestiti da una intricata organizzazione che prevede decine di diverse figure professionali e gerarchie incrociate, è estremamente soggetto ad incidenti imprevedibili. L'imprevedibilità è proprio data dal numero di componenti tecniche, naturali e umane che interagiscono fra loro. 
La seconda conclusione è che, benché una semplificazione sia inevitabile, non abbiamo la più pallida idea di come realizzarla in modo non traumatico e organizzato.>>
Una conclusione, quest'ultima, ben poco consolante.
LUMEN

sabato 19 novembre 2011

L'impareggiabile Jevons

Un post di Ugo Bardi sul c.d. "Paradosso di Jevons", secondo il quale i miglioramenti tecnologici che aumentano l'efficienza di una risorsa possono fare aumentare, anziché diminuire, il consumo di quella stessa risorsa, in quanto la rendono più facile – da Effetto Cassandra.
LUMEN


<< Il “paradosso” di Jevons non è affatto un paradosso. (…) E' un assunto molto semplice, è curioso che funzioni; ma è così. Di base, la gente vuole sempre di più, massimizza la sua “funzione di utilità” soddisfacendo le proprie voglie a breve termine. Nate Hagens spiega questo in termini di produzione di dopamina all'interno del cervello. Così stanno le cose, almeno per la nostra civiltà.

Non sono sicuro che sia così in generale nella storia, ci potrebbero essere regole sociali che la controllano. Sono sicuro che in diverse società questi freni sociali siano stati molto efficaci, ma nel nostro caso è dopamina, dopamina, dopamina; e più è, meglio è.
Ora, l'idea di Jevons, feedback positivo se si preferisce, è la cosa che porta al sovra-sfruttamento, o superamento, come viene spesso chiamato. E' la fonte principale dei nostri problemi. Mentre la produzione cresce, il consumo cresce di conseguenza e se non ci fossero i feedback negativi, entrambe crescerebbero all'infinito. Questi feedback negativi, inquinamento ed esaurimento, esistono, ma si manifestano con un tempo di ritardo; troppo tardi.

Il risultato è che avrai pesantemente consumato le tue risorse e devi tornare non solo ad un livello di sostenibilità, ma ad un livello molto più basso in modo da permettere alle risorse di rigenerarsi. Questo è ciò che chiamiamo collasso. Alla fine, è causato da una molecola chiamata dopamina, probabilmente la più pericolosa molecola sulla Terra, forse anche di più della CO2!

Queste sono considerazioni molto generiche che si adattano alle risorse non rinnovabili o lentamente rinnovabili. C'è un caso diverso, tuttavia, quello delle rinnovabili. Il trucco con le rinnovabili basate sul solare e sull'eolico è che non puoi sovra-sfruttare il Sole. Ciò è vero, almeno, per le rinnovabili come il vento ed il fotovoltaico. L'agricoltura, invece, ha un grande problema di erosione del suolo che la rende spesso una risorsa non rinnovabile.

Non deve esserlo necessariamente; puoi creare un'agricoltura che non sfrutti eccessivamente il suolo, ma ora rimaniamo sulle tecnologie che non danneggiano il suolo, come il fotovoltaico. Quindi, se fai un modello della crescita delle rinnovabili avrai alcuni degli stessi meccanismi che governano la crescita delle risorse non rinnovabili. Ciò è generato da un feedback positivo che cresce rapidamente.

Ma il punto è che i feedback negativi non generano conseguenza così disastrose come invece fanno con le risorse non rinnovabili. Ovvero, potresti scoprire di aver installato troppi pannelli solari e che questo abbia avuto un impatto negativo sull'agricoltura.
Be', a quel punto potresti tornare al livello di sostenibilità semplicemente rimuovendo i pannelli in eccesso. Il suolo sotto i pannelli è ancora buono come prima (e forse di più). Non hai influenzato il flusso solare, quindi non devi fare altro che rimuovere i pannelli che eccedono il livello di sostenibilità.

Nel modello, puoi presumere che il flusso dalla riserva di risorse rimane immutato. Giocando coi modelli, quello che accade normalmente è che il sistema si stabilizza naturalmente al livello di sostenibilità. Non so se questo accadrebbe nel mondo reale, ma ho notato che la gente si sta già fortemente lamentando del fotovoltaico che usa “troppo terreno” e protesta per fermare le installazioni, anche se la superficie utilizzata fino ad oggi è minuscola.

Così, penso che ci siano dei meccanismi intrinseci che fermerebbero l'installazione del fotovoltaico molto prima di pavimentare l'intero pianeta con celle di silicio. Questo non è applicabile solo alle aree agricole ma anche all'uso delle risorse minerali per costruire i pannelli stessi.

Se accuratamente riciclati, il che può essere fatto, queste risorse possono durare per lunghissimo tempo. Così, credo che le rinnovabili non siano soggette al sovra-sfruttamento in sé stesse, o almeno quella tendenza al sovra-sfruttamento/superamento può essere tenuta sotto controllo. E' un diverso meccanismo di crescita, (…) più complesso.
Se le rinnovabili da sole non danneggiano così tanto l'ambiente, hai ragione nel dire che il mix di fossili e rinnovabili è un'altra cosa. Potrebbe ben essere malsano nel senso che potrebbe generare un consumo maggiore di fossili ed altre risorse minerali. (…)

Se dovessimo raggiungere la forma di energia perfetta, diciamo con un EROEI=100 e che duri per sempre, avremmo potenza elettrica gratis, ma la gente vorrebbe ancora un SUV ed investirebbe nell'estrazione di qualsiasi cosa possa essere bruciata: sabbie bituminose, scisti bituminosi, bitume, qualsiasi cosa.... Entro certi limiti, questo è un problema irrisolvibile.

Ha a che fare con la natura umana; possiamo combattere la dopamina? Non lo so, forse no. L'unica cosa che posso dire è che se avessimo energia rinnovabile avremmo perlomeno una chance di convincere la gente che distruggere la Terra bruciando combustibili fossili non è una buona idea. Possiamo dire questo perché possiamo sostenere di non averne bisogno.

Se non abbiamo un'alternativa, non abbiamo chance, non funziona. Se dici semplicemente alla gente di smettere di bruciare petrolio e carbone ed essere felici con meno, beh, guarda cosa accade nel dibattito su riscaldamento globale.
Guarate al dibattito sul gas di scisti. Sono dibattiti guidati dalla dopamina. Quello che dice la gente è “dobbiamo bruciare X (X=carbone, petrolio, gas di scisti, ecc.) perché non abbiamo alternative”. Se non possiamo proporre alternative,la gente brucerà qualsiasi cosa possa essere bruciata e così torneremo al Medioevo (...).

Sono personalmente convinto che esista una strada per la sostenibilità basata sulle rinnovabili; una strada ad un mondo che mantiene alcune delle cose buone che abbiamo realizzato, come quella modesta prosperità e la libertà dai bisogni elementari, dalla fame, che siamo stati capaci di realizzare almeno in una parte di mondo ed anche lì in una frazione della società.

Ma è già qualcosa in confronto all'alternativa che è, per citare Jevons, quella “laboriosa povertà” d'altri tempi. Sono anche convinto che alla fine ci arriveremo. Ma la strada è stretta e tortuosa, e ci sono buone chance di commettere degli errori e finire come Willy il Coyote , schiacciato in fondo ad un canyon.
Penso, tuttavia, che dovremmo provare a riconoscere questa strada e fare del nostro meglio per seguirla. >>

UGO BARDI

sabato 12 novembre 2011

Euro-lega

Uno degli argomenti più discussi del momento è sicuramente il rapporto tra l’Italia e l’Europa Unita, sia a livello politico che economico.
Difficile dire se la moneta unica ed i trattati europei (con i suoi vincoli e la sua legislazione) siano davvero un vantaggio o uno svantaggio per l’Italia.
In tanti giurano di sì, ed alcuni altri affermano di no.
Tra gli euro-scettici di lunga data, si colloca sicuramente Ida Magli,  il cui recente articolo per Panorama (intitolato ‘Unità degli Italiani e unità degli europei’)  mi è stato segnalato dall’amico Sergio (che ringrazio con l’occasione) e che riporto qui di seguito.
E’ un articolo che non condivido in tutto e per tutto, ma che fornisce ampi motivi di riflessione. 
LUMEN


<< L’analogia fra unità degli Italiani e unità degli europei è chiaramente improponibile. Con il nome di “europei” infatti, ci si riferisce alla connotazione geografica o, eventualmente, a quella fisica dei “bianchi” visto che non è mai esistita una qualsiasi organizzazione politica né una lingua “europea”. 

In realtà l’unica forma politica unitaria di buona parte del continente europeo, con esclusione della Russia, è stata quella dell’impero romano, che ha sempre portato il nome di Roma. Lo stesso rilievo vale per la lingua dato che l’unica lingua che ha accomunato molta parte della popolazione europea è stato il latino. Anche il Sacro Romano Impero ha preso il nome da Roma e non ha mai fatto riferimento alla qualifica di “europeo”.

Come è possibile, dunque, proporre analogie con qualcosa che non è mai esistito?  Per creare l’entità politica cui è stato imposto il nome di “Unione europea”, i governanti hanno dovuto capovolgere la realtà storica mettendo in atto una finzione che passa sopra la testa dei popoli. Una finzione però contemporaneamente smentita dalla necessità di ammettere venticinque lingue diverse come lingue ufficiali dell’Unione.

E’ evidente che laddove non esiste una lingua, non esiste né un popolo né una cultura (il grassetto è mio – ndr). 

L’analogia con l’unità della Nazione Italia, quindi, sarebbe improponibile anche volendo tener conto soltanto del punto di vista linguistico. La Nazione “Italia” ha potuto sussistere, dal tempo di Roma fino ad oggi, nonostante la caduta dell’impero, nonostante le dominazioni straniere e i continui spezzettamenti territoriali, perché l’italianità è rimasta sempre viva, attraverso l’esistenza della lingua, nella coscienza degli Italiani come nella coscienza degli altri popoli (Mozart non si azzardava a scrivere un’opera lirica il cui libretto non fosse in italiano).

La cosa più atroce, però, è che i governanti tutto questo lo sanno benissimo. Lo scopo dell’operazione “unione europea” è proprio quello di distruggere la peculiarità delle singole Nazioni e l’identità dei popoli, obbligandoli a omologarsi con l’eliminazione dei confini territoriali e con l’imposizione di una “cittadinanza” che, oltre a non rispondere ai contenuti psicologici e affettivi del concetto di “patria” da cui nasce la cittadinanza, è di per sé invalida dato che l’Unione europea non è uno “Stato”.

E’ facile arguire, anche soltanto in base alle poche cose dette, quali saranno i problemi del futuro, un futuro che è già in atto: una rapida agonia culturale, e a poco a poco la sparizione anche fisica di Francesi, Inglesi, Tedeschi, Italiani così come di tutti gli altri popoli. Resi debolissimi dalla decomposizione delle Nazioni, perseguita ad hoc dall’Unione europea, saranno presto sopraffatti dalle immigrazioni delle popolazioni africane le quali non hanno bisogno di diventare numericamente maggioranza per dominare coloro che sono stati allenati al pacifismo, alla tolleranza, al rispetto delle diversità, alla rinuncia a qualsiasi giudizio tramite la dispotica censura del “politicamente corretto”.  

I musulmani, fermi ai costumi delle antiche tribù mediorientali  che si rispecchiano nell’Antico Testamento (il Corano si fonda sui  primi cinque libri), non possono e non devono apprezzare nulla di ciò che trovano in Europa. Si affretteranno perciò, come stanno già facendo, a cancellare quello che ne costituisce la maggiore ricchezza: il Diritto e l’opera d’arte. La legge del taglione vige ormai da tempo, a nostra vergogna, in molte zone d’Europa e presto anche i cristiani, obbligati alla conversione, vi saranno soggetti. Per quanto riguarda l’arte, vietata dal Corano nella sua qualità di “rappresentazione”, dovrà essere eliminata.

Ma non è necessario attendere il predominio musulmano: l’arte, la religione, il diritto, sono già quasi morti. Una società che ha perso la fiducia nel futuro, non crea. Sul gigantesco sfacelo della storia d’Occidente - ha detto profeticamente Gottfried Benn - sulla religione ingoiata dal tempo, sugli Stati disfatti, non si alza la Poesia, ma si distende una grande sassaia, orrido resto di una cultura che la violenza della politica ha voluto distruggere. >>

IDA MAGLI

 
POSCRITTO
L’Italia dovrebbe allora muoversi per uscire dall’Europa ? Probabilmente si.
Certamente, il futuro che ci aspetta, con l’accesso sempre più difficile alle energie tradizionali (petrolio  & co.), prevede, secondo tutti gli esperti in materia, un ritorno al territorio, alle reti energetiche distribuite ed alla decisionalità regionale (quindi neppure più statuale).
Quindi, non è impossibile ipotizzare un processo inverso di de-europeizzazione per l'Italia.
Ma con quali modalità, con quali costi politici ed a quale prezzo ?
E’ difficile dirlo, ma la sensazione è che il ritorno ad una moneta nazionale e ad una maggiore attenzione per l’economia interna avrebbero, alla fine, un effetto positivo.
In ogni caso, come sempre, che lo stellone ci aiuti !  
LUMEN
 

sabato 5 novembre 2011

Il mondo di Monod

Un grande libro, da leggere assolutamente, è quello scritto nel 1970 dal grande biologo francese Jacques Monod “Il caso e la necessità”. Con il suo libro, Monod tiene alto il vessillo degli evoluzionisti nella difficile battaglia contro gli indifendibili (ma potentissimi) creazionisti ed afferma senza mezzi termini l’assoluta casualità della mutazione biologica.
 
<< (Le alterazioni nel DNA - ndr) sono accidentali, avvengono a caso. E poiché esse rappresentano la sola fonte possibile di modificazione del testo genetico, a sua volta unico depositario delle strutture ereditarie dell'organismo, ne consegue necessariamente che soltanto il caso è all'origine di ogni novità, di ogni creazione nella biosfera. 

Il caso puro, il solo caso, libertà assoluta ma cieca, alla radice stessa del prodigioso edificio dell'evoluzione: oggi questa nozione centrale della Biologia non è più un'ipotesi fra le molte possibili o perlomeno concepibili, ma è la sola concepibile in quanto è l'unica compatibile con la realtà quale ce la mostrano l'osservazione e l'esperienza. Nulla lascia supporre (o sperare) che si dovranno, o anche solo potranno, rivedere le nostre idee in proposito. >>.
 
Gli esseri viventi infatti rappresentano un sistema chiuso e sono caratterizzati da due elementi fondamentali che Monod chiama INVARIANZA (la fedeltà di copiatura del DNA) e TELEONOMIA (il progetto di costruzione del fenotipo, contenuto nel DNA).
 
<< L'invarianza precede necessariamente la teleonomia. Per essere più espliciti, si tratta dell'idea darwiniana che la comparsa, l'evoluzione e il progressivo affinamento di strutture sempre più fortemente teleonomiche sono dovuti al sopraggiungere di perturbazioni in una struttura già dotata della proprietà di invarianza, e quindi capace di "conservare il caso" e di subordinarne gli effetti al gioco della selezione naturale. >>.
 
L’invarianza e la teleonomia, lavorando insieme, consentono all’essere vivente di trasmettere la propria struttura genetica alle generazioni successive. Ma quando si verifica una mutazione questa non è dovuta ad una (impossibile) interazione con l'ambiente, ma ad eventi casuali verificatisi al suo interno a livello molecolare.
 
<< Gli eventi iniziali elementari, che schiudono la via dell'evoluzione ai sistemi profondamente conservatori rappresentati dagli esseri viventi sono microscopici, fortuiti e senza alcun rapporto con gli effetti che possono produrre nelle funzioni teleonomiche. >>.

Tuttavia, una volta avvenuta la mutazione, cioè dal momento in cui la modifica nella struttura del DNA si è verificata, la continuità biologica è garantita.
 
<< l'avvenimento singolare, e in quanto tale essenzialmente imprevedibile, verrà automaticamente e fedelmente replicato e tradotto, cioè contemporaneamente moltiplicato e trasposto in milioni o miliardi di esemplari. Uscito dall'ambito del puro caso, esso entra in quello della necessità, delle più inesorabili determinazioni. La selezione opera in effetti in scala macroscopica, cioè a livello dell'organismo. >>.
 
Monod opera quindi una mirabile sintesi tra il caso, che origina le mutazioni, e il rigido determinismo, che guida il meccanismo della selezione naturale, quando l'essere vivente mutato (il nuovo fenotipo) viene sottoposto alla prova dell'ambiente.

Concludo riportando la bellissima frase finale del libro, una frase di quelle epiche, che resta scolpita per sempre nella mente di chiunque l’abbia letta ed apprezzata:

<< L’antica alleanza (animistica tra uomo e natura - ndr) è infranta. L’uomo finalmente sa di essere solo nell’immensità indifferente dell’Universo da cui è emerso per caso. Il suo dovere, come il suo destino, non è scritto in nessun luogo. A lui la scelta tra il Regno (della conoscenza - ndr) e le tenebre >>.

LUMEN


sabato 29 ottobre 2011

Tu quoque, Mario !

Su La Stampa di qualche giorno fa è stata pubblicata, nella rubrica della posta, questa lettera  del lettore V.G.:

<< Caro Direttore, l’Italia oltre a essere schiacciata da un enorme debito pubblico, sta accumulando un forte debito demografico. Non siamo più in grado di garantire il normale tasso di sostituzione della popolazione.
Le generazioni che verranno hanno un futuro segnato: ci saranno sempre meno giovani, e questi pochi dovranno lavorare per ripianare il debito che abbiamo accumulato e per pagare le pensioni a una popolazione sempre più anziana. Credo che manchi una reale consapevolezza sulla terribile eredità che stiamo lasciando ai nostri figli ! >>

Con mia grande costernazione, la risposta del direttore Mario Calabresi (ottimo giornalista) è stata questa:

<< Il nostro declino demografico non è solo un problema che riguarda il futuro ma è anche la spiegazione di molti problemi del presente.
Siamo un Paese sbilanciato, in cui coloro che hanno più di sessant’anni sono un milione in più di chi ne ha meno di 25 (e pensare che all’inizio degli Anni Sessanta i giovani erano il triplo). L’aspetto positivo è l’allungamento della vita media, quello negativo è che facciamo meno figli e, nonostante l’apporto degli immigrati, il nostro saldo è negativo.
Una società che invecchia non solo ha problemi a stare in equilibrio e a pagare le pensioni ma è anche meno dinamica e portata al cambiamento.
Comprensibile, anche se non condivisibile, che i nostri politici si preoccupino di più di chi è in pensione (sono di più e votano) che di chi sarà adulto solo domani (sono meno e in parte ancora non votano). Una miopia che ci costerà cara.
L’unica via d’uscita è fare delle vere politiche familiari che prevedano sostegno a chi fa figli sotto forma di servizi (a partire dagli asili) e di sgravi fiscali. Partendo da qui forse potremo invertire la tendenza. >>

Ma come ? Rischiamo la catastrofe planetaria per colpa della sovrappopolazione, e tutto quello che sappiamo dire è che bisogna fare più figli ?
Mario Calabresi è, come detto, un ottimo giornalista. E’ un uomo colto, intelligente, informato, equilibrato e, ritengo, intellettualmente onesto.
Eppure anche lui si adagia tranquillamente sulla vulgata tradizionale per cui “più siamo,  meglio stiamo”.
L’aumento della popolazione, secondo questo modo superficiale di pensare, invece di essere una iattura, anzi il nemico numero uno da combattere per salvare il futuro, diventerebbe addirittura un obbiettivo.
Poveri noi !

A questo punto, come si può sperare di fare davvero qualche progresso sulla strada, lunga e difficile, della riduzione demografica ?

Rientro dolce ? No cavoli amari.

LUMEN

sabato 22 ottobre 2011

Io penso che Tu pensi

Uno dei problemi più interessanti che emergono dallo studio della coscienza umana è quello che gli psicologi chiamano Teoria della Mente.

Avere una ‘Teoria della Mente’ significa essere in grado di capire ‘cosa’ sta pensando un altro individuo, e quindi di attribuirgli credenze, desideri, timori e speranze più o meno simili alle proprie, sperimentando questi sentimenti (propri e altrui) sotto forma di stati mentali.

Questi stati mentali possono essere organizzati secondo una gerarchia progressiva (io penso / io penso che tu pensi / io penso che tu pensi che io penso / ecc.), chiamata ‘ordini di intenzionalità’, che parte da zero e va, teoricamente, all’infinito.

Vediamo come si sviluppa la progressione, facendo qualche esempio.

Zero - Le macchine come i computer hanno una intenzionalità di ordine zero: ovvero elaborano ‘pensieri’ ma non sono consapevoli dei loro stati mentali. E’ presumibile che anche noi umani abbiamo una intenzionalità zero quando siamo in coma.

Uno - Al primo livello possiamo collocare il noto aforisma di Cartesio “Cogito ergo sum”, il quale, seppure profondo ed immortale, rappresenta solo uno stato intenzionale di primo ordine: io penso qualcosa e ne sono consapevole.

Due - Lo stato intenzionale successivo è quello di secondo ordine: io perso che tu pensi. E’ questa la base minima per l’interazione sociale e deve valere quindi non solo per l’uomo, ma anche per i primati e per tutte le altre specie animali che hanno una vita sociale.

Tre - Uno stato intenzionale di terzo ordine è rappresentato, per esempio, dal titolo di un vecchio film di Alberto Sordi ‘Io so che tu sai che io so’, tutto giocato sugli inganni reciproci di una coppia in crisi (la moglie era Monica Vitti).

Lo stato intenzionale di terzo ordine è tipico di una mente sociale evoluta come quella umana, in cui ogni individuo deve saper analizzare correttamente il comportamento altrui, individuare le relative motivazioni ed elaborare quindi le strategie più adatte per indirizzarlo a proprio favore.

E’ tipico, come detto, dell’homo sapiens, ma è stato osservato anche nel comportamento di alcune scimmie antropomorfe, che, in certe situazioni, davano l’impressione di mentire in modo calcolato.

Quattro - Da questo punto in avanti, incominciano le difficoltà. Gli uomini, infatti, quando devono memorizzare e narrare una vicenda complessa, arrivano tranquillamente sino al terzo ordine, poi vanno in crisi. Dal quarto ordine in poi incominciano a fare errori, che aumentano rapidamente (quasi in modo esponenziale) con l’aumentare dei livelli.

Una annotazione curiosa si può fare per i bambini i quali, secondo gli psicologi, non hanno una teoria della mente innata, ma la acquisiscono durante il loro sviluppo.

Essi raggiungono uno spartiacque critico dopo i 4 anni (tra 4 e 4 anni e mezzo), quando incominciano a rendersi conto (quasi d’improvviso) che gli altri individui possono vedere le cose in modo diverso da loro.

Fino a questa età credono che il mondo sia come lo vedono loro e non si rendono conto che qualcuno possa credere qualcosa di diverso. Essi suppongono che tutti vedano ciò che vedono loro e che lo interpretino in modo molto simile.

Pertanto, fino a circa 3 anni i bambini non sanno mentire (o almeno non sanno farlo in modo convincente), perché non si rendono conto della possibilità di manipolare lo stato mentale di altre persone, ovvero quello che le altre persone credono.

LUMEN