venerdì 26 dicembre 2014

Effetto Catabolico – 2

(Concludiamo qui l’articolo dall’ambientalista americano John Michael Greer sul  modello di crisi denominato “collasso catabolico”. LUMEN)

(parte seconda)


<< Una società che si dirige verso il collasso catabolico è una società in cui sempre più persone ricevono sempre meno benefici dall'ordine esistente della società, mentre è previsto che si sostenga una sempre crescente quota dei costi di un sistema barcollante.
Per coloro che hanno pochi benefici o nessuno in cambio, i costi di manutenzione del capitale sociale diventano rapidamente un fardello intollerabile e mentre la fornitura di benefici ancora disponibili da un sistema barcollante diventa sempre più appannaggio delle parti alte della gerarchia sociale, quel fardello diventa un fatto politico esplosivo.

Ogni società per la propria sopravvivenza dipende dall'acquiescenza passiva della maggioranza della popolazione e dal sostegno attivo di un'ampia minoranza. Quella minoranza – chiamiamola classe sorvegliante – sono le persone che manovrano i meccanismi della gerarchia sociale: i burocrati, il personale dei media, la polizia, i soldati ed altri funzionari che sono responsabili del mantenimento dell'ordine sociale.

Non provengono dalla élite dominante. Nell'insieme, provengono dalle stesse classi che dovrebbero controllare. E se la loro parte di benefici dell'ordine esistente barcolla, se la loro parte di fardelli aumenta in modo troppo visibile, o se trovano altre ragioni per fare causa comune con chi al di fuori della classe sorvegliante contro la élite dominante, allora la élite dominante si può aspettare la scelta brutale fra la fuga in esilio ed una brutta morte.

La discrepanza fra i costi di mantenimento e le risorse disponibili, a sua volta, rende alcune di tale svolte degli eventi estremamente difficili da evitare.
Una élite dominante che affronta una crisi di questo tipo ha almeno tre opzioni a disposizione.

La prima e di gran lunga la più facile, è quella di ignorare la situazione. Sul breve termine, questa è in realtà l'opzione più economica. Richiede il minore investimento di risorse scarse e non richiede di armeggiare con sistemi sociali e politici potenzialmente pericolosi.
Il solo svantaggio è che una volta che finisce il breve termine, questa praticamente garantisce un destino orribile per i membri della élite dominante ma, in molti casi, questo è un argomento meno convincente di quanto si possa pensare.

E' sempre facile trovare un'ideologia che insista sul fatto che le cose si rivelano diversamente e siccome i membri di una élite dominante sono generalmente ben isolati dalle realtà spiacevoli della vita della società che presiedono, di solito è molto facile per loro convincersi della validità di una qualsiasi ideologia che decidano di scegliere. Vale la pena di dare un'occhiata al comportamento dell'aristocrazia francese negli anni che anno portato alla Rivoluzione Francese, in questo contesto.

La seconda opzione è quella di provare a rimediare alla situazione aumentando la repressione. Questa è l'opzione più costosa e generalmente è anche meno efficace della prima, ma le élite dominanti con una passione per gli stivali militari tendono a cadere nella trappola della repressione piuttosto spesso.

Ciò che rende la repressione una cattiva scelta è che questa non fa niente per affrontare le fonti dei problemi che cerca di sopprimere. Inoltre, aumenta i costi di manutenzione della gerarchia sociale in modo drastico – polizia segreta, meccanismi di sorveglianza, campi di prigionia e cose del genere non sono a buon mercato – e impone il minimo comune denominatore di obbedienza passiva mentre fa molto per scoraggiare l'impegno attivo della gente al di fuori della élite nel progetto di salvare la società.

Uno studio del destino delle dittature comuniste dell'Europa dell'Est è un buon antidoto all'illusione che una élite con sufficienti spie e soldati possa restare al potere a tempo indeterminato.
Ciò lascia alla terza opzione, che richiede che la élite dominante sacrifichi parte dei propri privilegi e prerogative di modo che coloro che sono più in giù nella scala sociale abbiano ancora una buona ragione per sostenere l'ordine della società esistente.

Questo non è comune, ma succede. E' successo negli Stati Uniti negli anni 30, quando Franklin Roosevelt ha condotto i cambiamenti che hanno risparmiato agli Stati Uniti il tipo di conquista fascista o di guerra civile avvenuti in così tante altre democrazie fallite dello stesso periodo.

Roosevelt ed i suoi alleati fra i molti ricchi si sono resi conto che riforme piuttosto modeste sarebbero state sufficienti per convincere gran parte degli americani che avevano più da guadagnare nel sostenere il sistema di quanto avessero da guadagnare nel rovesciarlo.
Alcuni progetti per creare lavoro e misure di alleggerimento del debito, alcuni programmi di assistenza e alcune visite in carcere ai più palesi dei truffatori dell'era precedente e il ripristino di una senso di unità collettiva abbastanza forte da vedere gli Stati Uniti in una guerra globale per il decennio successivo.

Ora, naturalmente Roosevelt ed i suoi alleati avevano vantaggi enormi che nessun progetto comparabile sarebbe in grado di replicare oggi. Nel 1933, anche se ostacolata da un sistema finanziario collassato e dal declino ripido del commercio internazionale, l'economia degli Stati Uniti aveva ancora l'infrastruttura industriale più produttiva e grande del mondo ed alcuni dei più ricchi depositi di petrolio, carbone e molte altre risorse naturali.
Ottanta anni dopo, l'infrastruttura industriale è stata abbandonata decenni fa in un'orgia di delocalizzazioni motivate dalla ricerca del profitto a breve termine e quasi ogni risorsa che la terra americana offriva in abbondanza è stata estratta o pompata fino all'ultima goccia.

Questo significa che un tentativo di imitare le imprese di Roosevelt nelle condizioni attuali avrebbe di fronte ostacoli molto più irti e richiederebbe anche che la élite dominante rinuncia ad una parte molto più grande delle proprie attuali prerogative e privilegi di quella necessaria ai giorni di Roosevelt.
Potrei sbagliarmi, ma penso che non verrà nemmeno tentata questa volta. Proprio in questo momento, la consorteria litigiosa dei centri di potere in competizione che costituiscono la élite dominante degli Stati Uniti sembra impegnata in un approccio a metà strada fra le prime due opzioni che ho delineato.
La militarizzazione delle forze di polizia interne statunitensi e la spirale in aumento di violazione dei diritti civili portata avanti con entusiasmo da entrambi i partiti politici mainstream ricadono nel lato repressivo della scala.
Allo stesso tempo (…) l'atteggiamento generale dei politici e dei finanzieri americani sembra essere che non possa realmente succedere a loro, o al sistema che fornisce loro il potere e la ricchezza, niente di così brutto.

Si sbagliano, e a questo punto probabilmente è una scommessa sicura che un gran numero di loro morirà per questo errore. Di già, una grande percentuale di americani – probabilmente la maggioranza – accetta la continuazione dell'ordine esistente della società negli Stati Uniti solo perché deve ancora emergere una alternativa praticabile.
Mentre gli Stati Uniti si avvicinano al collasso catabolico e il fardello di puntellare uno status quo sempre più disfunzionale preme sempre più intollerabilmente su sempre più persone al di fuori del circolo ristretto di ricchezza e privilegio, l'asta che ogni alternativa deve saltare sarà posta sempre più in basso.

Prima o poi, qualcosa farà quel salto e convincerà sufficientemente la gente che c'è una alternativa fattibile allo status quo e l'acquiescenza passiva dalla quale dipende il sistema per la propria sopravvivenza non sarà più qualcosa che si possa dare per scontata.
Per una tale alternativa non è necessario essere più democratica o più umana dell'ordine che cerca di sostituire. Può esserlo considerevolmente di meno, basta che imponga costi minori sulla maggior parte della gente e distribuisca i benefici più ampiamente di quanto non faccia l'ordine esistente.

E' per questo che negli ultimi giorni di Roma, così tanta gente dell'impero al collasso ha accettato così prontamente la legge dei signori della guerra barbari al posto del governo imperiale. Quel governo era diventato irrimediabilmente disfunzionale al tempo delle invasioni barbariche, centralizzando l'autorità in centri burocratici lontani non in contatto con la realtà corrente e imponendo fardelli fiscali sui poveri così pesanti che molte persone erano costrette a vendersi come schiavi o a fuggire in zone spopolate di campagna, per intraprendere una vita incerta, mezzi guerriglieri e mezzi banditi. (…)

Al contrario, il signore della guerra locale barbaro poteva essere brutale e capriccioso, ma era sulla scena e così era improbabile che mostrasse il sereno distacco dalla realtà così comune negli stati burocratici centralizzati al temine della loro vita. Inoltre, il signore della guerra aveva una buona ragione per proteggere i contadini che mettevano pane e carne sulla sua tavola e il costo del suo sostentamento e del suo seguito nel relativamente modesto stile della monarchia barbara era considerevolmente meno caro del fardello di sostenere le complessità barocche della burocrazia del tardo Impero Romano.

Ecco perché i contadini e gli schiavi agricoli del tardo mondo Romano hanno accondisceso così silenziosamente all'implosione di Roma ed alla sua sostituzione con un mosaico di piccoli regni. Non era solo un mero cambiamento di padroni, era che in un gran numero di casi i nuovi padroni erano un peso considerevolmente minore di quanto fossero stati quelli vecchi.
Possiamo aspettarci che si dispieghi più o meno lo stesso processo in Nord America, in quanto gli Stati Uniti stanno attraversando la propria traiettoria di declino e caduta. >>

JOHN MICHAEL GREER

sabato 20 dicembre 2014

Effetto Catabolico - 1

Sono molti i modelli costruiti dagli esperti per cercare di spiegare (e quindi  prevedere) la decadenza delle civiltà, e questo è inevitabile, perché molte e diverse sono le concause da considerare.
Un modello di cui non avevo mai sentito parlare, ma che appare piuttosto interessante, è quello ideato dall’ambientalista americano John Michael Greer, e che prende il nome di “collasso catabolico”. Ce ne parla lo stesso Greer nell’articolo che segue (tratto dal blog Effetto Risorse).
LUMEN


<< Il processo che alimenta il collasso delle civiltà ha una base sorprendentemente semplice: la discrepanza fra costi di capitale per la manutenzione e le risorse disponibili per soddisfare quei costi.
Il capitale qui si intende nel senso più ampio del termine e comprende tutto ciò in cui una civiltà investe la propria ricchezza: edifici, strade, espansione imperiale, infrastrutture urbane, risorse di informazione, personale qualificato o quello che volete. Il capitale di ogni tipo deve essere mantenuto e mentre una civiltà aggiunge [risorse] alla propria riserva di capitale, i costi di manutenzione aumentano costantemente, finché il fardello che pongono sulle risorse disponibili di una civiltà non può essere più sostenuto.

Il solo modo per risolvere il conflitto è di permettere che una parte del capitale sia convertito in rifiuti, di modo che i suoi costi di mantenimento scendano a zero ed ogni risorsa utile racchiusa nel capitale possa essere passata ad altri usi. Essendo gli esseri umani quello che sono, la conversione di capitale in rifiuti generalmente non viene portata avanti in modo calmo e razionale; piuttosto, i regni cadono, le città vengono saccheggiate, le élite dominanti vengono fatte a pezzi da folle urlanti e cose del genere.

Se una civiltà dipende da risorse rinnovabili, ogni giro di distruzione di capitale è seguito da un ritorno ad un relativa stabilità e il ciclo ricomincia da capo. La storia della Cina imperiale è un buon esempio di come questo succede nella pratica.
Se una civiltà dipende da risorse non rinnovabili per funzioni essenziali, comunque, distruggere parte del proprio capitale genera soltanto un piccolo rinvio della crisi dei costi di mantenimento.

Una volta che la base di risorsa non rinnovabile supera il punto in cui comincia ad esaurirsi, ce n'è sempre meno disponibile ogni anno a seguire per soddisfare i costi di mantenimento rimasti e il risultato è lo schema a gradini di declino e caduta così familiare nella storia: ogni crisi porta ad un giro di distruzione di capitale, che porta ad una rinnovata stabilità, che apre la strada alla crisi quando la risorsa di base diminuisce ulteriormente.

Ancora, essendo gli esseri umani quello che sono, questo processo non viene portato avanti in modo calmo e razionale; la differenza qui è semplicemente che i regni continuano a cadere, le città continuano a venire saccheggiate, le élite dominanti vengono massacrate una dopo l'altra in modi sempre più inventivi e coloriti, finché la contrazione finalmente abbia proceduto sufficientemente, [in modo] che il capitale rimasto possa essere sostenuto dalla riserva disponibile di risorse rinnovabili.

Questa è una descrizione sommaria della teoria del collasso catabolico, il [mio] modello di base di declino e caduta delle civiltà. Ciò che voglio fare qui è approfondire un po' di più le implicazioni sociali della teoria.
E' comune oggigiorno sentire la gente insistere che la nostra società è divisa in due e solo due classi, una classe di élite che riceve tutti i benefici del sistema e tutti gli altri, che ne portano tutti i fardelli. La realtà, nella nostra così come in ogni altra società umana, è parecchio più sfumata.

E' vero, naturalmente, che i benefici si spostano verso il vertice della scala della ricchezza e del privilegio e i pesi vengono spinti verso il basso, ma in gran parte dei casi – il nostro incluso a pieno titolo – bisogna andare molto in giù sulla scala prima di trovare gente che non ha alcun beneficio.
Bisogna ammettere che ci sono state alcune società umane nelle quali la maggior parte della gente ha tali benefici dal sistema, [che] consentirà loro di continuare a funzionare finché non cadranno.

I primi tempi della di schiavitù nelle piantagioni negli Stati Uniti e nelle isole dei Caraibi, quando la vita media di uno schiavo dall'acquisto alla morte era al di sotto dei 10 anni, ricadeva in quella categoria. (…) Questi sono casi eccezionali. Emergono quando il costo del lavoro non specializzato scende vicino allo zero e sia i profitti abbondanti sia le considerazioni ideologiche rendo il destino dei lavoratori una questione di indifferenza totale ai propri padroni.

Sotto una qualsiasi serie di condizioni, tali accordi sono antieconomici. E' più redditizio, nel complesso, consentire tali benefici aggiuntivi alla classe operaia in quanto permetterà loro di sopravvivere e metter su famiglia e per motivarli a fare più del minimo sindacale che sfuggirà alla frusta del sorvegliante.
Questo è ciò che genera l'economia contadina standard, per esempio, in cui il povero contadino paga i proprietari terrieri col lavoro e con una parte della produzione agricola per avere accesso alla terra.

Ci sono moltissimi accordi simili, in cui le classi lavoratrici fanno il lavoro, le classi dominanti permettono loro l'accesso al capitale produttivo e i risultati vengono suddivisi fra le due classi in una proporzione che permette alle classi dominanti di diventare ricche e alle classi lavoratrici di cavarsela. (…)
In termini di distribuzione di lavoro, capitale e produzione, le ultime offerte del mercato del lavoro odierno sono indistinguibili dagli accordi fra il proprietario terriero Egiziano e i contadini che piantavano e raccoglievano nei loro campi.

Più una società diventa complessa, più diventa intricato il sistema di caste che la divide e più vari sono i cambiamenti che vengono giocati su questo schema di base. Una società medievale relativamente semplice potrebbe tirare avanti con quattro caste; il modello feudale giapponese, che divideva la società in aristocratici, guerrieri, contadini e una categoria generica di commercianti, artigiani, intrattenitori e cose simili, è un esempio come un altro.

Una società stabile prossima alla fine di una lunga era di espansione, per contro, potrebbe avere centinaia o persino migliaia di caste distinte, ognuna con la propria nicchia nell'ecologia sociale ed economica di quella società.
In ogni caso, ogni casta rappresenta un equilibrio particolare fra benefici ricevuti e pesi pretesi, e data una economia stabile interamente dipendente da risorse rinnovabili, un tale sistema può proseguire intatto per molto tempo.

[Se] includiamo il processo di collasso catabolico, tuttavia, un sistema altrimenti stabile diventa una fonte di instabilità a cascata. Il punto che deve essere afferrato qui è che le gerarchie sociali sono una forma di capitale, nel senso ampio menzionato sopra.
Come le altre forme di capitale incluse nel modello del collasso catabolico, le gerarchie sociali facilitano la produzione e la distribuzione di beni e servizi ed hanno dei costi di manutenzione che devono essere soddisfatti,

Se i costi di manutenzione non vengono soddisfatti, come con qualsiasi altra forma di capitale, le gerarchie sociali vengono trasformate in rifiuti; smettono di adempiere alla loro funzione economica e diventano disponibili per il recupero. (…)  Mentre i costi di manutenzione (…) cominciano a salire verso il punto di crisi, gli angoli vengono tagliati e la negligenza maligna diventa l'ordine del giorno. Fra le varie forme di capitale, però, alcune danno benefici alla gente sulla scala della gerarchia sociale più che alla gente su altri livelli.
Quando il bilancio di manutenzione si restringe, la gente di solito cerca di proteggere le forme di capitale che gli danno benefici diretti e spinge i tagli in forme di capitale che invece danno benefici ad altri.

Siccome la capacità di ogni persona di influenzare dove vanno le risorse corrisponde in modo molto preciso alla posizione di quella persona nella gerarchia sociale, ciò significa che le forme di capitale che danno benefici alla gente in fondo alla scala vengono tagliate prima.
Ora naturalmente questo non è quello che sentite dire agli americani oggi e non è ciò che sentite dire dalla gente di una società che si avvicina al collasso catabolico. Quando la contrazione si instaura (…), la gente tende a prestare più attenzione a qualsiasi cosa sta perdendo che qualsiasi perdita più grande sofferta da altri.  (…) Questa cosa è inevitabile in una lotta per le fette di una torta che si restringe. >>

JOHN MICHAEL GREER

(continua)

sabato 13 dicembre 2014

Brutti, sporchi e... fattivi

Quello del politico è sicuramente uno dei mestieri più difficili del mondo, perché richiede notevoli competenze (dalla conoscenza dei problemi alla capacità di mediazione), e si scontra con infinite difficoltà, a cominciare da quella, purtroppo attualissima, della corruzione.
Trovare un equilibrio accettabile è quindi molto difficile, ma questo non ci esime dal cercare, comunque, una piccola scala delle priorità, che ci aiuti nelle valutazioni.
Ce ne parla Aldo Giannuli, storico e politologo molto acuto, in questo post volutamente provocatorio (tratto dal suo sito), che fa seguito ad una piccola polemica precedente.
LUMEN



<< Non ho mai inteso fare l’apologia, la giustificazione o anche solo la minimizzazione della disonestà in politica. (…) Mai pensato di mettere i grandi del passato come Giulio Cesare e Napoleone sullo stesso piano dei politici di oggi, per dire che, alla fine tutti sono stati ladri.
Non sono un qualunquista e nel pezzo non c’è nulla che autorizzi una interpretazione così becera. I politici di oggi sono infinitamente inferiori a quei grandi, ma non perché siano meno onesti di quelli, ma perché infinitamente meno capaci e geniali. Che è quello che è decisivo,

Né avevo lontanamente in testa di dire che i grandi sono stati solo disonesti (quindi inutile fare elenchi che comproverebbero come fra i grandi ce ne sarebbero stati anche di onesti). Lo so che intelligenza, onestà e competenza possono benissimo andare d’accordo e ce ne sono ottimi esempi. Ma a me serviva dimostrare come la corruzione non impedisce di fare una grande politica.

Messa in termini di logica formale (oddìo chissà cosa succederà ora), io ho detto che A (l’onestà) non è condizione necessaria di B (il genio politico), ma non che B coincide sempre con –A (la negazione di A, cioè la disonestà). (…)

Ne consegue che io non ho inteso porre una scelta necessaria nella coppia concettuale Onesto-imbecille o Disonesto-capace come l’unica possibile. Semplicemente mi sembrava una “catalanata” dire che è preferibile ad ogni altra alternativa un politico onesto e capace, mentre uno disonesto e incapace è peggiore di qualsiasi altra cosa. Per cui, ho ritenuto che la problematica si ponesse nel caso di politici che avessero solo una delle due qualità, mancando dell’altra. (…)

Dunque, mettiamo da parte la metafora del politico disonesto e capace e di quello incapace ed onesto e parliamo della questione vera: che valore hanno in politica onestà e capacità.
E partiamo da una cosa: l’onestà, in politica, ha un valore sostanzialmente negativo e neutro. Spieghiamoci meglio, perché già vedo in agguato l’insopportabile armata dei moralisti.

Negativo non nel senso di disvalore, ma nel senso che indica più in non-fare che un fare. D’altra parte, tutta l’etica è fatta più di prescrizioni negative che positive, come dimostra lo stesso decalogo che contiene otto prescrizioni negative (“non avrai altro Dio..”, “non rubare”, “non uccidere, “non dire falsa testimonianza) e solo due positive (ricordati di santificare le feste, onora il padre e la madre).

Dunque, in politica, l’onestà coincide con una serie di prescrizioni negative (non rubare, non fare brogli elettorali, non combattere gli avversari con metodi violenti o truffaldini, non fare clientelismo ecc.) molto più che positive (fai questo o quello). Ed anche quando volessimo trovare indicazioni di tipo positivo (ad esempio: servi il bene pubblico, difendi i deboli, ecc.) la morale, in quanto tale, pone il compito, ma non dice affatto come perseguire questi obiettivi, lasciando alla politica il compito di individuare obiettivi e mezzi per raggiungerli, magari indicando dei divieti su questi ultimi, ma senza mai dare indicazioni positive.

A esempio, è giusto moralmente combattere la Mafia, ma come? La morale può intervenire su mezzi proibendone alcuni (ad esempio la tortura o usare i parenti, in particolare bambini, per indurre i latitanti a consegnarsi) ma non ti dirà mai se è giusto l’uso dei confidenti o quello delle intercettazioni, il 41 bis o la legislazione premiale per i pentiti.

Queste sono questioni da discutere in sede politica come tante altre (restare o no nell’Euro? Quali pene adottare per gli scafisti che trafficano carne umana? Adottare il rito penale abbreviato o no? Restare nella Nato o promuovere una diversa alleanza militare? Scegliere un sistema d’arma o un altro? Università pubblica o privata? Energia nucleare o alternativa? Ecc ecc) che esulano dal dibattito morale.

Ma i moralisti, nella loro totale ignoranza della politica, riducono tutto alla questione morale, nella convinzione che ci sia sempre una scelta politica “giusta” ed auto evidente, e che se essa non viene perseguita è solo per sordidi interessi che mistificano le cose, impedendo di capire quel che sarebbe giusto fare. Per cui basta essere persone oneste per fare la cosa giusta.

Niente di più sbagliato. Occorre mettersi in testa che la politica è un mondo complesso in cui non esistono scelte “giuste” in astratto, perché i problemi complessi non hanno, per definizione, soluzioni semplici ed univoche. Di volta in volta bisogna mediare fra valori (a proposito, cari moralisti: non esiste una morale unica cui attenersi) ed interessi, fra proponimenti e disponibilità, fra disegni politici e rapporti di forza.

Capisco che la lunga serie di politici corrotti che ha afflitto (ed affligge ancora oggi) questo paese ha causato una giusta reazione di disgusto per cui ci sia una esasperata sensibilizzazione sul tema della corruzione; ma questo ha provocato uno spaventoso regresso politico e culturale. Qui stiamo tornando indietro a Machiavelli ed alla separazione fra morale e politica.

Mettiamocelo in testa: la politica non può essere ridotta solo a morale e l’onestà non è un programma politico. Nessuno qui sta dicendo che i politici possano essere disonesti e che non occorra cacciare i corrotti (ripetiamolo un’ennesima volta per quelli che non capiscono), ma che la politica è altro dalla morale, anche se fra le due cose (o dovrebbero esserci) ci sono evidenti rapporti,

Pertanto, piaccia o no, la politica è uno specialismo (esattamente come la chirurgia, l’architettura o la psicologia), che richiede una preparazione specifica.

Poi si pone il problema di come evitare che le decisioni politiche diventino monopolio di una ristretta oligarchia di politici e “tecnici”, ma questo è un diverso ordine di problemi di cui riparleremo, qui vogliamo rimarcare, contro ogni sbracatura populista (…) che non ci si può improvvisare “politici” solo perché “onesti”, in quanto il requisito specifico dell’uomo politico non è l’onestà: onesti debbono essere tutti, il commerciante, il contribuente fiscale, il commissario concorsuale, il direttore delle carceri, il medico ed il manager dell’industria privata.

Al politico si chiede una cosa specifica, che è quella di “pensare in grande”, così come al medico di saper curare un ammalato. Almeno da certi livelli istituzionali in su (nessuno lo pretende da un consigliere comunale o provinciale) il politico DEVE pensare in grande, perché non sta amministrando un condominio o una tabaccheria di paese, ma una comunità di milioni di uomini e donne, la cui vita dipende in buona parte dalle sue decisioni. Tanto più se si trova a gestire un paese, una regione o una grande città in tempi di globalizzazione e di crisi.

Settanta anni fa, il fondatore dell’Uomo qualunque, Guglielmo Giannini, teorizzò che lo Stato aveva bisogno solo di un ragioniere che, entrato in carica il 1° gennaio, tenesse in ordine i conti, per consegnarli in perfetto ordine il 31 dicembre dello stesso anno e non fosse rieleggibile per nessuna ragione. Era una idea di “Stato amministrativo” che non ha bisogno di politica.

Il qualunquismo [però] è “spazzatura”: una visione da miserabile mezzemaniche culturalmente straccione che comporta la fine della politica e l’asservimento volontario. Vedo che stiamo tornando a questa idea. Io non credo che una simile degenerazione possa conquistare la maggioranza degli italiani, ma, se così fosse, arrivo a dire: meglio un colpo di Stato militare. Sapete benissimo come la penso in tema di colpi di Stato, ma dico meglio De Lorenzo che Monsieur Travet.

Quanto alla disputa iniziale sul se sia meglio il corrotto capace o l’onesto incapace, mi limito ad osservare che se non è affatto detto che il capace sia anche onesto è sicuro che l’incapace non è mai onesto, non fosse altro perché usurpa un posto che non gli compete, godendone i relativi vantaggi, senza sentire il dovere di togliersi di mezzo.

Anche per questo, preferisco il primo: almeno lui è capace mentre l’altro non è neppure onesto. Naturalmente non posso che essere d’accordo con chi dice che non dobbiamo rassegnarci a questa deprimente scelta e dobbiamo puntare ad avere una classe dirigente di onesti e competenti, ma una classe dirigente così non si improvvisa, si forma e non con le prediche parrocchiali sull’onestà, ma con quella formazione politica che non fa più nessuno.

Cosa si può fare con l’onestà da sola, senza preparazione, in politica? La birra. Niente altro. E con l’”onestismo” non si combatte neppure la corruzione, che, essendo un fenomeno sociale e politico, richiede un contrasto sociale e politico e non inutili geremiadi. Ma qui il disastro culturale lo combinò Berlinguer con il discorso sulla questione morale e sulla diversità morale degli uomini del Pci (dopo si è visto….). >>

ALDO GIANNULI

sabato 6 dicembre 2014

Erre & Kappa

E’ noto che le strategie riproduttive degli animali si dividono sostanzialmente in 2 grandi categorie: la strategia R, che prevede una prole molto numerosa e scarse o nulle cure parentali, e la strategia K, che prevede una prole limitata e notevoli cure parentali.
La nostra specie appartiene pacificamente alla categoria K, ma se ci guardiamo intorno, e vediamo l’incredibile brulichio di esseri umani, che hanno ormai occupato ogni angolo della Terra, verrebbe da quasi da pensare ad una  strategia R. 
Cosa può essere successo ? Ce ne parla Gail Tverberg in questo lungo articolo tratto dal blog “Un Pianeta non basta” dell’amico Agobit (che ne ha curato anche la traduzione). 
LUMEN 


<< Ci sono 7 miliardi di umani sulla Terra al giorno d’oggi. Ritenevo all’inizio che la ragione principale della recente esplosione della popolazione umana fossero i combustibili fossili che hanno creato le condizioni aumentando la disponibilità di cibo e di energia e quindi di prodotti come tecnologia e medicine.

Ho trovato però in un lavoro sull’argomento di Craig Dilworth ulteriori spunti che mostrano come le disponibilità energetica sia solo una parte del problema e molto dipenda anche dai comportamenti ormai stereotipati, dai bisogni indotti, dalle comunicazioni e da chi le gestisce, dalle nuove credenze e dalle gerarchie del potere che si sono instaurate.

Tutti i tipi di animali (presumibilmente uomo compreso) hanno istinti innati e comportamenti appresi che impediscono alla popolazione di salire senza limiti. (…)
Molti dei meccanismi di controllo della crescita degli animali sono attivi anche nelle popolazioni umane.Dilworth riferisce che molte specie animali hanno un certo rapporto con il “territorio”, e ad esempio l’aggressività tra i gruppi è uno dei più antichi meccanismi per mantenere la popolazione verso il basso.

Un altro meccanismo, di cui parla il sociologo Paul Buchheit della De Paul University, è quello gerarchico. Se viene meno il rapporto con il territorio, diviene importante ai fini del controllo della popolazione il meccanismo gerarchico. Nelle popolazioni animali se non c’è abbastanza per tutti, vengono concentrate le risorse disponibili nelle mani di quelli al vertice della piramide, emarginando quelli alla base della piramide. In caso di insufficienza della risorse la popolazione al fondo della piramide si riduce, lasciando intatta quella in alto. Questo è quello che ad esempio è accaduto anche nella popolazione americana durante la crisi economica.

Dilworth nel suo libro sulla popolazione distingue negli animali due specie di popolazioni: Le specie selezionate secondo la tolleranza Krowding (K-selezionate), in cui i membri sono caratterizzati da grandi dimensioni, crescita lenta e riproduzione con poca prole e bassa mortalità, alte cure parentali. In questo tipo di popolazione le dimensioni sono costanti e la sua esistenza è messa facilmente in pericolo da nuove predazioni. La maggior parte dei mammiferi sono K-selezionati, come lo sono anche gli alberi.

La specie R-selezionata: è caratterizzata invece da piccole dimensioni degli individui, crescita rapida e rapida riproduzione, vita breve (a volte meno di un anno), numerosa prole con alta mortalità, poca o nessuna cura parentale e la mancanza di territorialità. Le popolazioni di questo tipo crescono esponenzialmente con improvvisi arresti. Insetti e piante annuali sono tipiche specie R-selezionate.

In base alla definizione delle due varietà di specie, gli esseri umani appartengono a quelle K-selezionate e dovrebbero avere una popolazione di dimensioni stabili, e la territorialità dovrebbe giocare un ruolo prevalente per tenere bassa la dimensione limitando il numero di coppie in via di replicazione.

I territori scelti per istinto sono abbastanza grandi da garantire che le popolazioni non crescano di dimensioni in maniera tale da compromettere la loro base di risorse. Quindi, se la territorialità funziona correttamente, non c’è nessun problema di eccessivo sfruttamento di risorse e crisi conseguenti, in quanto il territorio prescelto dal maschio per il suo gruppo familiare è abbastanza grande da sfamare la famiglia, con molto cibo a disposizione. 

Ci sono due meccanismi al lavoro nelle specie K-selezionate: la disponibilità di cibo e territorio adeguato. In questo caso è la legge di Liebig che individua il tipo di territorio adeguato alle specie K-selezionate. Liebig aveva osservato che se per una coltura sono necessari vari tipi di input (quali fertilizzanti azotati, fertilizzanti fosforati e potassio ecc.), la resa delle colture sarebbe determinata dalla risorsa più scarsa, non dalla quantità totale delle risorse. Pertanto, ulteriori fertilizzanti azotati non possono sostituire tutti gli altri tipi di fertilizzanti necessari. 

Nel caso delle specie K-selezionate, come ad esempio i primati, ci sono due esigenze incomprimibili come cibo e territorio, ma solitamente il limite sul territorio è raggiunto prima. Ci sono un certo numero di meccanismi naturali per mantenere le popolazioni K-selezionate in equilibrio con il resto del sistema ecologico.

 Per esempio, una popolazione troppo alta rispetto al territorio disponibile tende a causare stress e porta alla violenza sia interna al gruppo che contro i gruppi confinanti. Il vincitore ottiene più territorio; i perdenti sono in genere uccisi. Può accadere che i neonati vengano uccisi, per mantenere la popolazione in linea con le risorse. Anche l’accoppiamento può essere limitato in base a comportamenti appresi o istinti. Inoltre una popolazione superiore a quella sostenibile tenderà ad attrarre predatori (nel caso degli esseri umani si tratta di germi e virus). Se la popolazione è troppo alta si farà più evidente il comportamento gerarchico. 

Gli individui socialmente ed economicamente favoriti otterranno una quota sproporzionata sul totale delle risorse, e ci saranno meno risorse per quelli più in basso nella gerarchia, contribuendo a ridurre le dimensioni della popolazione più rapidamente che se le risorse fossero distribuite più equamente. Quelli in alto che detengono più conoscenze e mezzi economici vengono risparmiati dalla crisi. Con gli animali sociali, l’altruismo diventa importante, perché le pulsioni istintuali che mantengono la popolazione sotto controllo debbono essere represse all’interno del gruppo familiare. 

Pertanto all’interno del territorio di una popolazione omogenea, gli istinti sociali tendono a sopraffare quelli sessuali di riproduzione e quelli di sopravvivenza più fondamentali. Gruppi della stessa specie spesso sono portati a condividere le risorse, ad occuparsi dei giovani e a proteggere gli individui feriti, a mantenere una assistenza adeguata agli anziani riservando loro risorse. 

Nella maggior parte dei casi, popolazioni con questi (ed altri) controlli ed equilibri tenderanno a rimanere in “equilibrio dinamico” con il resto dell’ecosistema. Le uniche eccezioni a questa regola sono le situazioni “pionieristiche”, quando entrambi cibo e territorio aumentano, o quando i predatori vengono rimossi.

 L’uso umano di energia immagazzinata (sia in legno che in combustibili fossili) è in un certo senso una di questi comportamenti pionieristici, perché ci ha permesso di ampliare la nostra alimentazione ed eliminare i predatori. Gli esseri umani sono diversi dalle altre specie in quanto la nostra intelligenza ci ha permesso di sostituire l’apprendimento ad alcuni comportamenti istintivi. Questa sostituzione dell’istinto con l’apprendimento, insieme con l’uso di energia esterna, sembra essere la causa fondamentale dell’eccesso di popolazione. 

Attualmente ci sono più di 7 miliardi di umani sulla terra; Colin McEvedy e Richard Jones nel loro Atlas of World Population History stimano che la popolazione umana avrebbe dovuto essere in un range tra i 70.000 e 1 milione di individui, se avesse avuto un comportamento comparabile con specie affini come i gorilla o le popolazioni di scimpanzè. Oggi chiaramente la popolazione umana supera di gran lunga questa quota prevista dal sistema ecologico naturale nel caso si fosse trattato di una tra le altre specie animali.

 La mia interpretazione della teoria di Dilworth può essere applicata alle società umane primitive. Dilworth afferma che in queste società esistevano controlli interni della popolazione ( tra cui l’aborto,l’infanticidio, l’astensione prolungata dai rapporti ecc.) ed erano diffusi universalmente tra i primitivi. Se nascevano gemelli, spesso uno veniva messo a morte. Se la madre non era in grado di prendersi cura di un figlio, questo veniva sacrificato. Questi controlli interni sono stati utili a mantenere un rapporto tra popolazione e risorse, ma ad un certo punto non sono più serviti.

Una parte del problema era che nuovi territori erano a disposizione e si aggiungevano sempre nuovi prodotti alimentari, a causa dell’inventiva degli umani. Gli uomini primitivi hanno iniziato ad utilizzare il fuoco circa 125.000 anni fa, e sono emigrati dall’Africa e si stabilirono in nuove terre circa 90.000 anni fa. L’antico mito di Prometeo che ruba il fuoco agli dei rappresenta la memoria sublimata di questo cambiamento. Le religioni hanno svolto un ruolo importante nel promuovere l’altruismo all’interno dei propri gruppi.

Esse hanno anche consentito di trasmettere tradizioni e mantenere la coesione interna tra i membri. Le religioni moderne però non hanno assicurato il controllo della popolazione, anzi il comando “siate fecondi e moltiplicatevi” va in contro tendenza. Quando i missionari sono stati inviati presso i gruppi primitivi che utilizzavano pratiche per il controllo della popolazione come l’infanticidio o i divieti rituali, hanno condannato i comportamenti volti al controllo della popolazione, di fatto aumentando la natalità.

La pratica di migliorare l’assistenza sanitaria senza fornire contraccettivi gratuiti e insegnare la responsabilità demografica rispetto alle risorse naturali locali ha portato ad aumenti insostenibili della popolazione. L’ “istinto” di combattere i gruppi appartenenti ad altre religioni è utile dal punto di vista del controllo della popolazione, ma la maggior parte dei lettori di questo articolo non approverebbe questo metodo al fine di controllare la popolazione. Purtroppo questo è un comportamento parallelo a numerose specie animali che controllano con l’aggressività tra gruppi diversi le rispettive popolazioni.

Se il controllo della popolazione non arriva con altri mezzi, il ricorso al comportamento gerarchico può prendere il posto di altri modi per risolvere il problema. Questo comportamento ha assunto sempre più importanza da quando i cacciatori-raccoglitori si sono trasformati in popolazioni stanziali dedite all’agricoltura. Il comportamento gerarchico è aumentato di recente nelle società umane.

Le cause immediate del fenomeno si possono così riassumere:
- Maggiore specializzazione con maggior complessità dei processi produttivi. I lavori al vertice della gerarchia sono molto ben retribuiti.
- Globalizzazione con offerte di lavoro nella parte inferiore della gerarchia con il ricorso alla manodopera straniera in competizione con l’autoctona e disponibilità di lavoratori con bassi salari.
- Più debito a disposizione. Il debito tende a trasferire i pagamenti di interessi legati alla popolazione della parte inferiore agli individui al vertice della gerarchia. I regimi fiscali che nei sistemi moderni favoriscono i ricchi e le aziende. 

In un suo libro recente l’economista Charles Murray analizza la formazione delle classi nell’America contemporanea constatando come essa sia diversa rispetto al passato.  Le classi inferiori stanno perdendo molti dei sistemi attivi in passato per stabilizzare la posizione e mantenerla verso la parità: il matrimonio, opportunità di frequentare scuole con persone di tutte le classi, unirsi a gruppi religiosi ecc. 

Potrei anche notare come l’economia, la fede nella crescita economica come un sistema di salvezza per tutti, è diventata quasi una nuova religione che tende a nascondere tutti gli altri problemi come quelli ambientali o legati alla sovrappopolazione. Poiché quasi tutti credono in questa nuova religione del progresso economico indefinito, c’è poco bisogno di altri sistemi di credenze.

Le influenze economiche però non sono una novità. Il commercio è iniziato molto presto, anche prima dei tempi di Abramo e di Isacco nel Vecchio Testamento. Questo tendeva ad abbattere le barriere tra i gruppi umani, riducendo l’effetto della territorialità e contribuendo alla crescita demografica. Lo spostamento rapido di risorse tipico del mondo moderno ha contribuito a togliere alla territorialità e alla disponibilità locale di risorse, il controllo sulla crescita della popolazione. Un’altra fonte di sistemi di credenze sono gli show televisivi. 

Questi rappresentano la vita familiare come un continuo consumare prodotti e acquistare merci, e inducono a credere che la cosa più importante nella vita sia avere più roba! Tutte queste nuove influenze sono in conflitto con i nostri comportamenti istintuali che tendono a farci stare con i nostri gruppi familiari, e a non vivere con comportamenti che si discostano troppo da quelli che abbiamo conosciuto in passato. 

Speranze per il futuro. Dilworth non vede molte speranze per uscire dalla nostra situazione attuale. Si è ormai innescato un circolo vizioso. Uno stile di vita particolare ad un certo punto cessa di fornire cibo sufficiente per una popolazione in crescita, e si sviluppano così nuovi approcci al problema che in genere non sono sempre miglioramenti effettivi del comportamento.

Ad esempio lo sviluppo dell’agricoltura invece della caccia e raccolta, o l’applicazione di prodotti chimici ad uso di fertilizzanti invece di aspettare il corso dei cicli naturali dei prodotti.
Si finisce così nel sostentare la crescita di più persone in un certo territorio che poi richiedono più prodotti i quali a loro volta sostentano ulteriore popolazione in un circolo vizioso. (…)

Ci vuole più altruismo nelle nostre società, dare più valore alle persone e meno alla produzione, e ciò significa anche un minor numero di umani considerati semplici consumatori verso una maggiore valorizzazione della singola persona nella sua specificità, magari con un numero di umani inferiore e con valori diversi e più genuini. Nella società di massa dei consumatori si stanno creando troppi gruppi emarginati che più aumenta la popolazione, più si isolano in se stessi. >>

GAIL TVERBERG