sabato 26 ottobre 2013

L'Isola che non c'è

Ci sono tante isole immaginarie nella storia della letteratura: dall’isola del tesoro all’isola di niente, dall’isola misteriosa all’isola nel cielo e molte altre.
Tra tante isole virtuali, ve n’è una che pur non essendo segnata su nessuna  carta geografica, può essere vista ugualmente: è quella, squallida e mostruosa, che galleggia al largo dell’oceano pacifico ed è fatta totalmente di rifiuti.
Un’isola che, oltre ad essere un grave problema ecologico, è anche una metafora del nostro possibile, triste destino.
Ce ne parla l’amico Agobit in questo post, tratto dal suo blog “Un pianeta non basta”.
LUMEN


<< C’è un subcontinente fatto di isole galleggianti sparpagliate e semisommerse che nessuno conosce e che nessuna carta geografica riporta, situato al centro del Pacifico. Ha circa 50 metri di spessore e si estende frastagliato in isolotti, per un’area grande come gli Stati Uniti.
E’ un silenzioso mostro ambientale che si accresce giorno per giorno nel silenzio dei media e nel disinteresse dei governi: è  il subcontinente della spazzatura che ormai intossica gli oceani e altera irreversibilmente la superficie marina. (…)

Sette miliardi e mezzo di umani producono montagne e montagne di rifiuti urbani che non hanno più smaltimento e finiscono per accumularsi sulla terra e nei mari.
La civiltà che si sta sempre più caratterizzando come la civiltà dei rifiuti è quella che sta attualmente globalizzandosi su tutto il pianeta: la civiltà dei consumi.

Ci sono nel mondo sette miliardi e mezzo di consumatori attuali o potenziali. Tutti aspirano a diventarlo, non esistono più differenze di ideologie o di religioni sotto questo aspetto: tutti vogliono consumare e due sono i poteri planetari che dominano e dirigono il fenomeno: la finanza ed il mercato.

Il potere dei consumi si è rivelato in tutta la sua efficacia dopo il 1989. Per decenni il mondo occidentale e l’Unione Sovietica si erano fronteggiati con armi, aerei da guerra, navi e missili nella cosiddetta “guerra fredda”.
Poi inaspettatamente due aspetti della civiltà consumistica, i supermercati e la televisione, hanno in pochi anni distrutto l’ideologia socialista e comunista  che sembrava fino a pochi anni prima inarrestabile e sempre più diffusa.

Il trionfo consumista travolse  la cortina di ferro ed i  regimi dell’est , provocando la fuga, verso l’occidente alla ricerca delle merci e dei consumi,  di milioni di figli del socialismo reale.
Il consumismo ha però come effetto collaterale l’aumento dei costi della crescita  dei figli  ed in genere lo sviluppo economico, dopo alcuni anni, si accompagna ad una minore natalità delle popolazioni interessate.

I paesi sottosviluppati mantengono invece alti tassi di natalità, e lo sviluppo economico - nei casi in cui arriva -  spesso non basta a cambiare la mentalità se non si accompagna a politiche efficaci di rientro demografico.
L’effetto complessivo a livello di demografia planetaria è  quello di un boom demografico inarrestabile che l’ONU nel suo ultimo rapporto quantifica in una previsione di sviluppo della popolazione mondiale fino a  9,6 miliardi nel 2050 e addirittura di 11 miliardi a fine secolo. 

Questa crescita avverrà per la maggior parte nei paesi arretrati o in via di sviluppo. (…)
Accanto a questa esplosione vi è l’imponente processo di urbanizzazione: si prevede che nel 2050, ben  6,5 miliardi di umani vivranno in città mega-metropolitane, più di tutta la popolazione dell’intero pianeta del 1970. (…)

Il problema che si pone al mondo occidentale è drammatico perché non ci sono strategie per affrontare questa situazione che sta ponendo a grave rischio l’ambiente e la sopravvivenza stessa del pianeta: mancano istituzioni che studino il fenomeno, che elaborino strategie, che affrontino i pericoli immediati.
L’ONU latita, perso in diatribe e conflitti di potere su aspetti irrilevanti e secondari. Mancano strategie e politiche adeguate anche a livello dei singoli paesi.

Gli Stati Uniti che al tempo di J.F. Kennedy e L. Johnson avevano affrontato il problema specie in America Latina con interventi volti allo sviluppo economico e al controllo della natalità (ma le iniziative furono interpretate al tempo come colonialismo), dopo l’avvento di Reagan e del liberismo hanno interrotto ogni politica di contenimento demografico anche per favorire le strategie di mercato che considerano la popolazione come target di consumi.
Il commercio e la finanza americana non accetta politiche di controllo delle nascite.

L’UE,da parte sua, non ha più una politica estera, e subisce passivamente gli effetti della globalizzazione e del trionfo della ideologia unica consumista in una afasia disperante priva di idee e di visioni strategiche.
Il mondo sta cambiando in maniera del tutto incontrollata in un caleidoscopio in cui prevalgono interessi finanziari e consumismo che porta a stressare le risorse ambientali e all’esaurimento delle risorse fondamentali  fino a prospettare un prossimo disastro ambientale planetario. (…)

Non vi sono analisi del fenomeno che possano consentirne una regolamentazione. Si assiste inoltre al fatto potenzialmente dirompente della convivenza in queste aree urbane “in via di sviluppo” della stretta vicinanza tra zone ricche e bidonville in cui l’unica cultura unificante è quella di un insensato consumismo senza scopi e senza una guida politica consapevole. (…)

Strutture umane di questo tipo non possono essere assolutamente governate, non esistono istituzioni o mezzi adeguati a regolamentare i fenomeni sociali: unico criterio spontaneo  sono le appartenenze etniche e religiose e un malinteso sfrenato desiderio di consumismo (frutto di una distorta visione dell’occidente ricco)  che si scontra con arretratezza economica e un mercato sregolato. (…)

La produttività di un’area urbana è superiore a quella delle aree rurali ma la povertà urbana è più dura di quella delle campagne.
La povertà dentro le slum e le baraccopoli non è gestibile, a differenza di quella delle aree rurali in cui la produzione del suolo e le minori esigenze delle famiglie riducono il disagio. (…)

La grande spinta dell’Illuminismo che aveva avviato le grandi rivoluzioni sta avviandosi al naufragio sulle sponde del mediterraneo, insieme ai barconi dei figli dell’esplosione demografica.
L’Occidente, proprio nel momento in cui appare a tanti disperati la terra dell’Oro, rivela invece tutta la sua fragilità e inconsistenza. (…)
Scompaiono le tradizioni, le usanze secolari. Scompare la storia, l’appartenenza ai luoghi, l’identità. (…)

Di fatto una assenza di valori forti che si risolve nel trionfo dell’unico valore che dirige tutto: un consumismo fine a se stesso.
Tutto è consumo, tutto si consuma. I prodotti sono tutti a scadenza, proprio per favorirne l’ulteriore consumo.

Si consumano anche le persone che vengono comprate, affittate, spostate, a seconda delle richieste del  mercato. Il valore di un uomo è quello dei suoi consumi.
Ciò che resta da tutto questo è il rifiuto, la spazzatura.
Quella grande immensa isola di spazzatura che staziona al centro  del Pacifico come simbolo del destino cui la Terra è avviata. >>

AGOBIT

sabato 19 ottobre 2013

Neanche gli Dei

LUMEN – Professor Cipolla, come state ?
CIPOLLA – Bene, grazie.

LUMEN – Carlo Maria Cipolla, per chi non lo ricordasse, è stato un grande storico dell’economia, eppure è diventato famoso per un breve saggio umoristico, quello sulla "stupidità umana".  Non vi da un po’ fastidio ?
CIPOLLA – Ma no, ma no. La vita va presa con un sorriso.

LUMEN – Giusto. Allora, entriamo un po’ nell’argomento.
CIPOLLA - Le faccende umane si trovano, per unanime consenso, in uno stato deplorevole.

LUMEN – Su questo, non ci sono dubbi.
CIPOLLA - Questa peraltro non è una novità. Per quanto indietro si riesca a guardare, esse sono sempre state in uno stato deplorevole. Il pesante fardello di guai e miserie che gli esseri umani devono sopportare, sia come individui che come membri della società organizzata sin dai suoi inizi.

LUMEN – E’ la condanna di ogni essere vivente.
CIPOLLA – Grazie a  Darwin sappiamo di condividere la nostra origine con le altre specie del regno animale e tutte le specie, si sa, dal vermiciattolo all'elefante, devono sopportare la loro dose quotidiana di tribolazioni, timori, pene e avversità. Gli esseri umani, tuttavia, hanno il privilegio di doversi sobbarcare un peso aggiuntivo, una dose extra di tribolazioni quotidiane, causate da un gruppo di persone che appartengono allo stesso genere umano.

LUMEN – Che sarebbero, appunto, gli stupidi.
CIPOLLA – Esatto. Questo gruppo è molto più potente della Mafia o del Complesso Industriale o dell' Internazionale Comunista. È un gruppo non organizzato, non facente parte di alcun ordinamento, che non ha capo, né presidente, né statuto, ma che riesce tuttavia ad operare in perfetta sintonia come se fosse guidato da una mano invisibile, in modo tale che le attività di ciascun membro contribuiscono potentemente a rafforzare ed amplificare l'efficacia dell' attività di tutti gli altri membri.

LUMEN – Una specie di associazione involontaria.
CIPOLLA – Comunque, anche la stupidità umana, come molte altre cose, ha le sue leggi fondamentali.

LUMEN – Leggi che Voi,  nel vostro saggio, avete evidenziato con grande chiarezza e semplicità. Allora procediamo.
CIPOLLA – Prima legge: Sempre ed inevitabilmente ognuno di noi sottovaluta il numero di individui stupidi in circolazione.

LUMEN – Agghiacciante.
CIPOLLA – Seconda legge: La probabilità che una certa persona sia stupida è indipendente da qualsiasi altra caratteristica della persona, sia etnica che culturale. Ogni gruppo umano, comunque individuato, ha la stessa percentuale di stupidi, che è indipendente da ogni altra considerazione.

LUMEN – E questo fa piazza pulita di ogni sospetto di razzismo.
CIPOLLA – Terza legge: Una persona stupida è una persona che causa un danno ad un'altra persona o gruppo di persone senza nel contempo realizzare alcun vantaggio per sé o addirittura subendo una perdita.

LUMEN – Una definizione ineccepibile.
CIPOLLA – Quarta legge: Le persone non stupide sottovalutano sempre il potenziale nocivo delle persone stupide. In particolare i non stupidi dimenticano costantemente che in qualsiasi momento e luogo, ed in qualunque circostanza, trattare e/o associarsi con individui stupidi si dimostra infallibilmente un costosissimo errore.

LUMEN – Come diceva Schiller: “contro la stupidità, anche gli Dei combattono invano”.
CIPOLLA – Grande Schiller ! Aveva già capito tutto.

LUMEN – Eh sì. Ma andiamo avanti.
CIPOLLA – Quinta e ultima legge: La persona stupida è il tipo di persona più pericolosa che esista.

LUMEN – E se poi esercita anche il potere, poveri noi…
CIPOLLA – Esatto. Non è difficile comprendere come il potere politico o economico o burocratico accresca il potenziale nocivo di una persona stupida. Ma dobbiamo ancora spiegare cosa essenzialmente rende pericolosa una persona stupida; in altre parole in cosa consiste il potere della stupidità.

LUMEN – Sentiamo.
CIPOLLA - Essenzialmente gli stupidi sono pericolosi e funesti perché le persone ragionevoli trovano difficile immaginare e capire un comportamento stupido. Una persona intelligente può capire la logica di un bandito.

LUMEN – Sicuramente.
CIPOLLA - Le azioni del bandito seguono un modello di razionalità. Il bandito vuole un "più" sul suo conto. Dato che non è abbastanza intelligente per escogitare metodi con cui ottenere un "più" per sé procurando allo stesso tempo un "più" anche ad altri, egli otterrà il suo "più" causando un "meno" al suo prossimo. Tutto ciò non è giusto, ma è razionale, e se si è razionali lo si può prevedere. Si possono insomma prevedere le azioni di un bandito e le sue sporche manovre, e spesso si possono approntare le difese opportune.

LUMEN – Difese che spesso, per fortuna, funzionano.
CIPOLLA – Appunto. Con una persona stupida, invece, tutto ciò è assolutamente impossibile. Come è implicito nella Terza Legge Fondamentale, una creatura stupida vi perseguiterà senza ragione, senza un piano preciso, nei tempi e nei luoghi più improbabili e impensabili. Non vi è alcun modo razionale per prevedere se, quando, come e perché, una creatura stupida porterà avanti il suo attacco. Di fronte ad un individuo stupido, si è completamente alla sua mercé.

LUMEN – Terribile.
CIPOLLA - Poiché le azioni di una persona stupida non sono conformi alle regole della razionalità, ne consegue che: a) - generalmente si viene colti di sorpresa dall'attacco; b) - anche quando si acquista consapevolezza dell'attacco, non si riesce ad organizzare una difesa razionale, perché l'attacco, in se stesso, è sprovvisto di una qualsiasi struttura razionale; è come cercare di difendersi sparando ad un oggetto capace dei più improbabili e inimmaginabili movimenti.

LUMEN – E’ impossibile, in effetti.
CIPOLLA – Occorre poi tenere conto anche di un'altra circostanza.

LUMEN – Quale ?
CIPOLLA - La persona intelligente sa di essere intelligente. Il bandito è cosciente di essere un bandito. Lo sprovveduto (ovvero chi danneggia sé stesso) è penosamente pervaso dal senso della propria sprovvedutezza. Al contrario di tutti questi personaggi, lo stupido non sa di essere stupido. Ciò contribuisce potentemente a dare maggior forza, incidenza ed efficacia alla sua azione devastatrice.

LUMEN – Una specie di arma in più.
CIPOLLA - Lo stupido non è inibito da quel sentimento che gli anglosassoni chiamano self-consciousness. Col sorriso sulle labbra, come se compisse la cosa più naturale del mondo, lo stupido comparirà improvvisamente a mandare a catafascio i tuoi piani, distruggere la tua pace, complicarti la vita ed il lavoro, farti perdere denaro, tempo, buonumore, appetito, produttività; e tutto questo senza malizia, senza rimorso, e senza ragione.

LUMEN – In una parola: “stupidamente”.
CIPOLLA – Proprio così.

LUMEN – Grazie professore. Per quanto difficile, cercheremo di fare tesoro dei suoi consigli.
 

sabato 12 ottobre 2013

Padri contro Figli

Si parla molto, in questo periodo, di “debito pubblico” e del suo ammontare.
Certamente, avere un debito pubblico molto elevato (come accade attualmente in Italia) è una cosa che non piace a nessuno.
Ma non bisogna neppure dimenticare che si tratta di una componente dell’economia pubblica che ha una sua logica e, soprattutto, che molti dei luoghi comuni estremamente negativi di cui viene caricato, sono fortemente travisati.
Come ci spiega il prof. Roberto Ciccone, docente di economia presso l’Università Roma Tre, in un interessantissimo articolo sull’argomento, di cui riporto un ampio stralcio.
LUMEN

 
<< Il debito pubblico è il debito che il settore pubblico di un paese contrae nei confronti di soggetti ad esso esterni (famiglie, imprese, istituzioni finanziarie). Lo stock di debito al quale si fa generalmente riferimento consiste di titoli a breve, medio e lungo termine, e non include invece altre forme di debito (ad es. i debiti verso fornitori).
L’emissione di debito pubblico ha lo scopo di procurare al settore pubblico mezzi di pagamento necessari a finanziare il deficit pubblico, e cioè l’eccesso di spesa pubblica (inclusi gli interessi sul debito) rispetto alle entrate dello stesso settore pubblico.

Circa il debito pubblico sono frequenti dei fraintendimenti relativi alla sua natura. Uno tra i più diffusi è quello per cui il debito pubblico costituirebbe un debito della nazione.
E invece il debito pubblico è un debito di una parte della collettività verso la restante parte della stessa collettività, per cui la nazione non è né più né meno indebitata per effetto dell’emissione di debito pubblico (il caso di debito pubblico detenuto da soggetti esteri, è un po’ più complicato ma non introduce differenze sostanziali).

Perciò l’analogia, talvolta evocata, tra il debito pubblico e il debito di una famiglia non è corretta: se l’analogia ammissibile sarebbe quella con il debito di un componente della famiglia verso un altro componente, ad es. del figlio verso il padre: è evidente che non avrebbe senso dire che la famiglia in quanto tale sarebbe indebitata.
Da ciò segue che per il settore privato i titoli del debito pubblico da esso posseduti formano parte della sua ricchezza.

La ricchezza del settore privato aggregato (incluse le istituzioni finanziarie) è infatti così composta (lasciando da parte i rapporti con l’estero): Capitale reale (immobili, attrezzature produttive) + Titoli del debito pubblico + Moneta.
Un più elevato stock di debito pubblico implica pertanto una maggiore dimensione della ricchezza privata costituita da titoli pubblici.

A parità di ogni altra condizione, pertanto, un maggiore ammontare di debito pubblico comporterebbe un maggiore ammontare di ricchezza complessiva per il settore privato. (…)
Un altro argomento spesso avanzato, e connesso a quello ora considerato, circa la natura del debito pubblico è che quest’ultimo costituirebbe un onere a carico delle future generazioni.

Sulla base del presupposto che il debito pubblico esistente debba prima o poi essere estinto, o quanto meno ridotto, si sostiene che le generazioni che verranno saranno tenute a pagare maggiori imposte (o usufruire di minori servizi pubblici), onde consentire allo Stato di accumulare gli avanzi di bilancio necessari appunto a rimborsare il suo debito.
Le imposte che ai ‘padri’ è stato consentito di non pagare, lasciando che si formasse debito pubblico, ricadrebbero quindi sulle spalle dei ‘figli’, costretti a sopportare un più elevato rapporto tra imposte e prestazioni pubbliche per saldare quanto i loro genitori hanno lasciato insoluto.

Questa tesi - una variante della quale è che grazie all’accumulo di debito pubblico le generazioni passate avrebbero vissuto ‘al di sopra dei propri mezzi’, compromettendo così il tenore di vita dei loro discendenti - attribuisce perciò alle misure fiscali volte alla riduzione del debito pubblico un carattere di equità intergenerazionale che dovrebbe renderle non resistibili agli occhi del pater familias.

L’analisi economica non ha individuato un limite alla dimensione del debito pubblico, oltre la quale la sua riduzione debba considerarsi necessaria.
Ma anche ammettendo che in futuro tale esigenza si ponga, e che a questo scopo le generazioni che verranno saranno chiamate a sostenere un più elevato rapporto tra imposte e servizi pubblici ricevuti, non è difficile vedere che nessun onere aggiuntivo graverebbe per questo su di esse.

La ragione di ciò sta, ancora, nella natura del debito pubblico quale componente della ricchezza del settore privato, e pertanto quale attività che le future generazioni riceveranno in eredità dalle generazioni precedenti.
Al maggior carico fiscale che graverà su di esse (posto che il debito pubblico debba essere ridotto) si accompagna infatti il lascito dei titoli rappresentativi del debito pubblico che verranno loro trasmessi: la situazione patrimoniale delle generazioni successive non sarà perciò né peggiorata, né migliorata, da un futuro rientro dal debito pubblico. (…)

Tra generazioni in quanto tali, dunque, nessuna redistribuzione di oneri ha luogo, in generale, per effetto della esistenza ed eventuale estinzione del debito pubblico.
Per configurare un gravame a carico delle generazioni successive è necessario adottare l’ipotesi particolare che i titoli del debito pubblico, anziché essere trasmessi per via ereditaria, siano venduti dalla generazione precedente a quella successiva, per la quale l’aumento del carico fiscale non sarebbe in tal caso compensato dalla gratuità della acquisizione dei titoli. (…)

In generale, però, nelle nostre società il trasferimento intergenerazionale della ricchezza ha luogo mediante il lascito ereditario; e, a ben riflettere, ciò non è un caso, perché l’istituto della successione ereditaria ha la precipua finalità della conservazione della distribuzione esistente della ricchezza tra famiglie e quindi, in ultima analisi, tra gruppi sociali.
Soltanto negando questa fondamentale circostanza istituzionale si potrebbe perciò supporre che la ricchezza del settore privato, e quindi la quota di essa costituita da titoli pubblici, si trasferisca da una generazione all’altra. (…)

A riprova, basti considerare che se, a partire da una elevata concentrazione della ricchezza, si immaginasse che i ‘giovani’ acquistino gli asset detenuti dagli ‘anziani’ potendo utilizzare esclusivamente redditi da lavoro, la vendita delle attività esistenti non potrebbe che essere frazionata tra un elevato numero di ‘giovani’.
La distribuzione della ricchezza si modificherebbe rapidamente in senso egualitario, e non sarebbe osservabile l’estrema (e crescente) disuguaglianza che invece contraddistingue le società reali.

Naturalmente quanto fin qui detto non significa negare gli effetti redistributivi di un aumento del carico fiscale diretto a ridurre il debito pubblico, poiché è evidente che i soggetti colpiti dal maggior prelievo non coincideranno con i soggetti che ereditano i titoli del debito pubblico.
Ma tale questione distributiva è tutta interna alla generazione in essere all’epoca in cui la manovra di rientro viene effettuata: le parti coinvolte sono da un lato i gruppi sociali chiamati a pagare maggiori imposte (o ricevere minori prestazioni pubbliche), e dall’altro i gruppi sociali la cui ricchezza comprende i titoli del debito.

Il problema si riduce perciò alla scelta di come ripartire il maggior carico fiscale sulla collettività: un problema intra-generazionale che è eminentemente politico e che si pone ogniqualvolta lo Stato si trovi a determinare la copertura della sua spesa.
E in quanto si tratta di un problema politico, esso è aperto a soluzioni diverse, a seconda delle quali diversi sono gli interessi che vengono privilegiati o, invece, sacrificati.

Ammantare il rientro dal debito della (falsa) veste della equità intergenerazionale è un modo (…) di nascondere il conflitto di interessi che l’operazione genera: l’appello alla innata cura per il benessere dei propri figli (…) cattura un generalizzato consenso che rende di fatto superfluo il dibattito politico circa le scelte da compiere.
Deve notarsi che, entro la questione distributiva posta dalla riduzione del debito pubblico, l’aspetto forse più acuto è costituito dal finanziamento degli interessi che lo Stato paga sul debito stesso.

E, a ben vedere, un trasferimento di reddito dai gruppi sociali tassati a quelli che percepiscono gli interessi si verifica anche per interventi che non mirino a ridurre il debito ma si limitino a costituire, nel bilancio dello Stato, un ‘avanzo primario’ (primario = al netto degli interessi), vale a dire ridurre il deficit ad un ammontare inferiore alla spesa per interessi, finanziando quindi con imposte una quota degli interessi stessi.

La specificità del problema distributivo che tale trasferimento alimenta è connesso alla natura degli interessi quale puro reddito dei percettori, che non risponde ad alcuna deliberata programmazione di utilità sociale come invece è, in linea di principio, per le altre categorie della spesa pubblica, e al fatto che quel reddito affluisce in proporzione maggiore alle categorie nelle quali si concentrano quote relativamente alte della ricchezza privata complessiva, e quindi anche di titoli pubblici.

In presenza di elevati livelli di debito pubblico, e perciò di flussi consistenti di interessi, la copertura con imposte di quote rilevanti di essi può allora produrre significativi effetti regressivi nella distribuzione dei redditi, con conseguenze negative sia sul piano economico che sul piano sociale.
Questo fenomeno, alla dimensione del quale concorrerebbe evidentemente l’altezza dei tassi d’interesse sul debito, e quindi il regime di politica monetaria operante, rappresenta il problema forse più serio che l’accumulazione di debito pubblico può generare, ove si proceda ad una eventuale riduzione o stabilizzazione del suo ammontare. >>

ROBERTO CICCONE


sabato 5 ottobre 2013

Idee poche, ma confuse

Io sono convinto che un Papa, per il ruolo che ricopre, non possa mai combinare qualcosa di utile. Però può fare dei danni.
Ed è questa la strada che, a mio avviso, ha intrapreso Papa Francesco, a partire dall’irresponsabile sceneggiata di qualche mese fa a Lampedusa, di cui l’Italia (e non solo) pagherà le conseguenze per molti anni a venire.
Molto critico con Papa Bergoglio è anche il prof. Pietro Melis, un sanguigno ex professore di filosofia, dal cui blog, previo leggero adattamento (vista la crudezza di alcune espressioni), sono tratte queste righe.
LUMEN


<< Si può cogliere una grande sciocchezza in ciò che ha detto il papa dicendo: "Ogni bambino non nato, ma condannato ingiustamente ad essere abortito, ha il volto del Signore, che prima ancora di nascere, e poi appena nato ha sperimentato il rifiuto del mondo. E ogni anziano, anche se infermo o alla fine dei suoi giorni, porta in sé il volto di Cristo. Non si possono scartare!".

Io mi domando: come è possibile che anche uno come il papa possa fare simili affermazioni senza vederne le conseguenze?
Se il papa è coerente con la sua fede nell'esistenza di Dio, deve ammettere anche che Dio è onnipotente e preveggente. Pertanto come è possibile riferirsi a tutti i bambini mai nati ? Come se la loro futura vita, se fossero nati, sarebbe stata comunque un guadagno per la Terra.

Trascuriamo pure (anche se non affatto trascurabile) il sovraffolamento della Terra (…). Se ogni bambino mai nato fosse un guadagno per la Terra allora sarebbero un guadagno per la Terra anche quei bambini che da adulti diventano dei criminali.
E come può un Dio trovare il suo volto anche in un bambino futuro criminale pur conoscendo, perché dotato di preveggenza, la sua vita futura ?

Ma trascuriamo anche la preveggenza. Tutti i criminali sono stati dei bambini. Non sarebbe stato meglio che questi criminali non fossero mai nati ? (…)
Non sarebbe stato forse meglio che Hitler non fosse mai nato ? Non sarebbe stato meglio che la madre lo avesse abortito ? (…) Eppure, come conseguenza della sciocchezza del papa, Dio avrebbe trovato il suo volto anche in quello del bambino Hitler. (…)

Lo stesso discorso deve essere fatto su Stalin. (…)
Ma la gente non si accorge di queste stupidaggini perché provengono dal papa. Il fatto è che non se ne accorgono nemmeno i non credenti, perché non ho mai letto una critica a questa sciocchezza.

Vi sarebbero poi altre considerazioni da fare sul senso della vita e sulla comunissima sciocchezza (comune ai non credenti) dell'espressione "il dono della vita". Anche qui siamo in presenza di una assoluta mancanza di senso logico. Infatti il dono implica un donatore e un ricevente.
Dove sta il ricevente ? Manca. (…) Il concepimento è il risultato di una tremenda selezione naturale tra milioni di spermatozoi. Sa forse Dio quale arriverà per primo a congiungersi con l'ovulo ? (…)
 
Quanto al senso della vita, qui il discorso è tragico. Nessuno ha chiesto di nascere per provenire dal nulla e finire...dove ?
Ecco la soluzione del credente: l'immortalità dell'anima. Ma io non riesco ad immaginarmi una vita, se pur beata, di puro spirito. (…) Un'eternità di noia. Tremendo.
Il filosofo Ludwig Buchner si domandò a questo proposito: è più angosciante il pensiero che dopo la morte vi è il nulla o non è ancor più angosciante il pensiero che dopo morti, divenendo immortali, non possiamo più morire ? Non so dare una risposta. (…)

E qui si innesta un'altra paradossale conseguenza della sciocchezza del papa, preceduto in ciò da Giovanni Paolo II, che nel documento Evangelium vitae, rivolgendosi alle donne che avevano abortito, scrisse che i loro mancati figli erano stati "accolti nella gloria di Dio" (testualmente).

Ma allora l'aborto diventa una fabbrica di anime beate.
Pensate che cosa sarebbe successo a Hitler se la madre lo avesse abortito: oggi sicuramente sarebbe in paradiso come anima beata, mentre è difficile pensare che lo sia diventato il 30 aprile 1945 quando si suicidò nel bunker di Berlino dopo avere causato tanto disastro.
Dunque perché condannare l'aborto se il feto abortito ha la sicurezza di diventare un'anima beata ? A che serve una vita di sia pur 100 anni di fronte ad una eternità beata ? (…)

Passo ad altro. Questo papa ha la capacità di scrivere e parlare dicendo nulla. (…) Gioca sulle emozioni della folla ma è privo di pensiero. (…)
Dovrebbe leggersi l'Epistola ai Romani di S. Paolo per capire che la fede (la grazia) è un dono di Dio perché l'iniziativa non è mai umana.
Dunque chi non ha avuto questo dono sia lasciato in pace. Ma, contraddittoriamente, S. Paolo andava a predicare.
A che serviva infatti convertirsi se già Dio, dice Paolo, ha stabilito da sempre chi si sarebbe salvato ? (…) Questa è la fondamentale contraddizione del cristianesimo. (…)

Il fatto è che anche i Vangeli sono pieni di contraddizioni. Da una parte dice Gesù: "non giudicate se non volete essere giudicati". Ma allora dobbiamo abolire i tribunali ?
Dall'altra dice: "chi non è con me è contro di me"; “chi non mi riconoscerà tra gli uomini io non lo riconoscerò presso il Padre”; “Chi crederà e sarà battezzato sarà salvo: chi invece non crederà, sarà condannato".
Frasi terribili che non lasciano speranza ai non credenti. (…)

Che si significa poi essere con Gesù ? Essere d'accordo su tutte le sue contraddizioni ?
A quelli che volevano lapidare la prostituta dice: chi è senza peccato scagli la prima pietra. Poi assolve la prostituta a condizione di non peccare più.
Ma agli apostoli che gli avevano domandato quante volte avessero dovuto perdonare risponde: 70 volte 7, per dire sempre.
Ma allora la prostituta avrebbe potuto continuare a fare il suo mestiere e continuare a pentirsi sin all'ultimo giorno ?

Discriminava i credenti dai non credenti ma poi aggiungeva di amare anche i nemici. Che razza di figlio di Dio era costui che navigava tra incredibili contraddizioni ? Che credibilità poteva avere ?
La prima condizione della credibilità che ognuno deve rispettare e che non cada in contraddizioni. Altrimenti è meglio che taccia per sempre.

Quanto agli omosessuali questo papa Francesco non ha detto alcunché di chiaro. Si è limitato a dire: chi sono io per poter giudicare ?
Ma in questo modo si è messo contro il non citato Catechismo della Chiesa che considera l'omosessualità una depravazione, una deviazione dalla natura.

Gesù, invece, su questo punto è stato chiaro. Solo rispetto a coloro che non si fossero convertiti i sodomiti avrebbero avuto una punizione inferiore.
Dice infatti (Matteo): "Se qualcuno poi non vi accoglierà e non darà ascolto alle vostre parole, uscite da quella casa o da quella città e scuotete la polvere dai vostri piedi. In verità vi dico, nel giorno del giudizio il paese di Sodoma e Gomorra avrà una sorte più sopportabile di quella città”.

E allora come la mettiamo con gli omosessuali?
D'altra parte, poiché omosessuali si nasce e non si diventa (come dimostrato scientificamente dal biologo francese Jean-Didier Vincent), dell'asserita depravazione dovrebbe essere responsabile Dio stesso, se egli è il creatore della natura, pur con tutte le sue imperfezioni, a cominciare dalle malattie genetiche del DNA, le cui imperfezioni sarebbero all'origine della stessa omosessualità. (…)

Le contraddizioni dei Vangeli si spiegano con il fatto che essi nascondono una verità storica (al di là delle favole raccontate dagli anonimi autori dei Vangeli, che non sono gli evangelisti). Gesù era a capo di una setta di rivoluzionari che si battevano per l'indipendenza della Palestina contro l'occupazione romana. (…)

Molti critici dicono che questo papa (…) sta rovinando la Chiesa, (…) aprendola a tutti (…) e rendendo così inutile l'appartenenza alla Chiesa stessa, se questa, a parole, è disposta ad accogliere tutti, credenti e non credenti, peccatori e non peccatori.
Ma che cosa voglia dire precisamente questo papa non si sa. Ha introdotto una tale confusione che il credente non sa più in che cosa si distingua dal non credente.

Non ha mai preso espressamente posizione contro, per esempio, la tradizionale condanna dell'uso del preservativo, dell'aborto, del divorzio, dell'omosessualità.
Se la cava dicendo che la Chiesa è madre di tutti, che Dio è misericordioso etc. Forse per questo, non volendosi porre al posto di Dio, ha detto: chi sono io per poter giudicare ?
Ma la Chiesa ha sempre giudicato. Anche con il Catechismo ultimo (1999). Allora questo papa sta dentro la Chiesa o ne sta fuori ? >>

PIETRO MELIS