mercoledì 28 dicembre 2016

Absit iniuria verbis

Libertà di satira e sentimento religioso in un articolo scritto da Paolo Flores d'Arcais nel 2015, dopo l’attentato contro Charlie Hebdo (traduzione dal francese dell’amico Sergio, che ringrazio). Lumen

 
<< La libertà deve essere fra uguali, altrimenti è un privilegio. La libertà deve trovare un limite insormontabile nella libertà uguale dell’altro. Una libertà assoluta è contraddittoria, essa esiste soltanto per colui che considera gli altri a lui soggetti. Ma dove porre i limiti di questa libertà uguale? Perché all’interno di questi limiti la libertà di ciascuno non potrebbe ammettere la minima restrizione senza essere interamente rimessa in gioco.

Papa Francesco (…) ha dichiarato: “Non si può provocare, non si può insultare la fede degli altri, non la si può ridicolizzare.” Parimenti Slimane Chikh, ex rettore dell’Università di Algeri e oggi rappresentante dell’OCI (Organizzazione della cooperazione islamica) a Ginevra: “Qualsiasi libertà deve fermarsi dove comincia la libertà di religione. Gli attacchi ripetuti di Charlie Hebdo contro l’islam sono delle provocazioni.”

Tariq Ramadam, considerato un islamico aperto e riformista, ha parlato di “umorismo dei vigliacchi” con i cadaveri ancora caldi (…). Infine, Tony Barber, redattore capo del Financial Times dichiara il giorno stesso dell’attentato: (…) non si può ammettere la libertà di farsi beffe di ciò che per altrui è sacro. Libertà di critica, d’accordo, libertà di offendere no.

Questa formula sta per diventare egemonica nelle nostre democrazie contemporanee nonostante (e contro) la volontà di milioni di francesi che sono sfilati al motto di “Je suis Charlie”. Questo apparente sillogismo cela un ragionamento fallace che calpesta la logica e mette in pericolo la democrazia. Perché è chiaro: chi deciderà se un’affermazione è semplicemente una critica e non un’offesa?

Wojtyla e Ratzinger si sono spinti più volte fino a rendere i Lumi responsabili dei totalitarismi del XX secolo in quanto volevano rendere l’uomo autonomo da Dio. C’è qualcosa di più fanatico che imputare la responsabilità dei lager e dei gulag a Voltaire e a Hume? Non è questo un insulto per noi tutti ? Si può concepire un oltraggio più grande di questo per la democrazia?

Per Tariq Ramadan “noi non possiamo immaginarci un progresso contro ciò che è stato rivelato”, la stessa cosa afferma Hani Ramadan. Inoltre molti credenti delle tre religioni del Libro (e di più ancora i loro preti, rabbini e imam) considerano gli atei come dei malati mentali o degli invalidi poiché senza fede: sono esistenzialmente atrofizzati perché incapaci di elevarsi al trascendente.

Io potrei essere indignato per le affermazioni dei papi e dei fratelli musulmani. Potrei sentirmi offeso per essere considerato un handicappato spirituale, esattamente come un credente potrebbe sentirsi offeso dalla mia sicura e incrollabile convinzione che tutte le religioni non sono nient’altro che un’accozzaglia di superstizioni.

Prendiamo l’eucaristia: che alcuni immaginino che un profeta ebreo giustiziato sotto l’imperatore Tiberio sia presente in carne e ossa in alcune cialde di pane distribuite ogni domenica durante la messa mi appare come un insulto alla ragione, più allucinante che credere agli oroscopi, alle congiunzioni astrali e alla stregoneria. E spesso ancora più pericoloso, come testimoniano i roghi degli eretici o le numerose notti di San Bartolomeo.

Se il criterio dell’offesa diventa il paradigma della libertà sarà allora la suscettibilità a dirimere. Ma la tua libertà ha un limite nella mia libertà, non nella mia suscettibilità che è per definizione soggettiva e varia da una persona all’altra. Sono libero di farmi beffe della tua religione perché le mie beffe non ti impediranno mai di praticarla, e tu sei libero di ridere delle mie convinzioni atee, ma non puoi impedirmi di dichiararle ad alta voce pretendendo che esse sono un’offesa alla tua sensibilità. Questa è la simmetria della libertà.

Se non fosse così ogni credente sarebbe titolare di un diritto di censura; di conseguenza i fondamentalismi di ogni confessione fisserebbero i limiti della libertà. Sembra un paradosso, ma non lo è affatto. Ragioniamo con calma. Se tu accetti che è proibito farsi beffe di ciò che ciascuno considera sacro allora ne consegue come corollario: quanto più grande è la sua fede, tanto più numerose saranno le espressioni e le azioni che per lui costituiscono non solo un’offesa, ma un sacrilegio.

Quanto più grande è la suscettibilità di un credente (che tocca il suo acme nel fanatismo), tanto più grande sarà il suo diritto di far tacere gli altri: è il risultato logico delle parole di papa Francesco che a tutta prima sembrano ragionevoli, ma anche grondanti tolleranza ecumenica (sono riprese continuamente da tutti i rabbini e gli imam).

Ma c’è di peggio: il criterio della suscettibilità, inerente alla categoria dell’offesa, crea un meccanismo sociale che incoraggia il rilancio: quanto più sono intollerante, tanto più ho diritto di farti tacere, per cui acquisisco sempre più potere allorché allento le redini della mia allergia alle offese, allergia che si trasformerà in risentimento, poi in rabbia, infine fanatismo. Le pulsioni di onnipotenza che sonnecchiano in ciascuno di noi rischiano così di risvegliarsi selvaggiamente.

Aggiungiamo ancora questo: se è giusto censurare ciò che offende le religioni, allora dovremo legiferare in funzione dell’ipersensibilità degli ebrei, dei cristiani, dei musulmani, ma anche dell’idiosincrasia dei testimoni di Geova, dei mormoni, degli adoratori di Manitù (sembra che gli Amerindi desiderino tornare alle origini), senza dimenticare gli scientologi ed altri ancora. Tutto ciò che agli occhi di questa o quella religione, di questa o quella credenza è considerato oggetto di fede sarà colpito da ostracismo.

Che cosa resterà della libertà di critica quando avremo abolito la libertà di offendere? Ogni pretesa di Verità avrà diritto di mettere la museruola a ciò che considera ingiuria. Ma per centinaia di milioni di persone furono sacri Stalin e Mao o anche la “supremazia della razza bianca” secondo il Ku Klux Klan: guai a criticarli ! La logica secondo cui “non si può offendere” è feroce. Una volta affermatasi non potremo premere il pulsante «on-off» a nostro piacere.

E infine: per le religioni non solo la satira è una provocazione, ma anche certe leggi democratiche. Infatti per centinaia di musulmani la legge francese che vieta il velo integrale in pubblico è risentita come offensiva, e milioni di cristiani in Occidente s’indignano delle leggi che permettono alle donne di abortire.

Negli Stati Uniti medici e infermieri che hanno applicato queste leggi sono stati assassinati (e molto probabilmente ne saranno uccisi altri). Dei fanatici? Senza dubbio. Ma erano cristiani che si sentivano mortalmente offesi dalla legge sull’aborto. In sintonia con i monarchi vaticani, Ratzinger e San Giovanni Paolo, che hanno condannato l’aborto come «genocidio dei nostri tempi» paragonando logicamente medici e infermieri che applicano la legge alle SS.

Ma Francesco non si è solo allineato a quanti vogliono proibire l’offesa alla religione degli altri. Ha meglio chiarito il suo pensiero aggiungendo: “Se qualcuno parla male di mia madre deve aspettarsi un pugno in faccia, è normale.” Normale, certo, per un mascalzone o uno di quei machos di una volta. Ma il pugno di Francesco si trasforma facilmente in un revolver in mano a un militante di Pro-Life o in un kalashnikov nelle mani di un islamico. Perché se è la suscettibilità a fissare i limiti della libertà, sarà ancora la suscettibilità a decidere della punizione.

Questa logica oscurantista rimette dunque alla discrezione del fanatico di decidere se il bestemmiatore si prenderà un pugno in faccia o subirà una migliaio di frustate, come il blogger saudita Raif Badawi o magari una mitragliata. In ogni caso il bestemmiatore se la sarà andata a cercare. Del resto questa è l’opinione maggioritaria in non poche scuole di periferia, come riportano degli insegnanti giustamente allarmati.

Ma torniamo alla libertà di espressione che – per essere libertà tra uguali – non può essere assoluta, come abbiamo visto. Ora poiché il razzismo rende impossibile concepire l’uguale dignità degli altri membri della specie «homo sapiens» non può essere ammesso nello spazio pubblico. Ma non dimentichiamo mai questa distinzione: l’antisemitismo è espressione di razzismo e deve essere vietato, la critica dell’ebraismo in quanto religione e l’antisionismo, critica di una politica, devono avere diritto di cittadinanza.

In secondo luogo: i fascismi, cioè quei regimi che in perfetta coerenza con la loro ideologia hanno fatto strame di tutte le libertà democratiche, non possono essere tollerati. Sarebbe assurdo – e persino masochistico - che, dopo aver vissuto la prova tragica del fascismo, corressimo il rischio che altre generazioni siano costrette a “dissotterrare dalla paglia fucili e mitraglie” per riconquistare la libertà al prezzo di sangue e sofferenze.

Conosciamo l’obiezione: e allora i comunisti ? Non sono contro la libertà ? Nell’URSS, in Cina ecc. è così: contraddicono con le loro azioni ciò che proclamano in teoria. Ma io non proclamo in generale “nessuna libertà per i nemici della libertà” (l’espressione è di Saint-Just!): su questa strada c’incammineremmo verso l’arbitrarietà.

Ma dico che è dovere dell’Europa di non dimenticare i morti e i calpestati dai fascismi, di impedire i brodi di cultura in cui possano svilupparsi di nuovo i virus dei fascismi. Ciò si può ottenere con leggi ad hoc e/o con un tabù morale e sociale molto più esteso e dunque più efficace.

Oltre questi interdetti ci sono le leggi ordinarie che puniscono la diffamazione personale (di cittadini reali, non di idee e articoli di fede) e l’incitazione all’assassinio, dunque il terrorismo omicida. Dire “Je suis Colibaly” il giorno dopo che un Coulibaly ha ucciso, è un’incitazione all’assassinio, non libertà d’espressione. È così difficile notare l’abisso di differenza?

Dunque diciamolo senza sfumature e in breve: tra la libertà dei Lumi proclamata dalla folla che gridava «Je suis Charlie» e la laicità «castrata» del papa, dei fratelli Ramadan e del Financial Times, l’Europa deve scegliere perché queste libertà sono inconciliabili. È uno choc delle culture che dobbiamo affrontare, unitamente alla lotta per l’uguaglianza materiale e sociale, con lo stesso impegno: una libertà che non si fondi sull’uguaglianza e la fraternità, non è una libertà repubblicana. > >

PAOLO FLORES D’ARCAIS


mercoledì 21 dicembre 2016

Pensierini – XXIX

SOTTOMISSIONE – 1
Nel suo famoso e discusso romanzo “Sottomissione”, Michel Houellebecq ipotizza che un partito musulmano riesca a raggiungere pacificamente il potere in una nazione occidentale, la Francia.
Si tratta di una conquista inizialmente ‘soft’, ottenuta grazie ad un leader molto moderato ed al raggiungimento della semplice maggioranza relativa.
Il ‘partito islamico’, però, sfruttando i punti di contatto e smussando quelli più controversi, riesce a costituire un governo di coalizione con la sinistra tradizionale ed ottiene non solo la carica di Presidente, ma anche alcuni ministeri chiave dal punto di vista culturale, come quello dell'istruzione e dell'università.
E questo gli consente, passo dopo passo, di estendere la propria influenza sull’intera società.
Ora, passando dalla fanta-politica alla realtà, mi pare che, al momento, in nessun paese occidentale esista un partito politico dichiaratamente islamico.
Forse, in futuro, potrebbe accadere, ma in tal caso mi viene difficile immaginare un suo ingresso al governo come partito di coalizione; anche se, quando si tratta di politica, non si può mai escludere nulla.
LUMEN


SOTTOMISSIONE – 2
Il romanzo di Houellebecq, pur avendo molte sfaccettature, è principalmente una metafora dell'adattamento delle elites ad una realtà ingiusta, ma conveniente.
Il protagonista, che è un professore universitario di letteratura, inizia infatti con un netto rifiuto del nuovo ordine sociale, per motivi genericamente ideologici, ma giunge poi lentamente ad una sostanziale accettazione, dopo aver compreso, dialogando con amici e colleghi, i notevoli vantaggi che il nuovo status può dargli.
Si accorge infatti che se è vero che la ‘sottomissione’ dei fedeli ad Allah si trasforma facilmente in ‘sottomissione sociale’, questo non vale per tutti.
Restano socialmente sottomessi i poveracci (a cui spetta al massimo un po' di carità) e soprattutto le donne (che hanno l'unico scopo di procreare), perchè quello è il loro ruolo prestabilito.
Le elites maschili, invece, dopo aver compiuto i loro doveri religiosi verso Allah, si possono godere i privilegi sociali in tutte le loro forme, compresa quella sessuale.
E questo dà alla società islamica una grande solidità.
LUMEN


AMICIZIA
Nel linguaggio comune siamo abituati ad usare i termini ‘amico’ e ‘conoscente’ come se fossero interscambiabili, ma ovviamente non è così.
Il vero amico, infatti, deve avere un rapporto speciale con noi, di sincera e profonda empatia.
Così, tanto per fare un esempio, se ci capita un evento positivo o fortunato, l’amico ne sarà sinceramente felice e farà festa con noi, mentre il semplice conoscente ne sarà indifferente, o addirittura invidioso e cercherà, magari, di sminuirla.
LUMEN


HUMOR NERO
E’ importante mantenere sempre la nostra freddezza, anche nei momenti più tristi della vita, e questa storiella lo dimostra.
Un ricco industriale, ormai in età avanzata, decise di lasciare tutto il suo patrimonio ai 3 nipoti, ma ad una condizione: prima della sepoltura, a conferma del proprio affetto, avrebbero dovuto depositare nella bara, una quota di 10.000 Euro ciascuno.
Giunto il triste giorno, il notaio si recò al funerale per accertarsi che venissero rispettate le disposizioni del defunto.
Arrivò il primo nipote il quale, dopo un momento di raccoglimento, depositò all'interno della bara un blocco di banconote per l'importo di 10.000 Euro.
Arrivò poi il secondo nipote che, dopo una breve preghiera, posò anch’esso nella bara una analogo pacchetto di 10.000 Euro.
Giunse infine il terzo nipote, il quale, dopo aver riflettuto per qualche minuto, infilò la mano nel taschino e ne tirò fuori il blocchetto degli assegni.
Quindi ne compilò uno per un importo di 30.000 Euro, lo depositò all'interno della bara, prelevò i 20.000 Euro lasciati dai 2 cugini e se ne andò tranquillamente.
LUMEN

 
GEOPOLITICA
L’ideologia, la parentela etnica, la lingua e la cultura sono i pilastri più importanti che sostengono una nazione, ma la sua vera base resta ancora la geografia.
Senza un certo grado di coerenza geografica, di risorse e di isolamento, è improbabile che un gruppo etnico abbia il tempo e lo spazio per forgiare una comune identità e darsi la forma organica di una nazione.
Così, dice Reva Goujon: << È per questa ragione che il nocciolo Han della Cina sopravvivrà al Partito Comunista, e che l’Iran dominato dalla Persia, protetto da una fortezza di montagne, resisterà e prevarrà sulla Repubblica Islamica. È per questa stessa ragione che una collezione di distinte nazioni europee non può essere infilata a forza, col calzascarpe, negli Stati Uniti d’Europa. >>
LUMEN


PRINCIPIO DI MAGGIORANZA
Dice il giornalista Alessandro Gilioli a proposito della 'Democrazia': << La questione non è di misurare gli errori dei popoli, (per vedere) se siano più o meno gravi rispetto a quelli delle loro élite, ma di accettare o respingere il principio filosofico su cui è nato l'Occidente moderno. >>
Ovvero, il principio secondo cui, conclude Gilioli  << non esiste più alcun criterio ontologico o religioso per la definizione di giusto o sbagliato, sicché l'unico criterio resta quello - relativista e altrettanto fallibile - del 50 per cento più uno, con tutte le garanzie possibili per il restante 49,9. >> 
Ed è questa, in fondo, la vera, grande rivoluzione della Democrazia.
LUMEN
 

mercoledì 14 dicembre 2016

L’altro Gesù – 6

Il Gesù alternativo di Baigent, Leigh e Lincoln, così come ricostruito nel famoso e controverso saggio “Il Santo Graal”. (Sesta parte). Lumen


Chi era Barabba?

<< Nei Vangeli c'è qualche indizio che Gesù avesse avuto figli? Non vi è nulla di esplicito. Ma era normale e doveroso che i rabbi avessero figli; e se Gesù era un rabbi, sarebbe stata una cosa molto insolita se non ne avesse avuti. Anzi, sarebbe stato insolito che non avesse figli, fosse un rabbi o no.

Certo, da soli questi argomenti non costituiscono una prova positiva. Ma c'è una prova più concreta e specifica. Consiste nello sfuggente personaggio che nei Vangeli figura come Barabba o, per essere più precisi, come Gesù Barabba. In una prima versione del Vangelo di Matteo viene identificato infatti con questo nome. Se non altro, la coincidenza è sorprendente.

I filologi moderni sono incerti circa la derivazione e il significato di « Barabba ». « Gesù Barabba » può essere una forma corrotta di « Gesù Berabbi ». « Berabbi » era un titolo riservato ai rabbi più stimati, e seguiva il loro nome proprio. « Gesù Berabbi » potrebbe perciò riferirsi allo stesso Gesù.

Alternativamente, « Gesù Barabba » poteva essere stato in origine « Gesù bar Rabbi »: « Gesù figlio del Rabbi ». Nei Vangeli nulla indica che il padre di Gesù fosse un rabbi. Ma se Gesù aveva un figlio che portava il suo stesso nome, quel figlio poteva essere « Gesù bar Rabbi ».

E c'è anche un'altra possibilità. « Gesù Barabba » potrebbe derivare da « Gesù bar Abba », e poiché in ebraico « Abba » significa « padre », « Barabba » significherebbe allora « figlio del padre »: una designazione priva di senso, a meno che il « padre » fosse qualcosa di eccezionale. Se il « padre » era veramente il « Padre Celeste », allora « Barabba » potrebbe ancora una volta riferirsi allo stesso Gesù. Invece, se il « padre » è Gesù, « Barabba » indicherebbe ancora una  volta suo figlio.

Quale che sia il significato e la derivazione del nome, il personaggio Barabba è estremamente curioso. E più si considera l'episodio che lo riguarda, e più diviene evidente che sta succedendo qualcosa di irregolare e che qualcuno sta cercando di nascondere una realtà. Innanzitutto il nome di Barabba, come quello della Maddalena, sembra aver subito una sistematica campagna diffamatoria.

Come la tradizione popolare fa della Maddalena una prostituta, così dipinge Barabba come un « ladrone ». Ma se Barabba era ciò che fa pensare il suo nome, non è molto probabile che fosse un comune ladro. Allora, perché insudiciare il suo nome? A meno che in realtà fosse qualcosa d'altro, qualcosa che i revisori dei Vangeli non volevano far sapere ai posteri.

A stretto rigore, i Vangeli non descrivono Barabba come un ladro. Secondo Marco e Luca, è un prigioniero politico, un ribelle accusato d'omicidio e di insurrezione. Nel Vangelo di Matteo, tuttavia, Barabba è descritto come « un prigioniero famoso ». E nel Quarto Vangelo, Barabba è chiamato (nell'originale greco) un lestes (Giovanni 18:40). La parola può essere tradotta come « ladro » o « bandito ».

Nel suo contesto storico, però, significava qualcosa di ben diverso. Lestes era infatti il termine abitualmente usato dai Romani per indicare gli zeloti, i rivoluzionari nazionalisti che da tempo fomentavano disordini. Poiché Marco e Luca dicono concordemente che Barabba è colpevole d'insurrezione, e poiché Matteo non contraddice questa affermazione, si può concludere con sicurezza che Barabba era uno zelota.

Ma queste non sono le sole notizie esistenti su Barabba. Secondo Luca, era stato coinvolto recentemente in « disordini » o in una « sedizione » avvenuta in città. La storia non parla di disordini accaduti a Gerusalemme in quel tempo. Ma i Vangeli sì.

Secondo i Vangeli, a Gerusalemme c'erano stati disordini solo pochi giorni prima: quando Gesù e i suoi seguaci avevano rovesciato i tavoli degli usurai nel Tempio. Barabba aveva partecipato all'episodio, e per questo era stato imprigionato? Senza dubbio sembra probabile. E in tal caso, la conclusione ovvia è una sola: Barabba faceva parte del seguito di Gesù.

Secondo gli studiosi moderni, l'usanza di liberare un prigioniero in occasione della Pasqua non esisteva. Ma, anche se fosse esistita, la preferenza accordata a Barabba rispetto a Gesù non avrebbe senso. Se Barabba era davvero un delinquente comune, colpevole di omicidio, perché il popolo decise di salvargli la vita? E se invece era uno zelota, un rivoluzionario, è poco verosimile che Pilato rilasciasse un personaggio potenzialmente tanto pericoloso, anziché un innocuo visionario che era dispostissimo, come dicono i Vangeli, a « dare a Cesare ciò che è di Cesare ».

Tra tutte le discrepanze, le improbabilità e le incongruenze contenute nei Vangeli, la scelta di Barabba è la più sorprendente e inspiegabile. Sembra evidente che debba esserci qualcosa, dietro a questa invenzione tanto goffa e sconcertante. Un autore moderno ha proposto una spiegazione affascinante e plausibile. Ipotizza che Barabba fosse il figlio di Gesù, e che Gesù fosse un re legittimo. In questo caso, la scelta di Barabba assumerebbe subito un senso.

Si immagini una popolazione oppressa, di fronte all'imminente eliminazione del suo capo spirituale e politico, quel Messia il cui avvento aveva destato tante speranze. In una situazione del genere, la dinastia non sarebbe stata più importante dell'individuo? La conservazione della stirpe non sarebbe stata l'aspirazione suprema, non avrebbe avuto precedenza su tutto? Un popolo, di fronte alla scelta terribile, non avrebbe preferito veder sacrificato il re perché suo figlio e la sua schiatta potessero sopravvivere? Se la schiatta fosse sopravvissuta, vi sarebbe stata almeno una speranza per il futuro.

Non è certo impossibile che Barabba fosse figlio di Gesù. In genere, si ritiene che Gesù fosse nato intorno all'anno 6 a.C. La Crocifissione avvenne non più tardi del 36 d.C, quando Gesù aveva, al massimo, quarantadue anni. Ma anche se ne avesse avuto soltanto trentatrè quando morì, poteva comunque aver generato un figlio.
 
Secondo le consuetudini del suo tempo, poteva essersi sposato a sedici o diciassette anni. Ma anche se si fosse sposato soltanto verso i vent'anni, avrebbe potuto comunque avere un figlio tredicenne che, secondo le usanze giudaiche, sarebbe stato considerato un uomo. E naturalmente, poteva avere anche altri figli. Questi figli potevano essere stati concepiti fino a pochi giorni prima della Crocifissione. > >

BAIGENT, LEIGH E LINCOLN

mercoledì 7 dicembre 2016

L’altro Gesù – 5

Il Gesù alternativo di Baigent, Leigh e Lincoln, così come ricostruito nel famoso e controverso saggio “Il Santo Graal”. (Quinta parte). Lumen


La Crocifissione 


  << Un capo spirituale, se ha un appoggio popolare sufficiente, può costituire una minaccia per un regime esistente. Ma un uomo sposato, con legittime pretese al trono, e figli destinati a formare una dinastia, rappresenta una minaccia decisamente ancora più grave.

C'è qualcosa, nei Vangeli, che indichi che Gesù venisse considerato dai Romani un pericolo di questo genere? Durante l'incontro con Pilato, Gesù viene chiamato più volte « Re dei Giudei ». Per ordine dello stesso Pilato, sulla croce viene affissa un'iscrizione con questo titolo.

Come sostiene S.G.F. Brandon dell'Università di Manchester, l'iscrizione affissa alla croce deve essere considerata autentica: uno dei particolari più autentici dell'intero Nuovo Testamento. Innanzitutto figura, virtualmente senza variazioni, in tutti i quattro Vangeli. In secondo luogo è un episodio troppo compromettente e imbarazzante perché l'abbiano inventato i revisori più tardi.

Nel Vangelo di Marco, Pilato, dopo aver interrogato Gesù, chiede ai dignitari: « Che farò dunque di quello che voi chiamate Re dei Giudei? » (Marco 15:12). Questo parrebbe indicare che almeno alcuni Giudei considerano veramente Gesù come il loro re.

Nel contempo, però, in tutti i quattro Vangeli anche Pilato accorda questo titolo a Gesù. Non c'è ragione di supporre che lo faccia per ironizzare o per deriderlo. Nel Quarto Vangelo insiste a farlo in tono serio, nonostante il coro di proteste.

Nei tre Vangeli Sinottici, inoltre, lo stesso Gesù ammette di rivendicare il titolo: « Allora Pilato prese a interrogarlo: "Sei tu il Re dei Giudei?" Ed egli rispose: "Tu lo dici" » (Marco 15:2). Nella traduzione, la risposta può suonare ambivalente - forse di proposito. Nel testo originale greco, però, il suo significato è inequivocabile. Può essere interpretata solo come « Tu hai parlato giustamente ». E la frase è interpretata nello stesso modo ogni volta che appare altrove nella Bibbia.

I Vangeli furono composti durante e dopo l'insurrezione del 68-74 d.C, quando il giudaismo aveva finito di esistere come una forza sociale, politica e militare organizzata. E soprattutto, i Vangeli furono composti per un pubblico greco-romano, e dovevano risultare accettabili. Roma aveva appena finito di combattere contro gli Ebrei una guerra feroce e dispendiosa. Quindi era del tutto naturale presentare i Giudei come malvagi.

Inoltre, dopo la rivolta giudaica, Gesù non poteva venire dipinto come un personaggio politico, legato in un modo o nell'altro alle inquietudini che sfociarono nella guerra.

Infine, la parte avuta dai Romani nel processo e nell'esecuzione di Gesù doveva essere riveduta e corretta e presentata nel miglior modo possibile. Perciò nei Vangeli Pilato figura come un uomo onesto, serio e tollerante, che consente con grande riluttanza alla Crocifissione.

Ma nonostante questa libertà che gli evangelisti si presero con la storia, si può ricostruire quale fu la vera posizione di Roma nella vicenda. Secondo i Vangeli, Gesù viene inizialmente condannato dal sinedrio, il consiglio degli anziani giudei, i quali lo portano davanti a Pilato e chiedono al governatore di pronunciarsi contro di lui. Da un punto di vista storico, questo non ha senso.

Nei tre Vangeli Sinottici, Gesù viene arrestato e condannato dal sinedrio la notte di Pasqua. Ma secondo la legge giudaica, il sinedrio non poteva riunirsi per Pasqua. Nei Vangeli l'arresto di Gesù e il suo processo davanti al sinedrio hanno luogo di notte. Secondo la legge giudaica, il sinedrio non poteva riunirsi di notte, in case private o in qualunque luogo che non fosse all'interno del recinto del Tempio.

Nei Vangeli, il sinedrio sembra non avere l'autorità di pronunciare una condanna a morte e sarebbe per questa ragione che Gesù viene condotto davanti a Pilato. Ma il sinedrio aveva l'autorità di emettere condanne a morte: per lapidazione, se non per crocifissione. Perciò, se il sinedrio avesse voluto eliminare Gesù, avrebbe avuto l'autorità di condannarlo alla lapidazione. L'intervento di Pilato non sarebbe stato necessario.

Gli autori dei Vangeli compiono altri numerosi tentativi per scagionare Roma da ogni responsabilità.

Uno è rappresentato dall'offerta di grazia fatta da Pilato, il quale si dichiara disposto a liberare un prigioniero a scelta della folla. Secondo i Vangeli di Marco e Matteo, questa era « un'usanza della festa di Pasqua ». In realtà, tale consuetudine non esisteva. Gli autori moderni concordano che i Romani non adottarono mai tale politica, e che l'offerta di liberare Gesù o Barabba è un'invenzione.

Anche la riluttanza di Pilato di fronte alla prospettiva di condannare Gesù, e la sua irritata rassegnazione alla pressione della folla sembrano altrettanto fittizie. In realtà, sarebbe stato impensabile che un governatore romano, per giunta implacabile come Pilato, si piegasse al volere della folla. 

 Lo scopo di queste alterazioni è piuttosto chiaro: scagionare i Romani, attribuire tutta la colpa agli Ebrei e rendere così Gesù accettabile a un pubblico romano.

È possibile, naturalmente, che non tutti i Giudei fossero innocenti [in questa vicenda]. Anche se l'amministrazione romana aveva paura di un re-sacerdote pretendente al trono, non poteva compiere apertamente atti provocatori che avrebbero portato torse a una rivolta. Senza dubbio, a Roma avrebbe fatto comodo che il re-sacerdote venisse tradito ufficialmente dal suo popolo. È quindi concepibile che i Romani si servissero di certi Sadducei come agenti provocatori.

Ma anche così, rimane il fatto incontrovertibile che Gesù fu vittima di un'amministrazione romana, di un tribunale romano, di una condanna romana, dei militari romani e di un'esecuzione romana: un'esecuzione la cui forma era riservata esclusivamente ai nemici di Roma. Gesù non fu crocifìsso per le sue colpe nei confronti del giudaismo, ma per le colpe nei confronti dell'impero. >>

BAIGENT, LEIGH E LINCOLN