sabato 25 luglio 2015

I giganti della fede – Don Abbondio

Dice la Chiesa che le vie della fede sono infinite, così come le strade per raggiungere la salvezza. 
Ma, tra i tanti percorsi, non va dimenticato quello, molto pragmatico, del buon Don Abbondio, l’immortale personaggio creato da Alessandro Manzoni, la cui scelta di vita, secondo me, ha guidato nei secoli tanti altri uomini di chiesa.
Ma ecco il ritratto psicologico di Don Abbondio, come ci viene acutamente descritto dal Manzoni nel 1° capitolo dei “Promessi Sposi”. Buona lettura. 
LUMEN


<< Don Abbondio (il lettore se n’è già avveduto) non era nato con un cuor di leone. Ma, fin da’ primi suoi anni, aveva dovuto comprendere che la peggior condizione, a que’ tempi, era quella d’un animale senza artigli e senza zanne, e che pure non si sentisse inclinazione d’esser divorato. La forza legale non proteggeva in alcun conto l’uomo tranquillo, inoffensivo, e che non avesse altri mezzi di far paura altrui.
 
Non già che mancassero leggi e pene contro le violenze private. Le leggi anzi diluviavano; i delitti erano enumerati, e particolareggiati, con minuta prolissità; le pene, pazzamente esorbitanti e, se non basta, aumentabili, quasi per ogni caso, ad arbitrio del legislatore stesso e di cento esecutori; le procedure, studiate soltanto a liberare il giudice da ogni cosa che potesse essergli d’impedimento a proferire una condanna: gli squarci che abbiam riportati delle gride contro i bravi, ne sono un piccolo, ma fedel saggio.
 
Con tutto ciò, anzi in gran parte a cagion di ciò, quelle gride, ripubblicate e rinforzate di governo in governo, non servivano ad altro che ad attestare ampollosamente l’impotenza de’ loro autori; o, se producevan qualche effetto immediato, era principalmente d’aggiunger molte vessazioni a quelle che i pacifici e i deboli già soffrivano da’ perturbatori, e d’accrescer le violenze e l’astuzia di questi.
 
L’impunità era organizzata, e aveva radici che le gride non toccavano, o non potevano smovere. Tali eran gli asili, tali i privilegi d’alcune classi, in parte riconosciuti dalla forza legale, in parte tollerati con astioso silenzio, o impugnati con vane proteste, ma sostenuti in fatto e difesi da quelle classi, con attività d’interesse, e con gelosia di puntiglio. (…)
 
L’uomo che vuole offendere, o che teme, ogni momento, d’essere offeso, cerca naturalmente alleati e compagni. Quindi era, in que’ tempi, portata al massimo punto la tendenza degl’individui a tenersi collegati in classi, a formarne delle nuove, e a procurare ognuno la maggior potenza di quella a cui apparteneva. Il clero vegliava a sostenere e ad estendere le sue immunità, la nobiltà i suoi privilegi, il militare le sue esenzioni. I mercanti, gli artigiani erano arrolati in maestranze e in confraternite, i giurisperiti formavano una lega, i medici stessi una corporazione.
 
Ognuna di queste piccole oligarchie aveva una sua forza speciale e propria; in ognuna l’individuo trovava il vantaggio d’impiegar per sé, a proporzione della sua autorità e della sua destrezza, le forze riunite di molti. I più onesti si valevan di questo vantaggio a difesa soltanto; gli astuti e i facinorosi ne approfittavano, per condurre a termine ribalderie, alle quali i loro mezzi personali non sarebber bastati, e per assicurarsene l’impunità.
 
Le forze però di queste varie leghe eran molto disuguali; e, nelle campagne principalmente, il nobile dovizioso e violento, con intorno uno stuolo di bravi, e una popolazione di contadini avvezzi, per tradizione famigliare, e interessati o forzati a riguardarsi quasi come sudditi e soldati del padrone, esercitava un potere, a cui difficilmente nessun’altra frazione di lega avrebbe ivi potuto resistere.
 
Il nostro Abbondio non nobile, non ricco, coraggioso ancor meno, s’era dunque accorto, prima quasi di toccar gli anni della discrezione, d’essere, in quella società, come un vaso di terra cotta, costretto a viaggiare in compagnia di molti vasi di ferro. Aveva quindi, assai di buon grado, ubbidito ai parenti, che lo vollero prete.
 
Per dir la verità, non aveva gran fatto pensato agli obblighi e ai nobili fini del ministero al quale si dedicava: procacciarsi di che vivere con qualche agio, e mettersi in una classe riverita e forte, gli eran sembrate due ragioni più che sufficienti per una tale scelta. Ma una classe qualunque non protegge un individuo, non lo assicura, che fino a un certo segno: nessuna lo dispensa dal farsi un suo sistema particolare.
 
Don Abbondio, assorbito continuamente ne’ pensieri della propria quiete, non si curava di que’ vantaggi, per ottenere i quali facesse bisogno d’adoperarsi molto, o d’arrischiarsi un poco. Il suo sistema consisteva principalmente nello scansar tutti i contrasti, e nel cedere, in quelli che non poteva scansare. Neutralità disarmata in tutte le guerre che scoppiavano intorno a lui, dalle contese, allora frequentissime, tra il clero e le podestà laiche, tra il militare e il civile, tra nobili e nobili, fino alle questioni tra due contadini, nate da una parola, e decise coi pugni, o con le coltellate.
 
Se si trovava assolutamente costretto a prender parte tra due contendenti, stava col più forte, sempre però alla retroguardia, e procurando di far vedere all’altro ch’egli non gli era volontariamente nemico: pareva che gli dicesse: ma perché non avete saputo esser voi il più forte? ch’io mi sarei messo dalla vostra parte.
 
Stando alla larga da’ prepotenti, dissimulando le loro soverchierie passeggiere e capricciose, corrispondendo con sommissioni a quelle che venissero da un’intenzione più seria e più meditata, costringendo, a forza d’inchini e di rispetto gioviale, anche i più burberi e sdegnosi, a fargli un sorriso, quando gl’incontrava per la strada, il pover’uomo era riuscito a passare i sessant’anni, senza gran burrasche.
 
Non è però che non avesse anche lui il suo po’ di fiele in corpo; e quel continuo esercitar la pazienza, quel dar così spesso ragione agli altri, que’ tanti bocconi amari inghiottiti in silenzio, glielo avevano esacerbato a segno che, se non avesse, di tanto in tanto, potuto dargli un po’ di sfogo, la sua salute n’avrebbe certamente sofferto. Ma siccome v’eran poi finalmente al mondo, e vicino a lui, persone ch’egli conosceva ben bene per incapaci di far male, così poteva con quelle sfogare qualche volta il mal umore lungamente represso, e cavarsi anche lui la voglia d’essere un po’ fantastico, e di gridare a torto.
 
Era poi un rigido censore degli uomini che non si regolavan come lui, quando però la censura potesse esercitarsi senza alcuno, anche lontano, pericolo. Il battuto era almeno un imprudente; l’ammazzato era sempre stato un uomo torbido. A chi, messosi a sostener le sue ragioni contro un potente, rimaneva col capo rotto, don Abbondio sapeva trovar sempre qualche torto; cosa non difficile, perchè la ragione e il torto non si dividon mai con un taglio così netto, che ogni parte abbia soltanto dell’una o dell’altro.
 
Sopra tutto poi, declamava contro que’ suoi confratelli che, a loro rischio, prendevan le parti d’un debole oppresso, contro un soverchiatore potente. Questo chiamava un comprarsi gl’impicci a contanti, un voler raddirizzar le gambe ai cani; diceva anche severamente, ch’era un mischiarsi nelle cose profane, a danno della dignità del sacro ministero.
 
E contro questi predicava, sempre però a quattr’occhi, o in un piccolissimo crocchio, con tanto più di veemenza, quanto più essi eran conosciuti per alieni dal risentirsi, in cosa che li toccasse personalmente. Aveva poi una sua sentenza prediletta, con la quale sigillava sempre i discorsi su queste materie: che a un galantuomo, il qual badi a sè, e stia ne’ suoi panni, non accadon mai brutti incontri. >>
 
ALESSANDRO MANZONI

11 commenti:

  1. Don Abbondio è una macchietta, una caricatura di prete, e ciò ha dato fastidio ai cattolici del tempo di Manzoni. Difficile pensare che don Abbondio avesse la "vocazione". O se ce l'aveva, a un posto tranquillo e sicuro. Che era poi la sistemazione di tanti ragazzi di famiglie numerose nelle campagne.
    Ma don Abbondio non è anche un po' simpatico? È così vigliacco e pauroso che fa quasi tenerezza. Non ha poi nemmeno tutti i torti: "Uno il coraggio non se lo può dare." E lui appunto non era un leone. Comunque mi è più simpatico dell'untuoso cardinale che tocca il cuore dell'Innominato (antipatici l'uno e l'altro).
    Ma c'è anche chi vede in don Abbondio un autentico criminale, un essere meschino, abbietto, deciso a calpestare i diritti per quieto vivere. È la tesi di Aldo Spranzi, che non è un critico letterario, nel suo "Anticritica dei Promessi Sposi", un librone di fittissime 1200 pagine, in cui sostiene che A. Manzoni era un cuore arido e ateo e che il fulcro del libro è l'episodio della monaca di Monza. Di questo libro però nessuno parla, non ha sfondato.

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    1. Caro Sergio, don Abbondio è un personaggio che io amo molto, tanto vero da essere forse uno dei più riusciti della nostra letteratura.
      Non è un eroe, certamente, e nemmeno un anti-eroe, come oggi va di moda; è semplicemente un pover'uomo, un debole alle prese con cose più grosse di lui.
      Ma in fondo è solo un uomo semplice, come tanti, con tutti i suoi difetti e i suoi limiti.
      E quando alla fine si prende la famosa lavata di capo dal grande cardinale - il sant'uomo tutto d'un pezzo - ebbene, io mi sento sempre, irresistibilmente, dalla parte del povero Abbondio.

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  2. (continuazione)

    «L'altro Manzoni. Indagini su un delitto perfetto che attendeva di essere scoperto»
    by Aldo Spranzi
    pubblicato da Ares

    Presentazione nel catalogo BOL

    "Alessandro Manzoni, quello tramandato dai rituali della cultura letteraria, ha un sosia rimasto finora sconosciuto. Il Manzoni ufficiale è una controfigura deputata a nascondere il Manzoni vero, che ha sotterrato ne I Promessi Sposi, sotto le apparenze di un cattolicissimo romanzo, una vicenda tutta diversa che - come aveva sospettato il mondo cattolico dell'800 - è pervasa da un micidiale nichilismo anticristiano. L'incontro con il vero Manzoni e con il romanzo nascosto è per l'uomo moderno portatore di una sfida conturbante e affascinante."

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  3. (continuazione)

    "Il segreto di Alessandro Manzoni"
    di Aldo Spranzi

    "Aldo Spranzi presenta con questo libro una rivisitazione della biografia manzoniana. La tesi sostenuta è che Manzoni abbia finto per tutta la vita una fede che non aveva per coprire la finzione che domina il romanzo, apparente apologia della religione cattolica, di fatto opera pervasa da un radicale nichilismo anticristiano. I sospetti di insincerità religiosa del Manzoni sono sempre esistiti ed è noto l'atteggimento di estremo sospetto che serpeggiava nel secolo scorso nel mondo cattolico. Ciò che ha impedito a questi sospetti di avere un esito e mettere in discussione il mito del Manzoni cattolico è stata l'imperscrutabilità del movente: perché avrebbe mentito per tutta la vita?"

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  4. Caro Sergio, una tesi intrigante quella di Spranzi.
    In effetti, anche se il romanzo sembra l'apoteosi della divina provvidenza, che domina la storia dall'inizio alla fine, in realtà non rinuncia a mettere in berlina anche alcuni personaggi del clero (non solo Don Abbondio e la monaca di Monza, ma anche per esempio il Padre provinciale).
    Resta però la domanda finale sul "perché (Manzoni) avrebbe mentito per tutta la vita?" alla quale non è proprio facile dare risposta.

    Forse il nostro ha inserito certi personaggi religiosi negativi per fare meglio risaltare quelli positivi.
    O forse semplicemente, da grande scrittore quale era, la sua fede nella Chiesa non gli impediva di vedere - e di raccontare - le tante miserie che trovava intorno a lui.
    Credo che non lo sapremo mai.

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    1. "Credo che non lo sapremo mai.*

      Appunto no: Spranzi crede di aver risolto l'enigma. Ma non ho letto queste opere di Spranzi su Manzoni (tre pubblicazioni). Sinceramente debbo dire che la tesi di Spranzi mi sembra osata, non credibile, per quanto l'uomo Manzoni - come lo conosco, soprattutto dalla bellissima biografia di Natlia Ginzburg, "La famiglia Manzoni" - presenta ombre (il suo distacco per esempio dai figli, ben otto).
      Sui personaggi debbo dire che don Abbondio è sì simpatico, ma troppo caricaturale. Ma un po' tutti i personaggi non sono particolarmente attraenti o interessanti (uno sciocco Renzo, una santarellina Lucia, insopportabili fra' Cristoforo e il cardinale, ambiguo e non convincente l'Innominato - su tutti campeggia invece la monaca, una figura tragica e vera).
      Nell'appendice del romanzo, "Storia della colonna infame", Manzoni quasi bestemmia dicendo: viene da negare o dubitare della Divina Provvidenza (pensando ai giudici infami che torturano e condannarono a morte i poveri "untori"). Ma gran parte della storia umana è un'infamia, un orrore. Ma quale Divina Provvidenza del cavolo. Ha diretto anche l'onda anomale che uccise in un colpo 250'000 persone in Tailandia?

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  5. << Ma quale Divina Provvidenza del cavolo. Ha diretto anche l'onda anomale che uccise in un colpo 250'000 persone in Tailandia? >>

    Questo il Manzoni non poteva saperlo.
    Però, a leggere il suo romanzo con un pizzico di malizia, sembra quasi che sia stata la Provvidenza a mandare il flagello della "peste", allo scopo ultimo - incurante dei tanti e tanti morti innocenti - di far fuori Don Rodrigo e consentire ai due promessi di diventare sposi.
    Mah...

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    1. "... a leggere il suo romanzo con un pizzico di malizia ..."

      Credo che per un italiano sia semplicemente impossibile (il romanzo all'estero non lo legge nessuno). E l'hanno apprezzato e apprezzano anche fior di atei o agnostici (fra i contemporanei Croce, Sciascia, Eco e - si parva licet - il sottoscritto). Come si spiega? Mah, penso che siamo plagiati: dalla scuola, dalla Chiesa, dall'aria che si respira in Italia, ma l'opera ha certamente dei pregi letterari, e non solo. Io intendo farne una rilettura (che sarà appena la quarta o quinta, mentre Fraizzoli - l'ex presidente della grande Inter - se l'è riletto una trentina di volte - un grande tifoso di Manzoni oltre che della sua squadra: che strano connubio, calcio e Promessi Sposi!).
      Ma credo che siamo a una svolta (storica, economica, religiosa, antropologica, scientifica, filosofica): tutto trama contro i Promessi Sposi (non basteranno più i famosi attacchi: "Quel ramo del lago di Como*, "Addio, monti sorgenti dall'acqua ed elevati al cielo" ecc.
      Che gliene può fregare agli invasori di Dante e Manzoni, ma anche ai digital natives? Nemmeno più la Chiesa parla della Divina Provvidenza, un argomento che evidentemente non tira più, è solo un modo di dire arcaico, obsoleto. Dunque Manzoni ha ormai gli anni contati.

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  6. << Dunque Manzoni ha ormai gli anni contati. >>

    Ma no. Al massimo i decenni...

    Comunque non sapevo che all'estero l'opera sia poco conosciuta e mi sorprende.
    Forse il Manzoni è troppo "italiano" nella sua ricostruzione storica.
    Però, e lo dico da ateo, il romanzo mi sembra comunque notevole sotto vari aspetti, non ultimo per l'approfondimento psicologico dei personaggi (che sono tanti e tutti abbastanza riusciti) che è degno di un grande scrittore.

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    1. Ci sarà pure una valida ragione perché nessuno all'estero se lo fili, nonostante la pubblicità fattagli da Goethe a cui Manzoni aveva inviato una copia (la Ventisettana, del 1827, dunque non ancora la versione definitiva, la Quarantana). Goethe ne fu dapprima entusiasta, poi dopo una decina di giorni rivide il suo giudizio per l'episodio lunghissimo della peste che proprio non gli garbava (a Goethe le cose oscure e deprimenti, morte compresa, non piacevano: lasciò morire la moglie nella sua residenza senza portarle conforto, non sopportava il suo strazio - era malata di uremia). Ad Assisi ammirò il tempio di Minerva, ma si sentì molto a disagio nella chiesa inferiore di San Francesco - troppe tenebre e forse cattiva aria).
      Ma tornando al Manzoni: perché si leggono ancora tutti i russi dell'Ottocento e Manzoni invece no? Diceva Moravia che Manzoni è un grande scrittore ma non un grande romanziere. Scrive bene cioè, ma non è uno scrittore moderno, manca il sesso. Ovviamente non condivido il giudizio di Moravia. Che significa un grande scrittore? Che scrive bene? E chi se ne frega se poi è noioso! Un grande scrittore è tale se non solo scrive bene (?), ma entusiasma: dunque contano anche i contenuti, non solo la forma (anzi per me conta più il contenuto). E Manzoni è vecchio quanto a contenuti, troppo edificante e persino untuoso. Ma è una storia d'amore quella di Renzo e Lucia? Ma andiamo. La storia d'amore, per quanto torbida (e perciò attraente!) è quella della monaca. Che non per caso nella prima stesura, "Fermo e Lucia", occupava molto più spazio. Sono i manigoldi i personaggi più veri (monaca, don Rodrigo, Griso, don Abbondio - sì, pure costui almeno secondo Spranzi).
      Il popolo italico dello smartphone e ormai meticciato rifiuterà presto questo romanzo edificante e untuoso (diciamo fra dieci anni). Io lo leggerò di nuovo, ma sono ormai fuori concorso.

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    2. Caro Sergio, mi pare ovvio che I Promessi Sposi siano tutto meno che una storia d'amore.
      Quindi la faccenda del sesso (che manca) mi pare ridicola.

      Però forse l'affermazione che << Manzoni è un grande scrittore ma non un grande romanziere >> potrebbe avere una sua validità, in quanto i ritmi della narrazione non mi sembrano sempre ottimali, con alcuni passaggi davvero troppo lunghi (Goethe dixit).
      Ma qui, forse, siamo nelle opinioni personali.

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