domenica 28 maggio 2023

Pensieri Bipedi

Alcune interessanti riflessioni di Marco Pierfranceschi – di carattere sociale ed antropologico – tratte dal suo blog Mammifero Bipede. Buona lettura.
LUMEN

 

 << CONSUMI IRRAZIONALI
Un incremento della disponibilità di risorse, indotto da nuove modalità di sfruttamento, finisce inevitabilmente per produrre una cultura socialmente condivisa votata all’aumento dei consumi (come è l’attuale) e la collettività, tenuta unita da questa convinzione, alimenterà tale processo fino all’esaurimento delle risorse disponibili.
Ciò è determinato dal fatto che i soggetti responsabili dell’incremento dei consumi ricavano da questo processo il potere economico necessario ad alimentare narrazioni collettive favorevoli al processo stesso.
Il progressivo esaurimento comprenderà anche le risorse potenzialmente rinnovabili, come quelle derivanti dai processi biologici, che in seguito all’aumento della popolazione verranno sottoposte ad uno stress eccessivo, finendo col perdere la capacità di auto-rigenerarsi. (...)
Qualunque appello alla razionalità collettiva, qualunque speranza di ravvedimento, non possono che cadere nel vuoto.
Le dinamiche relazionali umane danno luogo a processi marcatamente irrazionali, capaci di metabolizzare e sfruttare le funzioni cognitive superiori, ovvero la capacità di analisi logica e razionale, alterando e distorcendo la percezione collettiva delle conseguenze ultime dei processi in atto in modo da eliminare ogni possibile freno inibitorio.


L'EVOLUZIONE DELL'UOMO
L’inurbazione, l’abitudine a far parte di contesti sociali sempre più estesi, la riduzione della pressione selettiva dell’ambiente naturale, per quanto percepiti individualmente come vantaggi, stanno potenzialmente selezionando varietà umane adattate ad habitat artificiali.
Come per certe razze animali d’allevamento che, in seguito a selezioni ed incroci, hanno maturato caratteristiche che le rendono inadatte a sopravvivere in un ambiente naturale, anche per i nostri discendenti potrebbe materializzarsi uno scenario analogo, avendo perso, nella lunga strada dell’evoluzione sociale, sia le caratteristiche fisiche che i saperi necessari a sopravvivere in assenza di un contesto civilizzato.
L’esplosione di ‘diversità’ che emerge come conseguenza della sovrappopolazione, della produzione industriale di alimenti e della capacità di curare un ampio ventaglio di malattie e problemi fisici, se giova momentaneamente sia ai singoli che all’efficienza della collettività nel suo complesso, sul lungo termine finisce col danneggiare gli individui che, generazione dopo generazione, sperimentano una sempre più marcata inadeguatezza fisica ed alienazione dalla realtà che ne ha primariamente modellato l’anatomia e le reazioni psicologiche.
È questo il rovescio della medaglia del ‘Paese dei Balocchi’ che l’ideologia dei consumi ci ha costruito intorno.


IL TEATRINO DELLA POLITICA
Il quadro attuale [della società] vede il trionfo di un’Ideologia produttivo/mercantile, che proietta il proprio potere nel controllo dei mezzi di comunicazione di massa, giornali e televisione, e contemporaneamente genera un abbondante rumore di fondo attraverso l’intrattenimento e i social networks, riuscendo oltretutto ad arricchirsi dalla fruizione di tutte queste modalità informative.
Il controllo sociale si avvale di un ulteriore Processo di Inganno, che prende il nome di Politica.
Mentre il popolo viene governato dagli apparati burocratici e ministeriali, economicamente e culturalmente controllati dal mondo produttivo, la classe politica inscena un teatro ideologico permanente, deviando l’attenzione della popolazione su questioni volutamente ambigue come i ‘diritti civili’, la ‘sovranità’ o le ‘identità nazionali’.


IL 'SAPERE' COMPLICATO
Per stabilizzare la posizione di vantaggio dei detentori di sapere irrazionale è necessario che il sapere stesso sia sufficientemente vasto ed articolato da non poter essere acquisito in tempi brevi e con un minimo sforzo.
Non è sufficiente, per dire, che la collettività creda ad una divinità cui ci si possa rivolgere direttamente ed in termini semplici e diretti.
È necessario invece che i riti siano complessi, che la volontà della divinità sia volubile e difficilmente interpretabile, che siano richiesti sacrifici personali per guadagnarne la benevolenza, che tutto sia, in ultima istanza, complicato ed arbitrario.


ESIBIRE LA RICCHEZZA
Come i singoli individui comunicano esibendo la ricchezza conseguita grazie alle proprie convinzioni, parimenti agiscono le culture.
Le culture religiose innalzano templi e vestono i propri sacerdoti di tessuti preziosi, le culture militari innalzano edifici, colonne ed archi di trionfo per mostrare la propria potenza, le culture mercantili erigono mercati coperti e centri commerciali, con la doppia funzione di attirare gli acquirenti e mostrare la propria opulenza.
Ogni esibizione pubblica (mostre, saloni, raduni, sfilate) ha la specifica funzione di convincere la parte di popolazione più suggestionabile dei vantaggi generati da una specifica cultura motivazionale. >>


MARCO PIERFRANCESCHI

lunedì 22 maggio 2023

Il picco nascosto del Petrolio

Le civiltà umane sono sempre state interconnesse con i flussi energetici del tempo e fortemente condizionate dall'energia disponibile.
Nella società moderna i flussi energetici si sono moltiplicati a dismisura, ma il condizionamento relativo non è certo venuto meno, anzi.
Al declino del petrolio facile ed alla ricerca affannosa delle soluzioni sostitutive (accompagnate, magari, da un po' di negazionismo consolatorio), è dedicato il post di oggi, scritto da Igor Giussani per il sito 'Apocalottimismo'.
LUMEN


<<Si è oramai chiusa la stagione del petrolio a basso costo, che aveva alimentato i ‘trenta gloriosi’ del boom economico [anni 1945-1975], coniugando le esigenze di produttori e consumatori. La reazione statunitense e occidentale al nuovo corso si traduce in tre azioni significative:

= usare massicciamente carbone e gas per sostituire il petrolio nell’unico campo in cui possono rimpiazzarlo egregiamente, ossia la generazione di elettricità;
= intensificare lo sfruttamento di riserve petrolifere interne, come i giacimenti dell’Alaska e del Mare del nord. Così facendo, tra gli anni Ottanta e Novanta gli USA riescono a rallentare il crollo produttivo del greggio;
= interessarsi all’efficienza energetica, tema totalmente ignorato durante la sbornia del greggio a buon mercato e quindi con margini di sviluppo elevati, almeno nell’immediato. (…)

Gli USA sono usciti vincitori dalla guerra fredda, ma la rapida ascesa economica cinese e gli attentati dell’undici settembre sono prodromi di un pericoloso declino.

Per concretizzare gli obiettivi del 'Progetto per un nuovo secolo americano', l'ambizioso programma politico dell’élite neo-conservatrice insediatasi a Washington con la presidenza di George W. Bush, è necessario ristabilire il controllo sui principali flussi energetici internazionali: da qui gli interventi militari in Iraq e Afghanistan, unitamente ai tentativi di destabilizzazione politica in Iran, Venezuela e altre nazioni.

Tuttavia, è fondamentale rivitalizzare la produzione energetica domestica per ridurre la dipendenza dall’estero. All’inizio si punta sul bioetanolo da mais, anche allo scopo di sostenere il comparto agricolo; si tenta inoltre di allentare la legislazione ambientale per agevolare il carbone.

Ma quando i prezzi del greggio si impennano bruscamente tra il 2005 e il 2010, in conseguenza dell’approssimarsi del picco globale del petrolio convenzionale e delle scorribande yankee in giro per il mondo, allora monta l’interesse per gli scisti bituminosi tanto disdegnati negli anni Cinquanta. Si sono infatti creati i presupposti per il ‘miracolo dello shale oil (e gas)’, essendo i costosi petroli non convenzionali finalmente competitivi sul mercato grazie alle quotazioni al rialzo.

La tecnica del 'fracking' (fratturazione idraulica) per l’estrazione di petrolio e gas dagli scisti viene presentata quale novità rivoluzionaria che permetterà agli USA di riconquistare i vertici della produzione mondiale di idrocarburi.

Gli scettici ribattono che trattasi di un ritrovato per nulla all’avanguardia in quanto già sperimentato negli anni Quaranta e liquidano il business del non convenzionale a fuoco fatuo destinato a spegnersi ai primi ribassi dei prezzi. Senza contare le esternalità ambientali di un metodo estrattivo molto più impattante dei tradizionali, sospettato addirittura di provocare sciami sismici, ragion per cui viene bandito in stato di New York, stato di Washington, Vermont e Maryland.

Nel 2007-08 gli alti prezzi fanno da volano allo shale poi, grazie a un mix di spregiudicatezza finanziaria, sussidi federali e inventiva tecnologica per contenere le spese, questo settore tra fallimenti e fusioni riesce a barcamenarsi anche quando, a partire dal 2011, l’industria energetica entra in una spirale deflattiva a causa del perdurare della crisi economica, situazione poi esacerbata dalla pandemia.

Nonostante le difficoltà, la produzione petrolifera raggiunge livelli record permettendo agli USA non solo di ridiventare un esportatore netto, ma persino di riconquistare la leadership internazionale scalzando l’Arabia Saudita.

L’epopea petrolifera statunitense del XXI secolo viene celebrata in lungo e in largo dai mass media, anche fuori dagli USA (tanti i peana della stampa italiana). Pochi hanno cercato di indagare la realtà al di là delle sirene propagandistiche: uno di questi è Art Berman, analista da sempre molto critico verso il ‘miracolo dello shale’. Le sue analisi evidenziano implacabilmente come l'attuale exploit produttivo sia solo il parente povero di quello degli anni Settanta.

Innanzitutto, meno del 60% della ‘produzione petrolifera’ consiste effettivamente in petrolio. Una quota rilevante è costituita dal gas naturale liquido, di cui il 55% consiste in etilene, utilizzabile solo per produrre plastiche e detergenti; a questa si aggiunge un milione di barili annui di etanolo ricavato dalle coltivazioni di mais.

Per quanto riguarda il petrolio propriamente detto, la parte del leone è ricoperta dal cosiddetto ‘olio di scisto’ (‘tight oil’), che presenta una densità energetica inferiore al petrolio convenzionale (circa del 7%) e non è adatto per la produzione di gasolio.

Ma la notizia peggiore è che i giacimenti delle principali regioni produttrici stanno già palesando chiari segni di declino. Insomma, l’unico ‘miracolo’ in atto sembra essere la capacità della macchina propagandistica di esaltare un fenomeno che, in sé, ha decisamente poco di straordinario.

Contrariamente ai luoghi comuni, il fatto che la produzione petrolifera abbia deviato dalle previsioni di Hubbert non rappresenta una ‘vittoria del progressismo sul catastrofismo’, bensì una sua clamorosa sconfitta. Testimonia infatti di una società industriale incapace di superare virtuosamente le fossili, vincolandosi alle risorse più costose e impattanti, con tutto ciò che ne consegue in termini economici e di distruzione della biosfera.

Insomma, ‘progressisti-ottimisti’ e ‘picchisti-catastrofisti’, tanto divisi nelle loro dispute, possono trovare un importante punto d’intesa: il mancato avvento delle previsioni di Hubbert rappresenta, da qualunque ottica lo si voglia esaminare, una pessima notizia. >>

IGOR GIUSSANI

martedì 16 maggio 2023

Il lavoro in Italia

Il post di oggi riporta le considerazioni di Gaia Baracetti sul cosiddetto 'mercato del lavoro' che esiste attualmente in Italia, con le sue caratteristiche peculiari, i suoi difetti e le sue distorsioni.
Il pezzo è stato scritto nel novembre 2022, quando il Reddito di Cittadinanza era ancora in vigore, ma si parlava già apertamente del suo superamento.
Oggi, come noto, il R.d.C. è stato abolito e sostituito con una diversa provvidenza, che ne ha modificato la struttura (anche se solo in parte), ma le considerazioni di Gaia Baracetti – a mio avviso – restano del tutto valide.
LUMEN


<< Checché ne dicano i suoi sostenitori, è evidente che il 'reddito di cittadinanza' ha spinto le persone a non lavorare o a lavorare in nero.

Questo sarebbe stato evitabile in un mercato del lavoro ideale, di quelli che insegnano nel primo anno di economia, in cui domanda e offerta di lavoro si incontrano al prezzo (salario) esatto a cui alle persone va bene lavorare e ai datori di lavoro va bene assumere. Mi paghi di meno? Piuttosto resto a casa. Mi chiedi uno stipendio troppo alto? Non mi conviene assumerti.

Purtroppo, dato che il nostro non è un mercato del lavoro chiuso, ma continuano ad arrivare immigrati dall’estero, e lo stesso vale per le merci, mi sembra che il risultato sia stato non che sono migliorate le condizioni di lavoro e gli stipendi, ma semplicemente che i datori di lavoro, che spesso – anche se non sempre – davvero non possono pagare la gente di più, hanno assunto stranieri, a nero o in regola.

Questo è un punto molto importante. In un paese isolato economicamente, se la gente non è disposta a lavorare per lo stipendio che offri, magari per un po’ ne fai a meno, ma prima o poi sarai costretto a offrire di più. La merce o i servizi conseguentemente costeranno di più, ma il paese dovrà e potrà pagare questo nuovo prezzo, perché non avrà alternative e perché i salari saranno più alti.

Sembra che dopo la peste del Trecento, che aveva ucciso in alcune aree d’Europa metà o un terzo della popolazione, rimasero così pochi contadini che i proprietari terrieri si trovarono costretti a offrire paghe altissime pur di convincerli a lavorare.

Questo è per la maggior parte della gente uno sviluppo positivo. Ma noi non abbiamo quel tipo di economia: abbiamo un’economia globalizzata, che è tutta un’altra cosa. Se puoi far continuamente entrare gente disposta a lavorare a qualsiasi condizione purché sia leggermente migliore di quella del paese d’origine, i lavoratori li trovi alle stesse condizioni di prima, cioè, spesso, di sfruttamento.

E siccome la merce a un prezzo più alto non te la compra nessuno, dato che la stessa cosa si può importare dall’estero dove costa meno produrla, non riesci mai a guadagnare quel tanto in più sufficiente per pagare effettivamente di più i tuoi lavoratori. Quello che a me sembra essere successo, a grandi linee, è che chi sfruttava gli italiani adesso sfrutta gli stranieri, e chi avrebbe voluto pagare di più non poteva farlo prima e non può farlo neanche adesso.

Le soluzioni solitamente proposte al pasticcio dei 'Cinque Stelle' [il Reddito di Cittadinanza - NdL] potrebbero addirittura peggiorare la situazione. Far fare lavori socialmente utili ai percettori di reddito significa farli entrare in competizione con chi fino ad oggi quei lavori li svolgeva con uno stipendio pieno e dignitoso, e creare una strana situazione di povertà perenne e lavoro sottopagato come norma.

L’idea di togliere il reddito al primo rifiuto di posto di lavoro neanche può funzionare, perché la stragrande maggioranza delle offerte di lavoro sono al di fuori dei centri per l’impiego, e quindi invisibili e non registrate (sarebbe forse in teoria possibile obbligare tutti i datori di lavoro a fare offerte tracciabili, ma in questo caso un percettore del reddito può supplicarli o corromperli affinché non dicano di avergli fatto un’offerta). Inoltre certe offerte di lavoro sono effettivamente inaccettabili, e non si può punire chi le rifiuta.

Anche l’idea dei “percorsi di formazione” mi lascia molto perplessa. Chiunque, da dipendente o da imprenditore, si sia trovato costretto a frequentare questi dannatissimi corsi che ci vengono imposti di continuo, si sarà accorto che costano un sacco e nella maggior parte dei casi non servono a niente se non a far lavorare laureati che non trovando altro si riciclano così.

In fondo, l’umanità è riuscita a fare di tutto nella sua storia anche senza i “corsi di formazione.” Di solito, le persone imparano se hanno voglia o bisogno di imparare. Non ho mai visto nessuno che abbia imparato a fare il contadino in un corso di formazione; persino la facoltà di agraria serve più a formare ricercatori che allevatori e agricoltori.

Con poche eccezioni, da che mondo è mondo i mestieri si imparano da apprendisti e sul campo, non tra i banchi. Le aziende possono formare i propri dipendenti a proprie spese, pagandoli meno durante il periodo di apprendistato, come previsto dalla legge, in modo che il rapporto sia vantaggioso per entrambi.

Se si richiedono competenze molto specifiche e tecniche, per esempio per medici, avvocati o ingegneri, ci sono già i percorsi di laurea e abilitazione. Ma fare dei corsi di formazione, avviamento al lavoro, inserimento, chiamateli come preferite, è la solita tattica di rendere le cose più complicate del necessario giusto per dire di aver fatto qualcosa, e, a dirla tutta, di creazione di posti di lavoro inutili in funzione clientelare. Tipo i navigator. >>

GAIA BARACETTI

martedì 9 maggio 2023

Pensierini – LVII

GLI ANNI DELLA SCUOLA
Una delle maggiori difficoltà legate alla scuola è costituita dagli anni in cui si svolge, ovvero l'adolescenza dei ragazzi.
Dal punto di vista biologico si tratta di una scelta quasi obbligata, perchè in quegli anni i loro cervelli sono più plastici e ricettivi e la capacità di apprendere è massima.
Dall'altro, però, le motivazioni culturali dei ragazzi sono ai minimi termini.
Come osserva argutamente Gianni Pardo: << La scuola è un ambiente in cui dei ragazzi che, per età, tendono a pensare soltanto al sesso, allo sport e ai divertimenti, sono costretti ad interessarsi di cose di cui non gli importa assolutamente niente e di cui, dopo tutto, non capiscono niente. >>
Per conseguenza, conclude Pardo: << Gli alunni, salvo rarissime eccezioni, non studiano per imparare qualcosa: studiano per avere la sufficienza, non essere bocciati e non avere problemi in famiglia. >>
Come se ne esce ?
Probabimente non se ne esce, in quanto si tratta di un dilemma insolubile. Altrimenti, dopo tanti anni, qualcuno si sarebbe già inventato una soluzione.
LUMEN


MOLECOLE
Leggendo i testi di biologia, ci si rende subito conto dell'assoluta inutilità dell'ipotesi divina per spiegare la complessità della vita.
Ma ci si rende conto anche di una cosa apparentemente incredibile: e cioè che tutte le complessità e le sottigliezze degli esseri viventi, riposano, in ultima analisi, sulla semplice, ripetitiva attività di miliardi di piccolissime molecole che si incastrano (o non si incastrano) tra loro.
Senza che nessuna di esse abbia la minima consapevolezza di ciò che sta facendo.
Spaventoso ed affascinante !
LUMEN


DIVENTARE ATEI
Anche se adesso sono un ateo convinto, da giovane, essendo nato in una famiglia tradizionale, ero un credente altrettanto convinto e mi ero fatto tutta la trafila religiosa prevista per i ragazzi dell'epoca (catechismo, prima comunione, messa alla domenica, ecc.).
Poi le prediche incoerenti e contraddittorie dei vari preti, che ascoltavo con molta attenzione (e non distrattamente come molti fedeli), mi hanno aperto gli occhi.
Per cui, seguendo il noto principio logico secondo cui se una dottrina è coerente può essere vera o falsa, ma se è contraddittoria può solo essere falsa, non ho potuto far altro che diventae ateo.
Questo ovviamente per quanto riguarda il Dio dei cristiani.
Gli altri però non li conosco, per cui non posso di nulla su di loro, se non ignorarli.
LUMEN


ECCESSI
Noi siamo affascinati dagli eccessi, dalle cose estreme, dai record; eppure il modo migliore di vivere è fatto di equilibri.
Un altro dei tanti paradossi dell'uomo
LUMEN


CATTOLICI E AMBIENTE
I credenti cattolici non possono affrontare nessun problema scientifico serio, come per esempio quello del degrado ambientale, perchè partono da presupposti concettualmente errati.
Credere in un Dio onnipotente e buono, infatti, vuol dire avere sempre il jolly da giocare del suo intervento miracoloso e salvifico, un intervento che – secondo la loro fede - può sistemare qualsiasi situazione e risolvere qualsiasi problema.
Quindi, possono anche interessarsi un poco di questi problemi, visto che ne parlano tutti, ma senza preoccuparsene troppo; tanto c'è sempre Lui.
Gigante, pensaci tu....
LUMEN


UNO, NESSUNO, (DUE) CENTOMILA
Nel giugno del 2017, quando il mio piccolo blog tagliò il traguardo simbolico delle 100.000 visualizzazioni, decisi di dedicargli un post.
Ora, che è stata raggiunta la quota di 200.000, mi accontento di un pensierino.
Ovviamente, la mia gratitudine ed il mio sincero ringraziamento vanno a tutti voi che mi seguite e che non vi siete ancora annoiati.
C'è chi legge i post, chi li commenta, chi (ogni tanto) ne manda qualcuno da pubblicare, chi si è registrato come follower e chi ha deciso di gemellare il suo blog con il mio.
Non faccio i nomi, ma le persone citate si saranno sicuramente riconosciute.
Tutti, nessuno escluso, hanno dato il loro prezioso contributo a questo piccolo blog ed a tutti, pertanto, mando il mio abbraccio virtuale. Ad maiora.
LUMEN

giovedì 4 maggio 2023

Critica e difesa di Emanuele Severino – 3

Si concludono qui le riflessioni di Sergio Pastore sul pensiero di Emanuele Severino (terza ed ultima parte). LUMEN


<< Ma che fare senza la fede nella resurrezione e nella vita eterna? Si noti che l’attuale papa non ha mai parlato nei suoi dieci anni di pontificato della vita eterna, della salvezza dell’anima. È mia opinione che non ci creda nemmeno lui (del resto i gesuiti sono … gesuiti, appunto).

Ebbene: l’eternità severiniana potrebbe essere la risposta o alternativa alla perdita della fede nella vita eterna del cristianesimo. Ma cosa dici, sei impazzito pure tu, dirà qualcuno. Non lo escludo, comunque cerco di spiegarmi. Diciamo innanzi tutto che l’eternità di Severino è indimostrabile, come dice pure uno che apprezza Severino, Marcello Veneziani. Dimostrare significa rendere evidenti certi assunti, certe verità che prima non lo erano.

Severino ha cercato di dimostrare l’eternità del tutto in una cinquantina di libri – a mio parere senza riuscirci. È difficile, se non impossibile credere in questa eternità. Si badi che per Severino l’eternità degli enti non è una credenza, ma la realtà, un’evidenza, la “cosa ultima”. Ma lo era per lui. Fu una rivelazione o una bella trovata?

Però una cosa è certa: se Dio non esiste, il Dio dei credenti, la Divina Provvidenza, la Trinità eccetera, esiste pur qualcosa: la materia e le sue proprietà (anche il Dio cristiano ha delle proprietà, ma le proprietà definiscono e quindi delimitano e contraddicono l’onnipotenza).

Sappiamo, vediamo, constatiamo che la materia ha assunto e assume un’infinità di forme. L’esperienza – e anche la scienza oggi – ci dicono che queste forme sono transeunti: niente persiste, tutto si trasforma. Dobbiamo o dovremmo dunque accettare questa “verità”: la distruzione o scomparsa di tutte le forme che la materia assume via via.

Severino non ci sta e sulle orme di Platone “salva” ogni cosa. Tutto è da sempre e per sempre. Perché no? Per lui questa è la cosa ultima, la verità che i greci e il potere ci hanno nascosto. Un’osservazione banale, ma non per questo meno vera, sarebbe: possibile che nessuno se ne sia accorto prima, che si sia dovuto aspettare millenni e Severino perché la verità sia finalmente riscoperta e riconosciuta?

Ma la domanda di fondo che io avrei voluto porre a Severino è: che cosa cambia nella nostra vita se riconosciamo o accettiamo che tutto è eterno? Forse mi avrebbe risposto che riconoscere la verità ti proietta in un’altra dimensione.

La verità, anche quando è dolorosa, non può non essere accettata, anzi riconoscerla appaga, acquieta: ogni volta che siamo confrontati con l’ineluttabile dobbiamo accettarlo, non c’è del resto alternativa se non suicidarsi. E per Severino il sapere o vedere, constatare che le cose sono come sono e non possono essere diverse ha o avrebbe il potere di appagarci o calmarci.

Come la vita eterna dei credenti cristiani. La morte, ovvero la distruzione completa e definitiva di un ente o essere, in realtà non esiste per Severino. Così dicono la fede cristiana e Severino. Ma lo stesso una differenza esiste fra queste due fedi (ricordiamo però ancora una volta che per Severino l’eternità del tutto non è una fede – perché la fede o credenza è violenza: volere che le cose siano come vorremmo e non come sono).

Che la fede sia violenza può apparire sul momento paradossale, soprattutto considerando che l’amore del prossimo è l’essenza del cristianesimo. Ma in una luce “filosofica”, ovvero a ragion di logica, volere l’annientamento degli enti è violenza, perché vogliamo che le cose siano come in effetti non sono. Si pensi alle verità e ai dogmi del cristianesimo: oggi per noi agnostici o atei inconcepibili, irrazionali, assurdi. Ma per millenni si è creduto in essi, soprattutto si è stati obbligati a crederci con la prospettiva della punizione terrena e eterna.

Il Padre Nostro di Severino può spiegare la sua tesi sulla fede o credenza come violenza. Noi tutti abbiamo pregato così, come ci ha insegnato Gesù:

Padre nostro che sei nei cieli,
sia santificato il tuo nome,
venga il tuo regno,
sia fatta la tua volontà,
come in cielo così in terra.
Dacci oggi il nostro pane quotidiano,
e rimetti a noi i nostri debiti
come anche noi li rimettiamo i nostri debitori,
non indurci in tentazione, *
ma liberaci dal male.
* (Nuova versione: non abbandonarci alla tentazione)

Si notino gli ottativi “venga, sia fatta, sia” e gli imperativi “dacci, liberaci, rimetti, non indurci o abbondonarci”. Chi prega desidera qualcosa che gli pare bello e giusto e dà poi degli ordini al Padreterno (dacci, liberaci, rimetti). Vogliamo, desideriamo l’impossibile, cioè che l’Onnipotente si adegui ai nostri desideri, alla nostra volontà. Coerentemente Severino invece prega così:

Padre nostro che sei nei cieli,
il tuo regno viene,
la tua volontà è fatta,
così in cielo come in Terra.
Ci dài il nostro pane quotidiano,
rimetti a noi i nostri debiti
come noi li rimettiamo ai nostri debitori,
e ci liberi dal male.

La fede è violenza che vuole l’impossibile. La verità invece semplicemente appare, è, e in essa siamo salvi. Da sempre e per sempre. “La verità vi farà liberi”, dice Gesù. Sì, perché l’accettazione anche di una verità amara ci libera dai tormenti del dubbio. Le cose sono come sono, è saggio accettarle. Potremo cercarle di modificarle perché non piacevoli (ed è ciò l’uomo fa continuamente), ma ad un certo punto bisogna arrendersi.

Severino dice una cosa per noi spaventosa: non possiamo escludere che alla fine s’imponga l’islam, anche se noi faremo di tutto per impedirlo. La “vittoria dell’islam” è un eterno che si rivelerà (comparirà) a suo tempo. Noi non sappiamo se esista davvero questa vittoria, questo eterno: lo sapremo un giorno (ma speriamo che non esista!).

Per Severino non esiste né Dio né il libero arbitrio. Ma anche il concetto di Dio e di libero arbitrio sono eterni che appaiono a un certo punto dell’evoluzione del cosmo. Noi ci sentiamo forse liberi perché cerchiamo di realizzare dei progetti, ma la realizzazione o mancata realizzazione di quel progetto “è già scritta”, è un eterno.

Se adesso qualcuno mi dicesse: ma fammi il piacere, tu e quello 'scemo' di Severino, gli direi: ti capisco, il discorso di Severino può apparire astruso e poco credibile. E Candido non aveva certamente tutti i torti a invitare il filosofastro leibniziano, che continuava a ripetere che viviamo nel migliore dei mondi possibili, di continuare piuttosto a coltivare il giardino. Sì, rimaniamo pure coi piedi per terra, ci conviene. Ma tuttavia! >>

SERGIO PASTORE

lunedì 1 maggio 2023

Critica e difesa di Emanuele Severino – 2

Continuano le riflessioni di Sergio Pastore sul filosofo Emanuele Severino (seconda parte di tre). LUMEN


<< Tuttavia, mi sembra tuttora che di Severino si possa salvare qualcosa, qualcosa di importante. Severino chiama Platone il vero “salvatore del mondo” perché “salva” gli enti (tutti, dal più semplice e apparentemente insignificante al più grande e maestoso). Ma cosa significa salvare? Appunto non considerare gli enti un niente: perché un ente che viene dal nulla (in precedenza non c’era) e ricade dopo qualche tempo nel nulla (magari dopo un miliardo di anni come una galassia), è in definitiva niente.

Ricadendo nel nulla scompare per sempre, è dunque in definitiva un nulla. L’ente è un attimo tra due nulla: se ricade nel nulla, se scompare per sempre, è in un certo senso come non fosse mai esistito. Errore, dice Severino: tutto, assolutamente tutto – da uno scarafaggio, uno sputo, all’homo sapiens sapiens – è eterno.

Una persona normale, che non ha studiato filosofia, dirà: ma che dice, questo è pazzo! Tutti vediamo, constatiamo, che cose e persone decadono, muoiono, scompaiono per sempre. È l’estrema evidenza: persone e cose (comprese le galassie e forse l’intero universo) muoiono, scompaiono. Ma se non ricadono nel nulla dove sono?

È forse questa la questione dirimente: dove sono le cose e le persone distrutte, morte, dissolte, non più visibili cioè evidenti? Ebbene, anche dopo aver letto tanti libri di Severino io non so dove vadano a finire i quasi infiniti esseri dell’universo. Perché, se come dice Severino, gli enti “sono” – non possono essere venuti dal nulla e ricadere nel nulla – da “qualche parte” devono essere (sono per così dire “parcheggiati”), e se non li vediamo più “sono” comunque per sempre e “torneranno” a farsi vedere.

L’idea dell’eterno ritorno non è nuova, non l’ha inventata o trovata Severino. Anche Nietzsche fantasticava di un eterno ritorno (ma mi sembra che Severino non volesse essere confuso con quel matto di Nietzsche e il suo eterno ritorno). Chiedo lumi ai filosofanti che ne sanno più di me: qual è la differenza tra l’eterno ritorno nicciano e l’eterno ritorno severiniano?

Tutto ciò può apparire strano, strambo, follia. Nietzsche impazzì davvero dopo una vita randagia e quasi misera (usufruiva di una pensioncina assegnatagli dall’università già in giovane età per la sua salute cagionevole che non gli consentiva più di tenere corsi).

I suoi libri non interessavano, li doveva pubblicare a sue spese (probabilmente in poche copie per risparmiare). Croce litigò con Laterza per la pubblicazione di un libro su Nietzsche, autore o filosofo secondo lui che non interessava più nessuno. Severino non finì al manicomio, ma forse era un po’ matto anche lui: aveva un’idea fissa a cui rimase fedele fino alla morte.

E tuttavia! L’idea fissa di Severino non potrebbe essere l’alternativa alla religione, specie quella cattolica? Le verità della fede cattolica sono contenute quasi tutte nel Credo (ne sono state aggiunte poi altre: l’infallibilità pontificia, i dogmi mariani). I fedeli ripetono tutti i giorni queste verità a pappagallo, cioè senza capirle o crederle davvero.

Perché cosa significa in fin dei conti credere? Ritenere vere cose non evidenti o visibili (Dio è l’autore visibilium et invisibilium, recitiamo nel Credo). Il fatto però è che il vero credente non crede, ma sa, afferma risoluto che ciò in cui lui crede è vero. I credenti in effetti sono tutt’altro che modesti: loro “sanno” che Dio è uno e trino, che la Madonna è stata assunta in cielo in carne e ossa ecc.

Sono talmente convinti di questo che furono una volta disposti a farsi ammazzare per queste credenze alias verità (oggi il desiderio di martirio è quasi scomparso – per fortuna). Si può credere a pappagallo (semplicemente proferire parole senza riflettere troppo) oppure recitarle con profonda convinzione e adesione, cioè col sentimento.

In tempi normali il Potere si accontenta che si dicano le preghiere o formule a pappagallo, ma nei momenti cruciali bisogna recitarle con sentimento se no sono guai, allora non si scherza! Noi ci vogliamo essere razionali e ragionevoli, ma sono probabilmente soprattutto gli istinti a governare il nostro comportamento (i geni, eh Lumen?). L’istinto è decisivo per la sopravvivenza: si reagisce senza pensarci su (se no sarebbe troppo tardi). Si fugge dal pericolo evidente, si attacca e si preda al momento giusto.

Solo che la natura ha creato anche questo strano essere, l’homo sapiens sapiens, che ha scoperto e inventato così tante cose da smarrire talvolta l’istinto più profondo, sembra situato nell’amigdala (il martire è un esempio di istinto deviato o pervertito: ovviamente il martire “crede” – gli hanno fatto credere – che accettando il martirio guadagnerà la vita eterna, farà cioè il massimo guadagno, il grande affare dei gesuiti – e il disgraziato ci crede davvero fino a sacrificare la propria vita).

La religione, penso soprattutto al cristianesimo (le altre religioni le conosco poco o male o per niente), è una risposta al dramma della vita che è stata quasi sempre per gli umani una valle di lacrime (sono mai davvero esistite le epoche auree, di pace e benessere, le paci augustee?).

La fede nell’aldilà è stata la risposta al malessere esistenziale, ma soprattutto il mezzo del potere per fare accettare alla massa lo statu quo (“io son’ io, e voi non siete un c…!”). La ricompensa è rimandata all’aldilà. Ma nell’aldilà ci aspetta anche l’inferno, un’eternità di pene, se non ci saremo comportati come esige il potere in Terra. Il Papa gesuita ha abolito l’inferno, ma promette ancora il paradiso ai buoni, anche se non si sa bene in che cosa consista l’eterna beatitudine (gli islamici invece hanno settanta vergini ad aspettarli).

La religione è istrumentum regni, ma anche spiegazione dell’avventura umana. In quanto spiegazione fa appello ai nostri sentimenti, e ciò è molto importante. Il Principe deve regnare col terrore per sopravvivere, ma deve anche saper far uso della religione che parla al cuore. Il terrore non basta, serve anche – e forse anche di più del potere brutale – il sentimento, la convinzione che tutto è come deve essere e giusto.

Chi crede con sentimento, cioè con tutto il proprio essere, farà sempre la volontà del potere, fino a immolarsi. Perciò l’importanza dell’educazione in generale e dell’educazione religiosa in particolare. Io in collegio sono andato tutte le mattine a messa fino a vent’anni! L’educazione deve indurre comportamenti accettabili senza riflettere, indurre cioè degli automatismi (si veda anche l’organizzazione o religione comunista!).

Fra le cose più importanti, anzi la più importante, è stata per i credenti la fede nella vita eterna (e sperabilmente nel paradiso). La morte non piace a nessuno in condizioni normali. E la perdita definitiva di un essere caro è dura da accettare, come anche la propria morte. L’evidenza – l’estrema evidenza – è che la morte è definitiva e irreparabile. Ma non per il credente: la vita continua in forma diversa (e per i cristiani in forma inimmaginabile o solo vagamente: sai che bello cantare nel coro degli angeli per l’eternità!).

Il cristianesimo si fonda sulla credenza nell’immortalità: questa credenza è sicuramente una delle ragioni più profonde del suo successo strepitoso. Cristo è davvero risorto e ha così “vinto la morte”. Credendo in lui vivremo per sempre anche noi. Cosa resta del cristianesimo se cancelliamo la fede nella vita eterna e nel paradiso? Non molto, un vago sentimentalismo.

C’è chi dice che senza questa fede l’umana e pacifica convivenza sarebbe impossibile: senza il timore dell’inferno si potrebbe fare quel che si vuole, anche rubare e uccidere. Ma non è affatto vero: la società si dà delle regole, delle leggi, per poter esistere come tale e sopravvivere. Io non rubo e uccido perché altrimenti sarei punito, anche con la condanna a morte.

Però con l’educazione, religiosa e civica, accetterò le norme e le leggi, vi aderirò “sentimentalmente”, cioè profondamente. Per cui se oggi non rubo o uccido, come l’istinto vorrebbe, lo faccio spontaneamente, senza pensarci su. Senza l’adesione spontanea alla pubblica morale la società non potrebbe esistere.

Non è dunque vero che senza la fede in Dio e il timore dell’inferno posso fare quel che voglio, come afferma Dostoevskij ne “I demoni”. Il potere ti dice: “Timor Dei initium sapientiae”. Il timore di Dio è in realtà il timore del potere. >>

SERGIO PASTORE

(segue)